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Vita spirituale di San Vincenzo

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T E R E S I A N U M PONTIFICIA FACOLTÀ TEOLOGICA PONTIFICIO ISTITUTO DI SPIRITUALITÀ LA DIREZIONE SPIRITUALE NELLA VITA DI SAN VINCENZO DE’ PAOLI Dissertazione di Licenza in Teologia con specializzazione in Teologia Spirituale Studen te: Jozef Noga N matr.: 9245/S Moderatore:
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Page 1: Vita spirituale di San Vincenzo

T E R E S I A N U M

PONTIFICIA FACOLTÀ TEOLOGICAPONTIFICIO ISTITUTO DI SPIRITUALITÀ

LA DIREZIONE SPIRITUALE

NELLA VITA DI SAN VINCENZO DE’ PAOLI

Dissertazione di Licenza in Teologiacon specializzazione in Teologia Spirituale

Studente:

Jozef Noga

N matr.: 9245/S

Moderatore:Prof. Benito Goya

Roma – 2005

Page 2: Vita spirituale di San Vincenzo

Indice

INDICE........................................................................................................1

INTRODUZIONE.......................................................................................3

ABBREVIAZIONI......................................................................................5

Capitolo I.FRANCIA, TERRA DI SANTI NEI SECOLI XVI E XVII.......................6

1. Ambiente.................................................................................................61.1 Ambiente politico..............................................................................71.2 Ambiente sociale...............................................................................91.3 Ambiente ecclesiale........................................................................101.4 Ambiente spirituale.........................................................................13

2. San Vincenzo: dono di Dio..................................................................172.1 Anni della giovinezza......................................................................172.2 Anni della peregrinazione e dell’apprendistato.............................192.3 Anni della maturità creativa...........................................................24

2.3.1 Fondazione dei Preti della Missione........................................................242.3.2 Fondazione delle Figlie della Carità........................................................26

2.4 Anno di ritorno alla casa del Padre...............................................29

CAPITOLO II. VITA SPIRITUALE DI SAN VINCENZO..............................................31

1. Racconto della schiavitù......................................................................322. Dio conosce la verità............................................................................353. Notte oscura – crisi della fede.............................................................37

Capitolo III.DIRETTORI SPIRITUALI DI SAN VINCENZO...................................41

1. Benedetto de Canfield.........................................................................412. Pietro de Bérulle..................................................................................443. Andrea Duval.......................................................................................514. Francesco di Sales................................................................................53

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Page 3: Vita spirituale di San Vincenzo

CAPITOLO IV.VINCENZO DIRETTORE SPIRITUALE...............................................58

1. Scritti di San Vincenzo........................................................................581.1 Corrispondenza – parola scritta....................................................601.2 Conferenze spirituali – parola parlata...........................................68

1.2.1 Conferenze alle Figlie della Carità..........................................................691.2.2 Conferenze e trattenimenti con i Missionari...........................................72

2. Azione di San Vincenzo.......................................................................752.1 Formazione del clero......................................................................752.2 Formazione delle suore..................................................................80

2.2.1 Visitazione...............................................................................................812.2.2 Figlie della Carità....................................................................................81

2.3 Formazione dei laici.......................................................................83

3. Mezzi raccomandati nella direzione spirituale.................................853.1 Umiltà.............................................................................................853.2 Gesù Cristo e la volontà di Dio......................................................863.3 Preghiera........................................................................................883.4 Amore.............................................................................................90

CONCLUSIONE.......................................................................................92

Bibliografia..................................................................................................95

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Page 4: Vita spirituale di San Vincenzo

Introduzione

Adrien Grand, Vescovo di Lilla, ha definito Vincenzo: un uomo

di grande finezza di spirito e di una grande bontà; un uomo realista,

dalle vedute larghe, un grande uomo di azione. Un uomo di Dio, umile

attento ai richiami dello Spirito, appassionato dell’amore di Gesù Cristo,

un vero santo dei tempi moderni. Vincenzo De’ Paoli è una figura

poliedrica che non si finisce mai di scoprire.

Molte sono le biografiche del santo scritte da autori conosciuti o più

modesti, ma forse è stato considerato poco l’aspetto dottrinale della sua vita

e del suo insegnamento.

In realtà Vincenzo è un uomo che non ha mai elaborato una dottrina vera

e propria: è un pensatore che agisce. Le sue intenzioni non restano pure

elucubrazioni di cervello, ma vengono calate nella realtà e realizzate

nell’azione.

Il suo insegnamento è ricco e serio, ispirato al Vangelo e coerente con

la dottrina della Chiesa.

Il suo merito principale è stato quello di calare la teologia ufficiale

che ben poco si curava della gente comune, per rendere accessibile

il messaggio evangelico mediante “il piccolo metodo” semplice e chiaro,

a tutti gli uomini e soprattutto agli ultimi.

Con lo stesso metodo, in forma di dialogo, teneva le sue conferenze

ai Missionari e anche alle Figlie della Carità, povere giovani

della campagna, chi amate ad essere “le serve della Carità”.

Vincenzo spesso predicava che Gesù Cristo è venuto nel nostro mondo

per essere povero ed umile ed invitava i Missionari a vivere come Gesù;

cioè nella povertà e nell’umiltà.

In questo mio lavoro di ricerca, desidero indagare e comprendere,

studiando il pensiero della direzione spirituale nella vita di San Vincenzo,

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Page 5: Vita spirituale di San Vincenzo

mediante i suoi scritti, ma soprattutto mediante le Conferenze ai Missionari

e alle Figlie della Carità, per scoprire le linee portanti del suo insegnamento

spirituale.

Se de Bérulle, suo grande direttore spirituale, proponeva il Cristo

nel mistero dell’Incarnazione e Vincenzo, sotto la sua direzione,

aveva capito che Cristo si identificava con i poveri. La spiritualità

cristocentrica, per la quale Vincenzo seguiva il Cardinale De Bérulle,

insegnava che l’uomo deve lasciarsi guidare da Cristo.

Francesco di Sales, altro grande direttore spirituale di Vincenzo

maturava il Santo nelle virtù dell’umanità, dell’umiltà, e della soavità e

insegnava che la santità è per tutti.

Ho diviso questo lavoro in quattro capitoli:

Il primo capitolo ci vuole offrire un quadro sintetico dell’ambiente

della Francia nel secolo XVI e XVII, assieme ad un quadro sintetico

della vita di Vincenzo.

Il secondo capitolo tratta la vita spirituale di Vincenzo, in particolare

di come Dio operò nel processo della sua conversione.

Il terzo capitolo ci vuol far aprire uno sguardo sui grandi maestri o

direttori spirituali del Santo, che lo aiutavano nel processo di crescita

spirituale.

Il quarto capitolo ci vuol presentarci Vincenzo come direttore spirituale,

che accompagna tante persone verso Dio.

Ha pure tre sottocapitoli: il primo è dedicato agli scritti di Vincenzo

che erano i suoi strumenti per la direzione spirituale; il secondo è dedicato

alle sue azioni nel processo della formazione e il terzo è dedicato ai mezzi

raccomandati dalla direzione spirituale del Santo.

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Page 6: Vita spirituale di San Vincenzo

Abbreviazioni

Annales Annales de la Congrégation de la Mission et des Filles de Charité (ed. francese).

Conf.p.d.M. Conferenze ai preti della Missione.

F.d.C. Figlie della Carità.

Mme Madame, Signora.

Mons. Monsignor.

p. padre.

SV SAINT VINCENT DE PAUL, Correspondance. Entretiens. Documents, 14 vol. + vol. XV, «M. et Ch.» 19-20 (1970), Ed. Lecoffre-Gabalda, Parigi 1920-1925, (ed. Pietro Coste):I-VIII: Correspondence, IX-X: Entretiens, /aux Filles de Carité/, XI-XII: Entretiens /aux Missionnaires/, XIII: Documents, XIV: Table générale, XV: Supplément (ed. A. Dodin), in MC 19-20 (1970).

Ho usato questa edizione per la stesura della tesi, adoperandola seguente sigla: SV III, p. 6.(Per le citazione in italiano: VINCENT DE PAUL, Corrispondenza, 14 vol., Roma-Siena 1952-1982; Conferenze spirituali alle Figlie della Carità, Roma 1980; Conferenze ai Preti della Missione, Roma 1959).

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Page 7: Vita spirituale di San Vincenzo

CAPITOLO I.

FRANCIA, TERRA DI SANTI NEI SECOLI XVI E XVII

Come in tutti secoli, anche nel XVI e XVII la Francia è stata la terra

di tanti santi che hanno incarnato la Francia, in quello che essa ha di più

grande e di, storicamente, più efficace. Ricordiamo almeno i più noti come

San Luigi, Santa Giovanna d’Arco, Francesco di Sales e Vincenzo

De’ Paoli.

Questo primo capitolo l’ho diviso in due parti. La prima tratta

dell’ambiente della Francia nei secoli XVI e XVII e la seconda tratta

della vita di Vincenzo De’ Paoli, l’uomo della carità.

1. Ambiente

Per comprendere pienamente un uomo e la sua vita è necessario situarlo

nell’ambiente concreto del suo tempo. Nessun uomo infatti, per quanto

geniale sia, è avulso dalla sua epoca e dal suo ambiente; sebbene raccolga

dal passato un’eredità più o meno valide e sia sempre debitore

alle generazioni antecedenti, tuttavia è immerso nel presente e, per quanti

sforzi faccia, non può sradicarsi dall’“humus” culturale e religioso in cui

vive. Anche Vincenzo De’ Paoli mostra sul suo volto lineamenti

del suo ambiente e del suo tempo. Contemporaneo a Luigi XIII,

a Richelieu, ad Anna d’Austria e a Mazzarino, visse le tensioni

della sua epoca.

Per capir meglio la complessità e le tensioni della sua epoca

ci avviciniamo all’ambiente politico, sociale, ecclesiale e spirituale

della Francia.

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Page 8: Vita spirituale di San Vincenzo

1.1 Ambiente politico

Il disordine religioso, in quell’epoca, era sfociato bene in disordine

politico. Nel 1559 si scatenava un periodo di guerre di religione tra cattolici

e protestanti (1559 –1598) che registrava solo pochi momenti di tregua. Si

era così creato uno stato endemico di paura che giustificava l’uso

della violenza fino alla pratica dell’assassinio politico degli avversari.

Molti religiosi erano indotti a prendere le armi per appoggiare le parti

in lotta. L’ideale di una sola fede si rivelava irrealizzabile, quindi

si ripiegava sulla soluzione, che va sotto il nome d’Editto di Nantes (1598)

che concesse una serie di privilegi alla “religione riformata” e creò

una specie di tutela legislativa per le minoranze. Purtroppo non si può

parlare di libertà religiosa in senso pieno, perché nessuna delle due parti

era intenzionata a riconoscere l’altra1.

L’Europa non godeva la pace stabile. Nell’anno 1618 iniziava la dura e

lunga guerra dei “Trent’anni” provocata dal contrasto tra cattolici e

protestanti in Boemia, conclusasi con la pace di Vestfalia nell’anno 1648.

Il conflitto può dividersi in quattro periodi:

− Il periodo boemo (1618-23);

− Quello danese (1625-29);

− Quello svedese (1630-35)

− E infine quello francese (1635-48).

La Francia entrò in questa guerra nel maggio 1635, quando Richelieu,

primo ministro di Francia, dichiarò guerra alla Spagna2.

Tra il 1636 e il 1643, uno dei principali scenari di guerra era il ducato

di Lorena. Questo piccolo stato indipendente, incuneato tra la Francia

all’ovest, e l’Impero ad oriente, tra i possedimenti spagnoli delle Fiandre

al nord e la Franca Contea al sud, era la vittima predestinata dello scontro 1 Cfr. G. LIVET, Les guerres de religion (1559 – 1598), Paris 1970.2 Cfr. L. CAVALI - M. COSENTINO – P.T. ZANCHETTA, ed., «La Guerra, dei trent’anni», in L. CAVALI - M. COSENTINO – P.T. ZANCHETTA, ed., L’enciclopedia, vol. 19, Ed. Scode, Milano 1980, p. 319.

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tra i suoi poderosi vicini3. Il duca Carlo IV e suo fratello e successore

Francesco Nicola perseguivano la politica che ritenevano più adatta

agli interessi del loro piccolo paese. Timorosi dalle intenzioni

annessionistiche della Francia di Richelieu, scommisero sulla Spania e

sull’Impero. Per tale motivo la Francia iniziò una politica di repressione

contro la Lorena; i castelli furono resti al suolo, molte persone furono

esiliate e i loro beni confiscati. Tutti gli abitanti erano obbligati a prestar

giuramento di fedeltà al re di Francia4.

La morte del primo ministro cardinale Richelieu (1642), e quella di Luigi

XIII (1643) non portò la pace. La stessa pace di Westfalia (1648),

se poneva un termine ai conflitti internazionali, non mise termine

ai conflitti interni: anzi li scatenò.

Venne il periodo della guerra civile chiamato la Fronda (1648 – 1653),

inizialmente come rivolta dei francesi contro la potestà del cardinale

Mazzarino, primo ministro e poi come rivolta dei nobili contro

l’assolutismo del monarca. Quando la Corte fuggì da Parigi, la città rimase

preda dei soldati fuggiaschi e affamati e il numero dei poveri, dei malati e

dei feriti crebbe a dismisura.

Non era finita la Fronda che comincò il conflitto franco–spagnolo

(1650–1659), che seminò la desolazione nelle regioni di frontiera,

in Piccardia e Champagne e nel cuore stesso della Francia.

1.2 Ambiente sociale5

La Francia era entrata nel secolo XVII esangue, stremata dalle guerre

di religione. La popolazione, malgrado l’alta natalità, restava quasi

stazionaria. Essa oscillava fra 17 e i 20 milioni d’abitanti.

3 Cfr. J.A. LESOURD, La Lorraine, Nancy 1962.4 Cfr. J. GIRARD, «Saint Vincent de Paul. Son oeuvre et son influence en Lorraine», in Annales (1951), p. 313.5 Cfr. E. PRECLIN – V.L.TAPIE, Le XVIIe siècle (1610 – 1715), Paris 1949, pp. 137-158; R. MOUSNIER, Le XVIe et XVIIe siècle, Paris 1954, pp. 147-161.

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Page 10: Vita spirituale di San Vincenzo

La moralità era elevata e l’età media della popolazione non superava

30 anni fra i poveri, e i 45 fra i ricchi. Il 50% dei bambini moriva entro

il primo anno di vita6.

L’analfabetismo interessava l’alta quota dei ¾ della popolazione

maschile e i 9/10 della popolazione femminile; non sapevano né leggere

né scrivere7.

La gente soprattutto, in campagna, era decimata dalle epidemie: la peste

si ridestava quasi ogni anno, il vaiolo era »altrettanto letale e la tigna

operava pure essa larghe devastazioni. Per colmo di sventura a

queste angustie già grammatiche, si aggiungeva con frequenza anche

la carestia. La sua origine si doveva soprattutto ai fenomeni atmosferici

(inverni terribile e inondazioni catastrofiche), ma era anche conseguenza

di un’economia eccessivamente agricola, la maggioranza dei francesi

si alimentava col pane di cereali, con i legumi e con le minestre magre.

La carne era un lusso riservato alle classi elevate8.

Le calamità causate da scarsi raccolti venivano aggravate dai passaggi

delle truppe di soldati e di briganti, non soltanto durante la guerra

“dei trent’anni”, ma anche durante le piccole guerre e rivolte di cui la storia

generale parla poco. Questi passaggi, accompagna da saccheggi, incendi

e altri crimini, seminavano la paura, paralizzavano il lavoro, aumentavano

ogni tipo di miseria9.

Lentamente però la fisionomia della Francia cominciava a cambiare e

a trasformarsi. I nobili, primo ordine, perdevano a mano a mano la loro

potenza e importanza e la borghesia diventava la vera classe dirigente.

Grande merito in questo cambiamento ebbe il cardinale Richelieu che,

affascinato dalla prosperità della Spagna, dell’Inghilterra e dell’Olanda, 6 San Vincenzo ne dà testimonianza, scrivendo nell’agosto 1652 ad E. Blatiron: «On tient qu’il meurt à Paris par mois dix mille personnes depuis quelque’ temps»: SV IV, p. 463.7 Cfr. A. DODIN, Saint Vincent de Paul et la charité, Parigi 1960.8 Cfr. SV IX, pp. 81-84.9 Di questa miseria abbiamo una significativa descrizione di San Vincenzo in una lettera che scrive al papa Innocenzo X il 16 agosto 1652. SV IV, pp. 455 -459.

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Page 11: Vita spirituale di San Vincenzo

fece tutto il possibile per assoggettare la nobiltà e favorire il commercio

anche vero e dall’estero. Con la sua politica riuscì a sbloccare la Francia,

feudale e agraria e ad aprirla a più larghe prospettive10.

1.3 Ambiente ecclesiale

Quale era l’immagine della Chiesa in quei tempi?

Il piano materiale

Sul piano materiale, il regno di Enrico IV (1589 – 1610) vide

la situazione della Chiesa ridiventare florida. Naturalmente, le distruzioni

provocare dalle guerre non erano state ancora completamente riparare, ma

il patrimonio ecclesiale era in costante ripresa. Per numerosi cattolici

quest’aspetto finanziario rimaneva fondamentale. Infatti si trattava

di una società, dove si pensava che i beni della Chiesa dovessero supplire

alle insufficienze del patrimonio familiare. Una tale mentalità

si rincontrava non solo delle classi più elevate, ma anche presso il popolo

minuto, per il quale il sacerdozio era praticamente l’unica possibilità

d’ascesa sociale11.

10 Cfr. Francia, in Lessico universale italiano, Roma 1971, pp. 259-260.11 Cfr. L. COGNET, Spiritualità moderna. La scuola francese, vol. VI/2, Ed. Dehoniane, Bologna 1974, pp. 5-6.

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Page 12: Vita spirituale di San Vincenzo

I vescovadi

Loro erano riservati ai grandi nomi della società ed i vescovi erano scelti

nell’ambiente della corte. Inoltre, per molte grandi famiglie, una volta

venuti in possesso di un vescovado, questo diventava una specie di eredità

che bisognava conservare ad ogni costo.

Le nomine episcopali

Loro dipendevano dal re e per principio erano decise nel “Consiglio

di Coscienza”, una specie di Congregazione degli affari ecclesiastici preso

il governo, che si doveva occupare di tutto ciò che riguardava la Chiesa.

Il Consiglio però, non sempre poteva impedire alcune nomine indegne

e sotto Luigi XIII cominciarono ad apparire alcuni vescovi riformatori,

coscienti del proprio dovere. Molti altri conservarono gusti e occupazioni

completamente estranei al loro compito pastorale.

I Preti

Loro nella Francia del XVII secolo erano anche molto numerosi.

Si calcola che ci fosse, almeno come media, un prete ogni 200 – 300

abitanti, vale a dire circa centomila preti12. Ma dietro queste cifre

si nascondevano delle disuguaglianze regionali e fra le città e le campagne

perché dappertutto si osservava la concentrazione del clero nelle città.

Lo stato intellettuale e morale del clero parrocchiale era basso.

Molti non capivano il latino, alcuni sapevano leggere stentatamente, altri

non erano capaci di amministrare validamente i sacramenti ed ignoravano

perfino la formula dell’assoluzione13. La maggioranza dei sacerdoti

non predicava mai, non insegnava il catechismo e non si curava per nulla

delle chiese. La loro moralità lasciava molto a desiderare perché 12 Cfr. M. VENARD, Le prète en France au début du XVIIe siècle, in Extrait du Bulletin de Saint Suplice 6 (1980), p.198.13 Cfr. SV XI, p. 170; XII, p. 258, 289.

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Page 13: Vita spirituale di San Vincenzo

il concubinato e l’ubriachezza non erano cose rare14. La causa principale

di questa situazione era dovuta alla mancanza di una pur minima

formazione. Vi erano state le prescrizioni del concilio di Trento anche

a questo riguardo, ma rimanevano quasi ovunque lettera morta15. I motivi

principiali si devono ricercare nella distribuzione territoriale dei benefici,

dei vescovadi e dei vescovi; nella presenza quasi costante di guerre civili e

nazionali; nell’opposizione dei gallicani che considerano il concilio

di Trento come un concilio italiano, un concilio del papa e un ordigno

bellico nelle mani degli ultramontani, e in fine nella già menzionata

ignoranza e incoerenza dei preti16.

Lo stato del clero regolare non era migliore, malgrado qualche

tentativo di riforma avviata qua e là verso la fine del secolo XVI,

e soprattutto sotto Enrico IV. In generale, il clero era in decadenza;

i monasteri si adagiarono nella mediocrità salvaguardando appena

le apparente della vita claustrale. Una prima causa di questa decadenza

era anzitutto la qualità, o per maglio dire, l’assenza di vere vocazioni.

Infimo era, infatti il numero delle persone che entravano per propria scelta

nella vita religiosa perché in genere erano le famiglie che prendevano

le decisioni a riguardo dell’avvenire dei figli e quasi sempre nella scelta

erano spinti da ragioni puramente economiche. Un’altra causa era la pratica

delle commende17.

Un tale stato del clero e le condizioni economiche e culturali delle classi

inferiori, di cui ho parlato, favorivano rapide variazioni d’opinione:

abbandono della fede cattolica o d’abiura del protestantesimo; crescita 14 Cfr. SV, XII, p. 9.15 Cfr. L. COGNET, Spiritualità moderna. La scuola francese, vol. VI/2 della Storia della spiritualità cattolica, Ed. Dehoniane, Bologna 1974, p. 14.16 Cfr. P. BROUTIN, La réforme pastorale en France en XVIIe siècle, 2 vol., Tournai 1956.17 Il procedimento consisteva “nel dissociare” nelle cariche ecclesiastiche, la funzione spirituale dalla corrispondente rendita temporale. La carica veniva allora assegnata a un titolare canonicamente incapace di esercitarla che, per conseguenza, doveva farsi rappresentare da una persona provvista delle qualità indispensabili. Il commendatario percepiva ugualmente le rendite lasciando a chi lo suppliva e ai suoi subordinati una parte appena sufficiente, la “portino congrua”: L. COGNET, La vita della Chiesa, Ed. Jaca Book, Milano 1975, p. 9.

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Page 14: Vita spirituale di San Vincenzo

di interesse per la magia e per i fenomeni occulti. La credenza però,

quale che fosse il suo oggetto, non diminuiva; le leggi morali potevano

essere violante, ma non erano contestate del potere politico miravano

ad unirsi ed a mantenerne il valore18.

1.4 Ambiente spirituale

All’inizio del regno di Luigi XIII (1610) il cattolicesimo francese aveva

già cominciato il suo rinnovamento e per i cinquanta anni che seguirono,

fino alla presa del potere di Luigi XIV (1661), fu per la Chiesa di Francia

veramente un tempo di rara fecondità, un’era di giovinezza, un’epoca

di grandi anime.

Ciò che caratterizzava questo periodo era il prodigioso zampillare

di linfe spirituali, infatti apparvero molti mistici e maestri di spiritualità

come Benedetto de Canfield, Pierre de Bérulle, Jean Jacques Olier,

Francesco di Sales, Charles Coudren, André Duval, San Giovanni Eudes,

Saint-Ciran, Mme Acarie, Mére Angélique Arnauld e tanti altri. Essi

rappresentavano diverse correnti, ma erano tutti uomini e donne d’azione

come missionari, creatori ed animatori d’istituzioni, capi delle schiere

che lavoravano a rifare cristiano il mondo.

La loro spiritualità, che continuava e sviluppava lo spirito del concilio

di Trento, si faceva sentire in tutti i settori della Chiesa, rivivificando

le istituzioni e le anime, anzitutto a livello più alto. Si assistette così

ad un impressionante rinnovamento dell’episcopato. Francesco di Sales,

François de la Rochefoucauld, Alain de Solminihac, Nicolas Papillon e molti

altri vescovi si misero al lavoro, usando, quasi tutti, gli stessi mezzi di azione:

− La convocazione di sinodi diocesani per studiare i problemi

e trovare soluzioni.

18 Cfr. A. DODIN, Saint Vincent de Paul et la charité, Parigi 1960, p. 7; anche J.P. RENOUARD, Les pauvres de Saint Vincent, in Au temps de Saint Vincent de Paul et aujourd’hui, Bordeaux 1981, pp. 20-21.

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Page 15: Vita spirituale di San Vincenzo

− L’insediamento di vari vicari foranei a capo delle diverse zone

delle diocesi per sorvegliare più da vicino le parrocchie

− La moltiplicazione delle missioni popolari

− La creazione d’organismi ed istituzioni destinare a restaurate

lo stato del sacerdozio19.

Quest’ultimo aspetto assunse una particolare importanza. Crebbe

la consapevolezza che, se i preti fossero tornati ad esseri degni della loro

vocazione, se fossero meglio reclutati, meglio formati, meglio istruiti,

se la loro condotta fosse stata un esempio vivente, anche la massa cristiana

sarebbe stata rivivificata. Pierre di Bérulle fu uno di quelli che incarnò

e seppe diffondere l’ideale del sacerdozio esigente e puro, umile

e profondamente cosciente della propria grandezza. Egli, e l’Oratorio

da lui fondato, si adoperarono a tutto ciò che poteva tendere a rinnovare

il clero:

− Aiutare i preti nelle parrocchie

− Organizzare ritiri in cui venivano a ricostruire le loro forze

spirituali

− Fondare i seminari per formare i giovani chierici.

Ma non ci fu solo lui a condurre tale opera. Anche A. Bourdoise,

J. J. Olier, F. Bourgoing, P. Fourier a molti tanti, meno conosciuti,

si impegnarono in questo settore del rinnovamento.

La volontà di tornare ad una più vigorosa osservanza crebbe e portò

frutti pure presso gli antichi ordini: il clero regolare e le comunità

femminili, anche se fra le religiose la riforma procedette più lentamente.

Vengono anche introdotti in Francia ordini già riformati o da poco fondati,

per dar più vita al rinnovamento. È il caso delle carmelitane e delle orsoline

fra gli ordini femminili, dei gesuiti e dei cappuccini fra quelli maschili.

Si moltiplicarono nuove fondazioni, nuovi istituti come oratoriani,

19 Cfr. D. ROPS, Storia della Chiesa del Cristo, vol. V/1, Torino 1958, p. 75.

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Page 16: Vita spirituale di San Vincenzo

supliziani, le visitandine e molti altri. Questo fu un altro segno

della primavera che attraversava la Chiesa francese.

Restava però un problema: come far penetrare il nuovo lievito nella

pasta dei battezzati?

La missione

Il primo di questi mezzi, che erano in via di attuazione, ci fu anzitutto

la missione20. Tutte o quasi tutte le grandi figure dell’epoca diventavano,

in un modo o nell’altro, dei missionari; nessuno di quelli che

si preoccupavano della riforma della Chiesa, trascurò questo mezzo

d’azione. Non solo coloro per i quali la vocazione specifica era la missione,

come ad esempio San Giovani Eudes e i suoi missionari, s’interessarono

di questo problema, ma anche gli oratoriani, i gesuiti, i cappuccini e altri

perfino alcuni preti secolari, fra cui spiccava la figura di Michel

Le Noblerz, si impegnarono a dissodare la vigna del Signore. Questo

immenso lavoro portò i suoi frutti: il grano cristiano tornava a crescere

e la fede si rinnovava nel popolo francese.

Le opere di carità

Ma che cosa è una fede senza le opere? È una fede morta; come l’ha ben

detto San Giacomo nella sua lettera21. L’intensa vita spirituale

che caratterizzava ormai questo periodo, veniva accompagnata

da numerose opere di carità22. Nascevano gli ospedali, gli ospizi e altri

“luoghi pii”. Ordini religiosi, maschili e femminili, nuovi e vecchi,

ne assumevano la responsabilità. Ce n’erano di famosi: i Fratelli

di San Giovani di Dio, i Camilliani, le Suore Ospitaliere della Carità

di Nostra Signora, le Religiose Ospitaliere dello Spirito Santo. Si sentiva

20 Cfr. ib. /ibid., vol. IV/1, pp. 410-411; V/1, pp.93-98.21 Gc, 2, 26.22 Cfr. D. ROPS, Storia della Chiesa del Cristo, vol.V/1, pp. 98-101.

15

Page 17: Vita spirituale di San Vincenzo

veramente correre attraverso la Chiesa francese un autentico fremito

d’amore.

L’insegnamento permeato dallo spirito cristiano

Missioni ed opere di carità sono i mezzi per arare la terra cristiana

e farvi crescere nuove messi, ma ce né anche un terzo al quale la Chiesa

che si rinnovava, annetteva una grandissima importanza: l’insegnamento

permeato dallo spirito cristiano23. Anche in questo campo come

nella missione e come nella carità, ci fu tutto un pullulare d’iniziative. Si

aprirono collegi per i ragazzi e per le ragazze, e nacquero scuole

parrocchiali per fanciulli, anche per i figli del popolo. Questo impegno così

necessario venne assunto soprattutto dagli ordini nuovi: dagli Oratoriani,

dai Dottrinari, dai Piaristi, dalle Figlie di San Pietro Fourier, dalle Orsoline

e specialmente dai Gesuiti; ma anche gli ordini di più antica data divennero

educatori.

Non possiamo dimenticare che in questo grande impegno spirituale,

per restituire alla fede cattolica il suo vigore e la sua importanza, vescovi,

sacerdoti e religiosi non furono soli perché aiutati da numerosi laici, donne

e uomini, che lavoravano allo stesso scopo24. Il loro molteplice

e multiforme impegno non è forse assai studiato, ma basti ricordare il ruolo

svolto dalla Compagnia del Santo Sacramento, fondata da un laico,

per averne un’idea.

L’impegno energico di tanti uomini di Dio, la preghiera di tante anime

consacrate, portarono i loro frutti. Naturalmente non tutto è perfetto,

ma il volto della Chiesa francese, in questa prima metà del secolo XVII

cambiava notevolmente.

23 Cfr. ib. /ibid., vol.IV/1, pp.407-409; V/1, pp. 102-105.24 Cfr. ib. /ibid., vol.V/1, pp. 105-111.

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Page 18: Vita spirituale di San Vincenzo

2. San Vincenzo: dono di Dio

Resta uno dei più popolari tra i santi di Francia. Nel XVII secolo

il suo irradiamento era ineguagliabile. Il suo spirito anima ancora

oggi centinaia di migliaia di uomini e di donne che, spinti dalla Carità

di Gesù Cristo Crocifisso25continuano nel mondo l’opera

di evangelizzazione dei Poveri, che egli ha organizzato. L’opera

di Vincenzo è quanto mai attuale e adeguata ai nostri tempi e il Ministro

della Carità del XVII secolo è anche oggi, per noi, un maestro

per la sua comprensione del Vangelo ed il suo amore effettivo

per il Cristo. Per capire meglio il suo ruolo anche come direttore spirituale

dei preti, delle suore, ma anche di tanti laici, ci avviciniamo

cronologicamente la persona di Vincenzo.

2.1 Anni della giovinezza

Vincenzo De’ Paoli26 (o Depaul, o Paul 1581-1660) nacque a Pouy,

il 24 aprile 158127, un modesto villaggio delle Lande francesi,

situato a sei chilometri da Dax, come terzo dei sei figli (4 ragazze

e 2 ragazzi). La sua non era né una famiglia povera né di nobili decaduti.

Suo padre, Jean de Paul era un contadino. Possedeva “maiali e vacche”.

La madre, Bertrande de Moras, (o Demoras), sembra appartenesse

a una famiglia borghese, imparentata con il Saint-Martin e de Comet.

25 È il motto inciso sul sigillo della Compagnia delle Figlie della Carità. Cfr. trad. it. Costituzioni della F.d.C. di San Vincenzo De’ Paoli, casa madre, Parigi 1983, p. 1.26 Il santo si firma “Vincent DEPAUL” ma nella cultura francese è conosciuto piuttosto come Vincent de Paul. Cfr. P. COSTE, Le grand saint du grand siécle, Monsieur Vincent, 3 vol., Paris 1932; trad. it. Il grande Santo del gran secolo, il Signor Vincenzo, 3 vol., Roma 1934. È la migliore bibliografia che possediamo del santo. 27 Secondo Luis Abelly, vescovo di Rodez, che ha pubblicato nel 1664 la prima bibliografia di San Vincenzo (quattro anni dopo la morte di San Vincenzo) e i biografi successivi Vincenzo sarebbe nato nel 1576. La questione è stata messa in chiaro da: P. COSTE, La vraie date de la naissance de Saint Vincent de Paul, estratto da «Bulletin de la Société de Borda», Dax 1922, p. 23; A. PIÉDER, La vraie vie de San Vincent dé Paul, Paris 1927, ha attribuito lo spostamento della data di nascita a Vincenzo stesso, quindi ad una falsificazione per essere ordinato, nonostante le disposizioni del Concilio di Trento. In realtà il Concilio non aveva ancora vigore in Francia, in quanto solo nel 1615 l’Assemblea del Clero si impegnò all’osservanza della riforma disciplinare (l’aspetto dogmatico era fuori discussione). Cfr. P. BLET, Le clergé et la monarchie. Etude sur les assemblées générales du clergé de 1615 à 1666, I Roma 1959, pp. 112-133.

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Page 19: Vita spirituale di San Vincenzo

Il paese di Pouy (dal latino Podium) era un gruppo di case landesi, poste

su un poggetto, alto circa 12 metri sul livello delle acque

che periodicamente allagavano le zone vicine.

In quest’estremo lembo delle Lande, la vita era dura e Vincenzo

si nutriva, per tutta la sua giovinezza, di miglio bollito e doveva adattarsi

ai faticosi lavori campestri.

Sin dall’infanzia Vincenzo dimostrava la sua carità verso i Poveri con

gesti significativi. Tornando dal mulino, spesso dava ai Poveri

che incontrava delle manciate di farina e, una volta, quando aveva circa

dodici anni, diede ad un mendicante tutto il gruzzoletto di trenta soldi che

aveva messo da parte col suo lavoro.

Egli dimostrava anche particolari doti intellettuali, perché suo padre,

ben presto decise di farlo studiare per avviarlo allo stato ecclesiastico.

Nel 1594 o 1595, all’età di 15 anni, con la raccomandazione

di un notabile di Dax, il Signor de Comet28, fu accolto nel collegio

dai francescani dei “Cordeliers” in Dax e il padre doveva vendere un paio

di buoi, con la speranza forse, di rifarsi una volta che Vincenzo avesse

potuto godere di qualche beneficio29.

Il Signor de Comet lo convinse che la sua strada era quella della carriera

ecclesiatica.

In Dax rimase fino alla sua partenza per Tolosa nel 1597,

aveva cominciato gli studi universitari fino all’orinazione. Dopo la tonsura

e gli ordini minori (20 dicembre 1596), fu ordinato suddiacono

(19 settembre 1598), poi diacono (19 dicembre 1598). Un certificato

rilasciato nel 1604 dalle autorità accademiche di Tolosa parla di sette anni

di studi teologici30. Gli studi si svolsero in due ambienti diversi: Tolosa 28 Il signor de Comet era avvocato alla corte presidiale di Dax e giudice de Pouy. Nella sua famiglia Vincenzo fu assunto come precettore. Cfr. L. COGNET, Saint Vincent de Pau, Paris 1959. 29 A quei tempi diventare uomo di chiesa era un mestiere: un modo per i diseredati di uscire dalla miseria e un modo per i ricchi di aggiungere ai feudi del casato il reddito d’abbazie e di cariche ecclesiastiche. Cfr. I. GIORDANI, San Vincenzo De’ Paoli, servo dei poveri, Ed. Vincanziane, Roma 1952, p. 192.30 Cfr. L. ABBELY, La vie du Vénérable servireur de Dieu Vincent de Paul, Parigi 1664, t. I, cap. III., p. 12.

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Page 20: Vita spirituale di San Vincenzo

e Saragozza, ma la maggior parte li svolse in Francia.

2.2 Anni della peregrinazione e dell’apprendistato

Il nuovo vescovo di Dax, Jean-Jacques Sussault (eletto nel 1598

e consacrato nel 1599), si era dimostrato riformatore. Anche se i decreti

tridentini non erano vincolanti per i vescovi francesi, aveva mostrato

di volerli osservare. Forse questo intimorì il santo, che per non correre

rischi volle premunirsi e assicurarsi l’ordinazione. Si procurò pertanto

le lettere dimissorie per l’ordinazione presbiterale, il 13 settembre 1599,

dal vicario generale di Dax e, il 23 dicembre 1600, a Périgueux, fu ordinato

dall’anziano vescovo locale Mons. François de Bourdeilles, avviandosi così

alla carriera di onesto ecclesiastico. L’ordinazione a 20 anni fa problema.

Il concilio di Trento aveva prescritto che i preti fossero ordinati a 24 anni.

Ma il concilio non era stato ancora “accettato” in Francia.

Continuava i suoi studi all'Università di Parigi dove conseguì la licenza

in diritto e nel frattempo si mescolò negli affari.

Nell’anno 1605 intraprese un viaggio d'urgenza a Bordeaux

per impossessarsi di una certa somma lasciatagli da una buona persona

di Tolosa.

Mentre era sulla via del ritorno, per mare, fu catturato dai pirati

barbareschi e si trovò a Tunisi, sul mercato degli schiavi, venduto come

una bestia.

Fra i tanti padroni ebbe un nizzardo rinnegato che egli convinse

a convertirsi e, per mezzo del quale, ottenne la libertà dopo due anni

della schiavitù31.

Il rinnegato e Vincenzo, accompagnati dal Vice-legato Mons. Pietro

31 I particolari della schiavitù in Barberia sono sono riferiti dallo stesso Vincenzo in sua lettera al Signor de Comet, scritta da Avignone il 24 luglio 1607, riportata in Lettere scelte di San Vincenzo De’ Paoli ad uso dei Missionari e Figlie della Carità, vol. I, Torino-Siena-Roma-Napoli 1905, pp. 1-9. Riguardo a questa lettera sono stati avanzati dei dubbi ma non vi sono documenti certi che possono smentirla. Cfr. L. MEZZADRI-L. NUOVO, San Vincenzo De’ Paoli. Pagine scelte, Ed. Vincenziane, Roma 1980.

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Page 21: Vita spirituale di San Vincenzo

Montorio, si recarono a Roma, dove erano ricevuti, in udienza, dal Papa

Paolo V32.

Nella città eterna, Vincenzo, con le sue qualità di “charme, finesse,

de pénétration des hommes”, si conquistò relazioni molto utili

ed importanti. Al suo ritorno a Parigi, nel 1608, fu ricevuto molto bene

da Enrico IV, che lo nominò elemosiniere della Regina Margot33e gli diede

il beneficio di un’abbazia34.

In quel periodo, Vincenzo frequentò la migliore società di Parigi,

che si muoveva attorno alla Regina, e così ebbe modo di fare delle preziose

conoscenze.

Vincenzo non era nato santo, ma la sua vita è stata un continuo

movimento di conversione, un graduale abbandono dei suoi progetti

di sistemazione personale, di carriera, di prestigio. Pertanto nel 1610

conservava ancora qualche idea di sistemazione economica, infatti così

scriveva a sua madre:

«Mi affligge il dover rimanere ancora in questa città per riavere

l'occasione di un mio avanzamento (che i disastri mi hanno tolto)

perché non posso venir da voi ad usarvi quei servizi che vi devo.

Ma spero tanto nella grazia di Dio, che egli benedirà la mia fatica

e mi darà presto il modo di ritirarmi onoratamente e passare il resto

dei miei giorni con voi»35.

Poi le cose cambiarono, non si sa quando, ma certo è che, se era capace

di lasciarsi accusare ingiustamente di un furto fatto al suo compagno

32 Paolo V e l’ambasciatore Savony de Breve, affidarono a Vincenzo un messaggio orale e segreto per re Enrico IV. Cfr. J. CALVET, San Vincenzo De’ Paoli, trad. it. di Paola Squillaci, Ed. Paoline, Roma 1950, p. 46.33 Figlia di un re (Enrico II), sorella di tre re di Francia (Francesco II, Carlo IX ed Enrico III) e di Elisabetta , regina di Spagna, sposa del re contro il suo desidero, poi ripudiata, mondana e anche grande cristiana per la sua carità. Questa era la principessa che scelse Vincenzo come suo consigliere ed elemosiniere… Cfr. M. AUCLAIR, La parola è a San Vincenzo, Ed. Citta nuova, Roma 1971.34 Si tratta di un’abbazia cistercense, la Saint-Leonard-des Chaumes, di pertinenza dell’arcivescovo di Aix, il 29 ottobre 1616, dopo sei anni Vincenzo rinunziò.35 P. COSTE, Oeuvres completes de Saint Vincent de Paul, vol.1, Ed. Gabalda, Parigi 1920-1925, pp. 18-20.

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Page 22: Vita spirituale di San Vincenzo

di camera, Bertrand Dulou, giudice di Sore, doveva essere già avanzato

nel cammino della ascesi e della carità36.

Nel 1610 fu assunto dalla Regina Margherita di Valois, moglie ripudiata

di Enrico IV, tra i cappellani, con l'incarico di distribuire le elemosine

ai poveri.

La fastosa Regina, senza saperlo, favorì la maturazione della vocazione

di Vincenzo De’ Paoli a servizio della povera gente e lo mise a contatto con

la vasta miseria, che pullulava nei sobborghi parigini. In quel periodo,

Vincenzo conobbe un ecclesiastico della corte, che si dibatteva in dubbi

lancinanti sulla fede. Si offrì a Dio per soffrire al posto di quel poveretto

e Dio gradì l'offerta.

Il teologo morì rasserenato ed egli entrò nella prova della notte oscura,

contro la quale lottò diversi anni, con tutti i mezzi possibili.

Nella sofferenza della calunnia e nella notte oscura della fede, Vincenzo

imparò che non basta scrivere la storia con grandi realizzazioni letterarie,

politiche o anche religiose, ma che bisogna vivere la storia, giorno

per giorno, accettare gli eventi come segni di Dio e riceverli nella piena

luce del Vangelo.

Questo impegno spirituale, tanto forte, non sfuggì al Bérulle37,

già suo amico, che, nel 1611 gli affidò la Parrocchia di Clichy,

della quale il Vincenzo De’ Paoli prese possesso il 2 maggio 1612.

In questo centro rurale di circa seicento parrocchiani in gran parte

modesti contadini, Vincenzo si ritrovò immerso fra quei Poveri

che egli aveva tentato di sfuggire. Si rimboccò subito le maniche e diede

man forte al restauro della chiesa, all'istituzione di una scuola

per seminaristi e alla formazione dei suoi parrocchiani. Essi

36 Cfr. A. DODIN, «Spiritualité de Saint Vincent dé Paul», in Mission et charité, 1 (1960), p. 62.37 Mons. Pietro de Bérulle, di cui tratterò più tardi, cardinale, amico di Francesco di Sales, teologo e scrittore insigne, aveva concorso a introdurre la riforma del Carmelo nella sua patria, stava fondando la Congregazione dell’Oratorio sul modello di quella di San Filippo Neri. Vincenzo lo aveva avvicinato verso il 1608, al ritorno a Parigi da Roma, e lo aveva scelto come suo amico e direttore spirituale.

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Page 23: Vita spirituale di San Vincenzo

lo ricambiarono con tanto affetto ed obbedienza; lo amarono perché

si accorsero del suo distacco e della sua virtù.

Nel 1613, obbedendo al Pietro de Bérulle, suo direttore spirituale, lasciò

la parrocchia di Clichy nelle mani di un vicario ed assunse l’incarico

di precettore in casa di Philippe Emanuella de Gondi, generale delle galere

e luogotenente generale del re, per il Levante.

Portato dal suo zelo sacerdotale, si prese cura anche della servitù

e si occupò dell'evangelizzazione nelle terre dei padroni.

Nel 1617 ebbe un'esperienza che cambiò tutta la sua vita. Mentre

si trovava a Gannes – Folleville, uno dei feudi dei Gondi, fu chiamato

al capezzale di un moribondo che godeva riputazione d'esser l’uomo

migliore o almeno uno dei migliori del suo villaggio. Era carico di peccati

che non aveva mai osato manifestare in confessione. Vincenzo lo stimolò

a fare una confessione generale e l’uomo dopo tre giorni morì38.

Qui a Folleville Vincenzo capì che quello non era l'unico caso

e il 25 gennaio 1617 fece un discorso che risultò essere “la prima predica

della missione”39.

Ormai Vincenzo non si sentiva più a suo agio nello splendido

e aristocratico centro mondano dei Gondi; sentiva nel suo cuore echeggiare

il clamore dei Poveri delle campagne che si dannavano e morivano di fame.

Nel 1617 finalmente gli fu assegnata la parrocchia di Châtillon – les

Dombes, una parrocchia in pieno decadimento morale.

II nuovo Parroco raddrizzò subito le cose e conversioni strepitose

suggellarono il suo apostolato quotidiano40.

38 Cfr. SAN VINCENZO DE’ PAOLI, Conferenze ai Preti della Missione, edizione con note di P. Coste, trad. it, Ed. Vincenziane, Roma 1959, Conf. 180, p. 478.39 Il 25 gennaio 1617, dalla prima predica della missione, è il giorno di fondazione della Congregazione della Missione. Vincenzo voleva che i suoi missionari celebrassero il 25 gennaio come la festa della nascita della Congregazione.40 Una delle conversioni più notevoli fu quella del conte Rougemont, famoso spadaccino che divenne un vero santo, grazie alla parola e all’esempio di San Vincenzo. Cfr. SAN VINCENZO DE’ PAOLI, Conferenze ai Preti della Missione, edizione con note di P. Coste, trad. it, Ed. Vincenziane, Roma 1959, Conf. 205, p. 703.

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Page 24: Vita spirituale di San Vincenzo

A Châtillon, l’8 settembre 1617 sorse la prima confraternita

della Carità, che era composta da donne nobili e da povere contadine

illetterate, fatte tutte serve della Carità.

La domenica 20 agosto, mentre Vincenzo si preparava

per la celebrazione della Messa, la Signora de la Châssaigne venne

ad informarlo che, ad un chilometro di distanza, in una casa isolata,

una famiglia era in stato d’estremo bisogno. Erano tutti malati

e non avevano né medicine né viveri41: All'omelia il Parroco lanciò

un appello alla carità.

La sua voce fu ascoltata e, lungo tutto il giorno, fu un andirivieni

di persone generose che portavano soccorsi a quella famiglia”42.

Vincenzo fece notare ad alcune signore che bisognava organizzare la Carità

e le invitò a riunirsi il mercoledì seguente.

Il 23 agosto esse diedero origine alla “Confrerie de la Charité43” che sarà

eretta canonicamente l’8 dicembre44.

Il 2 dicembre 1617 il Card. de Bérulle invitò Vincenzo a ritornare in casa

Gondi. Dopo aver distribuito i suoi abiti e la biancheria ai Poveri,

Vincenzo lasciò Châtillon per Parigi, dove la Provvidenza lo chiamava.

Il signor de Gondi ottenne per lui, da Luigi XIII, la nomina di cappellano

generale delle galere45e lo incaricò di evangelizzare i contadini,

41 Cfr. J. M. ROMÁN, San Vinzenzo De’ Paoli, a cura di E. Guerriero, Ed. Jaca Book, Milano 1986, p.110.42 «In quel memorando giorno fu posto il seme di quell’albero della carità che voi coltivate; albero che ha le radici quaggiù, che quaggiù vigoreggia, quaggiù giganteggia, vittorioso di ogni ostacolo e di ogni tempesta; ma per levare la sua cima verso il cielo… Così nacque l’organizzazione della carità e il miracolo del vostro sodalizio, cui concorse un cuore di donna e un cuore di apostolo, e che fu fonte di miracoli». E. PACELLI (PAPA PIO XII), Discorso al Collegio Leoniano per il 1º Congresso nazionale delle Dame e Damine di carità, in Roma, il 16 aprile 1932.43 Le confraternite della Carità.44 Cfr. P. COSTE, San Vincent de Paul et les Dames de la charité, Paris 1917. Un regolamento era stato approvato dal Vicario generale dell’arcivescovo di Lyon. La prima presidente fu François Baschet e la prima tesoriera Charlote de Brie. Le signore erano dodici.45 L’uso delle galere era diveuto comune nella marina francese sotto Carlo IV. Siccome il reclutamento di rematori volontari e retribuiti era difficile, a partire dal XVI secolo divenne abituale, nel sistema penale francese, di mandare i condannati sulle galere del Re. In attesa della partenza della “catena” quei poveretti vivevano in prigioni nauseabonde e umide. Sin dall’8 febbraio 1619, a richiesta del Gondi, Vincenzo ricevette un brevetto che gli conferiva il titolo de cappellano reale delle galere. Questa carica gli permetteva di intervenire per reprimere numerosi abusi.

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Page 25: Vita spirituale di San Vincenzo

delle sue terre. Vincenzo si donò così ad una miseria più vasta,

organizzando varie missioni e confraternite nei villaggi devastati

dalla carestia e dall'ignoranza.

Vincenzo visitava i galeotti ogni giorno, li serviva con amore, con umiltà

e semplicità, compatendo le loro sofferenze. Questo suo comportamento

dava forza e credito alle sue parole e molti di questi pervertiti

si convertirono.

2.3 Anni della maturità creativa

Gli anni da 1618 sono nella vita di Vincenzo, l’età della gestazione.

A Gannes, a Folleville, a Châtillon, Vincenzo aveva scoperto l’abisso

profondo dell’abbandono spirituale della povera gente dei campi perché

come dice «un popolo che si danna perché non sa le cose necessarie

per la salvezza e non sa sconfessarsi»46.Cominciò a fare le missioni

popolari nei villaggi. Le missioni terminavano invariabilmente

con la fondazione della confraternita della Carità istituita per la prima volta

a Châtillon.

2.3.1 Fondazione dei Preti della Missione

Vincenzo sentiva ormai che il servizio dei Poveri sarebbe stato tutta

la sua vita. Da solo certamente non poteva riuscire a tutto ma alcuni

sacerdoti chiesero di unirsi a lui.

II 17 aprile 1625 i Signori de Gondi firmarono un contratto notarile

col quale misero a disposizione di Vincenzo la somma di 45.000 lire,

e l'Arcivescovo di Parigi47concesse un vecchio collegio disabitato, detto

dei “Bons Enfants”48. Così nacque la congregazione della Missione 46 SV I, p. 115.47 Enrico Gondi, primo cardinale di Retz – vescovo di Parigi dal 1598 al 1622. 48 Più che un collegio nel senso attuale del termine, quello dei “Bons Enfants” (la cui tradizione più giusta sarebbe, più o meno dei «bambini nobili», meglio come la traduzione di «buoni figli») era una residenza di studenti borsisti della Sorbona con un’estensione di 1.600 mq, ma gran parte degli edifici erano fatiscenti e inabitabili. Poteva comunque dar alloggio al piccolo gruppo di missionari che avrebbero

24

Page 26: Vita spirituale di San Vincenzo

che ottenne l'approvazione pontificia definitiva il 12 gennaio 1632,

con la bolla “Salvatoris Nostri”49.

I Missionari s’interessavano non solo della evangelizzazione

dei contadini ma anche della cura spirituale dei galeotti, che si sentirono

amati e molti si riconciliarono con Dio.

Nel 1632 dal Collegio dei “Bons Enfans”, la Casa madre passò

nell'antico priorato di San Lazzaro, da cui i Missionari presero il nome

di “Lazzaristi”.

Da San Lazzaro Vincenzo inviò missionari ad Angers, Annecy, Cahors,

Marseille…ed oltre le frontiere: Roma, Genova, Torino, Varsavia,

la Scozia, la Finlandia, il Madagascar.

La casa di San Lazzaro divenne un centro di formazione permanente

per il Clero, con i Ritiri degli Ordinandi e le Conferenze del martedì50.

Vincenzo è stato ben definito come il riformatore della Chiesa

di Francia, infatti egli si adoperò molto per quest'opera. Attraverso

le missioni, si era reso conto dello stato deplorevole del clero francese:

disordine ignoranza, anarchia nelle pratiche di pietà. Alcuni preti

ignoravano la formula dell’assoluzione e i vicari si facevano pagare

per l’amministrazione dei sacramenti51.

Il 17 maggio 1658, Vincenzo consegnò le Regole Comuni alla comunità

di San Lazzaro, con queste parole:

«Queste regole sono attinte dal Vangelo, come vedrete miei signori;

esse tendono tutte a conformare la nostra vita a quella che Nostro

Signore ha condotto sulla terra. Nostro Signore venne e fu mandato

formato il nucleo iniziale della nascente comunità. Cfr. P. COSTE, Monsieur Vincent. Le grand saint du grand siècle, I vol., Paris 1932; trad. it. Il grande Santo del gran secolo, il Signor Vincenzo, I vol.,Roma 1934, pp. 172-175. 49 L’approvazione fu concessa dall’allora Papa Urbano VII.50 Gli esercizi agli ordinandi e ai seminaristi formavano il clero delle parrocchie; l’èlite domandava altro. Per questa nel 1633 era stata fondata a Saint-Lazare la conferenza del Martedì. Ogni martedì pomeriggio, i preti di Parigi si riunivano, conversavano e facevano anche l’apostolato. Cfr. I. CALVET, San Vincenzo De’ Paoli, trad. it. di P. Squillaci, Ed. Paoline, Roma 1950, pp. 166-171.51 Cfr. P. COSTE, Oeuvres completes de Saint Vincent de Paul, 14 vol., Ed. Gabalda, Parigi 1920-1925, (SV XII, p. 258)

Page 27: Vita spirituale di San Vincenzo

dal Padre per evangelizzare i Poveri.

«Evangelizare pauperibus misit me»52 - Pauperibus, ai poveri! Miei

Signori, ai Poveri come, per grazia di Dio, si studia di fare la Piccola

Compagnia»53.

2.3.2 Fondazione delle Figlie della Carità

Intanto les “Confreries de la Charité”54 si erano moltiplicate: Folleville,

Paillart, Sérevillers,… e molte donne, anche ricche, si facevano serve

dei Poveri. Fra queste ricordiamo oltre a Madame de Gondi, la duchessa

d’Aiguillon, Madama Goussault, Mademoiselle dé Marillac55.

Quest’ultima fu la più fedele collaboratrice di Vincenzo. Dio si servì

dell’incontro di questi due cuori per un'altra opera meravigliosa:

la fondazione della Compagnia delle Figlie della Carità.

Luisa si legò rapidamente a Vincenzo, attratta dalla sua santità

ed egli riuscii a liberarla gradualmente dai suoi dubbi e dai suoi

ripiegamenti per lanciarla nell’avventura della Carità.

Nel 1628 Vincenzo invitò Luisa a prendersi cura delle Confraternite

della Carità ed ella accettò, iniziando così delle lunghe peregrinazioni

di villaggio in villaggio, di città in città per incoraggiare ed esortare

le Dame che, qualche volta, non accettavano di farsi “serve dei Poveri”.

Vincenzo allora pensò di mettere accanto alle Dame alcune giovani

52 Vangelo San Luca 4, 18, che è anche il motto della Congregazione della Missione. 53 Cfr. SAN VINCENZO DE’ PAOLI, Conferenze ai Preti della Missione, edizione con note di P. Coste, trad. it. Ed. Vincenziane, Roma 1959, p. 474.54 Le confraternite della Carità.55 Maria Maddalena di Vigerot di Pontcourlay, duchessa d’Aiguillon. Nipote del Cardinale Richelieu. Alla morte del marito si ritirò al Carmelo ma lo zio la fece ritornare a Corte come dama d’onore di Maria de’ Medici. Si diede alle opere di Carità. Alla morte di Vincenzo fece fare un reliquiario a forma di cuore per racchiudere il cuore del Santo. Madame Goussault-Geneviéve Fayet, sposa di Antonio Goussault, presidente della corte dei conti a Parigi. Rimasta vedova con cinque figli, si dedicò alle opere di Carità. Spinse Vincenzo a costituire una compagnia di dame a servizio del grande ospedale di Parigi: “l’Hôtel Dieu”.Luisa le Gras, figlia naturale di Luigi de Marillac, sposò nel 1613 Antonio le Gras. Rimase vedova nel 1625 con un figlio Michele. Il Cardinale Le Camus vescovo di Belly le fece conoscere Vincenzo, che nel 1629 le affidò il compito di dirigere le prime figlie della Carità. È stata beatifica nel 1920 e canonizzata l’11 marzo 1934.

Page 28: Vita spirituale di San Vincenzo

di campagna desiderose di darsi a Dio e al servizio dei Poveri, per amor

di Dio.

La prima che si presentò fu Margherita Naseau56, una povera pastorella

che possedeva un gran tesoro: l’amore di Dio e la disponibilità ai fratelli.

Si presentò a Vincenzo per essere impegnata nelle opere di Carità

e fu una preziosa collaboratrice di Luisa. Vincenzo la chiamò “la prima

figlia della Carità, colei che mostrò il cammino alle altre”.

Il 29 novembre 1633 Vincenzo condusse a Luisa le prime figliole,

non erano che tre o quattro, ma da quel momento tutto andò così

speditamente che il 31 luglio 1634 Vincenzo poté esporre la regola

delle Figlie della Carità ad una comunità di dodici ragazze di campagna:

«Dunque, figlie mie, guardate come la misericordia di Dio vi predilige

scegliendovi tra le prime per questa sua opera. Quando Salomone

volle costruire il tempio di Dio, mise nelle fondamenta alcune pietre

di gran pregio per testimoniare che quell'opera era qualcosa

d’eccellente. Che la bontà di Dio voglia farvi la grazia che voi, che siete

le fondamenta di questa compagnia, siate eminenti per virtù»57.

II 20 novembre 1646 Gian Francesco Paolo Gondi, coadiutore di Parigi,

approvò la nuova Compagnia “en forme de Confréries particuliére

suos le titre de Servantes des Pauvres de la Charité”58.

Il 18 gennaio 1655 lo stesso, divenuto Cardinale di Retz, firmò da Roma

l'approvazione della Piccola Compagnia.

L’8 agosto 1655 Vincenzo lesse alle suore l’atto di approvazione

che fu firmato dalle suore presenti, da Luisa de Marillac e da Vincenzo

56 Vincenzo la chiama “la prima figlia della Carità”. Era una “povera vaccaia senza istruzione”, di Suresnes. Imparò a leggere, da sola, domandando a questo o a quello il nome delle lettere. Quando seppe che a Parigi esisteva una confraternita della Carità, si presentò a San Vincenzo per servire i Poveri. Morì di peste, contratta per aver messo a dormire nel suo letto una povera appestata. Cfr. SAN VINCENZO DE’ PAOLI, Conferenze spirituali alle Figlie della Carità, a cura di L. Mezzadri, Roma 1980, conf. 12, p. 98.57 P. COSTE, Oeuvres completes de Saint Vincent de Paul, 14 vol., Ed. Gabalda, Parigi 1920-1925, (SV IX, pp. 258s.)58 P. COSTE, Oeuvres completes de Saint Vincent de Paul, 14 vol., Ed. Gabalda, Parigi 1920-1925, (SV XIII, p. 558)

Page 29: Vita spirituale di San Vincenzo

e vi fu apposto il sigillo della Congregazione59.

L'atto d’approvazione della Compagnia fu confermato due anni dopo

dal Cardinale Luigi de Vendôme, nella sua qualità di Legato del Papa

Clemente IX.

Ben presto le prime Figlie della Carità ai lanciarono nell’avventura

dell'amore, prodigandosi presso gli ammalati, i fanciulli, le fanciulle

da istruire, i vecchi, i soldati, i feriti sui campi di battaglia, i rifugiati

delle province devastate: la Lorraine, la Champagne, la Picardie,

l’Ile de France. La loro salvaguardia era la continua fiducia nella Divina

Provvidenza e l'offerta di tutte se stesse ai Poveri.

Oggi la Piccola Compagnia delle Figlie della Carità è divenuta un grande

albero che affonda le sue radici nel Vangelo e negli insegnamenti

dei fondatori Vincenzo e Luisa de Marillac e distende i suoi rami in tutto

il mondo, su tutte le miserie umane.

Le Figlie della Carità non sono religiose perché Vincenzo le ha volute

disponibili al sollievo di tutti i Poveri, quindi in mezzo al mondo.

Le troviamo negli ospedali, nelle scuole, nei brefotrofi, nelle parrocchie,

tra i lebbrosi, in tutti i luoghi dove c'è un uomo che soffre o che è solo.

Nel volto d’ogni uomo esse vedono il Cristo e servono tutti con umiltà,

semplicità e carità.

Le Figlie della Carità, serve dei Poveri, se ne vanno libere per le vie

del mondo

«non avendo per monastero, che le case dei malati e quella in cui

risiede la Superiora, per cella una camera d’affitto, per Cappella,

la Chiesa parrocchiale, per Chiostro le vie della città, per clausura

l'obbedienza, non dovendo andare che dai malati o nei luoghi richiesti

dal servizio, per grata il timore di Dio, per velo la santa modestia»60.59 Il resoconto di quest’atto di erezione lo si trova intero nel volume XIII del Coste Oeuvres completes de Saint Vincent de Paul, l’originale si trova negli Archivi Nazionali di Francia.60 SAN VINCENZO DE’ PAOLI, Regole delle Figlie della Carità. Serve dei Poveri malati, Ed. Casa Madre, Parigi 1954, pp. 67-68.

Page 30: Vita spirituale di San Vincenzo

2.4 Anno di ritorno alla casa del Padre

Vincenzo consacrò tutta la sua vita, le sue energie, il suo tempo,

il suo cuore alla “Carità” che egli chiamava la “grande Signora”61.

Egli portò avanti tutte le sue opere nonostante la salute malferma:

era soggetto ad attacchi di febbre e di ulcere alle gambe che lo costrinsero,

fin dal 1649 a far uso di una carrozza per le corse di carità.

Fra alti e bassi arrivò fino al 1659 quando dovette rassegnarsi

a non scendere più in chiesa per celebrare la Messa. Lo stare in piedi

gli era penosissimo; dovette accettare che si allestisse una cappella

in una stanza attigua alla sua camera. Malgrado questo stato cosi penoso,

Vincenzo conservava la sua amabilità, tutta la sua bontà e la lucidità

dello spirito: si occupava degli affari, s’interessava della corrispondenza,

dettava lettere, faceva ancora conferenze.

Il 3 e il 24 luglio 1660 accettò che le Figlie della Carità venissero da lui

a San Lazzaro per parlare con esse delle virtù della sua fedele

collaboratrice, Luisa de Marillac, morta il 15 marzo dello stesso anno.

A misura che avanzava l’estate le sue sofferenze, causate dall'infermità

delle gambe, aumentarono. La domenica 26 settembre si fece portare

in cappella, assisté alla messa e si comunicò per l'ultima volta. La sera

di quella stessa domenica, Vincenzo ricevette il sacramento dei malati,

con piena lucidità.

Il 27 settembre, alle ore 1.30, dietro richiesta di Jean Déhorgny62,

benedisse la sua famiglia spirituale e i Poveri. Più tardi, agli articoli

del Simbolo degli Apostoli che gli si ricordavano, egli rispose “Credo”,

e poi, baciando il Crocifisso “Confido”. Verso le 4 mormorò “Gesù”;

fu la sua ultima parola.61 Cfr. Album Ufficiale – Quarto centenario 1581-1981, La tradizione viva di San Vincenzo oggi come ieri, Ed. C.I.F., Epinay sur Sein (Francia), 1960, p. 11.62 Cfr. M. AUCLAIR, La parola a San Vincenzo, trad. di S. Aliquò, Ed. Città nuova, Roma 1971.

Page 31: Vita spirituale di San Vincenzo

E così, nella pace, alle 4.45 del mattino, Vincenzo terminò la sua vita

al servizio della Carità. Ma al di là della morte, attraverso le sue figlie,

la sua Signora, la Carità, sarà servita sempre, nella Persona dei Poveri.

Papa Benedetto XIII lo beatificò il 21 agosto 1729 e Clemente XII

otto anni dopo, lo canonizzò il 16 giugno 1737. Il 12 magio 1885

fa proclamato Patrono universale delle opere de carità. Il suo corpo si trova

nella chiesa della casa-madre dei Missionari a Parigi e il cuore presso

la cappella della Medaglia miracolosa, sempre a Parigi63.

63 Cfr. L. MEZZADRI, Dizionario storico spirituale vincenziano, Ed. Vincenziane, Roma 2003, p. 457.

Page 32: Vita spirituale di San Vincenzo

CAPITOLO II.

VITA SPIRITUALE DI SAN VINCENZO

Vincenzo era stato un prete normale, che si era incamminato

nel presbiterato con motivazioni umane, e cioè per fare carriera.

Era un prete che aveva cessato di puntare alla santità o, più probabilmente,

che mai vi aveva aspirato. Lo si rileva dalla lettera alla madre in cui

confessa di desiderare due cose: sistemare se stesso e la famiglia.

Per un prete è una confessione di fallimento.

«…L´assicurazione, che il signor di Saint-Martin mi ha dato

della sua buona salute, mi ha rallegrato tanto quanto mi affligge

il fatto di dover rimanere ancora in questa città, per riavere l’occasione

di una mia promozione, di cui i miei disastri mi hanno privato. Sono

veramente spiacente di non poter venire da lei a rendere quei servigli

che le devo. Ma spero tanto nella grazia di Dio, che benedirà

la mia fatica e mi darà presto la possibilità di ritirarmi onoratamente,

per passare il resto dei miei giorni con lei. Ho parlato dei miei affari

col signor de Saint-Martin, il quale mi ha dichiarato di voler

subentrare al signor Comet nel manifestarci la benevolenza e l’affetto

che questi ha avuto per noi»1.

Mi sembra evidente che dopo aver letto una simile lettera, risulti

con chiarezza che egli aveva bisogno di “convertirsi”.

La conversione è di due tipi:

Dal peccato alla grazia (prima conversione)

Dalla mediocrità all’impegno per la santità (seconda conversione).

La conversione che ipotizziamo è la seconda. Vincenzo ha dovuto

riscoprire il senso del suo essere sacerdote, non come occasione

1 SV I, PP. 18-20: lettera del 17 febbraio 1610.

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Page 33: Vita spirituale di San Vincenzo

di promozione umana e di realizzazione personale, ma come incontro

con il Cristo-sacerdote, realizzando una vita sacerdotale credibile.

Non sempre la conversione è un fenomeno repentino. Nella maggior parte

dei casi è il frutto di un lento processo di maturazione. Anche Vincenzo

maturò un processo di conversione nel quale intendiamo, anzitutto

la scoperta vitale della dimensione religiosa dell’esistenza: «Una forza

nuova penetra nella vita, che viene esperimentata come interamente

diversa, riceve un nuovo fondamento e inizia un nuovo modo di essere»2.

Vicenzo non ce ne ha mai parlato. Ma sono eloquenti i fatti,

gli avvenimenti dalla sua vita, a dirvi come Dio lo abbia trasformato:

il racconto della schiavitù, l’accusa di furto e la crisi della fede.

1. Racconto della schiavitù

Le lettere che parlano della storia del prigioniero l’anziano Vincenzo

cercò di riaverle con tanto impegno.

Nei primi mesi del 1605 gli affari di Vincenzo andarono a gonfievele;

questa è la prima informazione fornitaci dalla prima lettera.

Dalla lettera del 24 luglio 1607 risulta che Vincenzo ha bisogno

di denaro; ha fatto molti debiti suggeriti non certo dalla volontà di Dio

ma dalla sua temerità (aspirava a un episcopato?).

Il racconto della schiavitù si apre con l’inseguimento di “un cattivo

soggetto” per ricuperare 300 o 400 scudi, che questi doveva a “una buona

vecchia di Tolosa” che l’aveva lasciato suo erede. Nel 1605 si era

incamminato per Marsiglia “consigliato in ciò dai miei migliori amici

e dalla necessità del denaro per soddisfare i debiti da me contratti

e la grande spesa, che prevedevano dover sostenere per perseguire

quell’affare che la mia temerità non mi permette di nominare”. Aveva

inoltre venduto un cavallo che “aveva preso a nolo a Tolosa, sicuro allora

2 G. van der LEEUW, La religion dans son essence et ses manifestations, Parigi 1955, p. 520.

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Page 34: Vita spirituale di San Vincenzo

di poterlo pagare al ritorno”. Trovato il suo uomo, lo aveva fatto

imprigionare e si era accordato per 300 scudi3 “che mi dette contento”4.

Il briccone pagò 300 scudi e Vincenzo si ritenne soddisfatto. Si preparò poi

per far immediatamente ritorno a Tolosa; ma cominciarono le avversità.

La prima tappa del viaggio di ritorno, Vincenzo decise di compierla via

mare. A poche mila da Marsiglia, tre brigantini turchi costeggiavano lungo

la Provenza, per assaltare le barche che tornavano dalla fiera di Beaucaire,

“considerata una delle più belle di tutta la cristiana”. Erano corsari

della Barberia, provenienti da Tunisi, specializzati nella cattura

e nella vendita di schiavi cristiani. Attaccarono la barca sulla quale

viaggiava Vincenzo; ci fu un breve combattimento, nel quale,

naturalmente, la barca francese ebbe la peggio data la superiorità numerica

degli avversari. Per Vincenzo cominciarono due anni di schiavitù

relativamente blanda a Tunisi.

All’inizio fu acquistato da un pescatore, che però se ne disfece

ben presto perché al suo schiavo faceva male il mare.

Poi Vincenzo capitò nelle mani di un pittoresco personaggio: un medico

spagirico, alchimista e mezzo stregone. Vincenzo non si trovava male.

Il suo compito principale consisteva nel mantenere accesi giorno e notte

dieci o dodici fornelli necessari per i misteriosi maneggi del vecchio

alchimista. Il suo padrone era umano e trattabile; si affezionò al giovane

schiavo e cercò di convertirlo all’Islam con la promessa di lasciargli

in eredità le sue ricchezze e le sue conoscenze. Vincenzo si limitò

3 La moneta francese del secolo XVII usava ancora il sistema monetario medievale, che si fa risalire fino a Carlomagno e che in Inghilterra è rimasto in vigore fino alla seconda metà del secolo XX. L’unità monetaria, sebbene ridotta a moneta di computo, era la lira, divisa in venti soldi, ciascuno dei quali si divideva al real de a ocho spagnolo; la lira o i venti soldi, corrispondevano a poco meno di tre reali d’argento (2,67 per l’esattezza). Più difficile stabilire la corrispondenza con la moneta attuale, data la diversità dei prezzi e dei salati esistente tra le due epoche. Serva da indicazione il fatto che stipendio di un parroco nel 1629 era stata fissata in 300 lire annue (cento scudi) e che il salario di un operaio andava dai 7 agli 11 soldi (circa mezza lira) giornalieri. 4 SV I, p. 3.

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Page 35: Vita spirituale di San Vincenzo

a imparare la ricetta per la cura della renella, la malattia di cui soffriva

il suo amico e protettore, il signor Comet.

La conversione del rinnegato

La quieta esistenza di Vincenzo in casa del medico si conclude

bruscamente quando quest’ultimo fu chiamato a Costantinopoli dal Gran

Turco. Vincenzo passò in proprietà del rinnegato di Nizza. Il cambiamento

d’ambiente comportò per lo schiavo un cambiamento di occupazione. Ora

doveva lavorare la terra sotto il sole cocente dell’Africa del nord. Il giorno

il suo padrone, il rinnegato dalla Chiesa cattolica, addolorato per il rimorso

di coscienza risolveva con Vincenzo di fuggiti in Francia ad Avigione, città

papale per riparare il suo errore. Attraversano senza contrattempi

il Mediterraneo e il 28 giugno 1607, due anni dopo la cattura, Vincenzo era

di nuovo libero5.

Vincenzo non era ancora molto cambiato. Nel febbraio scrisse alla madre

ed espressa ancora una volta la speranza di “riavere l’occasione

di un avanzamento le vicende gli avevano impedite”. E aggiungeva:

«Ma spero tanto nella grazia di Dio, che egli benedirà la mia fatica

e mi darà presto il modo di ritirarmi onoratamente e passare il resto

dei miei giorni con voi. Incoraggiava il fratello a far studiare qualche

nipote da prete. È vero – commentava – che l’esempio dei miei casi

sfortunati ed il poco vantaggio, che ho potuto rendere alla casa

gli leveranno la voglia di farlo, ma consideri che la sfortuna presente

suppone la felicità dell’avvenire»6.

È possibile supporre che la sua conversione sia ha cominciato

da quest’esperienza perché la storia della Chiesa c’insegna che Dio opera

5 Cfr. J. M. ROMÁN, San Vincenzo De’ Paoli, Ed. Jaca Book, Milano 1986, pp. 55-58.6 SV I, p. 18ss: lettera del 17 febbraio.

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Page 36: Vita spirituale di San Vincenzo

nell’anima dell’uomo nei momenti pericolosi, critici, quando l’uomo

si affida totalmente al suo Dio.

3. Dio conosce la verità

Verso la fine del 1608 fece il suo ingresso a Parigi, proveniente da Roma

senza avere ottenuto nulla, solo a Parigi poteva sperare di ottenere l’ambito

beneficio, indispensabile alla stabilità economica della sua vita. Nella lettera

alla madre dice: «Mi affligge il dover rimanere ancora in questa città

per riaver l’occasione di un mio avanzamento (che i disastri mi hanno tolto),

perché non posso venir da voi ad usarvi quei servigi che vi devo»7.

Al suo arrivo a Parigi si era stabilito in un modesto quartiere

dell’università e degli studenti sulla sponda sinistra della Senna,

nella periferia di Saint Germain, perché era troppo povero per avere

una casa tutta sua. Affittò una stanza a metà con un compaesano,

un modesto giudice conciliatore della località di Sore.

Un giorno si sentì poco bene e dovette restare a letto. Il giudice di Sore

Bertrand Dulou, suo compagno, uscì presto per andare a sbrigare

le sue cose in città. Vincenzo si fece portare da una vicina farmacia

le medicine necessarie e l’impiegato della farmacia arrivò, cercò

un contenitore in un armadio, trovò la borsa del giudice con 400 scudi

e li rubò. Poco dopo arrivò il giudice e si rese subito conto della scomparsa

dei suoi denari. Tipo violento e precipitoso, senza pensarci due volte

accusò del furto Vincenzo, lo buttò fuori di casa, lo diffamandolo di fronte

ad amici e conoscenti. Fece anche in modo che l’autorità ecclesiastica

lanciasse “il monitorio” contro di lui8. La reazione di Vincenzo

7 SV I, p. 18 (tr. it. I, p.53).8 “Il monitorio” era un’ordinanza dell’atutorità ecclesiastica, su richiesta del giudice laico, secondo la quale, pena la scomunica, bisognava denunciare ciò che si sapeva di un determinato delitto. I monitori venivano letti dai parroci durante la messa per tre settimane consecutive. La facilità con cui venivano concessi i monitori diventò un grave abuso, lamentato dal clero. Cfr. M. MARION, Dictionnaire des Institutions de la France aux XVIIe et XVIIIe siècles, Ed. J. Picard, Parigi 1969; R. MOUSNIER, Les institutions de la France sous la monarchie absolue,vol. II, Parigi 1974-1980.

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Page 37: Vita spirituale di San Vincenzo

fu esemplare. Ci troviamo ora di fronte ad uno sprazzo premonitore

della futura tempra della sua santità. Non gli passò nemmeno per la mente

l’idea di far ricadere i sospetti sul malcapitato ragazzo di bottega

della farmacia. Si limitò a dire con calma: “Dio conosce la verità”.

Gli uomini la seppero solo sei anni dopo, quando il colpevole fu arrestato

a Bordeaux per un altro atto contrario della legge. Spinto dal rimorso, fece

venire nella sua cella il giudice di Sore e gli confessò la sua colpa.

Il giudice scrisse a Vincenzo, chiedendogli perdono, affermando che se non

gli fosse stato sufficiente per scritto, sarebbe andato personalmente

a chiederglielo a Parigi, in ginocchio, in pubblico e con una corda al collo.

Non fu necessario, perché Vincenzo gli concesse generosamente

il suo perdono9.

Tutto questo succedeva nel 1609. Pierre Dehorgnie vede nella falsa

accusa di furto l’avvenimento chiave della conversione di Vincenzo10.

Troppo semplicistico. La conversione di Vincenzo è un processo

più complesso e più lento, nel quale si concatenano, nel corso di molti anni,

vari avvenimenti ed influssi, dei quali l’accusa di furto non è che un anello

della catena. Il comportamento di Vincenzo in quell’occasione segna

certamente unarevisione significativa nei suoi modi di vedere e di agire.

«Cercherai di difenderti? Ecco una cosa di cui ti accusano, nonostante

che non sia vera. “No! – si disse, rivolgendosi a Dio – ; bisogna

che sopporti con pazienza”. E così fece11, racconta di se stesso in terza

persona, aggiungendo: “Lasciamo a Dio il compito di rivelare

il segreto delle coscienze”»12.

9 Cfr. L. ABELLY, La vie du Vénérable serviteur de Dieu Vincent de Paul […], Ed. F. Lambert, Parigi 1664, I, parte 1, cap. 5, p. 21-23; P. COLLET, La vie de Saint Vincent de Paul, Ed. A. Lescure, Nancy 1748, I, pp. 27-28.10 Cfr. P. DEHONGNIE, La conversion de Saint Vincent de Paul, RHE 32 (1936), pp. 313-339. 11 SV XI, p. 337 (tr. it. Conf.p.d.M., p. 360).12 ABELY, La vie du Vénérable serviteur de Dieu Vincent de Paul […], Ed. F. Lambert, Parigi 1664, I, parte 1, cap. 5, p. 23.

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Page 38: Vita spirituale di San Vincenzo

Nonostante questo, mi sembra che Vincenzo continui a sperare

in “un’occasione di avanzamento”; continui ad aver fiducia orizzonte

nelle sue aspirazioni ad un “onorato ritiro”. Comunque tra le righe

è possibile vedere un lieve cambio di prospettive: «Spero tanto nella grazia

di Dio, ch’egli benedirà la mia fatica e mi darà presto il modo di ritirarmi

onoratamente… Rivolgersi a Dio e sperare nella grazia di Dio»13.

Ecco la lezione che gli hanno insegnato la schiavitù, la calunnia,

le disavventure nominate.

4. Notte oscura – crisi della fede

Vincenzo ha dovuto prima riscoprire il senso del suo essere sacerdote,

con come occasione di promozione umana, di realizzazione personale ma

come incontro con Cristo sacerdote, realizzando una vita sacerdotale

credibile.

Questo avvenne verso il 1610/11; Vincenzo non ne ha mai parlato,

ma sono eloquenti i fatti.

Tra il 28 febbraio e il 14 maggio Vincenzo aveva ottenuto anche

la nomina di cappellano della regina Margherita di Valois14. Come

cappellano – elemosiniere, oltre a celebrare messa quando gli toccava

per turno, Vincenzo era incaricato di distribuire le abbondanti elemosine

della stravagante dama e molte di esse erano devolute al vicino ospedale

della Carità, retto dai Fratelli di San Giovanni di Dio. In quel tempo

che segnava il passaggio dalla gioventù alla maturità dei suoi trent’anni,

13 SV I, pp. 18-20 (tr. it. I, pp. 53-55).14 La prima sposa di Enrico IV, ultima discendente diretta dei Valois, il cui matrimonio con il re tra stato dichiarato, e a ragione, nullo nel 1599 (si diceva che al momento del matrimonio, il re Carlo IX avesse dovuto darle un colpo in testa per farle dire “sì”. Il cardinale di Borbone, officiante il rito, non aveva ottenuto per le la dispensa dall’impedimento della diversità di culto). Attorno all’ex regina ferveva, con pretese di corte, una variopinta moltitudine di poeti, di commediografi, di teologi, di nobili, di religiosi e di ciarlatani. Margherita, senza rinunciare del tutto alle sue manie galanti, combinava la sua inclinazione verso le scienze e gli atri con le pratiche di devozione: manteneva a sue spese una comunità di agostiniani, i quali, giorno e notte, cantavano il divino rfficio nella sua cappella e ascoltava ogni giorno tre messe celebrante dai suoi cappellani, che erano almeno sei. Uno di essi era Vincenzo De’ Paoli, che doveva la sua nomina ai buoni uffici del signor Le Clarc de la Forêt.

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Page 39: Vita spirituale di San Vincenzo

cominciava un cambiamento molto profondo nel cuore di Vincenzo.

Dall’esperienza di tanti santi sappiamo che cambiamento interiore

della persona si accompagnano anche delle crisi che ci furono anche

nella vita di Vincenzo.

Tra il 1611 e il 1616, Vincenzo fu sconvolto da una profonda da queste

crisi spirituali che rappresentò la sua attraversata del deserto o che

preferisce il linguaggio carmelitano, la “notte oscura” del suo spirito.

I fatti si svolsero così: della variopinta corte che circondava la regina

Margherita aveva fatto parte un famoso dottore il quale, mentre era anche

docente nella sua diocesi, si era distinto per la sua attività

e la sua eloquenza nella controversia contro i protestanti. L’ozio a cui

era condannato dal suo nuovo ufficio lo aveva gettato in braccio a forti

tentazioni contro la fede; queste arrivarono ad essere così violente

che il pover’uomo si sentiva spinto a bestemmiare Gesù, a disperare

della sua salvezza e a suicidarsi, buttandosi giù da qualche finestra.

Dovettero dispensarlo dalla recita dell’ufficio e dalla celebrazione

della messa. Egli stesso confidò le sue angosce a Vincenzo,

che lo consigliò, ogni volta che fosse assalito dalla furia della tentazione,

di puntare un dito verso Roma o verso la chiesa più vicina, per riaffermare

così la sua fede in tutto ciò che crede la Chiesa romana. Consumato

dall’angoscia, cadde gravemente ammalato e Vincenzo, temendo

che potesse cedere alla forza della tentazione, chiese a Dio,

se lo avesse creduto, che trasferisse nella sua anima le tribolazioni

del teologo. Dio lo prese in parola. L’ecclesiastico sentì dissiparsi di colpo

le tenebre del suo spirito, cominciò a vedere in ondate di radiosa chiarezza

le verità della fede e morì in uno stato di pace spirituale consolante

e meravigliosa.

Cominciò invece la prova per Vincenzo e così l’oscurità avvolse

la sua anima fino a non riuscire più a fare atti di fede. Sentiva

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Page 40: Vita spirituale di San Vincenzo

crollargli intorno il mondo di credenze e di certezze che lo avevano

accompagnato fin dall’infanzia. In mezzo a quelle tenebre, gli restava solo

la convinzione che si trattava di una prova di Dio, il quale avrebbe finito

per aver compassione di lui. Intensificò la preghiera e la penitenza

e fece ricorso a tutti gli altri mezzi che ritenne più adatti.

Il primo fu quello di scrivere su un foglio di carta il Credo

e di metterselo sul cuore. Era convinto che ogni volta che avrebbe portato

la mano al petto avrebbe rinunciato alla tentazione, anche senza pronunciar

parola. Abelly15con acuto intuito psicologico commenta: “In questo modo

confondeva il diavolo senza parlargli né guardarlo”.

Il secondo rimedio fu quello di dedicarsi alla pratica della carità,

visitando e consolando i malati dell’ospedale di Giovanni di Dio.

La tentazione durò tre o quattro anni; ne fu liberato quando, seguendo

gli impulsi della grazia, prese la ferma e irrevocabile decisione

di consacrare tutta la sua vita al servizio dei poveri, per amore di Gesù

Cristo. “Appena ebbe formulato questo proposito, le suggestioni

del maligno svanirono; il suo cuore, oppresso da tanto tempo, si trovò

inondato di una dolce libertà e la sua anima si riempi di una luce splendente

che gli permise di contemplare con meridiana chiarezza, tutte le verità

della fede”.

Avremmo voluto conoscere più a fondo l’itinerario interiore

di Vincenzo, durante quei tre o quattro anni. Non è possibile, perché

Vincenzo non ci ha lasciato niente che possa avvicinarsi al racconto

delle sue esperienze mistiche, descritte invece minuziosamente da altri

santi. Tutto però ci porta a credere che ci troviamo di fonte alla tappa

decisiva della sua vita. Sotto il peso della prova, il suo spirito si purificò

lentamente come l’oro nel crogiolo. Ne uscì purificato e trasformato,

lo aspettavano ancora però altre esperienze e avrebbe ricevuto

15 Uno tra i biografici di Vincenzo.

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Page 41: Vita spirituale di San Vincenzo

altre illuminazioni. Ma il cambiamento radicale era ormai avvenuto. Aveva

incontrato Dio e ritrovato se stesso, sebbene la sua vocazione non si fosse

ancora concretizzata in una precisa scelta di vita e in un’attività specifica.

Per questo continuò ancora per qualche anno nei suoi tentativi alla cieca.

La conversione radicale di Vincenzo conobbe un lungo processo

di maturazione, fino a trasformarsi in albero vigoroso carico di frutti.

Un episodio del 1611 potrebbe farci pensare che Vincenzo già allora fosse

un altro. Il 20 ottobre di quell’anno, con atto notarile, Vincenzo fece dono

volontario e libero all’ospedale della Carità di una somma di 15.000 lire,

da lui ricevuta il giorno precedente da signor Jean de la Thane. Gesto

generoso e disinteressato di carità o semplice trasmissione di un’elemosina

ricevuta proprio a quello scopo? In ogni caso, il fatto che fosse stato scelto

Vincenzo come esecutore di quel gesto di carità, è un indizio che

non siamo più in presenza del disinvolto debitore di Tolosa. L’accusa

di furto, ancora non ben chiarita, non aveva diminuito la fiducia riposta

in lui dagli amici parigini; se non proprio un santo, era certamente

considerato un uomo onesto.

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Page 42: Vita spirituale di San Vincenzo

CAPITOLO III.

DIRETTORI SPIRITUALI DI SAN VINCENZO

Quasi mai un grande maestro è stato un buon discepolo. Il discepolo

che rinuncia alla propria personalità e alla propria inventiva, che segue

in tutto l’esempio del proprio maestro, sarà sempre un gregario. Un buon

esecutore quasi mai è un geniale compositore.

La vita spirituale di Vincenzo, come abbiamo visto nel capitolo

precedente, si limitava alla sua conversione verso Dio. In questo capitolo

vedremo i maestri o i direttori spirituali del Santo che produssero

nella sua vita spirituale un grande effetto: Benedetto de Canfield, Pietro

de Bérulle, Andrea Duval e Francesco di Sales.

Da ognuno di questi maestri egli prende le idee che gli sono

più congeniali e le elabora in modo del tutto personale. Egli non sarà

la persona che era stata guidata dai suoi direttori spirituali in modo

gregario. La sua dottrina è semplice e chiara e si ispira soprattutto

al Vangelo in cui tutte le altre fonti si amalgamano.

1. Benedetto de Canfield

Benedetto de Canfield (1562-1619)1inglese, di nome Guglielmo Filch;

convertitosi dall’anglicanesimo, si rifugiò in Francia ed entrò nell’ordine

dei cappuccini. Fin dal noviziato diede prova di un’altissima spiritualità,

divenendo ben presto direttore spirituale. Fu anche grande mistico favorito

da grazie eccezionali. Scrisse alcuni libri di ascetica e quello che suscitò

maggiore interesse e che in certo senso riassumeva il suo pensiero,

fu la “Regola di perfezione”2. In questa mette in luce come tutta la vita 1 Cfr. L. COGNET, Spiritualità moderna,Bologna 1973-1974, pp. 24-45.2 B. CANFIELD, Régle de perfection, contenant un bref et lucide abrégé de toute la vie spirituelle réduite à ce seul point de la volonté de Dieu, Parigi 1609. (ed. it. Regola di perfezione con un breve e lucido compendio di tutta la vita spirituale ridotta al solo punto della volontà di Dio, Parigi 1608-1610).

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Page 43: Vita spirituale di San Vincenzo

spirituale non deve consistere altro che nel fare la volontà di Dio. Ancora

prima di Francesco di Sales sostenne che la perfezione è aperta a tutti e che

l’uomo vi giunge attraverso la conoscenza di sé e di Dio, in perfetta

conformità alla sua volontà che in un primo momento può manifestarsi

come solo “esteriore”, se viene manifestata attraverso gli ordini

dei superiori sempre escludendo tutta via il timore servile.

In secondo luogo questa conformità diventa “interiore”. In tal caso

è nota al credente per mezzo di grazie, di illuminazioni, di mozioni

e conduce alla vita contemplativa.

Il terzo aspetto della volontà divina è la “vita essenziale”

che non si distingue dalla stessa “essenza” divina. L’anima che giunge

ad unirsi pienamente a tale volontà essenziale, entra in una vita d’unione

con Dio o piuttosto di trasformazione in Dio, che Canfield chiama

“vita sovraeminente” o talvolta “supereminente”. Tutte le facoltà

dell’anima sospendono il loro esercizio essendo ormai assorbite in Dio.

Questo è il culmine della perfezione. Ma come può avvenire quest’unione?

C’è alla base dello schema canfieldiano un principio molto chiaro

e assoluto: non esiste alcuna proporzione tra Dio e qualsiasi realtà concreta;

in altri termini: la creatura considerata nell’immensità di Dio è nulla.

L’uomo può tendere a quest’unione ma non vi riesce, se Dio

non interviene. Con la grazia di Dio possiamo arrivare a convincerci

del nulla di tutto il creato, ma senza un’azione speciale da parte sua,

non arriveremo mai a purificare il nostro mondo interiore da ogni traccia

di creatura. Questo atteggiamento negativo, Canfield lo caratterizzò con

i termini di “annientamento” o di “annichilimento”, facendo notare che tale

annientamento doveva essere sia passivo che attivo. Questo

duplice annientamento, doveva spogliare l’anima della minima traccia

di vita concettuale, delle più elementari rappresentazioni mentali, di tutti

i suoi desideri, includendovi lo stesso desiderio di Dio. Canfield fu dunque

42

Page 44: Vita spirituale di San Vincenzo

un teorico molto radicale del “non vedere” e del “non agire”: ad ogni forma

di attività con cui l’anima potrebbe affermare se stessa, indipendentemente

dalla volontà divina, oppone la negazione, il rifiuto più energico.

Il pensiero del cappuccino è stato riconosciuto come una sintesi mistica,

potente ed originale. La sua opera ebbe successo e si diffuse in modo

singolare, ampio e duraturo. Nel corso di tutto quel periodo il suo influsso

si manifestò un po’ dovunque e in maniera spesso inattesa3.

Vincenzo aveva assimilato l’idea di Canfield. In essa metteva in luce

come tutta la vita spirituale non debba consistere in altro che nel fare

la volontà di Dio. L’uomo deve aprirsi a Dio che attua una nuova

incarnazione in modo che il discepolo non dovrà dire altro che: “Io sono

la volontà di Dio”. In un brano di conferenza ai missionari del 7 marzo

1659 Vincenzo riprende chiaramente le idee del suo maestro:

«La regola dice che quello che ci aiuta a raggiungere la perfezione

di cristiani e di missionari è la pratica di fare la volontà di Dio.

È da notarsi che vi sono diverse pratiche proposte dai maestri

della vita spirituale che essi hanno esercitato in modi diversi. Alcuni

si sono proposti l’indifferenza in tutto e hanno pensato che

la perfezione consiste nel non desiderar nulla di quello che Dio

manda. In ogni occasione si elevavano a Dio e rimanevano indifferenti

tanto alle une come alle altre. […] Altri si sono proposti di operare

con purità d’intenzione, di scorgere Dio nelle cose

che sopraggiungono, per farla o sopportare per amor suo. […]

Insomma l’esercizio per fare sempre la volontà di Dio è il migliore

di tutti, perché comprende l’indifferenza e la purità d’intenzione

e tutti gli altri modi praticati e consigliati: e se c’è qualche altro

esercizio che conduca alla perfezione, si troverà eminentemente

in questo. Chi è più indifferente di colui che fa la volontà di Dio

in ogni cosa, che non ricerca mai se stesso in cosa alcuna e non vuole

3 Cfr. L. COGNET, Spiritualità moderna, Bologna 1973-1974, pp. 44-45.

43

Page 45: Vita spirituale di San Vincenzo

neppure quelle che potrebbe volere, se non perché Dio lo vuole?

C’è qualche persona più libera e più disposta di questa per compiere

il beneplacito divino? E la purità di intenzione come può meglio

praticarsi che con la sottomissione alla volontà di Dio? […] O signori,

o fratelli, diamoci a Dio risolutamente fin d’ora e domani all’orazione,

in tutto, da per tutto e sempre per avere fame di questa giustizia.

Pensiamoci; riflettiamoci ciascuno in particolare su quello

che vi ho detto con sì poca grazia e con sì poco ordine; animiamo

la nostra volontà a dire e compiere queste divine parole di Gesù Cristo:

“il mio cibo è di fare la sua volontà e di compiere l’opera sua”»4.

Non sappiamo quando Vincenzo fosse incontrato con Canfield.

Si suppone verso il 1610. Ma sappiamo che Vincenzo aveva l’ansia

di sottomettersi in tutto alla volontà di Dio, guidato dalla Regola

di perfezione di Canfield, aveva imparato che la volontà di Dio, sebbene

si manifesti nei movimenti interiori della grazia, lo fa ancor

più chiaramente attraverso le disposizioni date dai superiori. Grazie

alla Regola di perfezione di Canfield, Vincenzo a Soissens aveva ottenuto

la perfetta indifferenza di spirito. Da questo punto di vista possiamo dire

che Canfield fu un vero direttore spirituale di Vincenzo.

5. Pietro de Bérulle

Cardinale Pietro de Bérulle (1575-1629) è, cronologicamente, il primo

dei tre successivi grandi direttori spirituali di Vincenzo. Con lui era entrato

in contatto nel 1610 e più tardi disse: «uno degli uomini più santi

che ho conosciuto è il Cardinale de Bérulle»5. Per questo spesso ricorre

alla sua autorità o al suo esempio:

4 SV XII, pp. 150-165.5 SV XI, p. 139.

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Page 46: Vita spirituale di San Vincenzo

«Bisogna studiare in modo che l’amore corrisponda alla conoscenza,

specialmente per quelli che studiano teologia, e come il Cardinale

de Bérulle, il quale – appena conosciuta una verità, – si dava a Dio

o per praticare una data cosa o per entrare in certi sentimenti… E con

questo mezzo acquistò una santità e una scienza così solide

che appena se ne poteva trovare una simile»6.

E un altro giorno disse:

«Ci sono due modi di conoscere la verità: 1° con la semplice

elevazione a Dio; 2° col ragionamento. Due o tre ragioni bastano

per la natura della cosa, le altre cose imbrogliano. Il de Bérulle,

tra le sue risoluzioni, aveva [quella di cercare la luce]… con

elevazione a Dio. Altrimenti si perde molto tempo»7.

Pietro de Bérulle nato da una famiglia della piccola nobiltà francese,

aveva ricevuto un’accurata educazione umanistica ed ecclesiastica

nel collegio di Clermont, poi però il giovane Pietro entrò nella sfera

d’influenza di Andrea Duval, alla Sorbona, per gli studi teologici. Ancora

giovanissimo si era distinto per il suo fervore e l’innocenza della vita.

Le relazioni intrattenute dalla sua famiglia e l’inquietudine religiosa

lo avevano inserito nelle correnti riformatrici. Già prima

della sua ordinazione sacerdotale, nell’ultima decade del secolo XVI, aveva

fatto parte del gruppo8che si radunava intorno a madame Acarie (1566-1618)

e sotto la direzione di un certosino francese, Riccardo Beaucousin,

che assieme al cappuccino Benedetto de Canfield, stava introducendo

nei circoli devoti della Francia le correnti spirituali della mistica renano-

fiamminga e dei carmelitani spagnoli. Di questo stesso gruppo facevano

parte anche altri uomini di grande valore intellettuale e spirituale come

6 SV XI, p. 128.7 SV XIII, p. 345.8 Il gruppo era chiamato “scuola astratta”.

45

Page 47: Vita spirituale di San Vincenzo

ad esempio: Michael de Malillac, futuro guardasigilli di Francia; Andrea

Duval, dottore della Sorbona; François Leclerc de Tremblay; il barone

de Maffliers; il futuro e famoso p. Giuseppe, eminenza grigia del cardinale

Richelieu9. Prima o poi Vincenzo ebbe modo di conoscerli tutti mediante

il de Bérulle, che non era soltanto un gran politico di Francia ma soprattutto

guida spirituale e protettore della riforma interna del clero francese.

Inspirandosi all’opera di San Filippo Neri, ché l’ 11 novembre 1611

aveva fondato l’Oratorio di Gesù, associazione di sacerdoti secolari,

la cui mistica consisteva nel considerare lo stato sacerdotale come ideale

di santità cristiana, in contrapposizione all’opinione, tanto frequente

quanto superficiale e persino materialista, che riduceva il sacerdozio

alla ricerca di prebende e di benefici10. Era proprio quello di cui aveva

bisogno Vincenzo De’ Paoli11.

Il de Bérulle strappa Vincenzo dai suoi sogni di dorata mediocrità

e gli sta accanto nella crisi di fede decisiva della sua vita. Ma l’influsso

diretto del de Bérulle su Vincenzo non fu totale né duratura. Durò sette

oppure otto anni e di essa conservò sempre molti orientamenti spirituali

e una sincera venerazione come per il suo primo direttore spirituale

9 Per la biografia del de Bérulle e per il suo ruolo nella riforma della Chiesa francese, cfr. P. COCHOIS, Bérulle et l’Ècole française, Ed. De Seuil, Parigi 1965 e l’indispensabile H. BRÉMOND, Histoire littéraire du sentiment religieux en France depuis la fin des guerres de religion jusqu’à no jours, Ed. Blond, Parigi 1916-1932, 3 vol. Per l’influsso di Benedetto de Canfield in tutto il movimento, cfr. OPTAL DE VEGEL, Benoît de Canfield. Sa vie, sa doctrine et son influence, Ed. Institutum historicum O. Fr. Min. Cap., Roma 1949, p. 516; E. GULLICK, «The life of Father Benet of Canfield», in Collectanea Francescana 42 (1972), pp. 39-67; Dictionnaire de Théologie Catholique II, pp.718-719; Dictionnaire de Spiritualité I, pp. 1446-1452.10 Cfr. H. TÜCHLE, La Riforma e la controriforma, III della Nuova storia della Chiesa, Ed. Marietti, Torino 1970. 11 Per qualche tempo Vincenzo convisse con il primo gruppetto dei futuri oratoriani. Ma non per entrare a far parte della loro santa compagnia, come fa acutamente notare Abelly, poiché egli stesso dichiarò in seguito di non aver mai avuto un’intenzione del genere, ma per mettersi un po’al riparo dagli impegni mondani e conoscere meglio i disegni che Dio aveva su di lui e disporsi a seguirli. Cfr. Abelly, op. cit., I, parte 1, cap. 6, p.24. Abelly (1604-1691; il primo biografo di San Vincenzo afferma che Vincenzo visse per due anni in casa di de Bérulle. Il Coste (1873-1935, altro biografo di San Vincenzo) invece ritiene impossibile una permanenza tanto lunga, basandosi sui diversi domicili documentati di Vincenzo e sul fatto che l’Oratorio fu fondato il 11 novembre 1611 e che Vincenzo prese possesso della parrocchia di Clichy il 2 maggio 1612.

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Page 48: Vita spirituale di San Vincenzo

o maestro. Ad un certo punto, però, trovò la sua strada e la sua spiritualità,

che non si può ritenere solo berulliana12.

In che cosa si può dire che Vincenzo sia stato berulliano? Attraverso

il cardinale de Bérulle, venne a contatto con un degli autori allora molto

di moda, come lo Pseudo-Dionigi e l’Areopagita13. Vincenzo però si trovò

a disagio nel quadro platonico che costituisce un mito culturale

che non riesci ad assimilare, mentre il de Bérulle lo seguiva come

per istinto. Vincenzo, infatti, non è un estatico perché da una verità vuol far

scaturire subito un principio operativo14.

Spiritualità cristocentrica

È soprattutto nella spiritualità cristocentrica che Vincenzo segue

il de Bérulle. Cristo stesso, afferma, «deve imprimere in noi il suo sigillo

e il suo carattere». L’uomo deve lasciarsi muovere da lui, in quanto è lui

ad esercitare tutte le virtù nell’uomo e per mezzo dell’uomo15.

L’espressione che Vincenzo mutua da de Bérulle e che costituisce il legame

più forte fra i due è quella di «stato». Lo «stato» è una disposizione

permanente, una «virtù» generatrice di energia: «Dicendo beatitudine

evangelica s’intende lo stato o lo stabilirsi di un’anima

in una delle principali massime di Gesù Cristo, secondo la quale compie

atti eroici di virtù»16.

Lo «stato di Gesù» è la partecipazione per connaturalità

a una disposizione stabile di Cristo, operata nell’anima dall’azione

12 Cfr. J. CALVET, San Vincenzo De’ Paoli, trad. it. di Paola Squillaci, Ed. Paoline, Roma 1950, p. 240.13 Autore della fine del V sec. o dell’inizio del sec. VI. Il Corpus dionysiacum si trova in PG, 3, 119-1064. Fu letto in greco da Olier. Molte le traduzioni, fra cui quella di Jean de Saint-François (Goulu) del 1608, che ha esercitato la maggior influenza. Attraverso Herp, fu conosciuta da Benedetto di Canfield, da Luis Chardon (+1651) e Jean de Saint-Samson (+1636). Influssi più diretti esercitarono su de Bérulle, Camus, Leonardo Lessio, Madame Guyon, Fénelon. Solo alla fine del secolo s’incominciò a dubitare che l’autore fosse l’Areopagita, il discepolo di San Paolo: cfr. P. COCHOIS, Bérulle et le pseudo-Denys, in Revue d’histoire de religons, 1961, pp. 173-174.14 Così dal paragone del sole si riceve l’esempio dell’obbedienza: conferenza del 17 novembre 1658, in SV X, p. 591; cfr. SV XI, p. 128.15 Cfr. SV VIII, pp. 230-131 (L3072): a G. Desdames, 30 gennaio 1600.16 SV XII, p. 281: conferenza del 6 giugno 1659.

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Page 49: Vita spirituale di San Vincenzo

dello Spirito: «Nella vita morale di Nostro Signore vi furono doversi state,

e la sua vita, secondo questi stati, assume diverse attrattive; tutti questi stati

sono santi e santificanti, sono tutti adorabili e tutti imitabili, ciascuno

a modo suo»17.

Si parla degli stati d’abbandono18, di pena19, d’aridità20, di povertà21. Esso

devono essere onorati. Si deve onorare in particolare la vita nascosta22, la

carità, le pene, le contraddizioni, la stanchezza, le fatiche23, anche il “non

fare”24 del Figlio di Dio. Il rapporto che ne scaturisce non è tanto un

rapporto cultuale, ma è un “aderire” a Dio, cioè un aprirsi all’azione divina

nell’uomo. Staccandosi in questo da Bérulle, che si colloca nella

prospettiva platonica del Logos dei padri greci, Vincenzo, più vicino a

Benedetto di Canfield e alla tradizione francescana, vede nella carne di

Cristo il legame fra Dio e uomo.

L’umiltà

Aderire a Cristo è un’azione di estrema difficoltà, in quanto presuppone

l’annientamento di ogni residuo di egoismo. L’umiltà, presentata con stile

espressivo un po’untuoso – cosa del resto comune agli autori del suo tempo

–, si spiega con la percezione della vacuità della creazione indipendente

da Dio. Nell’incarnazione invece si vede il Figlio di Dio che pur essendo

di «estrazione regale» si è “abbassato”25, ha preso “l’ultimo posto”26,

ha lasciato un “monumento immortale delle umiliazioni della sua divina

persona”27, si è negato ogni successo28. L’uomo umile non è pertanto colui

17 SV XII, p. 284.18 Cfr. SV I, p. 155: a Luisa de Marillac (L 106).19 Cfr. SV IX, p. 634: conferenza del 3 giugno 1653.20 Cfr. SV XI, p. 366: conferenza dell’11 novembre 1656.21 Cfr. SV VII, p. 391 (L 2741): a E. Jolly, 6 dicembre 1658.22 Cfr. SV I, p. 87 (L 50): a Luisa de Marillac, 1630.23 Cfr. SV I, p. 74 (L 39): a Luisa de Marillac, 6 maggio 1629.24 SV I, p. 153 (L 104): a Luisa de Marillac, prima del 1634.25 SV IX, p. 172: conferenza dell’11 dicembre 1644.26 SV IX, pp. 138s.: conferenza del 1644.27 SV XII, pp. 199s.: conferenza del 18 aprile 1659.28 Cfr. SV XII, p. 222: conferenza del 2 maggio 1659.

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Page 50: Vita spirituale di San Vincenzo

che si ripiega, che si arrende, che si nega all’impegno. Per Vincenzo la vera

umiltà comporta l’adesione allo stato di Cristo, che è spirito di umiltà,

in quanto è vuoto di sé e pieno della volontà del Padre. Per cui il massimo

dell’umiltà, ma anche della genialità dell’uomo, consiste in questa

conformazione alla volontà di Dio29.

Volontà divina e umiltà sono strettamente saldate e costituiscono come

i due apici dell’ellisse del suo pensiero. Vincenzo, riesumando

un’espressone molto discussa del de Bérulle, paragona la volontà divina

a una “schiavitù fortunata” perché permette l’uso più connaturale

della libertà dell’uomo30.

La santità e dignità del sacerdozio

È altro aspetto molto importante della sua dottrina. Con il sacramento

dell’ordine, il sacerdote entra in rapporto con Cristo, in uno speciale stato

d’aderenza. Gesù è in realtà l’unico sommo sacerdote, ma comunica

ai sacerdoti della terra il suo eterno ed unico sacerdozio facendoli

partecipare nello stesso tempo al suo ruolo di mediatore, perché siano

i mediatori tra lui e le anime. Come Gesù, anch’essi devono tendere

a tre mete: verso Dio per glorificarlo, verso se stessi per santificarsi e verso

gli altri per aiutarli a farsi santi.

29 Cfr. SV XI, pp. 138s.: conferenza del 1644.30 Cfr. SV X, p. 508: conferenza del 3 giugno 1658.

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Page 51: Vita spirituale di San Vincenzo

Rapporto fra studio e preghiera

Vincenzo come buon diretto del di Bérulle sentiva necessità del rapporto

fra studio e preghiera. In una conferenza del 1643 accenna a questo

rapporto:

«Studiare in modo che l’amore corrisponda alla conoscenza,

particolarmente per quelli che studiano la teologia; come faceva

il cardinale de Bérulle, che, appena appresa una verità, di innalzava

a Dio o per praticare tale virtù, o per eccitarsi a tali sentimenti,

o per produrne gli atti, e con questo mezzo acquistò una santità

e una scienza tanto solide, che raramente se ne potrà trovare

di eguali»31.

In fine conclude:

«E’ necessaria la scienza, fratelli, e sventurati coloro

che non spendono bene il loro tempo! Ma temiamo temiamo, fratelli,

temiamo e, oso asserirlo, tremiamo e tremiamo mille volte più

di quello che potrei dire; poiché quelli che hanno ingegno, hanno

molto da temere: scientia inflat (la scienza gonfia, 1 Cor 8,1);

e per quelli che non ne hanno è peggio ancore, se non si umiliano»32.

Costatiamo che la spiritualità berulliana mirava alle opere concrete.

L’incontro con cardinale de Berulle e con la sua spiritualistà significava

per Vincenzo l’inizio di una vita nuova, una vita davvero sacerdotale. Sotto

la sua direzione spirituale Vincenzo comincia a trovare Dio nella sua vita.

31 SV XI, p. 128.32 SV XI, p. 128.

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Page 52: Vita spirituale di San Vincenzo

6. Andrea Duval

L’armonia tra Vincenzo e il de Bérulle si concluse con una brusca rottura

verso nel 161833. Probabilmente questo fu il motivo per cui Vincenzo passò

dalla direzione spirituale del de Bérulle a quella di Andrea Duval (1564-

1638). È molto probabile che per qualche tempo le due influenze siano

state contemporanee essendo attento a quella del de Bérulle soltanto

sul piano professionale degli impegni e delle sue occupazioni,

più sottomesso a Duval, suo nuovo confessore e direttore spirituale

per tutto ciò che riguardava la sua coscienza.

Andrea Duval, teologo e giurista, prezioso consigliere di tutte

le iniziative della riforma in Francia, legato a Madame Acarie,

di cui scrisse la vita, maestro di de Bérulle e Condren, univa insieme

una profonda interiorità e una dottrina sicura. Nemico di ogni esagerazione

misticheggante ebbe sempre un insegnamento molto realistico.

Duval, meno brillante del de Bérulle, non era certamente meno saggio

di lui, era inoltre più disinteressato e più santo. Vincenzo dirà di lui

che «era un gran dottore della Sorbona ed ancor più grande per la santità

della sua vita»34. “Il buon signor Duval” – un'altra delle espressioni favorite

di Vincenzo quando parlava di lui35 – era famoso per il suo fervido

attaccamento alla Santa Sede. Era, nel significato francese del termine,

un ultramontano.

33 Poco prima c’era stata una grave crisi nel circolo berulliano. Il futuro cardinale era deciso a imporre alle carmelitane, come quarto voto comunitario, il voto di schiavitù a Gesù. Ma il progetto trovò l’appassionata resistenza di molte religiose e la decisa opposizione dell’altro superiore, Andrea Duval, che arrivò a proporre il caso al cardinale Bellarmino. Nel gennaio del 1618, de Bérulle ebbe con madame Acarie, divenuta carmelitana col nome di Maria dell’Incarnazione, un violento alterco, che sfociò in una rottura insanabile. Madame Acarie morì nell’aprile di quello stesso anno senza aver fatto la pace con Bérulle. Alcune carmelitane presero la grave decisione di abbandonare il loro convento di Parigi ed di rifugiarsi nei Paesi Baschi spagnoli. Sembra che Vincenzo non sia intervenuto direttamente nell’intricata questione, ma possiamo con sufficiente certezza ponsare con quale dei due partiti si sia allineato: quello di Duval. Se non ci fosse stato tra i due un grave conflitto, non si potrebbe spiegare l’animosità con cui, nel 1628, de Bérulle si oppose all’approvazione da parte della Santa Sede della Congragazione fondata dal suo ex discepolo. 34 SV XI, p. 154.35 SV XI, p. 100, 376.

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Page 53: Vita spirituale di San Vincenzo

Vincenzo aveva imparato da Benedetto di Canfield a sottomettersi

in tutto alla volontà di Dio, perché la volontà di Dio, sebbene di manifesti

nei movimenti interiori della grazia, lo fa ancor più chiaramente attraverso

le disposizioni date dai superiori fino a credere che la indifferenza di spirito

è il sigillo della soprannaturalità del progetto di fondazione

della congregazione. Aspettava sempre che la sicurezza di questa opera

fosse volontà di Dio. Andò a chiedere consigli in proposito al suo nuovo

direttore spirituale: Andrea Duval.

Vincenzo parlò a lui dettagliatamente dei suoi lavori,

delle sue esperienze, delle sue speranze. Parlò dell’indigenza spirituale

dei contadini, della loro ignoranza religiosa, della loro fame della parola,

della paurosa carenza di buoni pastori nelle parrocchie rurali, dei frutti

delle missioni, delle benedizioni che Dio spandeva su di esse. Fu un lungo

monologo con il quale mostrò la sua anima di fronte a quell’uomo, come

avrebbe fatto di fronte a Dio stesso. Infine si azzittì e aspettò la risposta

del suo direttore. Duval gli rispose con un’unica frase della Sacra Scrittura:

Servus sciens voluntatem Domini et non faciens, vapolabit multis36.

Era il mandato divino che andava cercando: non ebbe più dubbi. Dio

lo chiamava a dedicarsi interamente, con coloro che avessero voluto

seguirlo, alla missione di annunciare nelle campagne la parola di Dio,

a predicare, a catechizzare, ad ascoltare confessioni, a comporre discordie;

in una parola: a offrire tutti i servizi spirituali alle persone che vivono

nelle campagne. Grazie della “spinta di Duval”, suo direttore spirituale,

la fondazione della congregazione era decisa37.

Il suo direttore aiutò Vincenzo in parecchie occasioni, non soltanto

col consiglio della fondazione della congregazione ma anche

nelle controversie giuridiche o nel darle un volto definitivo.

36 Lc, 12, 47: «Il servo che conosce la volontà del Signore e non la compie riceverà molte frustate».37 Cfr. J. M. IBÁÑEZ, Vincente de Paul y los pobres de su tiempo, Salamanca 1977, p. 339.

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Page 54: Vita spirituale di San Vincenzo

Andrea Duval fu per Vicenzo un gran direttore spirituale

che in progresso di tempo sarà sostituito da Francesco di Sales.

7. Francesco di Sales

Francesco di Sales (1567-1622) è, cronologicamente, il terzo

gran direttore o maestro spirituale di Vincenzo. Anche lui era aristocratico

come il de Bérulle.

I suoi primi passi verso la santità non furono facili. Nel 1586 mentre

studiava a Parigi, aveva avuto un periodo di grave crisi di fede,

una tentazione di disperazione paragonabile a quella sulla fede di Vincenzo

all’inizio della sua “conversione”; la superò solo con l’abbandono

alla volontà divina. Seguì anche i corsi di teologia del famoso polemista

Antonio Passevino, che per un certo tempo ebbe come suo direttore

spirituale e, di ritorno in patria, deludendo le aspettative della famiglia

volle essere prete.

Ordinato sacerdote il 18 dicembre 1593, si dedicò alla missione

nel Chablais. Nel 1599 fu nominato vicario generale del vescovo

di Ginevra e nel 1602 divenne vescovo della stessa diocesi. Nel 1604

predicando il quaresimale a Digione, incontrò la baronessa Giovanna

Francesca Frémiot de Chantel, con la quale fondò il Monastero

della Visitazione di Santa Maria.

La dottrina spirituale di Francesco di trova soprattutto nelle sue opere

maggiori: L’Introduzione alla vita devota (1608) e il Trattato dell’Amore

di Dio (1610).

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Page 55: Vita spirituale di San Vincenzo

L’unione con Dio

Il punto di partenza del suo pensiero è l’uomo che vuole raggiungere

l’unione con Dio38. Egli intuì che molte persone avrebbero potuto

raggiungere la perfezione, se avessero conosciuto meglio i principi

della vita spirituale. Purtroppo, nel suo tempo, mancava un trattato

di carattere divulgativo, che in forma concisa e pratica esponesse

questi principi, facilitandone le applicazioni a tutte le condizioni di vita.

Nacque così la sua «Introduzione alla vita devota», in cui presentò,

in modo lucido, completo e magistrale, il concetto di perfezione evangelica,

alla portata di tutti. Francesco sosteneva che la santità è accessibile ad ogni

persona di qualsiasi condizione e stato sociale: laici e religiosi, sposati

e soli, uomini e donne, ricchi e poveri. Per raggiungere la perfezione

non è necessario conoscere a fondo il complicato mondo intellettuale

del suo primo maestro il de Berulle; è sufficiente il cammino semplice

e soave indicato da Francesco di Sales. Questo è il messaggio del libro:

La introduzione alla vita devota.

Essere devoto

Essere devoto “dovoué”, votato a Dio, è fine dell’uomo. Vincenzo

si domanda: “cosa significa essere devoto?” Il vero devoto è forse colui

che digiuna col cuore pieno di risentimento? Colui che recita numerose

preghiere e poi con il suo carattere si rende insopportabile a quelli di casa?

Colui che fa l’elemosina ai poveri e non perdona a coloro che lo hanno

offeso? No! La vera devozione è qualche cosa di molto diverso,

di ben intimo e radicato nell’anima, che informa e vivifica tutte le azioni

esterne. È soprattutto “amore di Dio”, è un’agilità spirituale

con cui la carità opera in noi e noi operiamo nella carità, osservando

38 Il salesianesimo si colloca sulla linea dell’umanesimo cristiano e nella storia viene spesso conosciuto sotto il nome, coniato da H. Bremond, dell’umanesimo devoto”.

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Page 56: Vita spirituale di San Vincenzo

con prontezza i comandi di Dio. Solo chi ama il Signore e adempie

la sua volontà è veramente devoto, perché amore e devozione sono la stessa

cosa e di fatto non possono sussistere l’uno disgiunto dall’altro.

Da questi principi il santo trae conclusioni pratiche, distruggendo

con sicurezza i pregiudizi del suo tempo circa il piccolo numero di coloro

che possono aspirare alla vita di perfezione. Ci si può santificare

in qualunque stato, in qualunque condizione di vita, occorre però voler

amare e amare realmente Dio39.

L’amore che il santo richiede non è un amore quietista, un amore fatto

solo di sentimenti e di desideri, ma un amore capace di compiere il bene,

un amore “attivo”, intenso, eroico, fatto di sacrifici.

Vincenzo come buon diretto insegnava una distinzione tra l’amore

affettivo e l’amore effettivo che più tardi tradusse nella pratica

delle sue opere. Spiega ai suoi preti:

«L’amore affettivo è la tenerezza nell’amore. Dovete amare Nostro

Signore teneramente e affettuosamente, come un bambino

che non può separarsi da sua madre e chiama: “Mamma” appena

la vede allontanarsi. Così un cuore che ami Nostro Signore non può

tollerare la sua assenza e si stringe a lui con quest’amore affettivo,

il quale produce l’amore effettivo. Poiché il primo non basta; bisogna

averli ambedue. Bisogna dall’amore affettivo passare all’amore

effettivo, che è l’esercizio delle opere della carità, il servizio

dei poveri eseguito con gioia, coraggio, costanza e amore»40.

39 Quest’amore, a cui Francesco di Sales dedicò la seconda grande opera, “Il trattato dell’amore di Dio”, fu l’anima della sua spiritualità; per quest’egli fu definito il santo dell’amore. Tale titolo giustamente gli appartiene, come osserva T. Mandrini, «perché nella spiritualità salesiana l’amore non è solamente la meta della vita spirituale, ma anche il principio ed il mezzo per salire a Dio. Con quest’affermazione non vogliamo dire che San Francesco di Sales sia stato l’inventore dell’ascetica dell’amore divino, poiché altri santi prima di lui ci diedero di trattati mirabili su tale argomento. Ma vogliamo soltanto affermare che lui fu il vero fondatore dell’ascetica dell’amore, perché nelle sue opere seppe codificare i divulgare tuta la dottrina cristiana dell’amore, come fonte, mezzo e temine della santità». Cfr. T. MANDRINI, La spiritualità di San Francesco di Sales, Milano, 1938; L. COGNET, La spiritualità moderna, Bologna 1973-74, pp. 67-99.40 SV IX, p. 592.

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Page 57: Vita spirituale di San Vincenzo

Quest’amore cresce e diventa attivo e fecondo innanzitutto attraverso

la preghiera che purifica ed eleva e di cui devono far uso frequente

le anime devote e desiderose di perfezione.

Vincenzo entrò in contatto con Francesco di Sales nel novembre 1618,

quando santo era stato inviato a Parigi in missione diplomatica e subito

gli si affezionò, con entusiasmo, perché trovò in quel vescovo quello

che aveva invano cercato nel de Bérulle: “un santo”. Egli era diventato

per Vincenzo un gran modello nella vita spirituale e anche il suo terzo

grande direttore spirituale. I punti di contatto fra il vescovo di Ginevra

e Vicenzo furono numerosi.

Il metodo di preghiera

Da Francesco Vincenzo apprese anche il metodo di preghiera

che insegnerà ai suoi preti missionari.

«Il caro Vescovo di Ginevra ha insegnato ai suoi religiosi un altro tipo

di preghiera che possono fare anche i malati: di tenersi cioè,

con dolcezza, davanti a Dio, mostrargli i nostri bisogni, senz’alcuna

altra applicazione spirituale… Si fa dunque una buona preghiera

mantenendosi in tal modo alla presenza di Dio, senz’alcuno sforzo

di pensiero o di volontà»41.

Vincenzo presente il metodo dell’orazione, che consiste in tre parti:

la preparazione, il corpo dell’orazione e la conclusione.

41 P. COSTE, Oeuvres completes de Saint Vincent de Paul, vol.III, Ed. Gabalda, Parigi 1920-1925, p. 390.

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Page 58: Vita spirituale di San Vincenzo

Adesione completa alla   volontà di Dio

Il Francesco Sales inculca a Vincenzo anche il senso dell’adesione

completa alla volontà di Dio così come lo spiegherà nella conferenza del 17

agosto 1657 alle Figlie della Carità:

«Esse faranno il possibile per adottare la bella pratica tanto

raccomandata dai santi e così perfettamente osservata nelle comunità

ben ordinate, ossia di nulla chiedere e nulla ricusare di quello che

si riferisce alle cose terrene. Se tuttavia hanno grande necessità

di qualcuna di queste cose, potranno chiederla semplicemente

e con indifferenza alle persone cui spetta provvedervi;

e poi rimarranno tranquille, sia che gliel’accordino o no»42.

La mansuetudine

Vincenzo che era preoccupato del suo brutto carattere43voleva cambiarlo,

voleva essere accessibile e comunicativo. La mansuetudine del Francesco

di Sales era una rivelazione che voleva assimilare. Tanto che un giorno,

forzato a letto dalla malattia, Vincenzo, ricordando Francesco di Sales,

proruppe in questa esclamazione: «Quanto sei buono, mio Dio, se così mite

e amabile è Francesco di Sales, tua creatura! »44.

Francesco di Sales, ebbe una grande influenza sulla formazione

della personalità sacerdotale e spirituale di Vincenzo e nel proporre,

ai suoi seguaci, una sana dottrina ed una prassi illuminata. Da lui Vincenzo

apprese l’amor di Dio e tante altre virtù e lo seguì con gioia piena

e con grande entusiasmo fino alla fine della sua vita. Si lasciava trascinare

ad altezze mistiche, dove, per umiltà credeva di non poter rimanere.

42 VINCENZO DE’ PAOLI, Conferenze spirituali alle Figlie della Carità, ed a cura di L. Mezzadri, Ed.. Vincenziane, Roma 1980, pp. 1073-1079.43 Vincenzo per il suo temperamento e carattere non era un uomo tranquillo e affabile. Spesso accusava il suo carattere duro e aggressivo. Più che in esplosione di collera, era la durezza di ripiegamento su se stesso, di triste malinconia. 44 SV XIII, p. 78.

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Page 59: Vita spirituale di San Vincenzo

CAPITOLO IV.

VINCENZO DIRETTORE SPIRITUALE

Come Vincenzo realizzava nella sua vita la direzione spirituale, o quale

era la molla principale della sua direzione spirituale? Non è facile

rispondere a queste domande e scoprire il segreto del santo, se si tiene

conto del fatto che gli non fu autore spirituale come i suoi contemporanei

(il cardinale de Berulle, Francesco di Sales e tanti altri.), e non compose,

eccetto del “regole comuni” per i Missionari e per le Figlie della Carità1,

nessuna opera sistematica.

Nonostante ciò, una risposta sembra possibile, perché egli lasciò

una produzione letteraria che, pur essendo di carattere occasionale,

è tuttavia ricca ed assai ampia e si trova nell’edizione critica, preparata

e pubblicata da P. Coste e completata da A. Dodin.

In questo capitolo vorrei accennare a due metodi, che Vincenzo usava

nella direzione spirituale. Il primo era fatto di scritti (lettere) o conferenze

e il secondo era costituito dai diversi azioni con le quali si formavano tante

persone. Alla fine di questo capitolo accennerò ai vari mezzi raccomandati

di Vincenzo nella direzione spirituale.

1. Scritti di San Vincenzo

Vincenzo non ci ha lasciato un’esposizione sistematica del suo pensiero,

forse, a motivo della sua umiltà o anche per l’urgenza degli innumerevoli

bisogni cui doveva rispondere.

Però la sua è certamente una dottrina spirituale molto profonda, vissuta

ed interiorizzata nella preghiera e nel confronto mistico, tra gli avvenimenti 1 VINCENT DE PAUL, Regulae seu Constitutiones Congregationis Missionis, Paris 1658 (in italiano: Constituzioni e Regole della Congregazione della Missione, Parigi 1955); Règles des Filles de la Charité, servantes des pauvres malades, verrano pubblicate nel 1672 a Parigi, sotto il generalato del padre P. Almeras, primo successore di San Vincenzo (ried., Paris-Roma 1975).

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Page 60: Vita spirituale di San Vincenzo

della vita e la volontà di Dio. Ciò che il suo spirito intuiva nell’orazione

lo traduceva subito in esperienza di vita, perciò possiamo dire

che il suo insegnamento è una sintesi meravigliosa di una dottrina,

approfondita nella riflessione teologica e spirituale e sperimentata

negli avvenimenti della vita quotidiana, letti alla luce della volontà di Dio,

espressa nel Vangelo.

Il fatto che Vincenzo non si sia preoccupato di dare una struttura

scientifica al suo pensiero lo si può capire così: Le sue opere sono

un capolavoro di saggezza nelle quali non mancano passi molto ricchi

anche di eleganza letteraria. Nella sua lunga vita di apostolato

fecondissimo, certamente Vincenzo ha parlato e scritto moltissimo

e se avessimo tutte le sue lettere e fossero stati raccolti tutti i suoi discorsi,

avremmo assai di più dei dodici volumi, in ottavo grande, che il signor

Pietro Coste CM ci ha dato fra il 1920 e il 1923, prima di scrivere

i tre volumi della biografia.

Per noi rimarrà sempre un mistero, come Vincenzo abbia potuto fare,

a parlare e a scrivere tanto.

Tutto quello che si è potuto raccogliere degli scritti, e dei discorsi

di Vincenzo, è stato pubblicato dal Coste; otto volumi

per la Corrispondenza (lettere) e quattro per le Conferenze. Gli scritti

e i documenti sono sicuramente di Vincenzo; le conferenze ai Preti

della Missione e alle Figlie della Carità furono ricostruite su appunti presi

subito da qualcuno dei presenti (il segretario Ducourneau, santa Luisa

ed altri) o sulle tracce lasciate da lui; non sono dunque autografi

ma sicuramente autentici2. Come abbiamo gia detto, Vincenzo non dettò

mai e neppure scrisse un’esposizione organica del suo pensiero

e del suo metodo ma, sotto un argomento, a prima vista occasionale,

si sente che c’è un disegno organico e premeditato. Il Coste così si esprime:

2 Cfr. Annali della Missione, Ed. Vincenziane, Roma, anno 1971 (1964), n. 5-6, p. 313.

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Page 61: Vita spirituale di San Vincenzo

«La bocca parlava con abbondanza del cuore, il tempo passava senza

che nessuno se ne accorgesse, e, quando l’orologio annunziava

il momento di finire, Vincenzo De’ Paoli, sorpreso, aveva ancora

molto da dire… Non cercava né pensieri né frasi: tutto sgorgava come

da una sorgente»3.

Egli era, dice il Bossuet, quel ministro che, secondo l’espressione

di Pietro, parla di Dio in una maniera così alta che Dio stesso sembra

esprimersi per bocca sua4.

1.1 Corrispondenza – parola scritta

Vincenzo era un uomo che aveva numerose relazioni, perciò abbondante

è stata anche la sua corrispondenza. Si valuta a più di 30.000 il numero

delle lettere uscite dalla penna del santo o dei suoi segretari5. Oggi,

ne rimangono ben poche. Se ci atteniamo alle lettere di cui abbiamo il testo

completo, esse sono 1.800; comprendendo quelle delle quali ci rimane

qualche frammento, ascendono a 3.500. Possediamo ancora l’originale

di un buon numero di esse e delle lettere Vincenzo si serviva spesso

come una sua forma per la direzione spirituale.

Scriveva soprattutto ai suoi collaboratori: a Luisa de Marillac

più che a ogni altra persona, poi ai superiori delle missioni di Marsiglia,

Torino, Roma, Varsavia, Genova, ai quali inviava una lettera per settimana,

convinto com’era che una delle fonti d’energia per la comunità stessa

era contenuta in quello scambio di notizie che era circolazione di vita.

3 SAN VINCENZO DE’ PAOLI, Conferenze ai Preti della Missione, ed. con note di Pietro Coste, trad. ital. Di Carla Albergotti, Ed. Vincenziane, Roma 1959, Introduzione, p. 6. 4 Cfr. Annali della Missione, Ed. Vincenziane, Roma, anno 1982 (1975), n. 2, aprile-giugno, p. 123.5 Cfr. SV, I, Intr., p. XI. Nel 1645 la corrispondenza era divenuta tanta che il santo dové valersi di un segretario, il fedele fratello Bertrando Ducournau, a cui ne aggiunse, dopo un anno, un secondo, il fratello Luigi Robineau. In ogni lettera vi è un po’ di cuore di Vincenzo, dei suoi sentimenti semplici e sinceri, illuminati da una fede profonda. La firma è Depaul, o Vincent Depaul o V.D.P. Cfr: I. GIORDANI, San Vincenzo De’ Paoli, servo dei Poveri, Ed. Vincenziane, Roma 1981, p. 403.

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Page 62: Vita spirituale di San Vincenzo

Scriveva anche lettere autobiografiche sulle povere, anche lettere politiche,

teologiche, sulle fondazioni ma non dimenticava di scrivere lettere

con le quali voleva accompagnare le persone ad essere più perfette

nella vita spirituale.

Vincenzo non aveva nelle sue lettere la dolcezza di Francesco di Sales,

neppure l’insinuante erudizione di Saint-Cyran o la vellutata superiorità

del de Bérulle. Sembrava dimesso, semplice, perfino superficiale

nei suoi consigli; mai una citazione dotta, mai un volo pindarico. Stava

sempre con i piedi per terra.

Tra tutte le lettere scritte da Vincenzo, quelle sulla direzione spirituale,

c’interesseranno maggiormente.

Luisa de Marillac

La persona maggiormente guidata di Vincenzo era Luisa de Marillac.

Manifestava più fervore nella carità ma come persona, era un po’

complicata. Vincenzo aveva cominciato a trasformarla spiritualmente.

La corrispondenza a Luisa ci svela un altro dei talenti di Vincenzo:

la sua arte di dirigere le coscienze. Le sue lettere sono piene

di interessamenti affettuosi, espressi con parole amorevoli e persino tenere

di cui aveva bisogno la tormentata vedova Le Gras6.

La direzione spirituale di Vincenzo mira a farle superare le sue paure,

a metterla in uno stato di perfetta indifferenza e di fiducia nell’amore

misericordioso di Dio: «State molto allegra con la disposizione di volere

tutto quello che Dio vuole»7. Oppure le consiglia:

6 Luisa de Marillac era vedova fin dal 21 dicembre 1625. Suo marito, Antonio Le Gras, era morto, dopo lunga e penosa malattia, ma con una grande pace di spirito. Luisa al mattino dopo la notte in cui era morto il marito, andrò in chiesa per confessarsi, comunicarsi e soprattutto consacrarsi a Gesù, come all’unico sposo dell’anima sua. Cfr. J. M. ROMÁN, San Vinzenzo de’ Paoli, a cura di E. Guerriero, Ed. Jaca Book, Milano 1986, p.174.7 SV I, p. 39 (tr. it. I. p. 86).

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Page 63: Vita spirituale di San Vincenzo

«Procurate di viver contenta pur tra i motivi che avere di malcontento

e onorate sempre la vita in apparenza inattiva e nascosta del Figlio

di Dio. Qui deve essere il vostro centro. Questo egli domanda da voi

ora e in seguito, sempre. Se la sua divina Maestà, non vi fa conoscere,

in modo che escluda l’inganno, che egli voglia qualche altra cosa

da voi, non ci pensate, e non occupate mai la vostra mente

in quest’altra cosa. Confidate in me, penso abbastanza per tutti

e due”8. “Leggete il libro Dell’amor di Dio (il Trattato dell’Amore

di Dio di Francesco di Sales), specialmente la parte che tratta della

volontà di Dio e dell’indifferenza”9. “E perché non sarebbe l’anima

vostra piena di confidenza, poiché essa è la cara figliola di Nostro

Signore, per sua misericordia?»10.

Luisa doveva distaccarsi anche dall’attaccamento ad alcune pratiche

di pietà, che per il suo temperamento meticoloso e portato allo scrupolo,

costituivano più un ostacolo che un aiuto sulla via della perfezione. Doveva

assolutamente imparare a distinguere tra le cose fondamentali l’amore

di Dio e tra quelle accessorie gli atti di devozione. I consigli di Vincenzo

la incamminavano dolcemente verso quest’obiettivo. Una volta le scrisse:

«Quanto ai trentatré atti della santa umanità ed agli altri,

non vi affliggete se vi avviene di mancarvi. Dio è amore e vuole

che si vada a lui attraverso l’amore. Non vi tenete dunque punto

obbligato a compier tutti questi buoni propositi. Mi piace la pratica

della devozione a Maria, purché proceda soavemente»11.

La lettera del maggio 1631 scritta a Luisa è molto forte:

non ci si avvicina a Dio stando lontani dalla comunione:

8 SV I, p. 62 (tr. it. I. p. 101-102).9 SV I, p. 86 (tr. it. I. p. 135).10 SV I, p. 90 (tr. it. I. p. 140).11 SV I, p. 86 (tr, it. I. p. 135).

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Page 64: Vita spirituale di San Vincenzo

«Quanto alla pena interiore che vi ha fatto recedere dalla santa

comunione, vi dico che avete fatto male. Non vedete

che è una tentazione? E sta bene, in questo caso darla vinta al nemico

della santa comunione? Credete voi di divenir più degna d’avvicinarvi

a Dio, con l’allontanarvi da Lui invece che con l’avvicinarvi? Oh!

Certo, è un’illusione»12.

Giacomo Tholard

Vincenzo mandava anche ad altre persone lettere con consigli spirituali.

Il 26 agosto 1640 cosi consigliò il sacerdote Giacomo Tholard, tentato

contro la castità nell’esercizio del sacerdozio:

«Ho ricevuto la vostra con la consolazione che Nostro Signore sa,

in risposta alla quale vi dico che non dovete preoccuparvi

per le tentazioni che vi assalgono confessando, né per i loro effetti.

Questo fatto avviene in alcuni naturalmente nel vedere od udire

delle minime cose che inducono a questo, in altri poi per suggestione

dello spirito maligno che vuol distoglierci dal bene che si fa

in quell’azione divina. Né nell’una né nell’altra maniera offendiamo

mai Iddio, né mortalmente né venialmente, finché questi accidenti

ci dispiacciono nella parte più nobile dell’anima. La maggior parte

dei confessori, o almeno parecchi, agli inizi sono tormentati da tali

miserie quando si danno a questo santo ministero, ma poi, a poco

a poco, le cose che sentono non s’imprimono più

nella loro immaginazione, “quia in assuetis non fit passio”13. Un santo

vescovo che soffriva queste cose nel battezzare le donne

per immersione, come si usava nei primi tempi della Chiesa,

avendo pregato Iddio parecchie volte che lo liberasse

da quelle tentazioni e non essendo stato esaudito, perse infine

12 SV I, pp.170-171.13 Adagio scolastico molto conosciuto. Il senso è: l’abitudine indebolisce la sensibilità della passione.

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Page 65: Vita spirituale di San Vincenzo

la pazienza e si ritirò nel deserto. Là, Iddio gli fece vedere tre corone,

una più ricca dell’altra, che gli aveva preparato se avesse perseverato

e delle quali egli meritava solo la meno preziosa, perché non aveva

avuto fiducia in Lui che l’avrebbe preservato dal soccombere

alla tentazione, poiché Egli permetteva che fosse tentato nell’ufficio

della sua vocazione»14.

In queste lettere, che Vincenzo scrisse in preponderanza a Luisa

de Marillac, vediamo come guidava le anime a lui affidate.

Vorrei accennare anche alle lettere di Vincenzo nelle quali spiegava

l’importanza della direzione spirituale, le ragioni che la rendono importante

e le virtù di cui deve essere dotato il direttore spirituale.

La direzione spirituale delle anime:

E’ opera più divina che umana.

«Quanto grande e sublime credete che sia l’ufficio del governo

delle anime, l’ufficio di coltivare e dirigere gli spiriti di cui Dio solo

conosce i movimenti? Ars artium, regimen animarum15. Perciò

dovete concepire la più alta stima di quello che andate a compiere.

Certamente non vi è nulla di umani in questo; non è opera di un uomo,

ma è opera di Dio. Grande opus. È la continuazione di quello che fece

Gesù Cristo.

Gesù Cristo, dice San Paolo “è lo splendore del Padre”16;

e San Giovanni dice che è “la luce che illumina tutti gli uomini

che vengono al mondo”17. E siccome tenete il posto di Nostro Signore,

14 SV V, pp. 58-61.15 La direzione spirituale delle anime è arte delle arti. La frase è di s. Gregorio Nazianzeno (ca 329-389/90): «Nam profeto ars quaedam artium et scientia scientiarum mihi esse videtur hominem regere, animal omnium maxime varium et multiplex» (MG 34, 413 C). San Vincenzo la riprende più probabilmente da San Gregorio Magno (535-604), Liber pastoralis curae, PL 77, 14: «Ars est artium regimen animarum». Vedi Pérez Flores, o. c., p. 500.16 Ebr 1, 3.17 Gv 1, 8.

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Page 66: Vita spirituale di San Vincenzo

così pure occorre che siate, a suo esempio, una luce che illumina

e riscalda.

Vediamo che le cause superiori influiscono sulle inferiori;

per esempio, gli angeli di una gerarchia superiore rischiarano,

illuminano e perfezionano le intelligenze di una gerarchia inferiore;

parimente, il superiore, il pastore e il direttore deve purificare, unire

a Dio le anime affidategli da Dio medesimo.

E come i cieli inviano i loro benefici influssi sulla terra, così anche

coloro che sono sopra agli altri devono riversare su di essi lo spirito

fondamentale che deve animarli; perciò dovete essere pieni di grazia,

di luce, di opere buone, come il sole che vediamo comunicare

la pienezza della sua luce agli altri astri»18.

Dirigere le anime esige un grande spirito soprannaturale

e una grande unione con Dio.

«In questa opera l’industria umana non può altro che guastar tutto,

se Dio non se ne occupa. No, signore, né la filosofia, né la teologia,

né i discorsi operano nelle anime; è necessario che Gesù Cristo

se ne occupi con noi, e noi con lui; che operiamo in lui e lui in noi;

che parliamo come lui e nel suo Spirito, come egli stesso era nel Padre

suo, predicando la dottrina che gli aveva insegnato; è la Sacra

Scrittura che lo dice. Dovete dunque, signore, spogliarvi di voi stesso

per rivestirvi di Gesù Cristo.

Sapete che le cause ordinarie producono effetti della stessa natura;

un montone genera un montone…, e un uomo un altro uomo;

parimente, se chi dirige gli altri, chi li forma, chi parla loro,

non è animato che dallo spirito umano, quelli che vedranno,

ascolteranno e si studieranno di imitarlo, acquisteranno un modo

di fare tutto umano: non ispirerà loro, qualunque cosa dica o faccia,

se non l’apparenza della virtù, mai la sostanza; comunicherà lo spirito

18 VINCENZO DE’ PAOLI, Perfezione evangelica, a cura di un prete della missione, Ed. Vincenziane, Roma 1983, p. 954. Conferenze ai Missionari: Avvertimenti ad Antonio Durand.

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Page 67: Vita spirituale di San Vincenzo

di cui egli stesso sarà animato, come vediamo i maestri imprimere

le loro massime e i loro modi di fare nella mente dei loro discepoli.

Una cosa importante, alla quale dovere applicarvi con gran cura,

è di avere molta comunicazione con Nostro Signore nell’orazione;

quello è il serbatoio dove troverete le istruzioni necessarie

per esercitare bene l’ufficio affidatovi»19.

Ragioni a favore della direzione spirituale:

L’esempio di Nostro Signore e dei santi.

«Non dobbiamo fare niente senza consigliarci con chi è stato

designato da Dio per consigliarci, purché non siamo costretti

a fa diversamente per necessità. Gesù Cristo era padrone supremo

di Maria e di Giuseppe, e, nonostante ciò, non faceva nulla senza

il loro parere»20.

Gli altri vedono meglio i nostri difetti.

«Chi viene di fuori ed è stato qualche tempo assente dalla casa, scorge

i difetti molto meglio di quelli che non si sono mai mossi»21.

Guidarsi da sé è avere una guida pazza.

«Fu domandato un giorno ad un santo personaggio chi fosse

il suo direttore. Egli rispose: “Prendo consigli dal tale”. – “Ma,

voi che siete un dottore, perché non vi servite della vostra scienza per

dirigervi?”, gli replicarono. – “Se dovessi dirigermi da me stesso,

soggiunse il sant’uomo, avrei una guida pazza”»22.

L’avere una guida è di grande aiuto e conforto.

19 VINCENZO DE’ PAOLI, Perfezione evangelica, a cura di un prete della missione, Ed. Vincenziane, Roma 1983, p. 954. Conferenze ai Missionari: Avvertimenti ad Antonio Durand, 1656.20 Ib. /ibid., p. 793. Lettera a Giovanni Barreau, 6 settembre 1646.21 Ib. /ibid., p. 792. Conferenze ai Missionari: Come fare orazione, 16 agosto 1655.22 Ib. /ibid., p. 794. Conferenze alle Figlie della Carità: La fiducia nella Provvidenza, 9 giugno 1658.

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Page 68: Vita spirituale di San Vincenzo

«O figlie mie, le piccole pene della vita non sono più pene

con quel conforto, o, se ve ne rimangono, Dio vi farà grazia di amarle

per amor suo»23.

Il direttore spirituale:

Il vero direttore delle anime è Nostro Signore.

«Nostro Signore farà Egli stesso l’ufficio di direttore; sì, certamente

lo farà, ed in maniera tale da mostrarci chiaramente che è proprio

Lui»24.

Deve avere una grande umiltà e fuggire da ogni smania di novità.

«Un’altra cosa che vi raccomando è l’umiltà di Nostro Signore.

Soprattutto, non abbiate la smania di volervi distinguere nella vostra

direzione. Desidero che non ostentiate nulla di particolare,

ma seguiate sempre viam regiam (la via regale), quella gran via,

per camminare con sicurezza e senza riprensione. Non introducete

nulla di nuovo, ma osservare le norme stabilite»25.

Deve avere insieme fermezza e dolcezza.

«Per ben dirigere bisogna essere fermi e irremovibili quanto al fine,

dolci e umili quanto ai modi»26.

Deve pensare che le anime gli sono mandate da Dio stesso ed egli alle anime.

«Gesù Cristo fu dato da Dio agl’Israeliti per riscattarli, e questi a Gesù

Cristo per essere riscattati; e il profeta Elia fu dato alla vedova

di Sarepta per ottenere da Dio un figlio, e reciprocamente la vedova

fu data al profeta per soccorrerlo nella sua penuria. E non bisogna

pensare che siamo dati casualmente agli esercizianti per direttori,

23 Ib. /ibid., p. 794. Conferenze alle Figlie della Carità: Sulla spiegazione della regola, 14 agosto 1643.24 Ib. /ibid., p. 794. Lettera a Luisa, 30 ottobre 1625.25 Ib. /ibid., p. 956. Conferenze ai Missionari: Avvertimenti ad Antonio Durand, 1656.26 Ib. /ibid., p. 794. Lettera a Francesco Dufestel, 20 settembre 1642.

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Page 69: Vita spirituale di San Vincenzo

ma che Dio ci ha eletto per questo, e che conducendoli qui, ha scelto

un tale, Pietro, Giovanni, Antonio, per essere loro direttore; e gli dà

grazia per dirigerli, tanto che quando il superiore o un altro ci applica

a dirigerli, dobbiamo alzare il cuore a Dio e dirgli: “Mio Dio,

me lo mandate voi, datemi la vostra grazia”: e prima di fare altra cosa

prostriamoci umilmente davanti al Santissimo Sacramento dell’altare e

diciamo al Signore: “Mio Dio, ecco che voi mi mandate un’anima

redenta dal vostro preziosissimo Sangue e volete che io l’aiuti

ad approfittare di quel Sangue benedetto sparso per essa, affinché

possa dire al giudizio universale che io sono il suo corredentore,

insieme a voi mio Dio; io vi ringrazio”; o qualche cosa di simile,

ecc.»27.

1.2 Conferenze spirituali – parola parlata

Insieme alla parola scritta, quella parlata occupava gran parte del tempo

dedicato da Vincenzo al lavoro. Settimanalmente lo attendeva una media

di sei interventi pubblici: parlava ai Missionari, alle Figlie della Carità,

senza contare altri interventi più spaziati nel tempo nelle assemblee

delle dame, nei conventi della Visitazione o in riunioni dirette

ad altre associazioni.

Il metodo era sempre lo stesso: la conferenza, o, per usare l’espressione

francese da lui impiegata, l’entretien, su argomenti già meditati durante

la preghiera. Questo era un’altra forma, che Vincenzo usava

nella sua direzione spirituale che portò ricchi frutti. Vincenzo cominciava

con il far parlare gli ascoltatori – Missionari o Figlie della Carità –, che

erano già conoscere del tema della conferenza. Era uno scambio familiare

iniziale di punti di vista, che Vincenzo, soprattutto con la Figlie

della Carità, commentava a mano a mano, mettendo in risalto le idee

indovinate per confermarle con la sua autorità nell’animo di tutti. A volte, 27 Ib. /ibid., p. 956. Conferenze ai Missionari: Come occuparsi degli esercitandi.

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alcuni degli interpellati si rifiutavano di parlare per mancanza

di preparazione, per pigrizia, per vanità o falsa modestia, allora Vincenzo

li rimproverava; a volte invece, gli interventi erano spontanei e Vincenzo

doveva mettere un limite alla valanga degli oratori. Alla fine,

egli riassumeva i pensieri esposti e faceva le sue considerazioni personali

che costituivano il nucleo fondamentale della conferenza28.

1.2.1 Conferenze alle Figlie della Carità

La prima conferenza alle Figlie della Carità è dal 31 luglio 1634.

La comunità era ai suoi inizi. Alla prima conferenza parteciparono

12 suore, nella casa di Luisa de Marillac, poi il numero aumentò,

raggiungendo fino ad 80 o 100 suore. Le suore si diffusero anche in altri

luoghi, cambiarono casa, assunsero nuove opere. Per evitare

che la dilatazione dell’opera rompesse il legame comunitario, Vincenzo

utilizzava lo strumento delle conferenze che si tenevano nella casa madre

di Parigi, che durante la vita del santo fu trasferita in luoghi diversi.

Il soggetto della conferenza era fatto conoscere in precedenza attraverso

un biglietto sul quale tracciava lo schema: natura del tema, motivi, mezzi29.

Le suore si preparavano; quelle che sapevano scrivere portavano con sé

gli appunti, mentre le altre supplivano con la buona volontà e la memoria.

Comunque all’inizio questo metodo si rivelò difficile per le suore

ed occorreva aiutarle. Per questo il santo propose un più fitto e vivace dialogo

fatto di domande e risposte30. I risultati non si fecero attendere. Quando

egli arrivava, si creava immediatamente una calda e familiare atmosfera;

subito si sentiva la ricca personalità e spiritualità del santo. Il contatto

con l’uditorio era per lui facile: parlava in modo semplice, non si serviva

di metafore difficili ed evitava i concetti complicati. Le sue grandi citazioni

28 Cfr. J. M. ROMÁN, San Vinzenzo de’ Paoli, a cura di E. Guerriero, Ed. Jaca Book, Milano 1986, p. 238.29 Cfr. SV IX, p. 398, 450.30 Cfr. SV IX, p. 94.

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Page 71: Vita spirituale di San Vincenzo

erano la Bibbia e la vita. Le suore in questo clima si sentivano aiutate,

rispondevano, potevano porre questioni, talvolta si umiliavano. Le formalità

erano ridotte al minimo, perciò gli scambi erano spontanei.

La frequenza delle conferenze era varia. All’inizio gli intervalli di tempo

fra l’una e l’altra era più lungo: ogni 15 giorni31. Poi gl’incontri divennero

più frequenti: si ritrovavano la domenica e talvolta anche durante

la settimana.

Durante la conferenza una suora incaricata e soprattutto Luisa

de Marillac, prendevano gli appunti i quali, integrati dai foglietti

delle suore, venivano completati. Si faceva quindi un lavoro di redazione

che spesso il santo stesso rivedeva32.

È certo che non sono state conservate tutte le conferenze. In un arco

di 26 anni ne abbiamo 120, di cui 119 sono del santo e una del direttore

delle suore il padre A. Portail33, così suddivise:

1634 – 1640 5

1641 – 1650 42

1651 – 1660 73

Dei quaderni scritti dalle prime suore, più della metà sono andati perduti:

non rimangano che 54 conferenze: 20 scritte da Santa Luisa, 16 da Suor

Elisabetta Hellot, 16 da Suor Maturino Guerin, 2 da S. Giuliana Loret.

Conosciamo le altre da copie posteriori. Luisa de Marillac ne custodiva

i manoscritti con venerazione; similmente le superiore che le succedettero.

Verso il 1670, suor Maturina Guérin, allora a capo della Compagnia,

ne fece altre per diffonderle nelle diverse case delle Figlie della Carità,

ma purtroppo, sia i copisti del XVII e del XVIII secolo, come gli editori

del secolo XIX, si presero la libertà di rinnovare lo stile, di sopprimere

31 Cfr. SV IX, p. 15.32 Cfr. SV II, p. 358; III, p. 23.33 Le conferenze sono così divise: dal 1634 al 1640 – cinque; dal 1640 al 1650 – quarantadue; dal 1651 al 1660 – settantatrè.

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Page 72: Vita spirituale di San Vincenzo

ciò che non andava a genio e, quel che è paggio, di amplificare,

trasportando ai tempi di Vincenzo, usi posteriori delle Figlie della Carità.

Il Coste ha stroncato queste contraffazioni ritornando ai manoscritti

primitivi; però anche lui, ha creduto bene ritoccare qua e là il testo, perché,

secondo la sua convinzione, non c’era ragione di rispettare gli errori

grammaticali e le frasi scorrette e incompiute dei copisti, che avrebbero

reso impossibile la lettura, specialmente in pubblico, di queste conferenze34.

Avendo presente tutto questo, si può affermare con tutta tranquillità

che le conferenze non riportano tutte le parole di Vincenzo, non essendo

in possesso di resoconto stenografico. Il loro autore è la comunità

con il fondatore, la fondatrice, le varie redattrici, ma anche la voce del coro.

L’essenziale del pensiero del santo è però stato trasmesso ed è ciò

che conta maggiormente anche dal punto di vista della direzione spirituale

del fondatore35.

34 Cfr. SV Introduzione, pp. XXIII-XXIV.35 Cfr. SAN VINCENZO DE’ PAOLI, Conferenze spirituali alle Figlie della Carità, a cura di L. Mezzadri, Roma 1980, Intr., p. XVII, XIX.

71

Page 73: Vita spirituale di San Vincenzo

1.2.2 Conferenze e trattenimenti con i Missionari

Durante le conferenze con le Figlie della Carità, Vincenzo permetteva

che si prendessero appunti. La sua abitudine nei riguardi dei missionari,

sotto quest’aspetto, era totalmente diversa: se avesse saputo che qualcuno

prendeva note, si sarebbe opposto. Contrario a scrivere libri, pensava

che il suo insegnamento per sua natura così semplice, non dovesse essere

conservato. Non tutti però pensavano allo stesso modo e all’uscita

dalla chiesa, qualche uditore ricostruiva per scritto la trama

di una conferenza o di un’allocuzione. Dal 1657, il fratello Bernardo

Ducournau, fedele segretario del santo, fu ufficialmente e segretamente

incaricato dai P. Almeras e Dehorgny di occuparsi di questo delicato

compito. Lo zelante segretario si mise al lavoro, ma di Vincenzo

non rimanevano più che tre anni di vita. Nonostante ciò alla morte

del santo, egli aveva materia per due o tre grossi volumi che tuttavia

costituiscono una minima parte (l’1/40) del ricco tesoro che il santo aveva

trasmesso ai missionari dal 162536. Vincenzo infatti parlava loro spesso:

riuniva la comunità almeno tre volte la settimana: il mercoledì

e la domenica per la ripetizione della meditazione; il venerdì nel capitolo

del mattino; tutti i venerdì in chiesa per tenere la conferenza durante

le preghiere della sera. Ogni tanto, se riteneva opportuno, si rivolgeva

in brevi allocuzioni a singoli gruppi di missionari.

Le conferenze

Loro ci danno l’insegnamento più sostanziale e meglio costruito

del santo. Rivolgendosi ad un uditorio che non aveva né disposizione

né pretese di teologi e di spiriti ricercati, Vincenzo preparava

accuratamente la sua “esposizione”. La riunione durava circa un’ora

36 Cfr. A. DODIN, Saint Vincent de Paul et la charité, Paris 1960, p. 60.

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Page 74: Vita spirituale di San Vincenzo

ed era in generale dedicata alla spiegazione delle regole. Possediamo

ancora il testo di 31 grandi riassunti di tali conferenze.

Le ripetizioni dell’orazione

Loro duravano molto meno delle conferenze, ma erano più frequenti.

Il santo teneva molto a questa pratica, tutta nuova secondo lui,

nella Chiesa37. Alcuni minuti prima della fine della meditazione

del mattino, raccoglieva intorno a sé i suoi confratelli e domandava a tre

o quattro di far parte brevemente della loro orazione; in seguito prendeva

la parola lui stesso e spesso, profittando dell’occasione, dava vari avvisi

riguardanti la vita della Congregazione38.

L’ispirazione d’istaurare questa pratica poteva esser venuta al santo

dall’esempio di Mme Acarie che comunicava i pensieri avuti

nella preghiera alla sua serva39; oppure, molto più probabilmente, furono

i felici risultati della preghiera collettiva degli Oratoriani romani,

che lo convinsero ad introdurre nella propria Congregazione

questo esercizio assai originale40. In 35 anni il santo ha potuto presiedere

circa 10 mila ripetizioni d’orazione. Noi ne possediamo solo 52,

in maggioranza degli anni 1655-1657.

Gli avvisi

Loro, che Vincenzo dava durante il capitolo settimanale sono più e meno

dello stesso genere delle ripetizioni dell’orazione, ma il loro stile è ancor

più spontaneo. Egli profittava di queste occasioni, che noi oggi

chiameremmo “revisione di vita”, per mettere la comunità al corrente

37 Cfr. SV XII, p. 9, 288.38 Secondo A. Dodin, istituendo quest’esercizio comunitario Vincenzo tendeva ad un triplice risultato: «vérifier l’existenze et surveiller le développement de la vie d’oraison, stimuler et nourrir la piète, diriger la communauté à un moment où elle était particulièrement perméable aux influences surnaturelles». SAINT VINCENT DE PAUL, Entretiens spirituels aux missionnaires, Tours 1961, Intr., p. 20. 39 Cfr. SV IX, p. 4.40 Cfr. A. Dodin, op. cit., Intr., p. 21.

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Page 75: Vita spirituale di San Vincenzo

degli avvenimenti, soprattutto quelli che riguardavano la Congregazione,

che potevano stimolarne lo zelo. Non si sa se prendesse la parola in ogni

capitolo però siamo certi che ne dovette presiedere, dal 1625 al 1660,

circa 1200, dei quali chi rimangono solo 4 allocuzioni.

I manoscritti del fratello Ducournau sono andati perduti, eccetto

quelli che riproducono la conferenza del 30 maggio 1659 sulla carità.

Per fortuna è rimasto il contenuto dei fogli da lui scritti nelle copie

che riportano l’essenziale. Possediamo ancora 266 conferenze e allocuzioni

del santo ai Missionari che P. Coste ha riunito con tenacia. L’edizione

di “Entretiens” di Vincenzo ai Missionari da lui preparata, consta

di 1000 pagine operando opportune correzioni del testo. Ecco come

lui stesso ne spiega le ragioni:

«Avremmo desiderato che la conformità al testo degli antichi

manoscritti potesse essere assoluta. Ma dobbiamo rassegnarci

a modificare leggermente lo stile delle ultime conferenze

(quelle che seguono la conferenza del 29 agosto 1659), la cui

lettura, la lettura pubblica soprattutto, riuscirebbe, altrimenti,

troppo difficoltosa, per non dire impossibile. Talora è una serie

incoerente di frasi oscure, scorrette e incompiute

che San Vincenzo non ha certamente pronunziato tali e quali.

Stampare quei discorsi senza ritocchi sarebbe dare al pubblico

un testo informe, senza alcuna utilità per il lettore. Com’è ovvio,

le correzioni si limitano al minimo necessario e si allontanano

il meno possibile dal manoscritto. Ci guarderemmo bene

dal ritoccare dei veri discorsi di Vincenzo, se l’avessimo scritto

di sua mano o dettato da lui; la redazione imperfetta

di uno scrivano non merita il medesimo rispetto; è meglio

74

Page 76: Vita spirituale di San Vincenzo

modificarla, piuttosto che offendere le orecchie di un lettore,

sia pure poco preoccupato delle regole della grammatica»41.

Anche se non possiamo condividere in tutto il modo di procedere

di P. Coste, dobbiamo però rassegnarci a non possedere il testo esatto

dei trattenimenti del santo; ad ogni modo, grazie alla diligenza del fratello

Ducournau, abbiamo certamente l’essenziale del suo pensiero.

2. Azione di San Vincenzo

Vincenzo è stato un uomo d’azione straordinario. Spesso ripeteva

a se stesso: “Tu non hai guadagnato il pane che mangi”.

Egli non era una persona frenetica ma calma con un gran genio

dell’organizzazione, ed era cosciente di fare un’opera di Dio.

In questa parte vorrei accennare al Vincenzo come uomo di azione

che durante la vita formò il clero, le suore ed anche i laici.

2.1 Formazione del clero

Il Concilio di Trento42aveva descritto una situazione di fatto e delineato

un pericolo per l’avvenire, quando aveva detto: “Gli adolescenti

che non ricevono una seria educazione sono inclini ai piaceri mondani e se

non si formano alla pietà fin dai primi anni, se non ci s’impadronisce

dei loro cuori prima che siano stati guastati da abitudini viziose, sarà finita

ordinariamente per la disciplina ecclesiastica”.

Per corrispondere al desiderio del Concilio i vescovi avevano aperto

un po’ dovunque dei collegi destinati a sostituire le scuole episcopali

e monastiche di un tempo, allo scopo di garantire la formazione dei ragazzi 41 VINCENZO DE’ PAOLI, Conferenze ai Preti della Missione, (ed. Pietro Coste), Ed. Vincenziane, Roma 1959, p. 20.42 Il Concilio di Trento (1545 – 1564) aveva cercato di porre rimedio a due tipi di difetti, cioè allo scandaloso comportamento morale e disciplinare del clero e alla mancanza di une preparazione adatta al sacerdozio. Quanto al primo, era stato posto un freno nei decreti disciplinari che imponevano ai vescovi visite pastorali e la promulgazione di norme sinodali precise; quanto al secondo, era stata ordinata la fondazione dei seminari.

75

Page 77: Vita spirituale di San Vincenzo

avviati al sacerdozio: “Il vescovo – aveva detto il Concilio – li educherà

in un collegio situato vicino a tali chiese (cattedrali, metropolitane, ecc.)

o in qualche altro luogo”.

Purtroppo i decreti del Concilio di Trento furono accettati ufficialmente

in Francia fino dal 161543. Se prima di quella data, le assemblee del clero

e i concili avevano emanato numerose disposizioni riguardanti l’erezione

dei seminari, e, più in genere, la riforma dello stato ecclesiastico

e malgrado che frutto di questa riforma sia stato l’erezione di vari seminari

di tipo tridentino; però tutti ebbero una vita stentata e prima o poi finirono

per chiudere. Le disposizioni conciliari continuavano a restare lettera

morta.

La spinta iniziale venne dal nucleo riformatore al quale appartenevano:

R. Beaucousin, A. Duval, J. Eudes, P. de Bérulle, A. Bourdoise,

B. de Canfield, J. J. Olier, F. di Sales, madame Acarie, ed altri ecclesiastici

e laici. Il loro contributo alla riforma del clero in Francia era senza dubbio

grande. Vincenzo conosceva la maggior parte di questi personaggi,

li stimava e collaborava con loro per lo stesso scopo, ma seguendo

una propria strada. Anche in questo campo egli aveva dimostrato

grande capacità, creatività e realismo e riguardo agli altri riformatori,

le sue soluzioni erano migliori e i frutti più abbondanti44. Tra le sue famose

opere indirizzate alla riforma del clero troviamo: gli esercizi spirituali

agli ordinandi, la fondazione e direzione dei seminari, le Conferenze

del Martedì e i ritiri per gli ecclesiastici.

43 In Francia questi collegi avevano ricalcato i metodi dei collegi diritti dai padri Gesuiti. Vi si ricevevano i candidati dai 14 ai 24 anni e s’insegnavano tutte le materie, dalla grammatica alla teologia. L’esito aveva deluso le prime speranze. Così era assicurata la formazione intellettuale, ma raramente quella spirituale. Si sentiva la necessità di trovare forme diverse.44 Cfr. J. M. ROMÁN, San Vinzenzo de’ Paoli, a cura di E. Guerriero, Ed. Jaca Book, Milano 1986, pp. 169-171.

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Page 78: Vita spirituale di San Vincenzo

Gli esercizi spirituali agli ordinandi

Loro iniziati nel 162845e organizzati da Vincenzo era una specie di corso

accelerato di formazione spirituale e professionale. In dieci o quindici

giorni gli aspiranti ai sacri ordini, oltre alle pratiche di pietà, venivano

sottoposti a un’istruzione sommaria sulle verità della fede e della morale

e facevano esercitazioni pratiche dei riti della Messa

e della somministrazione dei sacramenti. Si trattava, quindi, di un rimedio

dettato dall’urgenza per uno stato di cose che non ammetteva più ritardi.

Poiché fino all’ordinazione, tutte le spese, erano a carico dell’ordinando

e della sua famiglia e il problema economico aveva fatto fallire i primi

seminari in Francia, Vincenzo ordinò la gratuità degli esercizi per dare così

la possibilità a tutti gli ordinandi di approfittare dell’occasione

di perfezionamento pastorale e spirituale. Il numero dei partecipanti

oscillava dai 70 ai 90. I fondi per quest’opera venivano da vari benefattori:

dalla regina, dai membri della Corte e del parlamento e in grande parte

dalle Dame della Carità.

I seminari

Loro erano un’opera destinata a risolvere in modo definitivo il problema

della formazione del clero. Il primo tentativo di creare un seminario

minore, secondo i decreti di Trento, era stato fatto da Vincenzo nel 1636

nel collegio dei Bons-Enfants, ma senza successo. Vincenzo nel 1644

scriveva:

«Il decreto del concilio è da rispettarsi come venuto dallo Spirito

Santo. L’esperienza tuttavia fa vedere che riguardo alla maniera

con cui si eseguisce rispetto all’età dei seminaristi, la cosa non riesce

45 Nel luglio del 1628 il vescovo di Beanvais, Mons. Potier, viaggiava con Vincenzo. Lui progettava a Vincenzo, dirigere gli esercizi spirituali per i suoi ordinandi in casa del vescovo per parecchi giorni. Qui è nata l’idea dirigere degli esercizi spirituali, che aveva accompagnato di Vincenzo durante tutta la sua vita.

77

Page 79: Vita spirituale di San Vincenzo

bene; né in Italia né in Francia; alcuni si ritirano prima del tempo,

altri non hanno inclinazione allo stato ecclesiastico, altri si ritirano

nelle comunità ed altri fuggono i luoghi nei quali hanno obbligo

si stare per la loro educazione e preferiscono tentar fortuna altrove»46.

Il Santo cominciò a cercare altre soluzioni e nel 1642 al seminario

dei principianti aggiunse il grande seminario degli ecclesiastici47.

L’idea vincenziana del seminario maggiore non fu che lo sviluppo

e il prolungamento degli esercizi per ordinandi. Visti i frutti dati

dagli esercizi, ben presto si cominciò a constatare che dieci o quindici

giorni erano troppo pochi per dare ai candidati al sacerdozio

tutta la formazione di cui avevano bisogno. Col tempo il periodo

di preparazione per gli ordinandi venne prolungato. Infine la durata totale

era fissata in due o tre anni. La primitiva concezione di seminario non era

quella di una scuola di teologia e di filosofia, ma riguardava la formazione

spirituale dei seminaristi, la pratica nelle celebrazioni delle funzioni

liturgiche e la preparazione all’ufficio di confessore. Poiché la preparazione

strettamente intellettuale continuava ad essere compito delle facoltà

o collegi universitari, bastavano due o tre persone per dirigere

un seminario.

Dopo il 1642, la Congregazione della Missione, oltre all’impegno

delle missioni popolari, assunse quello di guidare e dirigere i seminari

diocesani48.

46 SV II, p. 459 (tr. it. VI, pp. 280-281).47 Proprio verso il 1642 negli ambiti riformatori francesi prevalse l’idea del seminario maggiore per giovani chierici all’età di vent’anni fino a venticinque o trent’anni. Da quell’anno cominciarono a moltiplicarsi le fondazioni. Non tutti ebbero lo stesso successo né funzionarono allo stesso modo. Tra i fondatori più famosi, oltre Vincenzo si ricordano: Eudes, Olier, Bourdoise e de Berulle. 48 Cfr. J. M. ROMÁN, San Vinzenzo de’ Paoli, a cura di E. Guerriero, Ed. Jaca Book, Milano 1986, pp. 323-331.

78

Page 80: Vita spirituale di San Vincenzo

Le Conferenze del martedì

Loro mantenevano vivi gli effetti ottenuti con gli esercizi e i seminari.

Per riformare gli ecclesiastici e perfezionarli nelle virtù sacerdotali, acconto

ai ritiri e ai seminari Vincenzo ideò delle conferenze, le quali tenendosi

settimanalmente di martedì, si chiamarono “Conferenze del martedì”.

Lo scopo delle loro istituzione era la formazione spirituale e pastorale

del clero secolare. Alle conferenze partecipavano ecclesiastici illustri come

J. J. Olier e J. B. Bossuet e molti di loro divennero vescovi. Si calcola che

Vincenzo ne abbia radunati più di 250. Vi si dedicava lui stesso

con impegno come per gli esercizi agli ordinandi e ai seminaristi.

Era convinto, che i sacerdoti della Congregazione della Missione fossero

obbligati a promuoverle, «perché Dio si è rivolto a loro per introdurre,

tra gli ecclesiastici, questo modo d’intrattenersi sulle virtù particolari…

Che sarebbe di noi, se fossimo i primi a trascurarle? Quale conto dovrebbe

rendere a Dio, se giungessimo a disprezzare mezzi così utili ed efficaci!»49.

Le conferenze si diffusero rapidamente. A Parigi, accanto

a quella conferenza di San Lazzaro, ne era nata una ai Bons-Enfans,

composta soprattutto di ecclesiastici della Sorbona, sia alunni

che professori e per questa le riunioni erano tenute il giovedì, giorno

di vacanza dell’Università. Fuori di Parigi, erano nate quelle di Puy (1636),

di Noyon (1637), Pontoise (1642), Angoulême (1647), Angers, Bordeaux

e altre delle quali non conosciamo la sede.

Le conferenze non si limitavano soltanto alla formazione spirituale

del clero secolare, ma, fin dal primo anno della loro fondazione,

impegnavano in lavori apostolici e pastorali. Per esempio all’assistenza

spirituale giornaliera nell’ospedale Hôtel-Dieu a Parigi, ogni venerdì a fare

la predica il catechismo ai convalescenti, le prediche nell’ospedale

49 SV XI, pp. 13-14.

79

Page 81: Vita spirituale di San Vincenzo

dei galeotti, la missione a Parigi nel quartiere di Saint-Germain-des-Prés

e tante altre.

Il successo delle conferenze del martedì fu molto grande in tutta

la Francia. Possiamo dire, che mediante le conferenze cominciava il gran

rinnovamento della vita spirituale del clero in Francia.

Ritiri per gli ecclesiastici

La riforma del clero era promossa anche con i ritiri e gli esercizi

per ecclesiastici. I partecipanti costituivano una parte notevole del gruppo

d’esercitanti individuali accolti in San Lazzaro. Vincenzo pensò allora

di organizzare dei ritiri collettivi per sacerdoti, per mantenere vivo in loro,

anno dopo anno, il frutto ricavato da qualcuna delle altre iniziative.

Gli si presentò un ostacolo insormontabile: la difficoltà economica

per cui questa iniziativa non ebbe un grande sviluppo, rimanendo

circoscritta ad alcuni membri più ferventi delle Conferenze del Martedì.

Nonostante le difficoltà, sia a Parigi che altrove, questi ritiri funzionarono

con discreta continuità e portarono frutti notevoli. Numerosi vescovi

scrivevano a Vincenzo esprimendogli la loro soddisfazione per il risultato

dei turni di esercizi predicati dai suoi missionari50.

2.2 Formazione delle suore

L’altro gran compito, che la Providenza divina affidava a Vincenzo

era la formazione delle suore. Questo colpito che gli era stato sempre

difficile gli ricedeva sempre di affidarsi a Signore e così riusciva

a corrispondervi.

50 Cfr. J. M. ROMÁN, San Vinzenzo de’ Paoli, a cura di E. Guerriero, Ed. Jaca Book, Milano 1986, pp. 335-336.

80

Page 82: Vita spirituale di San Vincenzo

2.2.1 Visitazione

Il vescovo di Ginevra arrivò a Parigi nel novembre del 1618. Come

secondo scopo del viaggio, giacchi il primo era quello di accompagnare

il cardinale di Savoia, era la fondazione del convento delle sue religiose

della Visitazione a Parigi con Francesca Frémiot de Chantal (1572-1641).

Grazie a Francesco di Sales, Vincenzo ha conosciuto Francesca Frémiot

de Chantal. Dai fondatori della Visitazione, fu ammesso

alle loro conversazioni familiari. Lasciando Parigi il di Sales, affidò

a Vincenzo la direzione del suo convento. La nomina fu ufficializzata

nel 1622, anno della morte di Francesco di Sales. Vincenzo tenne

quell’incarico per tutta la vita ma volendo lasciarlo spesso e una volta, fece

quasi uno sciopero. Il suo incarico lo svolse con zelo, ma non partecipò

all’educazione delle nobili alunne che le suore accoglievano

nei loro conventi e che furono quattro giacché il suo compito era soltanto

la loro direzione spirituale.

Francesca si era affidata alla direzione spirituale di Vincenzo dopo

la morte di Francesco. Si conserva una piccola collezione di deliziose

lettere che esemplificano lo stile particolare di questa direzione. Sono

diverse dalle altre lettere di Vincenzo, perché sono più affettuose,

più impregnate di dolcezza salesiana, più solenne e più rispettosa.

Un altro dono ancor più importante ricevette Vincenzo da Francesco

di Sales: creare un nuovo tipo di comunità femminile, non chiusa

in clausura ma dedicata a visitare gli infermi abbandonati e ad altre opere

di misericordia. Questo era stata l’idea di Francesco nel fondare

la Visitazione.

2.2.2 Figlie della Carità

Per l’assistenza spirituale dei poveri e l’aiuto del clero, Vicenzo

disponeva di strumenti d’aiuto. Ma lo stesso non si poteva dire della carità

81

Page 83: Vita spirituale di San Vincenzo

corporale. Nelle confraternite della Carità, lo strumento ideato a Châtillon,

cominciava a non funzionare qualcosa. C’era bisogno di ricorrere alle visite

periodiche per sanare le difficoltà delle piccole associazioni isolate.

A Parigi dopo l’entusiasmo iniziale, le signore della capitale cominciavano

a trovare pesante il servizio personale ai poveri e così si facevano sostituire

dalle loro domestiche. Questo modo, per come lui percepiva la carità,

non era tollerabile.

Nel 1630, durante una missione, Vincenzo incontrò una giovane

contadina che si chiamava Margherita Naseau ed era di Suresnes,

un villaggio dei dintorni di Parigi. Vincenzo a lei propose il servizio

dei malati e lei accettò subito con piacere.

Dopo Margherita Naseau venivano altre ragazze, alcune attratte da lei.

Poiché il gruppo cresceva poco Vincenzo lo affidò alle cure di madamigella

Le Gras. Luisa a loro dette alcune istruzioni sommarie, necessarie

al servizio. Costituivano soltanto una specie di appendice

delle confraternite della Carità di ogni parrocchia e per questo dipendevano

dalle Dame della Carità senza un vicolo comunitario verso di loro.

Le cominciarono a chiamare “figlie della Carità”, cioè ragazze

della Carità51. Vincenzo ricordava il fallimento di Francesco di Sales e delle

sue religiose della Visitazione, però le suore, avendo la possibilità

di visitare liberamente malati negli ospedali, prigionieri nelle carceri,

di andare liberamente sulle vie della città, non dovevano vivere

in convento, ma semplicemente in “casa”.

Santa Luisa come loro formatrice, incaricata da Vincenzo, cominciava

con l’insegnamento dell’abbecedario della vita spirituale. Consisteva

sostanzialmente in alcune esercitazioni spirituali e nell’iniziazione

all’orazione mentale secondo il metodo del p. Buseo e nalla lettura 51 Non esiste uno studio serio del significato originale dell’espressione “Figlie della Carità”. Quello indicato nel testo si ricava dai fatti. In seguito, Vincenzo gli diede il significato spirituale di “Figlie di Dio”, perché Dio è Carità. Cfr. J. CALVET, Luisa de Marillac, retrado, Ceme, Salamanca 1977, p. 80. (tr. it. Luisa de Marillac, ritratto, Ed. Vincenziane, Roma 1961.)

82

Page 84: Vita spirituale di San Vincenzo

spirituale della Guida del Peccatore del p. Granada. Dopo

un po’ di qualcun tempo, Luisa ha visto la necessità completare

la formazione delle ragazze e chiese l’aiuta a Vincenzo. Poiché

le conferenze nella formazione del clero avevano successo, volevano

che Vincenzo si impegnasse anche nella formazione delle ragazze.

Per loro era usava un metodo delle conferenze più semplice, perché

le ragazze dai villaggi avevano le difficoltà capire a discorsi più complicati.

Del modo usto da Vincenzo nelle conferenze alle suore, già ho parlato

nella parte precedente presentando le conferenze alle Figlie della Carità.

Vincenzo con le sue conferenze alle suore, mirava proprio a questo:

far acquistare alle suore le virtù necessarie allo svolgimento della loro

missione, cioè, offrire loro una buona formazione umana e spirituale.

Dal gruppetto delle ragazze che cercava di formare, proveniva grande

comunità delle Figlie della Carità.

2.3 Formazione dei laici

Vincenzo fu cosciente che i laici possono essere operatori della carità.

Creò le “Carità”, e cioè gruppi di laici per il servizio. La sua prima

esperienza fu nella parrocchia di Chatillone. Una domenica

prima della messa, la signora de Chissagne, entrò in sacrestia per dirgli

che fuori del villaggio c’era una famiglia che versava in stato di estremo

bisogno essendo tutti malati e mancando di ogni assistenza. Non avevano

né farmaci né cibo. Durante l’omelia parlò ai fedeli di questa famiglia

bisognosa e nel pomeriggio Vincenzo andò a visitarla incontrando

le tante persone che avevano già compiuto l’atto di carità.

Tre giorni dopo, il 23 agosto 1617, Vincenzo riunì un gruppo

di pie donne del villaggio per assistere i malati poveri del paese: erano

dodici. Ogni giorno una dalle dame, per ordine d’iscrizione,

aveva il servizio: era nata la prima associazione di carità chiamata

83

Page 85: Vita spirituale di San Vincenzo

“confraternita”52. Durante la vita Vincenzo fondò le tante confraternite.

Per la formazione umana dei laici ci può guidare questa direzione

di Vincenzo:

«Colei che è di turno… preparerà il cibo, lo porterà ai malati,

e, avvicinandosi a loro, li saluterà allegramente a caritatevolmente;

porrà il portavivande sul letto, ci stenderà sopra una tovaglietta,

una scodella, un cucchiaio e un pezzo di pane; farà lavar le mani

agli infermi e reciterà la benedizione, servirà poi la minestra

nella scodella e tutto il resto sulla piccola tavola, poi inviterà

amorevolmente il malato a servirsi per amore di Gesù e di sua Madre;

farà tutto con amore, come se lo facesse a suo figlio, o, meglio, a Dio,

che ritiene fatto a sé il bene che si fa ai poveri. Se è necessario,

taglierà la carne e verserà da vere al malato in un bicchiere. Mentre

fa tutto questo, dirà loro alcune parole del Signore, cerando

di rincuorare i più abbattuti»53.

Accanto alla formazione umana, Vincenzo non dimenticava anche

la formazione spirituale dei membri delle confraternite. Teneva i tanti

incontri, dove raccomandava loro sempre la vita devota, perché Gesù

Cristo è il fondamento dell’ogni carità verso gli altri, è la regola

della nostra vita spirituale.

Durante la vita di Vincenzo erano fondate le tante confraternite. Molte

non poteva visitarle sempre, per consolare gli infermi, comporre

le discordie, risolvere dispute e raccomodare la vita spirituale. Vincenzo

52 Il 24 novembre 1617, il vicario generale di Lione approvava ufficialmente il regolamento dell’associazione, eretta a confraternita. Cfr. SV XIII, pp. 423-437.Le confraternite della Carità, all’inizio, erano state concepite per canalizzare il fervore femminile. Vincenzo si rese ben preso conto che anche gli uomini potevano essere arruolati a questa opera. Così furono erette le confraternite maschili. La differenza principale tra le due consisteva nel fatto, che mentre le confraternite femminili assistevano, prevalentemente, i poveri infermi, quelle maschili si occupavano dei sani. Uno degli scopi principali delle confraternite maschili era quello di fondare dei laboratori nei quali bambini e adolescenti, dagli otto ai vent’anni, vivendo in internato, sotto la guida di un prete, potessero imparare un mestiere, con l’impegno, a loro volta, di insegnarlo gratuitamente ad altri apprendisti. Vincenzo aveva intuito la massima: “Se vuoi togliermi la fame per un giorno, dammi un pesce, se vuoi levarmela per sempre, insegnami a pescare”. Ci furono anche confraternite miste. 53 SV XIII, pp. 427-428.

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Page 86: Vita spirituale di San Vincenzo

per questo ruolo aveva scelto Madame de Gondi che attivamente fondava

e guidava tante confraternite: era una sua diretta collaboratrice.

3. Mezzi raccomandati nella direzione spirituale

Nel processo della direzione spirituale Vincenzo raccomandava e anche

usava i diversi mezzi. Tra loro il posto privilegiato hanno questi seguenti:

l’umiltà; Gesù Cristo e la volontà di Dio; la preghiera e l’amore verso Dio

e i poveri.

3.1 Umiltà

Possiamo dire che presupposto di ogni religione e adorazione è l’umiltà.

Nel ‘600 la virtù dell’umiltà rappresentava una forma di critica

dell’esasperata ricerca di onore e splendore, ma era anche un modo di porsi

nei confronti della riforma protestante.

Vincenzo si formò per questa virtù alla scuola del de Bérulle,

da cui assorbì l’impostazione cristocentrica. I misteri di Cristo

sono il principio della nostra virtù. L’uomo è chiamato ad aderire all’umiltà

del Figlio di Dio, che si fa povero e ultimo per elevare i poveri e gli ultimi

e renderli grandi nel Regno di Dio54. Per questo ripeteva:

«Un prete dovrebbe morire di vergogna nel pretendere la reputazione

in ciò che fa per il servizio di Dio e nel pensare che egli morirà

nel proprio letto, mentre vede Gesù Cristo ricompensato

delle sue fatiche con l’obbrobrio e il patibolo della croce»55.

Vincenzo ricordava spesso a sé e agli altri la propria condizione

d’indegnità sociale e morale. Il ricordare di essere stato pastore di porci

e il considerarsi “il più grande peccatore” erano per lui il momento

di passaggio alla condizione dei poveri, che è privilegiata agli occhi di Dio.

54 Cfr. SV I, p. 87.55 SV I, p. 294.

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Page 87: Vita spirituale di San Vincenzo

Un carattere più specifico ebbe l’insegnamento del Santo sull’umiltà

di corpo. Non ha senso proclamare l’indegnità personale. Per lui l’umiltà

è come una facoltà dell’anima della Missione. Aveva paura

che le sue opere s’ingrandissero troppo. Insegnò ai suoi figli a godere

del successo e dell’incremento delle altre comunità e a considerarle

migliori. Non volle nessuna pubblicità per le sue fondazioni e quando

apparve uno scritto illustrativo delle caratteristiche della Missione,

confessò:

«Ne ho un dolore così sentibile che non posso esprimerlo, dato

che è una cosa molto opposta all’umiltà rendere pubblico

ciò che siamo e ciò che facciamo. Se c’è qualche bene in noi

e nel nostro modo di vivere, questo viene da Dio e spetta a lui

manifestarlo, se lo giudica conveniente»56.

3.2 Gesù Cristo e la volontà di Dio

Chi è Gesù Cristo per Vincenzo? Non ebbe una visione di Cristo

come San Iganzio, Santa Teresa oppure altri. Le svolte della sua vita

furono determinate da incontri ed esperienze con gli uomini. Vincenzo

insegnò che il povero è il fratello di Cristo, per cui chi si avvicina al povero

si avvicina al Cristo, diventa più figlio di Dio, si arricchisce di più di Dio,

diceva:

«Non devo considerare un povero contadino o una povera donna

dal loro aspetto, né dalla loro apparente mentalità; molto spesso

non hanno quasi la fisionomia, né l’intelligenza delle persone

ragionevoli, talmente sono rozzi e materiali. Ma rigirate la medaglia

e vedrete con i lumi della fede che il Figlio di Dio, il quale ha voluto

essere povero, si è raffigurato in questi poveri»57.

56 SV XI, pp. 176s.57 SV XI, p. 32.

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Page 88: Vita spirituale di San Vincenzo

Tutta la dottrina spirituale di Vincenzo si costruisce su questa dialettica:

Gesù e i poveri. Lo spirito di Gesù secondo il Santo si riassume

in due atteggiamenti:

La religione verso il Padre costituisce la missione glorificatrice

e ha come presupposto l’umiltà, come costitutivo la pratica della volontà

di Dio e come espressione la preghiera.

L’amore verso i poveri ha come presupposto i poveri, come

costitutivo l’amore e come espressione l’attività dell’evangelizzazione

e della promozione umana.

Francesco di Sales aveva scritto che l’amore di Dio non è sentimento

o emozione, ma è conformazione alla volontà di Dio. Anche

secondo Vincenzo per essere santi occorre solo compiere la volontà divina.

La perfezione, infatti, non consiste nelle estasi, ma in una perfetta

comunione di volere e non volere con Cristo, come il Cristo con il Padre.

Ripeteva spesso: «La pratica della presenza di Dio è molto buona, però

mi pare che la pratica di compiere la volontà di Dio in tutte le azioni

sia migliore perché include anche l’altra»58.

Il Santo distingue due volontà in Dio:

La volontà passiva si ha quando Dio stesso compie in noi

il suo volere senza che vi pensiamo.

La volontà attiva appare chiaramente in ciò che è comandato

o proibito, San Vincenzo aggiunge anche altri criteri:

«Nelle cose indifferenti scegliere ciò che maggiormente contribuisce

a mortificare; nelle situazioni inattese e in quelle né gradevoli

né sgradevoli proporre il criterio dell’abbandono alla Provvidenza,

pur preferendo anche per la validità delle ispirazioni

e dei ragionamenti»59.

58 SV XI, p. 319.59 SV XII, pp. 160s.

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Page 89: Vita spirituale di San Vincenzo

Un esempio tipico di direzione su questo tema fu la guida di Luisa.

Fu donna eccezionale, ma inquieta, però venne aiutata dal Santo ad aprirsi

all’abbandono verso la Providenza: «Mio Dio, cara figliola, quanti tesori

sono nascosti nella santa Provvidenza e come onorano supremamente Nostro

Signore quelli che la seguono e che non la scavalcano»60. Consigliava anche:

«Le opere di Dio hanno il loro momento; la sua Provvidenza le fa allora,

e non più presto né più tardi (…). Attendiamo pazientemente, ma lavoriamo

e, per così dire, affrettiamoci lentamente»61.

Per questo Vincenzo nella direzione non fu mai l’uomo

dell’improvvisazione. In tutte le sue decisioni procedeva sempre

lentamente, s’impegnava in negoziati estenuanti fino a prevedere tutti

i particolari. E questo perché è sulla linea della fedeltà alla volontà divina

che l’uomo impegni il massimo di sé nella realizzazione di un ideale

che è di Dio.

3.3 Preghiera

Vincenzo insegna che ogni bene viene dalla preghiera, che “l’uomo

di preghiera è capace di tutto e diventa un baluardo inespugnabile”.

La preghiera è per l’anima ciò che è l’anima per il corpo è anche il centro

della devozione. Senza di essa è impossibile perseverare nella propria

vocazione62.

Vicenzo insegna come cercare la soluzione delle tensioni fra preghiera

e servizio, per conquistare unita della vita. In caso di necessità il servizio

deve prevalere sulla preghiera anche sul dovere stesso della partecipazione

alla S. Messa, in quanto è un “lasciare Iddio per Iddio” come sottolineò

soprattutto alle Figlie della Carità63.

60 SV I, p. 68.61 SV V, p. 396.62 Cfr. SV XI, p. 83, 407; IX, p. 3, 409.63 Cfr. SV VI, p. 47, 496; VII, p. 52, 457; XIII, p. 556.

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Vicenzo distingue tra l’orazione vocale e quella mentale. Quella mentale

si suddivide in orazione dell’intelletto e quella della volontà. L’orazione

vocale ha luogo «quando, dopo la lettura udita, la mente si eleva

alla presenza di Dio ed ivi si sforza di raggiungere l’intelligenza

del mistero che le è proposto, di capire la dottrina che lo riguarda

e di formulare propositi per abbracciare il bene e fuggire il male»64. L’altra

specie d’orazione si chiama di contemplazione. È quella in cui l’anima,

presente a Dio, non fa altro che ricevere quello che Egli le dà. L’anima

rimane passiva e Dio solo l’ispira, senza fatica per l’anima, tutto

quello che potrà cercare e molto di più.

Vincenzo insegna che l’orazione deve riguardare la pratica della vita.

Fra i metodi in voga si ispirò soprattutto a quello di Francesco di Sales

che consiste in tre parti: la preparazione, il corpo dell’orazione

e la conclusione.

La preparazione in queste la persona si esercita nella presenza

di Dio che si ottiene ordinariamente per mezzo della fede. Quattro sono

i modi per riempire l’anima della presenza di Dio: considerare Dio

nel Tabernacolo, in cielo, in ogni luogo e nell’anima in grazia.

Il corpo dell’orazione ha tre parti: la riflessione sul soggetto,

l’esame delle ragioni per abbracciare una virtù o fuggire un vizio

e prendere opportune risoluzioni.

La conclusione si sviluppa in tre parti: ringraziare Dio, offrire

a Dio le risoluzioni prese e chiedergli la grazia di poterle mettere

in pratica65.

Un mezzo molto buono per favorire la meditazione può essere

la ripetizione della meditazione, che prescrisse sia alle sue suore

che ai missionari.

64 SV IX, p. 420.65 Cfr. SV X, p. 572.

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Page 91: Vita spirituale di San Vincenzo

3.4 Amore

L’azione per i poveri nasce da Dio. Il Santo definisce la carità come

un amore elevato al di sopra del senso e della ragione, per mezzo del quale

ci si ama a vicenda con lo stesso fine dell’amore di Cristo per gli uomini,

che è quello che tende a fare di tutti dei santi in terra e dei beati in cielo.

Vincenzo distingue fra l’amore affettivo e quello effettivo. L’amore

affettivo proviene dal cuore perché la persona che ama è piena di gusto

e di tenerezza, vede continuamente Dio presente, trova la sua soddisfazione

nel pensare a Lui e passa insensibilmente la vita in questa contemplazione.

In virtù di questo medesimo amore, compie, senza fatica ed anzi

con piacere, le cose più difficili ed è premurosa e vigilare su tutto

quello che può renderla gradita a Dio; s’immerge insomma in questo divino

amore e non prova dolcezza in altri pensieri.

L’amore effettivo invece consiste nel fare le cose che la persona

comanda e desidera; ed è di quest’amore che intende parlare Nostro

Signore quando dice: “Si quis diligit me, sermonem meum servabit”.

L’amore effettivo si ha quando operiamo per Iddio senza sentire

le sue dolcezze. Quest’amore non è percepibile all’anima; essa

non lo sente, ma non per questo lascia di produrre in essa il suo effetto66.

I due amori devono essere uniti come lo sono l’amore di Dio

e quello del prossimo. Fra i due però deve prevalere l’amore effettivo:

«Amiamo Dio, fratelli, amiamo Dio, ma a spese delle nostre braccia,

con il sudore della nostra fronte. Perché molto spesso, tanti atti

di amor di Dio, di compiacenza, di benevolenza ed i altri simili affetti

e pratiche intime di un cuore tenero, sebbene buonissimi

e desiderabilissimi, sono non di meno sospetti, quando non giungono

alla pratica dell’amore effettivo»67.

66 Cfr. SV IX, p. 475.67 SV XI, p. 40.

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Page 92: Vita spirituale di San Vincenzo

La vocazione del Missionario è di amare Dio e di farlo amare:

«Non mi basta amare Dio se il mio prossimo non lo ama»68. Quest’amore

deve ispirare tutte le azioni, deve sfociare nell’amore del prossimo.

68 SV XII, p. 262.

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Page 93: Vita spirituale di San Vincenzo

Conclusione

Quando morì Vincenzo, tutti erano convinti che era morto un santo.

Al suo funerale, celebrato il 28 settembre 1660, erano presenti vescovi,

cardinali, aristocratici, re e anche gente semplice, perché Vincenzo

era stato un uomo straordinario, un uomo di straordinarie virtù.

Le opere di Vincenzo, dopo la sua morte, iniziarono a svilupparsi

in modo straordinario e veloce. I missionari: “lazzaristi” in Francia,

“paules” in Spagnia, “vincenziani” o “vincenzini” in altri paesi – si

espansero in tutto mondo. Oggi lavorano in tutta l’Europa, in America

dal Canadà all’Argentina, in Africa, in Australia, in Oceania e in Asia;

in 45 paesi del mondo, con i 4000 membri.

Più spettacolare ancora è stata la crescita delle Figlie della Carità,

la congregazione più numerosa della Chiesa. Nel 1965 erano 46.000,

un terzo delle quali erano spagnole.

Le confraternite della Carità costituiscono oggi, nel mondo, un grande

corpo di volontari, che fanno il servizio sociale al “popolo povero”,

come diceva Vincenzo. Insieme con loro lavorano i membri

delle Conferenze di Vincenzo De’ Paoli, uomini e donne, fondate nel 1833

da Federico Ozanam, con l’ispirazione dell’apostolo della Carità.

Nell’insieme, la famiglia vincenziana conta oggi circa un milione

di persone, tra preti, suore e laici ed esige una preoccupazione spirituale

permanente.

Negli ultimi trent’anni si parla spesso dell’importanza della direzione

spirituale non solo nella vita dei consacrati ma anche in quella dei laici.

Questa consiste nell’aiuto che il credente riceve da un maestro

o da un padre spirituale per meglio realizzare la propria perfezione interiore

ed ha sue radici nella storia della Chiesa.

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Page 94: Vita spirituale di San Vincenzo

Il momento fondante della direzione spirituale o di un aiuto spirituale

si riscontra storicamente nel III e IV secolo tra gli eremiti in Oriente.

La nascita del monachesimo dà, infatti, impulso decisivo

a questa istituzione. Dalla seconda metà del secolo VI si sviluppa anche

in Occidente tuttavia ancora in ambiente monastico.

Occorre chiarire cosa sia cos’è la direzione spirituale. Sono i tanti

gli autori che ne offrono le definizioni diverse ma la loro maggioranza

definisce la direzione spirituale come «un carisma, un ministero esercitato

nella Chiesa e per incarico della Chiesa che mira a guidare personalmente

i credenti verso la realizzazione della volontà di Dio ad imitazione

di Cristo», un’altra brevissima definizione si esprime così: «è la guida

individuale verso la perfezione». Come si vede, si tratta di una realtà

prettamente cristiana, dove Gesù Cristo si pone al centro, sia perché

è un suo dono alla Chiesa attraverso lo Spirito Santo, sia perché

l’accompagnatore spirituale deve avere davanti agli occhi come

modello di perfezione vita di Gesù Cristo – il suo stile di vita, le sue scelte.

La direzione spirituale è ministero, ma non necessariamente sacerdotale

o “ordinato”. Normalmente – anche per il suo legame con la confessione

frequente – essa si attua nell’ambiente del ministero sacerdotale, ma si può

anche configurare il caso di un direttore spirituale religioso

ma non sacerdote, ed anche laico.

Nella direzione spirituale si tratta di “grande utilità” nel progresso

spirituale, come ci insegnano tante testimonianze dei santi, soprattutto

nei momenti dell’incertezza, delle crisi, delle malattie spirituali,

degli scrupoli, ecc. Questa non è tuttavia indispensabile, perché

né la rivelazione biblica né la tradizione, e neanche il Magistero della

Chiesa nelle sue norme legislative la non pone come obbligo. Esiste

una “necessità relativa” della direzione spirituale nel senso che costituisce

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Page 95: Vita spirituale di San Vincenzo

il mezzo ordinario, normalmente indispensabile, che i credenti hanno

a loro disposizione per raggiungere l’ideale della santità.

Lo scopo della direzione spirituale, la sua meta finale è la piena unione

con Dio, un accompagnamento alla santità. Essa vuole condurre il credente

alla maturazione integrale e in armonia con la vocazione personale. Essa

si realizza integrale a livello umano, cristiano e vocazionale e cioè,

per una completa crescita contemporaneamente psicologica e spirituale.

Certo che è lo Spirito Santo che guida le anime verso la perfezione,

la santità, ma egli fa riconoscere la propria voce attraverso la mediazione

del padre spirituale, il quale agevola appunto il discernimento degli spiriti.

Però come persona deve essere santo, dotto, esperto nella vita spirituale

e deve avere l’esperienza propria nella direzione spirituale. Certo

che non sempre troveremo un direttore di esimia santità perché anche

lui ha il proprio carattere ed una certa formazione. In definitiva ciò che

conta è trovare un uomo saggio, umile, della preghiera ed avere il coraggio

e la costanza di affidarsi a lui. Poi il direttore spirituale sarà un mezzo

necessario nella crescita spirituale della persona.

Posso dire, che questo lavoro mi ha aiutato ad avvicinare non solo

le opere ma anche il metodo della direzione spirituale del nostro fondatore

San Vincenzo. L’esperienza ci afferma alla necessità della direzione

spirituale anche nella nostra epoca moderna, in quale non è facile vivere

una vera vita spirituale, perché non accettano i veri valori spirituali.

Per rispondere ai più veri ed autentici bisogni d’oggi, i sacerdoti, i laici

e tutti i credenti devono dare la verace testimonianza della propria vita.

A tale scopo la Chiesa agisce con un grande impegno alla formazione

spirituale, fondata sul vangelo

.

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Page 96: Vita spirituale di San Vincenzo

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