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Bimestrale del Sindacato libero scrittori italiani 1-2-2005.pdf · Bimestrale del Sindacato libero...

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Bimestrale del Sindacato libero scrittori italianiAnno III, 1-2, 2005

ENTE SOSTENITORE:Bibliotheca scrittori e artisti italiani

Abbonamento annuale per sei numeri:Italia € 35,00 Estero € 60,00. Abbonamento soci sostenitori:

Italia € 60,00. Vaglia postale e/o

assegno bancario/postale intestato a:Sindacato libero scrittori italiani corso Vittorio Emanuele II, 217

00186 Roma

Fascicolo singolo € 6,00

DIRETTORE

Francesco Mercadante

DIRETTORE RESPONSABILE

Nino Piccione

COMITATO DI DIREZIONE

Fortunato AloiPierfranco BruniFrancesco CanforaMara FerloniCecilia GattoTrocchiLuigi Tallarico

IN REDAZIONE

Silvia CapoSabino CaroniaRaffaella CitterioFederico De SantisEnrico GrazianiGiuseppe Papponetti

ILLUSTRAZIONE DI COPERTINA

Giorgio SCALCO (dalla copertinadel volume Papa Wojtyla unacertezza, a cura di FrancescoGrisi, Dino ed., 1980)

STAMPA

Arti Grafiche La Moderna, via di Tor Cervara, 171 - Roma

© Scrittori italiani

Direzione, redazione e amministrazione: corso Vittorio Emanuele, 21700186 Romatel. 0668301367 – fax 0668211973 e-mail: [email protected]

[email protected]

Autorizzazione del Tribunale di Roman. 109/03 del 17/03/2003

Avvertenze1 - Si collabora su invito della direzione2 - Le opinioni espresse dai singoli

scritti non impegnano la rivista

1 Giano ACCAME – Papa delle nazioni

3 Anna CIVRAN – Ha seminato e arato nella speranza

5 Antonio DELOGU – Karol Wojtyla: verso un’etica fenomenologica

8 Sandro FONTANA – Il significato storico e religioso del papato di Giovanni Paolo II

12 Fausto GIANFRANCESCHI – Piazza San Pietro nel giorno dell’attentato

13 Francesco Alberto GIUNTA – «Vere Papa mortuus est»

15 Ennio INNOCENTI – Note sul governo wojtyliano

17 Franco LANZA – L’attore Wojtyla

19 Giuseppe LORIZIO – Una rilettura dell’enciclica «Fides et ratio»

23 Tommaso ROMANO – L’ascesa

24 Pierfranco BRUNI – Canto di requiem in memoria di Giovanni Paolo II

2 Dino D’ERICE – In morte di Giovanni Paolo II

27 Costantino MARCO – Papa Wojtyla: morte e vita nella verità

29 Domenico MARIANI – Giovanni Paolo II e il ministero papale della riconciliazione

32 Francesco MERCADANTE – Chiesa di popolo e popolo senza Chiesa

34 Antimo NEGRI – Karol Wojtyla e il dialogo interreligioso

37 Marisetta PARONETTO VALIER – Un ricordo

38 Marcelo SÁNCHEZ SORONDO – Giovanni Paolo II vicario di Cristo e successore di Pietro

40 Giuseppe A. SPADARO – Après moi le déluge

44 Turi VASILE – Le scarpe del pellegrino

46 Piero VASSALLO – Giovanni Paolo II e il «totalitarismo della dissoluzione»

23 Tommaso ROMANO – L’ascesa poesia

24 Pierfranco BRUNI – Canto di requiem in memoria di Giovanni Paolo II poesia

26 Dino D’ERICE – In morte di Giovanni Paolo II poesia

1.In quest’epoca di globalizzazione soprat-tutto finanziaria, oltre che televisiva e te-lematica, Giovanni Paolo II deve tra l’al-

tro esser ricordato come Papa delle nazioni. Auna più affinata comprensione del valore da attri-buire alle comunità nazionali ha certo contribui-to la matrice polacca di Karol Wojtyla, giacché laPolonia, non di rado oppressa da russi ortodossi(quando non ateo-marxisti) e tedeschi protestan-ti, ha vissuto il cattolicesimo anche come fattoreessenziale, costitutivo, della propria identità na-zionale. E ciò a differenza d’altre nazioni europee,come l’Italia, in cui il Risorgimento nazionale s’af-fermò in contrasto col potere temporale dellaChiesa; o dove il concetto moderno di nazione ma-turò nel clima irreligioso dell’illuminismo e dellarivoluzione francese. Un chiaro riconoscimento del significato positi-vo della Patria contro gli eccessi del nazionali-smo aggressivo, ma anche e specialmente con-tro quella che Ezra Pound bollava come “usuro-crazia”, era già stato espresso – beninteso – sindal 1931 nell’enciclica Quadragesimo anno diPio XI, ove si mettevano in guardia le famigliedel genere umano dalle funeste conseguenzedel sistema capitalista nell’ordine delle relazio-ni internazionali, giacché, ammoniva il magi-stero sociale della Chiesa: «da una stessa fontesgorgò una doppia corrente: da una parte il na-zionalismo o anche l’imperialismo economico,dall’altra, non meno funesto ed esecrabile, l’in-ternazionalismo bancario o imperialismo inter-nazionale del danaro, per cui la patria è dove sista bene». E nell’Allocuzione natalizia su unagiusta pace internazionale del 24 dicembre1939 Pio XII aveva ribadito: «Un postulato fon-damentale di una pace giusta e onorevole è as-sicurare il diritto alla vita e all’indipendenza ditutte le nazioni grandi e piccole, potenti e debo-li. La volontà di vivere di una nazione non de-ve mai equivalere alla sentenza di morte perun’altra».

A differenza degli internazionalismi bancari omarxisti, l’ecumenismo cattolico non ha mainegato le nazioni: le ha abbracciate. Ma l’ancorpiù esplicita valorizzazione d’un pacifico princi-pio nazionale si è avuta appunto nel magisterodel papa polacco Giovanni Paolo II. Nell’enciclica Laborem exercens del 1981 subitodopo la famiglia Giovanni Paolo II ha sottoli-neato l’importanza della «grande società, allaquale l’uomo appartiene in base a particolarilegami culturali e storici. Tale società – anchequando non ha ancora assunto la forma matu-ra di una nazione – è non soltanto la grande“educatrice” di ogni uomo, benché indiretta(perché ognuno assume nella famiglia i conte-nuti e valori che compongono, nel suo insieme,la cultura di una data nazione), ma è ancheuna grande incarnazione storica e sociale dellavoro di tutte le generazioni. Tutto questo fa sìche l’uomo unisca la sua più profonda identitàumana con l’appartenenza alla nazione, ed in-tenda il suo lavoro anche come incremento delbene comune elaborato insieme con i suoi com-patrioti, rendendosi così conto che per questavia il lavoro serve a moltiplicare il patrimoniodi tutta la famiglia umana, di tutti gli uominiviventi nel mondo».

2.Nel 1991 l’enciclica Centesimus annus ,sollecitando un «complessivo arricchi-mento umano della famiglia delle Na-

zioni», nell’invitare alla ricerca della veritàesortava le culture nazionali a non cristalliz-zarsi e ad aprirsi invece al continuo rinnova-mento portato dalle contestazioni giovanili:«Da tale ricerca aperta della verità, che si rin-nova ad ogni generazione, si caratterizza lacultura della Nazione. In effetti, il patrimoniodei valori tramandati ed acquisiti è sempre sot-toposto dai giovani a contestazione. Conte-stare, peraltro non vuol dire necessariamentedistruggere o rifiutare in modo aprioristico, ma

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Papa delle nazioni

Giano AC C A M E

vuol significare soprattutto mettere alla provanella propria vita e, con tale verifica esistenzia-le, rendere quei valori più vivi, attuali e perso-nali, discernendo ciò che nella tradizione è va-lido da falsità ed errori o da forme invecchiate,che possono essere sostituite da altre più ade-guate ai tempi. In questo contesto, conviene ri-cordare che anche l’evangelizzazione si inseri-sce nella cultura delle Nazioni, sostenendolanel suo cammino verso la verità ed aiutandolanel lavoro di purificazione e di arricchimento.Quando, però, una cultura si chiude in se stes-sa e cerca di perpetuare forme di vita invec-chiate, rifiutando ogni scambio e confronto in-torno alla verità dell’uomo, allora essa diventasterile e si avvia a decadenza».Ancor prima di tali osservazioni, volte a preser-vare la cultura delle Nazioni (il corsivo appar-tiene all’enciclica) dalla sclerosi, la Centesimusannus aveva contrapposto la più articolatarealtà della storia nazionale alle schematizza-zioni economiciste e classiste: «non è possibilecomprendere l’uomo partendo unilateralmentedal settore dell’economia, né è possibile definir-lo semplicemente in base all’appartenenza diclasse. L’uomo è compreso in modo più esau-riente, se viene inquadrato nella sfera dellacultura attraverso il linguaggio, la storia e leposizioni che egli assume davanti agli eventifondamentali dell’esistenza, come il nascere,l’amare, il lavorare, il morire. Al centro di ognicultura sta l’atteggiamento che l’uomo assumedavanti al mistero più grande: il mistero diDio. Le culture delle diverse Nazioni sono, infondo, altrettanti modi di affrontare la doman-da circa il senso dell’esistenza personale: quan-do tale domanda viene eliminata, si corrompo-no la cultura e la vita morale delle Nazioni. Perquesto, la lotta per la difesa del lavoro si èspontaneamente collegata a quella per la cultu-ra e per i diritti nazionali».

3.Converrà qui ricordare che tra tantipreti operai o “impegnati nel sociale”,Karol Wojtyla si è distinto anche per

questo: che l’operaio l’aveva fatto sul serio, inun’industria chimica Solvay, prima di abbrac-ciare definitivamente come compito di vita il sa-cerdozio. Insomma: non era un prete che perapostolato si è fatto operaio, ma il contrario. Un

vero operaio che è diventato prete. La differen-za può non essere molta, ma l’esperienza vissu-ta a vent’anni da Wojtyla nel lavoro di fabbricagli è stata certamente formativa. E gli ha inse-gnato di fronte al comunismo quanto potesse es-sere artificioso e quindi arbitrario il continuo,insistente, prepotente appellarsi alla classeoperaia da parte dei professionisti della rivolu-zione, la cui carriera spesso s’era svolta tuttaall’interno del partito, senza aver mai conosciu-to la realtà del lavoro. Ciò ha attribuito altraconcreta consapevolezza tanto al suo anticomu-nismo di matrice cattolica e nazionale, alla suacomprensione per il sindacato Solidarnosc che aquesta doppia matrice si ispirava, quanto allapresa di distanza dall’altra versione dell’inter-nazionalismo materialista, cioè dal liberismo edal capitalismo mondialista, che non sonoespansioni bensì spesso vere contraddizioni del-la libertà e addirittura negazioni della vita. Lalibertà dell’uomo infatti si realizza nella solida-rietà sociale, che ne è una condizione. Questo èil senso permanente della predicazione diGiovanni Paolo II, ribadito il 1° giugno 1999 inPolonia, concludendo a Wroclav il 46° Congres-so Eucaristico internazionale il cui tema riguar-dava appunto la libertà. In quell’occasione ilPapa ha voluto rispondere esplicitamente aquanti, «in un contesto sociale percorso da con-cezioni della democrazia ispirate all’ideologia li-berale», tentano di persuadere «l’uomo e societàintere che Dio è di ostacolo sulla via verso lapiena libertà, che la Chiesa è nemica della liber-tà, che ha paura di essa». È stato facile aWojtyla replicare dalla sua Polonia, dopo averresistito da cattolico nazionale al nazismo e alcomunismo: «L’affermazione che la Chiesa sa-rebbe nemica della libertà è particolarmente as-surda qui, in questo Paese, su questa terra, traquesto popolo, dove la Chiesa tante volte ha di-mostrato di essere un vero paladino della liber-tà! Sia nel secolo scorso che in questo secolo enegli ultimi cinquant’anni». Sono parole pro-nunziate dopo aver deplorato che milioni di es-seri umani, sacrificati al culto iperliberista delprofitto e agli scompensi della globalizzazionefinanziaria, soffrano la fame «nell’epoca di unosviluppo mai visto, della tecnica e della tecnolo-gia avanzata» e mentre «la terra è in grado dinutrire tutti».

G I A N O A C C A M E

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1.Ciascuno raccoglierà ciò che avrà semi-nato (Gal. 6, 7 s.). Mi veniva in mentequesto passo di S. Paolo mentre guarda-

vo da vicino, e non solo in TV, abitando nei pres-si di San Pietro, le immense folle accorse a ren-dere omaggio alla salma di Giovanni Paolo II, edora di nuovo in fila dinanzi alla sua tomba, sepure in diverso e minor numero. Per le strade diRoma invase dai pellegrini, è passata una taleondata di fedeli da imporsi a tutti ovunque e dasuggerire, a chi vuol riflettere, più di qualcheconsiderazione. È un ritorno del sacro, della re-ligione, di Dio, della Chiesa? Una fiammata pas-seggera, frutto dell’emotività, del devozionismo,della superstizione? O cos’altro? Se ne parla, sene scrive, si riflette, si prende posizione in ogniambito. Nelle molteplici interpretazioni è facilericonoscere ascendenze, influenze, appartenen-ze culturali, politiche, religiose di fronte ad unavvenimento senza precedenti, non prevedibile,non previsto non solo nei termini quantitativi,ma anche qualitativi per il modo intenso e spon-taneo in cui si è manifestato.Tutto ciò ci deve rendere ancora più cauti nel-l’usare le categorie consuete sociologiche reli-giose o di altro tipo con cui misurare e valuta-re un fenomeno che innanzitutto ci interpellasu un piano di fede.Si può affermare che la morte di Giovanni PaoloII ha fatto sentire la nostra umanità orfana di unsimbolo in cui si è riconosciuta: uomini e donnedel nostro tempo, espressioni di pietà popolare epersone di fede praticata e vissuta fedelmente,gente comune non particolarmente inserita neltessuto ecclesiale, in specie giovani, nati e cre-sciuti in un contesto secolarizzato con comporta-menti e stili di vita di tendenze le più diverse; pernon dire dei non cristiani.Uno spaccato di varia umanità, di provenienzevicine e lontane, che si ritrova ad esprimere l’u-niversalità e la pubblicità della propria adesio-ne a una figura religiosa in cui ha riconosciutoun maestro di spiritualità. Un impegno di dedi-zione senza limiti alla sua vocazione di pastore

universale, sino all’estremo sacrificio di sé dicui siamo stati testimoni.L’istituzione ecclesiale si è trovata di fronte aduna esplosione perentoria: “Santo subito”.Dopo tante accurate analisi socio-religiose, da cuiemerge la forza della religione con la debolezzadella fede, nelle piazze piene e nelle chiese vuote,occorre cercare ancora. Il bisogno di un rapportodiretto con Dio, manifestato nel riconoscimentodella sua impronta nel volto di un Papa, fedeleespressione di una istituzione millenaria, riemer-ge in modo pubblico.Un volto noto, conosciuto ovunque attraverso imezzi di comunicazione sociale (il fascino di ungrande comunicatore), attraverso i tanti viaggiin ogni parte del globo, attraverso le giornatemondiali della gioventù con milioni di presenze.Un volto che ha parlato con i grandi eventi cheha promosso, con i gesti, con le parole, con gliscritti, con l’arte, con il corpo vigoroso e sporti-vo e con il corpo ferito, ammalato, imprigionatodalla morsa del dolore. Il volto di un pastore for-te e fiero che ha espresso l’incarnazione della fe-de rendendola comprensibile ai vicini e ai lonta-ni, nel tempo della proclamazione della mortedi Dio in occidente e della pluralità delle religio-ni in un pianeta globalizzato.

2.Tutti hanno sentito questo papa vicino,come un pastore che ha additato le stra-de esigenti di una vita cristiana che ha

al centro l’amore, che sceglie Cristo e la via del-la croce per ridare speranza a questo nostromondo, in cui convivono aspirazioni spirituali emiserie terrene.In una società e in una cultura complesse e diffi-cili da decifrare, in cui si intrecciano mutamentiepocali e tradizioni secolari, il bisogno di infinitoe di eterno e un permissivismo che si rifugia nel-la soddisfazione immediata, un consumismo ottu-so e tanta umanità affamata, l’aspirazione allapace e la serie disastrosa di guerre, sentiamo ilvuoto di una comune visione che ci aiuti a convi-vere insieme in un mondo disomogeneo.

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Ha seminato e aratonella speranza

Anna CI V R A N

Molti hanno avvertito in Giovanni Paolo II il pri-mato della fede, il suo servizio alla Chiesa e all’u-manità come un punto di riferimento e di orienta-mento. Si può affermare questo, ben sapendo chela sua figura non può essere colta e valutata intutta la sua portata ecclesiale e storica a ridossodegli avvenimenti vissuti in questi giorni. Saràun’impresa improba anche per gli storici del futu-ro, data la larghezza e la ricchezza di un pontifi-cato che ha incrociato e si è anche scontrato con igrandi snodi della modernità e i temi che il gran-de mutamento epocale pone all’ordine del giornodella Chiesa per inculturare il Vangelo ed evan-gelizzare la cultura.Sulla grande umanità presente a Roma in questigiorni, il linguaggio della fede ha parlato davantial mondo con la persona del papa morto.Abbiamo visto un popolo di Dio che si è sentitoChiesa, assemblea convocata nel suo protagoni-smo pubblico spontaneo, non organizzato, ma sin-tonizzato dentro l’istituzione, aderendovi, inse-rendosi e collaborando liturgicamente nei varimomenti, dalla veglia al funerale. Una folla disci-plinata che ha accettato fatiche, privazioni, sacri-fici, che si è espressa come forza mossa dallo spi-rito nell’acclamarlo “Santo subito”.Questo protagonismo pubblico del popolo di Dio ciinterpella; è un’eredità che non può andare di-

spersa. Chiede alla Chiesa, all’istituzione eccle-siastica di misurarsi e di intervenire e di rispon-dere a questa forte ricerca del sacro, a questo bi-sogno inedito di paternità spirituale, di confermadella fede, di vita secondo lo Spirito. Ciò che Giovanni Paolo II ha seminato anche conla sua morte darà i suoi frutti. Li sapremo ricono-scere e raccogliere se questo diventerà per noi untempo di rinnovata spiritualità.Una spiritualità della fiducia e non del pessimi-smo; della fedeltà autentica a Dio e non del risul-tato immediato; una spiritualità della responsa-bilità delle coscienze e non dei divieti; della spe-ranza e non della nostalgia; della pazienza che saguardare al futuro e non della fretta schiacciatasull’oggi. Una spiritualità che riscopre la vicinan-za alle persone nelle loro relazioni perché è unaspiritualità della salvezza e non della condanna.Sapremo rispondere alla sfida di questi giorni eraccoglierne i frutti, assumendo la sete di Dio diquesto mondo globale che passa per la coscienzae la libertà della persona? La Chiesa, noi che sia-mo Chiesa, siamo interpellati a divenire capaci diesprimere una vera lingua della fede nelle diver-se realtà e culture per parlare a tutti con la Pa-rola che salva e con la forza dello Spirito. Perchési possa dire, come per Giovanni Paolo II, che“ciascuno raccoglierà ciò che avrà seminato”.

A N N A C I V R A N

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1.Wojtyla ci riconduce al filosofare che sisitua nella esperienza, che vive nella edella esperienza degli uomini, e che de-

scrive la soggettività come essa si dà allo sguar-do fenomenologico (sguardo ingenuo, non pre-giudicato da schemi concettuali precostituiti).Di questo filosofare intendiamo cogliere la cifrainnovativa, sottolineandone, però, preliminar-mente, tre aspetti. Intanto consideriamo il pen-siero wojtyliano sostanzialmente unitario permetodo, tematiche e scopi: nella pluridecennalericerca del filosofo polacco non vi sono supera-menti, svolte, fratture ma approfondimenti esvolgimenti1. In secondo luogo, riteniamo che lametafisica dell’essere non sia, nella ricerca diWojtyla, in discussione. Ciò sia nel senso cheegli considera acquisita la lezione tomista, ap-presa sin dal periodo di formazione trascorso inseminario, sia nel senso che il tomismo non èper lui specifico tema di riflessione o ricerca. Interza istanza, pensiamo che le motivazioni, glisviluppi, le finalità della sua filosofia, orientataalla comprensione della umana esistenza nellaconcretezza del suo farsi, trovino nella descri-zione fenomenologica della esperienza morale illoro nucleo vitale. Capograssi diceva che senza verità non si puòstare, che la vita ha bisogno di verità2. Wojtylapropone questo punto di vista con assoluta chia-rezza: “È essenziale l’aspirazione alla verità perla conoscenza intellettiva”3. Ma come trovare laverità, il senso, il fine della vita degli uomini?Semplicemente, afferma il filosofo Wojtyla, de-scrivendone e comprendendone il mostrarsi o do-narsi allo sguardo attivato dallo stupore. Non acaso scrive in una sua poesia che “la vita è forseun’onda di stupore”. Lo stupore è (Husserl lo po-neva come condizione sorgiva, originaria, del dar-si della verità) la soglia conoscitiva da cui è possi-bile in-tendere la verità. Procedere nella ricerca filosofica da quella moda-lità d’esistenza che è l’esperienza dello stupore,significa, per Wojtyla, riconquistare un rapportodiretto con la realtà, conoscerla nella prospettiva

di una preliminare epoché di concetti, strutturecategoriali, sistemi di pensiero precostituiti, vi-sioni abitudinarie del mondo. Per Wojtyla, affer-ma giustamente Styczen, l’unica fonte della cono-scenza dell’uomo e l’unica base per riconoscerlacome valida è esclusivamente il diretto contattoconoscitivo personale dell’uomo con se stesso, cheavviene insieme col diretto contatto conoscitivocon il mondo coesistente con lui, reale, realmentedato e a lui circostante. Ne consegue che l’espe-rienza dell’uomo nel mondo precede tutta la teo-ria sia dell’uomo sia del mondo4.L’esperienza di cui parla la filosofia (fenomenolo-gicamente orientata) di Wojtyla, non è l’empiria:l’osservazione del dato, dell’oggetto, del fatto,quale si dà nella ricerca scientifica e nelle filoso-fie oggettivanti. Non è, insomma, rapporto con ildato empirico, con l’oggetto, ma dimensione espe-rienziale, modo di essere al mondo degli indivi-dui. A questa esperienza Wojtyla guarda diretta-mente: la descrive andando oltre il terreno dellatradizione filosofica aristotelico-tomista, andandooltre, cioè, il terreno in cui si incontrano sostanze,essenze, strutture, categorie, per inoltrarsi nelterreno conoscitivo-esperienziale in cui si dannole modalità d’esistenza originalmente esperite. Ildizionario tomista è assai noto.

2.La prospettiva metodologica della tradi-zione di pensiero aristotelico-tomista con-siste nel ritenere che la filosofia possa co-

gliere la verità su ciò che l’uomo è per via diastrazione, cioè tramite l’as-trarre l’umanaesistenza dal terreno originalmente esperien-ziale. Wojtyla pone tra parentesi questa tradi-zione, centrata sul concetto di uomo come ani-mal rationale, e, a partire da Boezio, come ra-tionalis naturae individua substantia. Eglitrova nella definizione boeziana la strutturafondamentale che spiega “l’uomo in quanto es-sere sostanziale che possiede una natura ra-zionale o spirituale”, ma non l’uomo-personain tutta la sua soggettività”5. La sua attenzio-ne è volta alla comprensione di “tutto lo speci-

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Karol Wojtyla: verso un’etica fenomenologicaAntonio DE L O G U

fico della soggettività essenziale all’uomo comepersona”, cioè della esperienza che egli ritienesia “ignorata nella metafisica di Aristotele”.Scrive Wojtyla: “Nella tradizione filosofica escientifica che nasce dalla definizione ‘homo-animal rationale’, l’uomo era soprattutto unoggetto, uno degli oggetti del mondo (…) Lasoggettività invece è una specie di termineevocativo del fatto che l’uomo nella essenza alui propria non si lascia ridurre né spiegare deltutto attraverso il genere più prossimo e la dif-ferenza di specie”6. Se si muove dai presuppo-sti della filosofia dell’uomo come animal ratio-nale occorre, egli sottolinea, un cammino mol-to lungo per giungere alla conoscenza della“concretissima” soggettività. Quanto e comesia fondata la tesi di Wojtyla appare in tuttaevidenza quando si rifletta sul fatto che se “ilpossesso di una ‘natura razionale’ significa cheè essenziale alla persona non tanto l’esercizioeffettivo delle attività connesse a questa natu-ra (pensare, amare, parlare), quanto la capaci-tà di svolgerle”7; di conseguenza risulta neces-sario andare oltre quel concetto al fine di poterdire della persona ciò che attiene al suo pensa-re, amare, parlare, agire nella concretezza delsuo modo di essere al mondo. Tutto ciò, perWojtyla, può essere descritto e portato ad evi-denza non dalla filosofia dell’essere, ma dallaricerca fenomenologica nella misura in cui es-sa guarda alle modalità essenziali, originariedella esistenza umana. Wojtyla parla di esperienza dell’uomo: espe-rienza che ognuno fa di sé (esperienza unica eirripetibile) e esperienza dell’altro. Si tratta,egli avverte, di esperienze che si completano esi compensano reciprocamente. Per la prima(esperienza interiore) l’io è soggetto conoscen-te/conosciuto, è soggettività esperiente ma an-che soggetto che viene esperito. Per la seconda(esperienza esteriore) l’altro è il soggetto che co-nosco non nella specificità propria del mio vis-suto, ma sempre e comunque come soggetto.Nell’un caso e nell’altro, l’approccio fenomenolo-gico evita il rischio della oggettivazione. L’attenzione fenomenologica di Wojtyla è voltaall’“uomo in quanto agisce”. Non all’atto in sé oalla persona in sé ma all’atto in quanto rivela lapersona. L’uomo è persona perché compie atti e,quindi, attraverso lo studio dell’atto o agire pos-siamo comprendere più profondamente la real-tà e il senso di ciò che diciamo persona. Se gliatti hanno un valore morale (il bene e il male si

manifestano solo attraverso gli atti), soltantoattraverso la comprensione degli atti si puòcomprendere la soggettività che fa esperienzadella moralità. Perciò Wojtyla descrive e com-prende la persona nel suo farsi, come fieri in cuidinamicamente si danno i valori morali.Dunque: la persona si rivela negli atti; gli attiincludono i valori morali; la descrizione dellapersona come fieri è comprensione del senso deivalori morali e della esperienza della moralità,cioè comprensione del vissuto permeato e orien-tato da valori morali.Wojtyla dice chiaramente che non intende pro-porre un percorso di etica (categorie, concetti,nessi logici) ma descrivere l’esperienza della mo-rale (in cui l’etica si integra nella antropologia fi-losofica) praticando il metodo fenomenologico:“L’esperienza, l’intuizione e l’analisi fenomenolo-gica (…) permettono di guardare in modo nuovo atutto il rapporto della persona con l’atto”8.Il filosofo polacco non intende spiegare che cosa èl’uomo muovendo da una certificazione sostanzia-listica quanto piuttosto descrivere e comprenderel’esistenza umana guardando alla dimensione incui propriamente si rivela il qualcuno che ogni in-dividuo è, guardando cioè al suo agire.

3.Perciò Wojtyla considera gli strumentimetodologico-categoriali della metafisicatradizionale (materia e forma, esistenza e

essenza) non adeguati a comprendere la comples-sità della esperienza esistenziale dell’individuo.Egli pone, diremo con linguaggio husserliano, traparentesi, la filosofia di S. Tommaso: la metodo-logia e i risultati della ricerca tomista restano sul-lo sfondo del suo percorso teoretico. Se si vuol co-noscere l’uomo nella effettiva modalità in cui siesperisce, se si vogliono conoscere gli uomini inquanto soggetti di esperienza di sé e del mondo,afferma Wojtyla, è necessario seguire nuove stra-de, andare oltre la lezione di S. Tommaso: “In S.Tommaso vediamo benissimo la persona nellasua obiettiva esistenza e azione, ma è difficilescorgervi le esperienze vissute della persona”9.Egli trova nella descrizione fenomenologica del-l’agire modalità conoscitive (autodeterminazione,trascendenza, autenticità, vissuto) più adeguatedi quelle della metafisica tradizionale (ente, so-stanza, potenza, atto, materia, forma) a compren-dere il senso della esistenza. Perciò, preferisce de-scrivere la persona, per usare il dizionario levina-siano, come Nome o Volto10. Per comprenderne ilpensiero è utile tenere in evidenza ciò che scrive

A N T O N I O D E L O G U

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A N T O N I O D E L O G U

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il filosofo polacco Tischner, attento (e anche criti-co) studioso del pensiero wojtyliano: “Occorre sce-gliere tra le cose su cui si può pensare, quelle sucui è necessario pensare. E ciò su cui è necessariopensare non arriva a noi dalle pagine di un libro,ma dal volto di un uomo inquieto per il proprio de-stino”11. Questo uomo che non si acquieta è la per-sona che conosce se stessa come fieri, che fa espe-rienza di sé non soltanto come essere ma anchecome divenire: divenire che è essenziale al suo es-sere. Il soggetto come essere (Wojtyla dice suppo-situm) è il soggetto astratto dalla dimensione del-la esperienza o vissuto. Ma la soggettività onticaè, per Wojtyla, inclusa nella soggettività vissuta:al di fuori della soggettività esperienziale essa èpura e semplice astrazione12.Perché sottolineiamo la diversità (non la contrap-posizione) tra la prospettiva metodologica della

tradizione aristotelico-tomista e quella fenomeno-logica wojtyliana? Perché altrimenti si corre il ri-schio di non comprendere la valenza innovativadella filosofia di Wojtyla.Wojtyla nel descrivere le esperienziali modalitàd’esistenza, in definitiva, riporta la filosofia al-l’uomo concreto, ritenendo che proprio l’uomo siastato dimenticato dalla filosofia tesa alla catego-rizzazione di tutti gli aspetti della realtà. Nellasua opera filosofica più importante, Persona eAtto, egli è critico perfino nei confronti dei suoisaggi precedenti in quanto in essi non avrebbedato sufficiente spazio all’“aspetto della contin-genza e della storicità”, cioè agli aspetti che costi-tuiscono la concretezza d’ogni umana esistenza.Di questi concretissimi aspetti della individualeumana esistenza, egli dice, può darci compren-sione soltanto la descrizione fenomenologica.

1 Condividiamo in sostanza il punto di vista di G. REALE.Cfr.: Saggio introduttivo in “K. Wojtyla, Metafisica dellapersona”, Milano Bompiani, 2002, pp 1307-8. 2 G. CAPOGRASSI, Opere, II, Milano, Giuffré, 1959, p. 15.3 K. WOJTYLA, I fondamenti dell’ordine etico, Bologna,CSEO, 1980, p. 26.4 Cfr.: T. STYCZEN, K. Wojtyla: un filosofo della morale agliocchi del suo discepolo in “K. Wojtyla, Metafisica della per-sona”, cit.. Styczen sottolinea che l’esperienza di cui parlaWojtyla è la “ esperienza elementare” che l’uomo, attraver-so la coscienza, ha di sé e dell’altro. Esperienza elementa-re, cioè originaria, pre-categoriale, essenziale. (Cfr.: IDEM,Responsabilità dell’uomo nei confronti di sé e dell’altro in“K. Wojtyla – Filosofo teologo poeta”, Roma, Libreria edi-trice vaticana, 1984, p. 107).5 K. WOJTYLA, La soggettività e l’irriducibilità nell’uomo(1978) in IDEM, “Metafisica della persona”, cit., p. 1321. 6 Ibidem, p. 1320.7 E. BERTI, Genesi e sviluppo del concetto di persona nellastoria del pensiero occidentale, cit., p. 20.8 Ibidem, p. 973.9 K. WOJTYLA, “Il personalismo tomista (1961)” in “I fonda-menti dell’ordine etico”, Bologna, CSEO, 1980, p. 147.

10 La ricerca del filosofo Wojtyla può meglio valutarsi seinserita nell’ambiente della cultura cattolica polacca ein particolare delle due Università (Cracovia e Lublino)dove insegnò. Ambiente in cui si confrontavano due lineeinterpretative del pensiero tomista (una più tradiziona-lista e chiusa alle novità degli orientamenti filosofici no-vecenteschi, l’altra più aperta e interessata alla fenome-nologia e all’esistenzialismo). Il dibattito seguito allapubblicazione di Persona e Atto nell’ambiente filosoficopolacco è indicativo dei diversi orientamenti a confronto:fenomenologia e neotomismo. Cfr: : A. B. STEPIERI, La fi-losofia tomista nella Polonia contemporanea, “Sapien-za”, 1968, 21, pp. 509-28; G. KALINOWSKJ, L’universitécatholique de Lublino et la philosophie en Pologne, “Ri-vista di filosofia neoscolastica”, 1976, n. 68; IDEM, Lapensèe philosophique de K. Wojtyla et la Faculté de Phi-losophie de l’Université catholique de Lublin, “Aletheia”,1988, IV, pp. 198-216.11 J. TISCHNER, Il pensiero e i valori, Bologna, CSEO, 1980,95,154 95,154 p. 24.12 K. WOJTYLA, Persona e Atto in “Metafisica della perso-na”, cit., p. 926.

1.Col sedimentarsi della partecipazioneemotiva e del coinvolgimento mediati-co, s’impone un primo e provvisorio bi-

lancio sulla commozione universale suscitatadalla morte di Giovanni Paolo II e sul significa-to storico e religioso del suo lungo papato. Cre-diamo che in nessun tempo ed in nessun luogole manifestazioni di cordoglio per la morte diun capo politico o religioso abbiano raggiunto leproporzioni cui abbiamo assistito in occasionedella scomparsa di questo Papa. E ciò non soloperché quasi tutti i potenti della terra sono ac-corsi al suo funerale o perché milioni di esseriumani in ogni luogo della terra hanno volutopartecipare a questa perdita dolorosa, ma an-che e soprattutto perché nelle testimonianzed’amore verso Giovanni Paolo II si sono trovatigomito a gomito anche nemici irriducibili sepa-rati da barriere politiche ed ideologiche insor-montabili. Non era infatti mai capitato a Romadi ricevere ben tre presidenti degli USA (l’at-tuale, più il padre e Clinton) senza un solo ge-sto polemico o un cartello di protesta o uno slo-gan di ripulsa.Il fatto è che davanti a questo Papa tutti gliuomini e tutti i popoli della terra, dai piùgrandi ai più piccoli, non hanno potuto sot-trarsi all’impulso di deporre le armi e di ri-nunciare, seppur per poco tempo, all’odio edalla contrapposizione ideologica. Il che non èpoco per chi spera in un futuro diverso per ildestino del mondo. Eppure di fronte a questa sorprendente e gran-diosa identificazione tra la missione universaledella Chiesa e le attese diffuse in ogni angolodel pianeta, c’è stato chi, come il filosofoEmanuele Severino, ha parlato di una sorta disussulto preagonico della religione cattolica. Inun fondo apparso sul «Corriere» (4 aprile) egli ègiunto a sostenere che «il sacro ed il divino con-cepiti come dimensione eterna che domina il di-venire e la storia sono impossibili», per cuiGiovanni Paolo II s’è trovato «come uno che inmezzo ad un torrente in piena sostenga che

l’acqua va dalla valle al monte»: il tutto per cer-care «di salvare una nave che affonda». Al filo-sofo sfugge forse che il cristianesimo ha semprerappresentato un segno di contraddizione e dinegazione nei confronti del conformismo domi-nante, per il quale è beato non chi piange machi ride, non chi perde ma chi vince, non chi hafame e sete di giustizia ma chi è signore delmondo. Non a caso Elémire Zolla, che a diffe-renza di Severino possedeva una qualche nonsuperficiale nozione intorno alle religioni ditutto il mondo, sosteneva che il santo è coluiche non teme di apparire un folle agli occhi delmondo.

2.Come esempio storico di questa santafollia basterà ricordare, tra le tante vi-site compiute da questo Papa, in ogni

parte del mondo, la sua memorabile andata aTorino, a dieci anni dalla sua elezione, in occa-sione del centenario di Don Bosco, nel settem-bre del 1988. Una visita che ha lasciato il segnoe che è passata come un ciclone sulle fragilistrutture delle parate ufficiali e sulle attesemondane della città. «I parrucchieri – avevascritto compiaciuto il cronista – hanno fatto glistraordinari perché questa domenica era unafesta che valeva il doppio. La permanente dove-va essere fresca per poter scendere in piazzacon mariti e figli in attesa del Papa. Poi: mini-gonne e sciarpette di lana colorata, scarpette divernice e bluse di mezza stagione, palloncinicolorati e bandierine con i colori bianchi e gial-li del Vaticano, passeggini e biberon per i piùpiccoli. Un mare di folla» («La stampa», 5 set-tembre 1988). È di fronte a «questa» folla ed alla «Torino checonta» (da Agnelli a De Benedetti) che il Papaha voluto lanciare anche in questa occasione lasua provocazione. Egli ha ricordato «Torino ca-pitale dell’industria e del lavoro», ma ha volutoanche evocare «coloro che sono giunti dallacampagna e dalla montagna piemontese o daaltre regioni d’Italia», ai quali «si aggiunge un

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Il significato storico e religiosodel papato di Giovanni Paolo II

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crescente afflusso di stranieri» che crea «pro-blemi oggi più gravi ed impellenti». Ha voluto,cioè, portare nel cuore della città industrialeuna realtà planetaria che già allora provocavaconseguenze incalcolabili e sconvolgenti sullosviluppo delle società occidentali: la valangaumana dell’immigrazione di colore.Ma non si era limitato a questo. Con quali va-lori, con quale sensibilità, con quale predisposi-zione dell’animo si erano attrezzate le nostrecittà per accogliere l’altra immensa parte delpianeta? «Rimaniamo sconcertati – aveva sog-giunto il Papa – dall’enorme pressione che suigiovani esercitano tante ideologie, numerosesuggestioni, molteplici forze, organizzate nelcreare gradualmente un clima di pensiero e divita disancorato da ogni riferimento sopranna-turale ed aperto a qualsiasi avventura intellet-tuale e morale». E ancora: «Accanto a tantisforzi per l’educazione dei giovani, esiste ancheil lavoro assiduo di un’antieducazione, che com-promette il destino della gioventù, orientando-la verso esperienze distruttive. È urgente ope-rare per liberare i giovani dai miti ricorrenti,dalle droghe ideologiche, dalla suggestioni de-vianti e dai mezzi che le diffondono».Parlando in Duomo a 2.500 insegnanti, il Papaaveva rincarato la dose, puntando, senza ambi-guità diplomatiche, il dito sui guasti provocati«dall’eccesso di informazioni contraddittorie esenza scale di valori, dalla mancanza di sensodella vita e dall’angoscia per le incertezze del-l’avvenire, dalla carenza di ideali, da un certolasciarsi andare che può arrivare alla crimina-lità e al consumismo dannoso».Ed è qui che egli ha voluto parlare con forzadell’ora di religione nella scuola. «Pur nellaconsapevolezza delle deficienze che i giovanihanno – disse – abbiate la convinzione che ilVangelo, se seminato all’interno del processodella loro formazione umana, li può condurread impegnarsi generosamente nella vita. Perquesto privilegiate l’ora di religione! Datelepriorità nelle vostre cure. In essa i giovani de-vono essere in grado di trovare Cristo e il suoVangelo, e di sentirne tutto il fascino». Pocoprima aveva parlato della «crisi della scuola,spesso sofferente per la carenza di valori daporgere ai giovani e infeconda per generare sa-pienza e cultura».Ma là dove Wojtyla ha voluto spingere a fondoil segno della contraddizione è stato quando, aldi fuori delle parate ufficiali, si è trovato a tu

per tu con i massimi responsabili della Chiesatorinese e dei salesiani. Ed ha posto il problemacon brutale franchezza: perché, nonostante tut-ti i santi che hanno operato a Torino, nonostan-te «l’opera gigantesca creata da un piccolo pretedelle nostre colline (Don Bosco), nonostante l’o-stentazione di labari e di folle osannanti, per-ché, nonostante tutto ciò, Torino continua ad es-sere una città «scristianizzata», dove la praticareligiosa coinvolge si e no, il 15 per cento dell’in-tera popolazione? Di qui la sua rampogna: «Iodico qui, a Torino: convertitevi! Si deve dirlo, enon ho nessun complesso a dire questo. Conver-titevi! Perché sappiamo bene quali erano le pa-role del Signore per queste città che hanno rice-vuto i privilegi, che hanno accolto i profeti e poisono rimaste come prima, o forse ancora peggio-ri di prima».Il fatto è che, ha voluto proseguire il Papa, «do-ve c’è l’opera della salvezza, dove c’è l’attivitàdel Santo Spirito, dove vi sono i Santi, là arri-va anche un altro. Naturalmente non si presen-ta con il proprio nome: cerca di trovare altri no-mi. Si chiama anche principe di questo mondo.È una bella cosa essere principe di questo mon-do: chi non vorrebbe essere principe di questomondo? Quale partito politico non vorrebbe es-sere principe di questo mondo, quale ideologia?Pensiamoci!».Poco prima, non senza durezza, aveva usato lafrusta nei confronti di «tanti studiosi della teo-logia» da parte dei quali, invece di cercare «co-me accompagnare il processo della conversione,si cerca come liberare la persona umana, nelnome della sua dignità, dalla necessità dellaconversione».Quando le parole del Papa ebbero superato labarriera della riservatezza ed apparvero inte-gralmente su «L’osservatore romano», lo scon-certo nella città e il perbenismo laicista, ormaida tempo privo dell’arguzia gobettiana, reagì inmaniera patetica e confusa. Sulla prima pagina del giornale della Fiat erasceso in campo anche il teologo Sergio Quinzioper dire, in sostanza, che il Papa non aveva ildiritto di difendere le ragioni dell’uomo, ante-ponendole alle ragioni dell’economia e dellaproduzione, senza indicare anche le soluzionipiù adeguate. «È troppo facile – scriveva scan-dalizzato – esigere tutto questo esimendosi dalcompito di indicare una via per conseguirlo» (6settembre). Purtroppo, per un lungo periodo lacultura cattolica, dall’800 fino a Pio XII, è sta-

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ta percorsa dall’illusione di contrapporre allaEnciclopedia degli illuministi una sorta diEnciclopedia ecclesiastica (era questo il titolodi una rivista fondata a Napoli dal padre teati-no Gioacchino Ventura nel 1821), in grado didare una risposta tecnica e puntuale a tutti iproblemi dell’uomo ed alle esigenze di tutte lecategorie sociali e professionali. Ma è stata so-lo una illusione, che alla fine si è risolta in unarivincita dell’illuminismo stante la pretesa diridurre la religione ad una sorta di manualeper geometri o per ragionieri.Il compito della religione era per GiovanniPaolo II un altro: richiamare senza tregua l’uo-mo al suo destino trascendente di amore versoDio e verso il prossimo, e sulla base di questo ri-chiamo dare una risposta ai grandi quesiti del-l’esistenza, stabilendo una non arbitraria né ac-comodante gerarchia di valori e di doveri. Toc-cherà poi agli uomini di buona volontà – alla lo-ro sensibilità e cultura, che variano da luogo aluogo, da storia a storia, da ceto a ceto – ricer-care i mezzi più idonei per conseguire i traguar-di fissati. Non a caso l’enciclica Sollecitudo reisocialis di Papa Wojtyla – che non fornisce ri-cette risolutive ma condanna senza appello leideologie che si contendono in maniera falli-mentare l’egemonia del mondo – rappresenta,anche sotto questo aspetto, un salto qualitativonei confronti delle precedenti Encicliche sociali.

3.Ho voluto indugiare su questa visitamemorabile del Papa a Torino, non so-lo perché qui emergono in maniera

esemplare ed efficace alcuni tratti inconfondi-bili del suo carisma, ma anche per tentare unprimo sommario bilancio del suo lungoPontificato. Senza voler interpretare i disegnidella Provvidenza, sta di fatto che la scelta diun Papa straniero e, per di più, di nazionalitàpolacca ha rappresentato – anche alla luce diuna verifica attenta del lungo pontificato diPapa Wojtyla – una svolta epocale nella storiacomplessa della Chiesa nei suoi rapporti colmondo contemporaneo.Perché la Polonia? Potremmo sbizzarrirci nelcercare le risposte più pertinenti e meno reto-riche. La Polonia, a ben vedere, non è solo unaterra di confine, né solo un popolo segnato dauna irriducibile fedeltà al cattolicesimo roma-no: è anche la nazione europea che più di tutteha subìto lo strazio provocato dalle due vere,grandi deviazioni ideologiche che hanno insan-

guinato il secolo scorso, il nazismo ed il comu-nismo. Due ideologie certamente contrapposte,ma spesso convergenti ed alleate nella loro il-limitata capacità di offesa dell’uomo e dellasua dignità.Emblemi drammatici di questa cinica conver-genza furono, nella storia recente della Polo-nia, da un lato il turpe patto Molotov-Ribben-trop ai danni di un terzo del territorio polaccoe dei paesi baltici occupati da Stalin, e dall’al-tro la «liberazione» di Varsavia, per mano deisovietici. Come è noto, qui, nell’agosto del1944, la resistenza polacca, collegata col go-verno democratico in esilio, aveva organizzato– mentre i russi erano alle porte – l’insurre-zione della città contro i tedeschi. Ma l’Ar-mata rossa non si mosse e, per due lunghi me-si, attese che i nazisti radessero al suolo la cit-tà e trucidassero duecentomila cittadini cheerano insorti. Solo allora Varsavia venne «li-berata» per poter insediare un governo di os-servanza staliniana.Questa storia terribile faceva parte, per direttae sofferta esperienza, della biografia di Woj-tyla, della sua sensibilità umana e religiosa: laquale non poteva non esprimere un cattolicesi-mo concreto ed essenziale, cioè lontano da ec-cessive mediazioni intellettualistiche e da in-certezze esistenziali; ché tutto il dramma del-l’uomo contemporaneo, prima ancora che nelleelaborazioni letterarie o filosofiche, era perKarol Wojtyla scritto con impressionante chia-rezza nella cruda realtà delle cose.Certo, il nazismo e il comunismo, seppure contempi e modalità diverse, sono stati condanna-ti e duramente respinti dalla coscienza contem-poranea. Ma a che serve condannare i carnefi-ci, se poi si accetta la loro cultura? Ed essa an-cora perdura sia nel consumismo come nelmarxismo che, in forma non platonica né disar-mata, si contendono l’egemonia del mondo econtinuano a produrre i mostri che troviamodescritti nella Sollecitudo rei socialis: e traquesti anche l’azione terrificante del terrori-smo che continua a far sanguinare il mondo eche ha straziato le carni dello stesso Wojtyla.Cercare in altre direzioni il significato del pon-tificato di Giovanni Paolo II è accademia. Eglisi è dato il compito di liberare l’uomo contem-poraneo dall’incubo delle due ideologie imma-nentistiche che ne hanno deviato il destino: l’u-na, il consumismo, con l’illusione di legare lasorte dell’umanità al cieco determinismo delle

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leggi economiche; l’altra, il leninismo, con lapretesa di piegare la natura umana al potereincontrollato di una casta di mandarini. Sequesto è l’obiettivo di fondo, si tratta, allora,non solo di dimostrare il fallimento storico edepocale delle due ideologie, ma anche di rimuo-vere le cause che sono all’origine della deviazio-ne, ancorando finalmente e senza incertezzel’uomo al suo destino trascendente ed offrendoa masse sterminate, deluse ed abbandonate ase stesse, un’alternativa di speranza e di re-denzione umana e sociale.Essendo questa la posta in gioco, diventa facilecomprendere anche tutto il resto. Si compren-dono i viaggi del Papa in ogni luogo della erra.Si comprende il processo di internazionalizza-zione della Curia romana impresso con la pro-mulgazione della Costituzione apostolicaPastor bonus. Si comprende la premurosa at-tenzione con cui Wojtyla ha seguito il destinodei popoli collocati all’Est e al Sud del pianeta.Si comprende, infine, la severità delle sue ram-pogne contro l’ottuso consumismo che corrodel’anima dei popoli occidentali e la sua assillan-te lotta a favore della pace.Da un lato, l’esigenza di rendere veramenteuniversale il messaggio di Cristo e, dall’altro,la consapevolezza di dover fare i conti con unarealtà mondiale estremamente differenziata,hanno imposto a questo Papa un linguaggiosemplice ed efficace, che va diretto al cuore del-l’uomo e che tende a sollecitare e favorire il ri-sveglio religioso su basi popolari e di massa.Ecco perché nelle nostre società oppresse dalbenessere e dal culto dell’efficienza e del suc-cesso, un Papa come Wojtyla ha sempre dovutolottare sue due fronti ed ha sempre rischiato dinon essere amato né a destra né a sinistra: adestra, per la carica eversiva delle sue invetti-ve verso «i pochi che possiedono molto, che nonriescono veramente ad essere perché, per un ca-povolgimento della gerarchia dei valori, ne so-no impediti dal culto dell’avere» (Sollecitudo,par. 28); a sinistra, perché non si attarda a tre-pidare sulle angosce intimistiche di certo pro-gressismo salottiero, che spesso confonde la li-berazione dell’uomo con l’abbandono alla frene-sia del consumo ed al determinismo dell’istinto.Ed è curioso notare come le parole più efficaci afavore del celibato ecclesiastico e del cosiddetto«tabù cristiano del peccato» – che rappresenta-no le bestie nere dei nostri progressisti e di filo-sofi come Emanuele Severino – siano state

scritte da un marxista intelligente e privo dipregiudizi come Cesare Cases: «Fino al cristia-nesimo il sesso era sacro – egli ha scritto – per-ché nel sesso l’individuo si risolve immediata-mente nella specie, e questa veniva concepitacome l’unica realtà umana, di cui l’individuo èsoltanto una parte. Invece il cristianesimo reci-de questo legame, trasferisce la sostanzialitàdella specie al singolo e fa di questi l’oggetto im-mediato della provvidenza, mettendolo diretta-mente in rapporto con la divinità. Mentre per ilfilosofo pagano gli uomini periscono e l’umanitàperdura, per il cristiano Cristo ha infranto leporte della morte e assicurato all’uomo l’immor-talità personale. Donde la dissacrazione del ses-so che accompagna la consacrazione dell’indivi-duo, il quale proprio emergendo dalla natura edalla specie afferma la sua natura divina e ilsuo diritto ad una immortalità che non è quelladella specie». E così conclude: «Se dunque lacondanna cristiana della natura è una aberra-zione, è questa aberrazione che permette ancheal povero o allo schiavo di sentirsi individuo,unico, irripetibile e immortale» (Il testimone se-condario, Torino, 1985, pagina 267).Orbene, un Papa che, di fronte al fallimentoclamoroso delle ideologie dominanti, ha volutorilanciare la sfida cristiana perché anche glischiavi (da quelli del benessere a quelli dell’in-digenza) potessero sentirsi persone uniche, ir-ripetibili, immortali, potrà forse apparire tra-dizionalista o anacronistico a qualche spiritoraffinato, ma sicuramente ha segnato una svol-ta non solo nella storia della Chiesa, ma anchenella coscienza dell’uomo contemporaneo.Ma la santa follia del Papa, se ha contribuito inmaniera decisiva a far crollare l’impero comu-nista, non è stata certamente indolore se è ve-ro che il lungo e penoso calvario provocato dal-le sue malattie ha avuto inizio con l’attentatoper mano sovietica nel maggio del 1981. Eccoperché di fronte a questo grande Papa fa specienon solo la presuntuosa irrisione del filosofoSeverino e del Corriere, ma anche la reticenzadel Capo dello Stato italiano Ciampi, il quale,commemorando a reti unificate Giovanni PaoloII, ha parlato genericamente del suo contributo«al superamento della divisione tra Est edOvest», non ha cioè nominato la sua irriducibi-le opposizione al comunismo quasi per non of-fendere la sensibilità di coloro che osano anco-ra richiamarsi a questa ideologia o alla sua ri-fondazione.

È stata meravigliosa, commovente, asso-lutamente imprevedibile l’immagine diquell’inarrestabile fiume di fedeli che la

sera della morte di Giovanni Paolo II, e nei gior-ni successivi, sono affluiti lentamente in piazzaSan Pietro per onorare il Papa, per vederne lespoglie. La fila era interminabile, si procedevacon grande difficoltà, bisognava aspettare anchedieci ore in piedi prima di raggiungere la meta.Sembrava che lo Spirito Santo sostenesse quellaenorme folla dolente.A questa immagine stupefacente si è sovrappostanel mio ricordo un’altra, terribile, che non ho maidimenticato, che rimane almeno in parte inespli-cabile, che molti sicuramente preferiscono dimen-ticare, mentre fa parte anch’essa della storia del-la Chiesa, è anch’essa un segno dei tempi, perquanto odioso, almeno ai miei occhi. Parlo delgiorno in cui Giovanni Paolo II fu colpito nell‘at-tentato di piazza San Pietro, il 13 maggio 1981.Per quel terribile evento la piazza non si riempì,si vuotò! Mi sembrò incredibile. Per tutta la not-te, mentre il Papa ricoverato al policlinicoGemelli lottava fra la vita e la morte, soltanto unesiguo gruppo di polacchi rimase a vegliare, pre-gando, in un angolo del colonnato.Quella sera volevo pregare anch’io, in una chiesa,per la salvezza del Papa; ma tutte le chiese roma-ne, a cominciare da San Pietro, erano assurda-mente sbarrate. Avrei voluto, invece, che fosserotutte aperte, che vi si svolgessero funzioni solen-ni per chiedere a Dio la grazia di salvare il Papa,avrei voluto che tutte le campane di Roma suo-nassero per chiamare i fedeli a pregare. Invece lacittà era cupa e silenziosa, sembrava che sul cie-lo aleggiasse lo spirito di Satana.Il giorno dopo seppi che nelle cattedrali del-l’Occidente, da Parigi a New York, si era pregatoper tutta la notte. A Roma, nel cuore dellaCristianità, dove era stato colpito il più alto rap-presentante della Cristianità, il vicario di Gesù interra, dominavano invece il buio, il silenzio, lapassività. Seppi che nella notte era rimasta aper-ta soltanto una chiesa per accogliere i fedeli chevolevano pregare, San Lorenzo in Lucina, eviden-temente per iniziativa autonoma del parroco cui

va reso l’onore del ricordo, mentre gli altri parro-ci romani acconsentirono pigramente al mutismodelle gerarchie ecclesiastiche.Perché ricordo questo episodio, che alla mia co-scienza appare ancora strabiliante? Se, come ac-cennavo, è in gran parte incomprensibile, non perquesto bisogna dimenticarlo, non per questo biso-gna rinunciare a cercarne qualche spiegazione, alparagone con il trionfo di Giovanni Paolo II inagonia e in morte.Un’unica interpretazione è ragionevolmente possi-bile, benché non esauriente. Fino al momento del-l’attentato, dopo tre anni dall’elezione, Karol Wojty-la non era ancora amato, non era ancora accettato.C’era come un muro, come un rifiuto. I motivi?Il primo che viene alla mente fu la difficoltà di ac-cogliere uno straniero, con la sua cultura diversada quella latina. Ma ci fu dell’altro, penso special-mente alla sorpresa e al fastidio di dover ubbidi-re a un Papa che non soltanto veniva da lontano,era anche battagliero, giovane, forte e deciso a go-vernare con fermezza, a raddrizzare la barca diPietro che si era troppo inclinata sotto il vento“conciliare”, portatore di un certo relativismo eti-co, di un certo lassismo “ecumenico”, di un certodisordine persino nei riti.Ma, per eroico paradosso, dopo quella ferita nellacarne con il susseguente calvario di sofferenze peraltri mali in gran parte da quella ferita derivati,Karol Wojtyla non solo ha trovato la forza per go-vernare e tenere unita la Chiesa, non solo con lesue encicliche ha confermato e illuminato di fuoconuovo la dottrina ecclesiastica, non solo ha cambia-to la storia dell’Europa facendo crollare l’imperocomunista, ha anche consumato la sua vita doloro-sissima andando ovunque nel mondo per annun-ciare gioiosamente la buona novella, accolto ovun-que trionfalmente. Cosi ha conquistato il mondoper conquistare finalmente Roma, il centro delmondo. Per questo la piazza che la notte dell‘atten-tato era vuota, quando Karol ha lasciato la Terrasi è riempita giorno dopo giorno come mai era ac-caduto prima. I romani e il mondo avevano ricono-sciuto il Grande, avevano riconosciuto il Santo,non lo volevano lasciare senza un ultimo saluto, co-me un risarcimento per la diffidenza iniziale.

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Piazza San Pietro nel giorno dell’attentatoFausto GI A N F R A N C E S C H I

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1.Il grave rintocco della Sigismonda, com’èsoprannominata la torre del castello diWawel, ha annunciato la morte di Gio-

vanni Paolo II a Cracovia, mentre a Gerusa-lemme è stata la campana di S. Giorgio che domi-na il Santo Sepolcro a dare la tristissima notizia.Il mondo è in lacrime e la Polonia è inconsolabile.Mons. Gianfranco Ravasi, biblista e prefetto del-la Biblioteca Ambrosiana, afferma: “Ha interpre-tato il dolore, cuore della fede cristiana. Il Papa ècome se avesse voluto rileggere e reinterpretare ildolore, intendendolo nella luce cristiana più vera,il mistero della redenzione passa attraverso lasofferenza e la morte di Dio”. Egli pure ci ricordache Giovanni Paolo II ha sconvolto abitudini econsuetudini: Assisi 1988, dialogo ecumenico in-terreligioso; Gerusalemme 2000, al Muro delPianto dove tra gli interstizi inserisce un fogliet-to. All’apertura della porta della Basilica di SanPaolo, sempre nel 2000, vuole accanto a sé il pri-mate di Canterbury e un metropolita del patriar-cato di Costantinopoli. E così ancora, nel 1985 aCasablanca bacia una copia del Corano. KarolWojtyla, capo carismatico di un miliardo di catto-lici, è il primo papa a visitare la Casa Bianca, unaSinagoga, una Moschea, una Chiesa protestante,un Patriarcato ortodosso; troppo lungo l’elencocompleto di paesi e popoli, governi e parlamentivisitati, ultimo il parlamento italiano. Da non di-menticare, a suo tempo, Fidel Castro. Strana dichiarazione di Alì Agca dopo la mortedel Pontefice. Ha chiesto di andare al funeraledel Papa: “Mio fratello spirituale”, firmandosi“Mehmet Alì Agca, il servo messia” .Il cordoglio è profondo. Tutti gli vogliono bene,tutti vogliono stringersi in un abbraccio affettuo-so e disciplinati, pazienti, addolorati aspettano illoro turno per la visione di pochi secondi. È in fon-do il Papa del “Dàmose da fà, semo romani”, checosì risponde a uno dei parroci della capitale spro-nandolo ad agire.Gaspare Barbiellini Amidei scrive: “L’autoritàdella Chiesa di Roma si legittima nell’idea che haaccompagnato Giovanni Paolo II anche nell’ulti-

mo passaggio della sua intensa vita; morire pergli altri, a favore degli altri è vivere due volte. Èstata una morte esibita, come fu quella di Gesùsulla croce”. E continua: “Il profeta che se ne valascia un vuoto percepito con uguale sensibilitàanche dai non credenti. Wojtyla morendo conse-gna in eredità pure agli atei il bisogno di Dio”.

2.Roma è presa d’assalto, ma tutto procedecon ordine anche se i pellegrini sono mi-lioni e vengono da tutte le parti del mon-

do. “Procedamus in pace”, esorta il CamerlengoEduardo Martinez Somalo e la folla sfila silenzio-sa, piangente od orante.L’intellettuale cattolico, il grande tessitore delSindacato Solidarnosc, Tadeuez Mazawiecki, cheè stato il consigliere di Lech Walesa più legato aPapa Wojtyla e Primo Ministro della nuova Polo-nia (24 agosto 1989), ha ricordato: “Molto spessomi torna alla mente la frase che Papa Wojtyla cidisse durante il primo pellegrinaggio in Polonia:«spalancate le porte a Cristo». Quella frase ebbeun effetto straordinario non solo su di noi cattoli-ci, ma anche su quanti non credevano o eranoatei”.La stampa mondiale ha trovato titoli degni del-l’avvenimento. Citiamo da una sola testata: «TheTimes»: “Il Papa dei Papi”.Il cordoglio è unanime anche tra gli uomini po-litici. Ascoltiamone qualcuno. Vladimir Putin:“Un uomo saggio e responsabile, una figura ec-cezionale del nostro tempo, alla quale è asso-ciata una intera epoca”; Gerhard Schroder:“Attraverso il suo lavoro e la sua impressionan-te personalità il Papa ha cambiato il mondo.Ha scritto la storia”. Sylvan Shalom, Ministrodegli Esteri: “Israele, il popolo ebraico e il mon-do intero hanno perduto oggi un grande cam-pione della riconciliazione e della fraternità frale religioni”. Fidel Castro: “L’umanità terrà persempre con sé un ricordo commosso dell’instan-cabile lavoro che Sua Santità Giovanni Paolo IIha sempre compiuto a favore della pace, dellagiustizia e della solidarietà tra i popoli”. Valéry

«Vere Papa mortuus est»Francesco Alberto GI U N T A

F R A N C E S C O A L B E R T O G I U N T A

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Giscard d’Estaing: “La sua fede, la sua sempli-cità, il suo straordinario coraggio e l’accettazio-ne della sofferenza hanno spinto i cristiani etutti gli uomini verso una forma superiore diumanità”. Il presidente del Brasile Luiz lnacioLula da Silva: “Andrò a Roma; è il minimo cheun operaio possa fare per un altro operaio, perun uomo che ha tanto marcato la mia epoca”.Per l’Europa il Commissario Franco Frattini an-nuncia che, come da desiderio del Papa, nascerà la‘sua’ Casa del Dialogo (Mary’s House). L’Europaentrerà nel board, nel Consiglio direttivo dellaCasa il cui scopo è: “Garantire la continuità deldialogo fra le religioni, dare la possibilità di prega-re e di discutere assieme ai rappresentanti soprat-tutto di cristiani, musulmani ed ebrei”.

3.Non mancano dolore e tristezza tra il po-polo degl’intellettuali, degli artisti, deigiornalisti, degli scrittori e dei poeti. Ci-

tiamo a caso, tra noi, Alda Merini, GiuseppeBonaviri o Ennio Calabria, che ne ha fatto un ri-

tratto. Ha parlato Timothy Garton Ash per l’Uni-versità di Oxford; Predrag Matvejevic, per l’Esteuropeo.Per la Francia Bernard-Henry Lévy:“Giovanni Paolo II è stato innanzi tutto il Papadell’epoca della morte di Dio” […] “È stato il pri-mo Papa a capire che il comunismo, come del re-sto il nazismo fu, sotto molti aspetti, solo una pe-ripezia di quella lunga storia che è la storia dellamorte di Dio annunciata da Nietzsche” .Siamo al commiato ecumenico, al rito delle“Valedictio”, composto da quattro distinti com-miati: Chiesa di Roma, Chiese cattoliche di ritoorientale alle quali si affiancheranno quelli delprimate anglicano e del patriarca di Costantino-poli, ognuno con i suoi rappresentanti, con le sup-pliche secondo la propria tradizione, secondo i ri-spettivi turni di rito, in piedi accanto alla bara, ri-volti verso l’altare.Il silenzio tutt’intorno è perfetto, riempito dal co-raggio dell’attesa, dalle lacrime del rimpianto,dalla mestizia della dipartita. La folla si scioglie ei cortei si riformano per altre vie.

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1.La preparazione seminaristica di KarolWojtyla, iniziata e terminata sotto ok-kupazione straniera, fu giudicata con

occhio critico da Garrigou Lagrange nell’unicoed intero anno in cui il giovane polacco frequen-tò l’Angelicum dell’Urbe, tuttavia il grande do-menicano fu benevolo per il pupillo dell’Arci-vescovo di Cracovia. Passato, per un più lungoperiodo, in Francia e Belgio, il neo-dottore pre-se interesse alla “nouvelle théologie” di De Lu-bac, Congar e Balthasar e agli aperturismi filo-sofici lovaniensi, riportando di lì il seme dellafenomenologia trascendentale in patria (dove,dei tre principali discepoli di Husserl – Stein,Scheler ed Heidegger – egli utilizzò soprattuttoil secondo tentando, negli anni, una composizio-ne del trascendentalismo col tomismo che fu au-torevolmente giudicata difettosa sul piano dellalogica).Io ebbi la prima notizia di Wojtyla negli annisessanta, dalla stampa cattolica francese, so-prattutto in riferimento alla fermentazione cul-turale da lui tentata e alla sua battaglia diNuova Huta. Nel 1974 detti conto, sulla rivistadi Andreotti, Concretezza, del suo intervento alSinodo dei Vescovi, rivelandone originalità e vi-gore. Nel 1977 ebbi un contatto diretto con lui acausa del mio libro sulla Santa Sede: dalle po-che righe del suo benevolo autografo traspare laperdurante tensione col regime oppressivo.Previdi sul «Gazzettino» la sua possibile eleva-zione al Soglio. Dal giorno in cui fu eletto Papaio ho sempre pregato per lui e negli ultimi gior-ni della sua agonia sono stato solidale con lacommozione e la stima universale, ma qui vo-glio solo schematicamente rievocare alcuni con-suntivi di governo.Nel 1979, durante un mio viaggio in Polonia,parlai con alcuni sacerdoti di Cracovia: essi de-lusero completamente la mia aspettativa: “Eglinon governa – mi dissero – il governo lo lasciaagli altri. Lui pensa a pregare, e a scrivere, aparlare…dà le direttive importanti”.

2.Nel 1980 pubblicai un libro intitolatoWojtyla: due anni di pontificato (subito ri-chiesto all’editore dalla segreteria papa-

le): in questo elencavo tutti i principali problemiche attendevano soluzioni dal Papa (e che sonorestati in gran parte irrisolti).Anzitutto la minaccia comunista che pesa sul-l’Asia, sull’Europa e sull’America.La dirigenza comunista cinese e indocinese è re-stata persecutoria.I dirigenti comunisti, travestiti, sono restati inposizioni di potere nei paesi europei (come i loro“preti della pace”).Le collusioni comuniste coi movimenti cattoli-ci di liberazione in America sono ancora rile-vanti (e a Cuba c’è ancora un regime oppressi-vo). A sorpresa il Papa ha ultimamente attri-buito una qualche giustificazione di “necessi-tà” al comunismo.La minaccia islamica, già preoccupante dalpunto di vista demografico, acuita per il pro-blema palestinese dall’evidente vanificazionedelle risoluzioni ONU, è diventata dappertut-to più pesante e ha aperto nuovi fronti perse-cutori. Neppure il pubblico bacio del Corano(!) è riuscito a disarmare gli “insofferenti” alpunto che il governo italiano teme l’offesa fisi-ca perfino contro il Vaticano.A fronte di queste due minacce il Papa ha da-to credito, con differente motivazione, a duepotenze mondialiste: gli USA e gli Ebrei. Neha tratto qualche vantaggio, ma deve subiresia il capitalismo selvaggio fino all’irrefrena-bile ricatto bellico, sia l’insaziabile risenti-mento ebraico fino al ricatto ostile a Pio XII,anzi fino al tracotante giudizio rabbinico sulcristianesimo, qualificato come idolatrico (nel-la stessa sede del Laterano!).La grande tragedia africana ha visto il Papaprodigarsi oltre ogni previsione: ne è stato ri-pagato amaramente non solo con le perduran-ti persecuzioni islamiche e con le ricorrentistragi fra cristiani, ma anche col perduraredello sfruttamento capitalistico che giunge fi-

Note sul governo wojtylianoEnnio IN N O C E N T I

E N N I O I N N O C E N T I

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no allo sfruttamento delle malattie; dopo l’am-missione delle responsabilità passate per laschiavitù, organizzata tra cristiani e mussul-mani, ci sarà da riconoscere le responsabilità– più vaste – dei capitalisti che si fregiano an-cora dell’etichetta cristiana.Più grave di tutte, forse, era ed è la minacciaderivante alla Chiesa apostolica dalla perver-sione culturale (“il fumo di Satana”). Certonon era la fenomenologia la leva adeguata aribaltare la situazione che il Papa stesso la-mentava. Non gli era sfuggito neppure l’in-flusso esercitato dai principali discepoli del-l’ex-fenomenologo Heidegger: Sartre, il capofi-la dell’esistenzialismo ateo, dal Papa indicatotra i “maestri del sospetto” contro i quali eglirivendicava il giusto ottimismo cristiano; e K.Rahner, a sua volta maestro e difensore deicapofila dei teologi della liberazione, contro ilquale egli si limitò a far pubblicare dal-l’«Osservatore Romano» un articolo monitorio.In realtà egli non è riuscito a ristabilire il pri-mato della metafisica classica, tomistica, e an-che per questo le porte son restate aperte atutti i seminatori di zizzania, persino nelleUniversità Pontificie, e critiche serie son sta-te indirizzate contro le stesse argomentazionipapali inserite in atti di magistero.

3.Questo perdurante malessere culturaleha rappresentato una debolezza anche neldialogo ecumenico, troppo monopolizzato

(del resto) da vertici “politicizzati”, troppo ipote-cato dalla questione del primato petrino, troppomanipolato da professori di storia. Il risultato ditanti sforzi è sostanzialmente molto molto mode-sto. Impressiona, soprattutto, la paura del catto-licesimo che domina l’ortodossia e vien da doman-darsi quanto abbia pesato il protagonismo papalenel provocare questa reazione.Pur non avendo l’abitudine al governo, Wojtylatrovava in Roma un apparato governativo attrez-zato: la Curia. Purtroppo esso era ancora inade-guato rispetto alle attese indicate dall’ultimoConcilio e tale è restato. Non è bastato neppurevarare il nuovo Codice nel 1983 (si pensi, per ci-tare un solo esempio, che il regolamento romanodei processi criminali del 1962, in evidente con-traddizione col codice del 1983, è restato in vigo-re fino al 2000!). Via via i difetti di Curia eranosempre più evidenti e negli ultimi anni era a tut-ti manifesto che il Papa non era più in grado distudiare personalmente le questioni. Poiché la

legge proibisce ai capi dicastero di prendere ini-ziative e decisioni alicuius momenti senza la di-rettiva del Pontefice, la conseguenza è intuibile. Da questi pochi cenni si deduce che, meriti indi-scutibili a parte, Wojtyla lascia una istituzione insofferenza e questa sofferenza si è manifestamen-te acuita negli ultimi tempi della sua malattia. IlCollegio Cardinalizio, in particolare, non apparepiù adeguato ai compiti rappresentativi e colle-giali auspicabili, risultando ristretto, invecchiatoe passivo. Qualcuno avanza l’ipotesi di considera-re l’opportunità d’un ufficio cardinalizio pro tem-pore, esteso, oltre che ai capi dicastero, a tutti ipresidenti delle conferenze episcopali durantemunere; un collegio sempre giovane, con funzioneconcistoriale e potere di indirizzare riservata-mente consigli al Pontefice anche senza essernerichiesto. Questi nuovi cardinali in carica sareb-bero, come presbiteri romani, anche gli elettoriconclavisti.

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1.Perché mai Karol Wojtyla ha tanto amatoil teatro da rivestire in se stesso, ed inprogressivo sviluppo, le facoltà dell’inter-

prete responsabile, del protagonista e dell’anta-gonista, dell’allestitore coreutico e scenografico,dell’inventore che muove i fili della vicenda uma-na e li proietta in una dimensione feconda sul du-plice fronte della fantasia e dell’eticità? Perché haaccettato per anni – specialmente in quelli dellaprima giovinezza, esposti a mille avventure e amille pericoli – di entrare con tanta sicurezza inun territorio così scivoloso, in un giardino così ric-co di lusinghe e di fragranze, ma anche di moltepiante malate? Perché non ha condannato, comeavevano fatto per secoli gli uomini di chiesa, ilfatto teatrale in quanto initium depravationis, néha mentalmente sottoscritto l’infamante sepoltu-ra di Molière in terra sconsacrata?La prima risposta a queste domande la offre luistesso, quando afferma l’importanza irrinunciabi-le del coro nella teoresi e nella prassi teatrale.L’attore, con o senza maschera, non gesticola néannaspa da solo sulla scena, non avventa smaniee lamenti contro una quarta parete che non ri-sponde: le sue parole, come i suoi gesti, sono rece-pite da una piccola o grande platea che le riverbe-ra in un dialogo che le dialettizza ed in un consen-so che le moltiplica. E lo stesso silenzio è nel tea-tro incubazione di movimenti interiori, di vita im-plosa che può sprigionarsi in pietà, gioia, sotto-missione, mormorio, rivolta, perfino fischio e gaz-zarra, ma anche contrappunto e risposta musica-le e coreutica al messaggio, al mistero che la sce-na propone in quanto spazio aperto. Al vento, al-l’improvvisazione, alle domande smarrite. Ma an-che allo Spirito, alle nascoste presenze che pre-mono dietro ogni esplorazione divertita, al biso-gno di esistere.Ho prestato attenzione alle date: gli anni di espe-rienza drammaturgica del futuro Papa sono quel-li stessi della crisi europea tra la guerra diSpagna e l’incubazione satanica delle croci unci-nate. Si teorizzava allora sulla cultura di massacome esperimento di teatralità totale, abbraccio

collettivo di moltitudini riassumibili nell’accatti-vante metafora del popolo che sta nell’ombramentre i ricchi epuloni stanno nella luce, o dellaMadre Coraggio che spende la propria vita persalvare i figli. Brecht era l’intelligente manipola-tore che per un lungo periodo sottrasse al coropietoso del ritualismo classico-cristiano le funzio-ni catartiche, e in certi casi apotropaiche, che era-no ragione di autocoscienza sacerdotale e di brivi-do “teologico”, e le consegnò interamente all’usoscaltro dei politici (politico lui stesso di uno stato,la Germania dell’Est, che avrebbe perpetuato perquarant’anni l’equivoco del Muro che protegge ilsocialismo reale dall’aggressione dell’imperiali-smo capitalista).

2.A proposito mi piace riportare un branodi Mario Apollonio prelevato dalla sua ri-vista “Drammaturgia” nell’autunno del

1954, dunque prima dei fatti d’Ungheria: “Lo stile impallonato degli espressionisti origina-ri e nostrani, mostrando con gli anni la corda, hasvelato le intenzioni di chi l’ha sussunto: sostitui-re l’evidenza alla chiarezza, la violenza icasticadella figura e del gesto alla persuasione della pa-rola, isolare il fatto teatrico, sottrarlo ai soccorsie agli impegni della memoria, far dello spettato-re un automa che, caricato del dinamismo ele-mentare di certe azioni e reazioni psicologichegrossolanamente approssimative, ma paurosi edefficaci come una bombarda, può, consegnato aipolitici, risultare efficace; l’eresia politica d’oggi èsempre quella di ieri: sottrarre gli uomini alla lo-ro dignità di persona, per servirsene ad uno sco-po astrattivamente preordinato, magari con l’il-lusione di restituir loro la libertà, quando abbia-no obbedito ai fini di chi gliela tolse, e di resti-tuirli alla felicità di un paradiso perduto”.Altro che retorica populista, altro che stile impal-lonato era nella drammaturgia wojtyliana, con-temporanea o successiva a quest’altra dell’espres-sionismo tedesco, arte di Stato, inframmezzata (enon è frattura da poco) da un decennio di espe-rienze operaie sul vivo della pietra! Il teatro rap-

L’attore WojtylaFranco LANZA

F R A N C O L A N Z A

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sodico di Kotlarczyk si muove su impianti chenon sono neppure scenici, perché la scena eracreata soprattutto dalla parola. Il teatro di paro-la era in modo precipuo la comunicazione inter-personale degli attori-adepti, un po’ professionisti(non per nulla il modello era quello di Elsinore, ilcastello shakespeariano dove i comici rappresen-tano davanti al re e ad Amleto The merry Wivesof Windsor e Romeo and Juliet), e un po’ appren-disti, dunque senza costumi né poltrone né botte-ghino. Ed era un teatro dove la voce dell’attorevaleva per la cosa da dire, per un problema dibat-tuto in comune e diventato oggetto di riflessione,di passione, di sentimento, di preghiera. Il coro siidentificava col personaggio.In tale prospettiva critica e storica dobbiamoporre sia i testi wojtyliani rimastici (Giobbe, Ge-

remia, Fratello del nostro Dio, Bottega dell’ore-fice, Raggi di paternità) sia l’enorme deposito dimemorie liriche e drammatiche rimasto nei suoidiscorsi ex-cathedra come le lettere, le encicli-che, i messaggi augurali, i saluti in dieci lingue,la stessa pratica quotidiana dell’apostolato. Ciavvediamo allora che la tecnica del porgere el’intonazione della voce, il sapiente dosaggiodelle inflessioni tonali, il dominio perfetto del-l’emissione sonora fra pause e silenzi possonoessere rapportati non meno all’arte comunicati-va dei teatranti che alle raccomandazioni pluri-secolari della predicazione cristiana. Ma il se-greto indicibile dell’attore Karol Wojtyla stavanel vivere dall’interno il proprio dono e il pro-prio mistero, nel farne tesoro per chi lo ascolta-va una volta e non lo dimenticava più.

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1.La memoria grata di chi lavora nell’e-sercizio della “carità intellettuale”, at-traverso la ricerca e l’insegnamento, ri-

volta al Papa appena scomparso, senza indulge-re a troppo facile retorica, intende in questo ca-so richiamarne l’autorevole magistero, così co-me si è espresso nella sua penultima enciclica,la Fides et ratio, promulgata il 14 settembre1998. Si tratta di un testo che ha avuto una lun-ga gestazione e che compendia in maniera effi-cace e al tempo stesso profonda la visione cultu-rale di Giovanni Paolo II in rapporto al mondocontemporaneo ed in particolare all’eserciziodel pensiero filosofico e teologico.La vicenda del rapporto fra Chiesa cattolica e fi-losofia moderna e contemporanea ha del parados-sale, ma si tratta del paradosso capace di destarestupore e suscitare attenzione in chi è disposto aleggere e interpretare senza fuorvianti precom-prensioni tale vicenda. Allorché infatti la ragioneesprime la propria presunzione di “conoscere iltutto” (F. Rosenzweig) e quindi assume un atteg-giamento di dominio sul reale e l’umano, il Magi-stero della Chiesa è lì a ricordarle i propri creatu-rali limiti e a farle prendere coscienza della pro-pria radicale infermità (un esempio fra tutti lacritica al razionalismo contenuta nella Dei Filiusdel Vaticano I), quando invece la ragione si auto-flagella ritenendosi incapace di conoscere alcun-ché ed assumendo un atteggiamento rinunciata-rio di fronte alle grandi domande metafisiche, checomunque abitano la coscienza di ogni esserepensante (“chi sono? da dove vengo e dove vado?perché la presenza del male? cosa ci sarà dopoquesta vita” – Fides et ratio 1), allora la Chiesa èlì a ricordarle che non può abdicare al proprioruolo e alle proprie prerogative e a spronarla per-ché osi l’avventura del sapere (basterà ricordarele critiche al fideismo da parte del Magistero ec-clesiale).Giovanni Paolo II muove piuttosto nella secon-da direzione, senza naturalmente dimenticare irischi derivanti da assurde pretese razionalisti-che, e quindi incoraggia il pensiero ad esprimer-

si al meglio in questo momento di trapasso cul-turale, che la Fides et ratio non esita a chiama-re di postmodernità, indicandone limiti e poten-zialità (cf FeR 91). Da questo punto di vista vacertamente salutato con interesse il fatto che,quando appunto si accinge ad offrire indicazio-ni relative al postmoderno, l’enciclica adotti unapproccio tale da dirimere l’annosa questioneche vede contrapporsi il fronte di coloro che leg-gono la formula (ed evidentemente anche il suocontenuto) in senso meramente congiunturale,sostenendo quindi che il termine stia a designa-re un fenomeno passeggero o una sorta di modaculturale, priva di prospettive di lungo respiro,

Una rilettura dell’enciclica Fides et ratioGiuseppe LORIZIO

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e quanti al contrario ritengono che il postmo-derno sia invece il nome, se non di una nuovaepoca, dato l’imbarazzo stesso a trovare una pa-rola adeguata per questo nostro tempo (postmo-derno infatti dice semplicemente rapporto dicontiguità cronologica e di superamento antite-tico della modernità), almeno di un momento ditrapasso epocale, tale da incidere profondamen-te sulla cultura e sulle coscienze dei nostri con-temporanei. Fides et ratio, pur con le dovutecautele, non ha timore di parlare di “epoca del-la postmodernità”, nella quale emergono fattoriautenticamente “nuovi”, “capaci di determinarecambiamenti significativi e durevoli” (FeR 91).E in questa prospettiva la parabola del trapas-so dalla modernità alla postmodernità sembrapotersi adeguatamente, anche se non esausti-vamente, designare nei termini del passaggiodal sistema al frammento, e, in direzione antro-pologica (e sempre col ricorso a Rosenzweig),dalla figura dell’“uomo col suo bel ramo di pal-ma”, che procede attraverso l’esercizio di unaragione capace di vincere ogni battaglia, all’“iopolvere e cenere”, conscio della propria radicalecaducità e temporalità, nonché della infermitàdel proprio pensiero e della propria ragione inordine alla conoscenza della verità.È convinzione profonda del Pontefice, che in que-sto esprime l’autentico pensiero cattolico, che lafede e la ragione possano reciprocamente fecon-darsi e per questo debbano armonicamente convi-vere in un pensiero credente che di volta in voltaassumerà connotazioni filosofiche o teologiche,ma che dovrà comunque innestarsi in un orizzon-te sapienziale unitario, onde evitare il pericolo,appunto postmoderno, di una esasperata fram-mentazione: “La settorialità del sapere, in quan-to comporta un approccio parziale alla verità conla conseguente frammentazione del senso, impe-disce l’unità interiore dell’uomo contemporaneo.Come potrebbe la Chiesa non preoccuparsene?Questo compito sapienziale deriva ai suoi Pastoridirettamente dal Vangelo ed essi non possono sot-trarsi al dovere di perseguirlo” (FeR 85).

2.In questo senso l’incipit dell’enciclicapuò davvero costituirne la chiave di let-tura più adeguata: “La fede e la ragione

sono come le due ali con le quali lo spirito uma-no s’innalza verso la contemplazione della veri-tà” (FeR 1). Il testo, infatti, da un lato costringead evitare ogni forma di integralismo, sia daparte della fede nei confronti della ragione (in-

tegralismo fideistico), sia da parte della ragionenei confronti della fede (integralismo razionali-stico), ma nello stesso tempo propone una visio-ne contemplativa della verità, nella quale ven-gano dissolte tutte le forme di pensiero domi-nante o calcolante e si esprima in tutta la suaarricchente potenza il pensiero meditante, chese è davvero tale non potrà non assumere comeproprio punto di Archimede la Rivelazione, che,nel quadro della Fides et ratio, è chiamata alruolo di principio orientante non solo il sapereteologico, ma anche quello filosofico. Quasiparafrasando un noto testo di Rosenzweig, Gio-vanni Paolo II, così si esprime: “La Rivelazionecristiana è la vera stella di orientamento perl’uomo che avanza tra i condizionamenti dellamentalità immanentistica e le strettoie di unalogica tecnocratica; è l’ultima possibilità cheviene offerta da Dio per ritrovare in pienezza ilprogetto originario di amore, iniziato con lacreazione. All’uomo desideroso di conoscere ilvero, se ancora è capace di guardare oltre sestesso e di innalzare lo sguardo al di là dei pro-pri progetti, è data la possibilità di recuperareil genuino rapporto con la sua vita, seguendo lastrada della verità. Le parole del Deuteronomiobene si possono applicare a questa situazione:“Questo comando che oggi ti ordino non è trop-po alto per te, né troppo lontano da te. Non è nelcielo perché tu dica: Chi salirà per noi in cieloper prendercelo e farcelo udire sì che lo possia-mo eseguire? Non è di là dal mare, perché tu di-ca: Chi attraverserà per noi il mare per pren-dercelo e farcelo udire sì che lo possiamo esegui-re? Anzi, questa parola è molto vicina a te, ènella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu lametta in pratica” (30,11-14)” (FeR 15).La scelta di porre al centro la rivelazione cisembra oltremodo significativa e tale da confe-rire al percorso un reale e decisivo orientamen-to, capace di interpellare il pensiero filosoficodella modernità compiuta e della postmoderni-tà, che non di rado affronta con le proprie cate-gorie e le proprie metodologie proprio questa te-matica fondamentale della teologia cristiana. Etuttavia questa scelta non implica una vera epropria svolta, bensì include una posizione bennota in campo cattolico in ordine al problemadella verità, secondo cui questa si definisce perla sua capacità di adaequatio rei et intellectus.Ecco come si esprime il documento a questo pro-posito: “Questo ruolo sapienziale non potrebbe,peraltro, essere svolto da una filosofia che non

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fosse essa stessa un sapere autentico e vero,cioè rivolto non soltanto ad aspetti particolari erelativi – siano essi funzionali, formali o utili –del reale, ma alla sua verità totale e definitiva,ossia all’essere stesso dell’oggetto di conoscen-za. Ecco, dunque, una seconda esigenza: appu-rare la capacità dell’uomo di giungere alla cono-scenza della verità; una conoscenza, peraltro,che attinga la verità oggettiva, mediante quellaadaequatio rei et intellectus a cui si riferiscono iDottori della Scolastica. Questa esigenza, pro-pria della fede, è stata esplicitamente riaffer-mata dal Concilio Vaticano II: “L’intelligenza,infatti, non si restringe all’ambito dei fenomenisoltanto, ma può conquistare la realtà intelligi-bile con vera certezza, anche se, per conseguen-za del peccato, si trova in parte oscurata e debi-litata” (FeR 82). L’orizzonte rivelativo lungiquindi dall’escludere quello adeguativo lo inclu-de e lo potenzia, sicché la verità come revelatiocomprende ed esige la verità come adaequatiocome sua condizione di possibilità e di capacitàdi attingere la cosa stessa e non semplicementeil suo manifestarsi.Risulta programmatico e decisivo quel passag-gio dell’enciclica nel quale, dopo aver messo inguardia dall’adozione di un pensiero mera-mente fenomenista e quindi relativista, vieneaffidato agli intellettuali cattolici un compitotanto arduo quanto affascinante e comunqueimprescindibile: quello di percorrere senza ce-dimenti il travagliato, ma non impossibilecammino, che dal fenomeno conduce al fonda-mento, dal significato al senso, dalla serie deicome a quella dei perché: “Una grande sfidache ci aspetta al termine di questo millennio èquella di saper compiere il passaggio, tanto ne-cessario quanto urgente, dal fenomeno al fon-damento. Non è possibile fermarsi alla solaesperienza; anche quando questa esprime erende manifesta l’interiorità dell’uomo e la suaspiritualità, è necessario che la riflessione spe-culativa raggiunga la sostanza spirituale e ilfondamento che la sorregge. Un pensiero filo-sofico che rifiutasse ogni apertura metafisica,pertanto, sarebbe radicalmente inadeguato asvolgere una funzione mediatrice nella com-prensione della Rivelazione” (FeR 83).

3.Il termine “metafisica” cui l’enciclica fariferimento in diversi cruciali passaggi,ha fatto sobbalzare la saccenteria di non

pochi filosofi nostrani, che ritenevano ormai ar-chiviata non solo la parola, ma anche ciò che essaesprime. Anche qualche teologo ha ritenuto di do-ver intravvedere nelle scelte di fondo della Fideset ratio l’adozione di categorie obsolete ed inade-guate ad esprimere in termini oggi accettabili ilrapporto fede/ragione. Certo l’impostazione difondo del documento si pone in continuità con lescelte operate dal Magistero ecclesiale nella mo-dernità compiuta ed in questo senso il riferimen-to al pensiero del grande Tommaso d’Aquino è de-terminante. Ci preme tuttavia far rilevare, in pri-mo luogo, come l’atteggiamento verso la moderni-tà, che pure viene ampiamente descritta nellaprospettiva della lacerazione fra sapere e credere,che in essa si è prodotta, non sia solo quello nega-tivo del rifiuto e della critica radicale, in quanto“ad una attenta osservazione, anche nella rifles-sione filosofica di coloro che contribuirono ad al-largare la distanza tra fede e ragione si manife-stano talvolta germi preziosi di pensiero, che, seapprofonditi e sviluppati con rettitudine di men-te e di cuore, possono far scoprire il cammino del-la verità. Questi germi di pensiero si trovano, adesempio, nelle approfondite analisi sulla perce-zione e l’esperienza, sull’immaginario e l’incon-scio, sulla personalità e l’intersoggettività, sullalibertà ed i valori, sul tempo e la storia. Anche iltema della morte può diventare severo richiamo,per ogni pensatore, a ricercare dentro di sé il sen-so autentico della propria esistenza. Questo tut-tavia non toglie che l’attuale rapporto tra fede eragione richieda un attento sforzo di discerni-mento, perché sia la ragione che la fede si sonoimpoverite e sono divenute deboli l’una di fronteall’altra” (FeR 48).In secondo luogo, e a proposito del pensiero diTommaso, non ci sembra irrilevante come essovenga proposto in prima istanza come un model-lo di rapporto davvero dialogico con orizzonti eprospettive culturali e religiose diverse: “Un po-sto tutto particolare – scrive il Papa – in questolungo cammino spetta a san Tommaso, non soloper il contenuto della sua dottrina, ma anche peril rapporto dialogico che egli seppe instaurare conil pensiero arabo ed ebreo del suo tempo. In un’e-poca in cui i pensatori cristiani riscoprivano i te-sori della filosofia antica, e più direttamente ari-stotelica, egli ebbe il grande merito di porre inprimo piano l’armonia che intercorre tra la ragio-ne e la fede. La luce della ragione e quella dellafede provengono entrambe da Dio, egli argomen-

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tava; perciò non possono contraddirsi tra loro”(FeR 44, sottolineatura mia). Inoltre nel richiamo alla metafisica e all’ontolo-gia, che un autentico percorso speculativo esige edi cui un’adeguata intelligenza della fede ha biso-gno, l’enciclica, mentre ribadisce la necessità delricorso alla filosofia dell’essere, invita anche aevitare “di cadere in sterili ripetizioni di schemiantiquati” (FeR 97), in quanto, allorché cristiana-mente intesa ed indagata, essa mostra un profon-do carattere dinamico, ispirandosi non ad una no-zione sostanzialistica dell’essere stesso, ma all’at-to d’essere (= actus essendi), come un’autenticainterpretazione del pensiero di Tommaso impone. Infine nell’indicare correttamente il camminopercorso dalla filosofia cattolica nella modernitàcompiuta, dopo aver indicato il ruolo fondamenta-le della rinascita del tomismo, l’enciclica enume-ra una serie di percorsi alternativi, ma altrettan-to importanti, attraverso i quali si è espresso il fe-condo rapporto tra fede e ragione: “Il rinnova-mento tomista e neotomista, comunque, non èstato l’unico segno di ripresa del pensiero filosofi-co nella cultura di ispirazione cristiana. Già pri-ma, e in parallelo con l’invito leoniano, eranoemersi non pochi filosofi cattolici che, ricollegan-dosi a correnti di pensiero più recenti, secondouna propria metodologia, avevano prodotto operefilosofiche di grande influsso e di valore durevole.Ci fu chi organizzò sintesi di così alto profilo chenulla hanno da invidiare ai grandi sistemi dell’i-dealismo; chi, inoltre, pose le basi epistemologi-che per una nuova trattazione della fede alla lucedi una rinnovata comprensione della coscienzamorale; chi, ancora, produsse una filosofia che,partendo dall’analisi dell’immanenza, apriva ilcammino verso il trascendente; e chi, infine, ten-tò di coniugare le esigenze della fede nell’orizzon-te della metodologia fenomenologica. Da diverseprospettive, insomma, si è continuato a produrreforme di speculazione filosofica che hanno intesomantenere viva la grande tradizione del pensierocristiano nell’unità di fede e ragione” (FeR 59).Non è difficile scorgere le figure di Rosmini,Blondel, la Stein dentro questa rapida ma effica-ce carrellata di prospettive.

4.L’apertura di questa pagine risulta ancorpiù incisiva, se letta alla luce di un’affer-mazione importante, posta in apertura

del cap. V della Fides et ratio, dove sembra ri-echeggiare il detto di Blondel concernente lo sta-to che deve caratterizzare un autentico rapporto

tra teologia e filosofia, a proposito della quale il fi-losofo rivendica una radicale libertà: Non liberanisi adjutrix, non adjutrix nisi libera: “La Chiesanon propone una propria filosofia né canonizzauna qualsiasi filosofia particolare a scapito di al-tre. La ragione profonda di questa riservatezzasta nel fatto che la filosofia, anche quando entrain rapporto con la teologia, deve procedere secon-do i suoi metodi e le sue regole; non vi sarebbe al-trimenti garanzia che essa rimanga orientataverso la verità e ad essa tenda con un processo ra-zionalmente controllabile. Di poco aiuto sarebbeuna filosofia che non procedesse alla luce della ra-gione secondo propri principi e specifiche metodo-logie. In fondo, la radice della autonomia di cuigode la filosofia è da individuare nel fatto che laragione è per sua natura orientata alla verità edè inoltre in se stessa fornita dei mezzi necessariper raggiungerla. Una filosofia consapevole diquesto suo “statuto costitutivo” non può non ri-spettare anche le esigenze e le evidenze propriedella verità rivelata” (FeR 49). Non senza un cer-to stupore dobbiamo registrare che proprio inrapporto a queste affermazioni, rispetto alla sac-centeria di qualche teologo, si è mostrato moltopiù lungimirante chi, leggendo il testo dal puntodi vista di una filosofia laica, ed in certo senso an-che preconcetta, ha parlato di un “rivoluzionarioWojtyla” (André Glucksmann in una intervista aLiberal), cioè di un Papa capace di andare contro-corrente e capace di stimolare con la forza dellesue profonde convinzioni il lavoro di chi nellaChiesa è chiamato ad esercitare la dimensione in-tellettuale della carità e di quanti ai margini ofuori di essa si pongono in un cammino di auten-tica ricerca della verità.

G I U S E P P E L O R I Z I O

L’ascesa non poteva che compiersial tempo di Pasquadopo il lungo calvariosegnato da tanti dolori.L’Alter Christustornato a manifestarsi agnellocome l’ignudo d’Assisicome lo stimmatizzato Piosul Gargano di lato all’Arcangelo,solcò senza soste mari e terreamando il silenzio di Diosulle vette bianche,parlò immerso alla croce.

Agli uomini distrattie plaudentilontani e più lontaniparlò nova et veteral’eterna bellezza divinala giustizia in pace

la non violabile vitaparlò inesausto veroprofeta anticoai potenti e ai sai di Bombaifino al piombo omicidafermato dalla celeste Madre.

E il cammino si fece irtoe grave nel corpo disfattoe la voce del Figlioicona splendentepiù forte l’umana vocerisuonò fino all’amenfra i molti pellegrini al pellegrino santofinalmente capironodi avere convissutocon l’orma d’Amoredonataci da un Dio amabileprofezia necessaria d’un Avventogià in noi.

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L’ascesaTommaso ROMANO

Sei l’uomo venuto dall’EstChe ha rotto gli indugi

Nel segno dell’umile consapevolezzaDi una vita grande

Hai regalato onde di paceNon hai smesso di tenderci le mani

Tra le vie del tempoIn Cristo Signore

I popoli si stringono in un abbraccioE l’anima è un volo di colombe

Che non chiede risposte

Sei stato un appuntamento fedeleE ora ti cerchiamo

Non più navigatori di naufragiRaccolti in un dolore indefinibile

Il tempo del Perdono è una pazienza lungaChe accompagna i grani del rosario

Navigante di nostalgieTi ho ascoltato

Cercando umilmente di capireIl segreto del tuo coraggio

Nudo nella nuda terraMi hai confidato un segreto

Che è splendore oltre l’orizzonte

Un segreto Ci hai rivelato

Vivendo per noi la Novella e il Verbo

Sulla nuda terraLe promesse invocate

Sono misterioso cammino

Come Paolo di TarsoHai parlato ai popoli d’Occidente e d’Oriente

Recitato le preghiere del perdonoNell’invisibile attesa di un gesto

Uomini orantiTi chiediamo umilmente

Di perdonare il nostro indugio terrenoNel vissuto delle superbie

Come fratelli in cerca di viaticoPontefice dell’accoglienza

Immerso nell’essenza dei giorniConcludi il credo dell’attesa

Immane morteNel pensiero mi consuma

Dolore dell’ignotoChe la terrena vita

Sorprende e prepara

Mi allontano dallo strazio del GolgotaPer viltà o per perduto amore

Troppo pesante il viaggioNello spirito che spande gocce di misericordia

Invoco parole non dette primaPadre ascoltami

La salvezza che ti domando È nel pianto che mi porto dentro

Umana creatura che il perdono attende

La metafisica dell’anima Ha un cuore di pianto

Ti salutiamo piangendoUomo di fede

Pontefice della veritàTi salutiamo

Nell’abbraccio secolare della memoria

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Canto di requiemin memoria di Giovanni Paolo II

Pierfranco BRUNI

Alla tua voce con accento d’OrienteCi copriamo il capo di cenere

Le miserie del quotidianoRiscatti nella bellezza dello sguardo

con riflessi d’Oriente

Hai recitato in cammino il rosario dei giorniÈ ora nostro il tuo camminoVerso un battesimo nell’alba

Scorre come acqua di rugiadaSui nostri volti che hanno colore lunare

L’innocenza battesimaleNel vento che sfoglia

I perduti tempi dell’infanzia

In principio l’AnnuncioLe porte di Gerusalemme

Le acque del GiordanoIl Battesimo

Il disegno divinoDella Parola

Siamo in attesa.Siamo l’Attesa

“Non abbiate paura…”

Pietre miliari sul nostro passaggioAiutaci a non disperdere le parole

Che tu ci hai datoÈ fatto di parole tue

Il pane che spezziamoL’acqua che ci disseta

P I E R F R A N C O B R U N I

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Il mondo intero si inchina. I potenti della terra,strettigomito a gomitosul sagrato di San Pietro, piegano le ginocchia nell’estremo salutoal grande Pastore del dialogo.

Di fronte al nudo legno di cipressoposto nell’altodella grande piazza,l’ebreoil cristianoil musulmanoil credente e chi non crede si interrogano.I giovani,pupille dei suoi occhi– il sacco a pelo sulle spalle e nello sguardo la lucedi tempi nuovi –intonano canti di alleluia.

Giovanni Paolo Secondo il Papa della pacedella sofferenzae del perdono anche per gli errori della Chiesa, salendo al Cielounisce il mondo:un cuor soloun’anima solanella speranzanell’amore. E Roma torna caput mundi.

26

In morte di Giovanni Paolo IIDino D’ERICE

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1.La morte di Giovanni Paolo II, così com-posta e sobriamente magnifica, ha rive-lato la natura straordinaria della sua

esperienza di vita, così singolare per il nostrotempo, così inattuale e perciò foriera di futuro.In una società adusata, per statuto intellettuale,a reprimere le emozioni, o a incanalare quelle po-polari negli alvei di una precostituita spettacola-rità scenica e ludica, surrogatoria della rimossadimensione religiosa, la testimonianza di un sa-cerdote polacco giunto al soglio pontificio ha ri-pristinato, nell’incredulo Occidente disincantato,la forza del sacro e l’impeto del mistero che so-stanziano la fede nel trascendente. Ricordiamoche i totalitarismi del sec. XX sono stati la subli-mazione politica dell’ideologia antitrascendenti-stica, la versione mistica dell’immanentismo sto-ricistico, che della lotta alla trascendenza (super-stiziosa e oppiacea) ha fondato le sue ragioni teo-retiche. La lotta filosofica alla trascendenza èstato il vero grande pari che discrimina la civiltàantica dalla versione moderna che di quella lottane ha fatto il programma superbo, e che seca inmaniera vertiginosa la sua proposta antropologi-ca dall’esperienza di tutta la storia pregressa.L’eliminazione del superno dalla topografia filo-sofica, politica ed esistenziale dell’uomo, ha dei-ficato non tanto la dea Storia, come volevaMaritain, ma la forza della potenza umana qua-le unico parametro della discriminazione tra ve-ro e falso, diventata mera verifica dell’efficienza.La forza della ragione è la forza dell’Occidentedesacralizzato, ma anche la sua debolezza.Infatti, quando la parabola della sua civiltà lo haportato a confrontarsi, non più in posizione ege-mone, con la nuova realtà mondiale del plurali-smo delle civiltà omotecnologiche, la sua anticaragione, disgiunta dalla potenza calante dellasua forza, si è rivelata un retaggio “debole”, insvantaggio con la potenza emergente di civiltànon consunte dalla hybris delusa del declino.Ci voleva un Papa polacco, un sacerdote dellaperiferia ancora cristiana dell’Europa, un uomoche aveva sofferto la duplice tirannide totalita-

ria e annesse miserie morali e materiali manon quelle che Aron definiva le “delusioni delprogresso”; ci voleva uno sconosciuto profetadella antica civiltà cristiana che la nostra co-scienza aveva seppellito tra i reperti della me-moria storica, a vivificare il nostro spirito diuna speranza grande, terrestre perché celeste.Giovanni Paolo II ha ripristinato sulla terra ilvalore del cielo, illuminando la storia di unapassione salvifica la cui rimozione aveva priva-to di senso la stessa ecatombe della civiltà mo-derna scristianizzata. Riportando alla coscien-za comune quel “totalmente Altro” che era sta-to obliato dalla dimensione antitrascendenti-stica della storia, ha reso la passione umana

Papa Wojtyla: morte e vita nella veritàCostantino MA R C O

C O S T A N T I N O M A R C O

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comprensibile, ripristinandola di quel telossmarrito da una ricerca vagolante nel nulladella sua essenza. L’essenza dell’Altro provocaper induzione metafisica anche la cancellazio-ne dell’altro come prossimo, di quel tu che sma-ga il dialogo filosofico dell’incantesimo solipsi-stico di una Soggettività denuclearizzata dalcosmo creato, di quel Tu che frena la vertiginepoietica di un’illusoria demiurgia che comun-que non può vincere la morte, ma solo darla.

2.La vicenda di questo povero sacerdote po-lacco, che tutto ha dato alla sua causa,che non era sua, ha riportato l’umanità

contemporanea alle sue responsabilità metafisi-che, ponendola di fronte a quella “scelta” chesembrava irreversibile di escludere o di ammet-tere Cristo dal senso della storia.Ma la corsa dei potenti al suo sepolcro non li hacoinvolti soltanto come uomini spirituali, comeil resto del popolo di Dio, del corpo mistico uni-versale. C’è una segreta e inconfessabile ragio-ne ulteriore che ha spinto quasi tutti a esporsialla venerazione del grande Papa polacco, laquale coinvolge gli stessi presupposti della con-vivenza sociale e tra i popoli fedeli o riguada-gnati alla Fede. Si tratta del principio di legitti-mità del potere, quello in base al quale alcuniuomini vengono riconosciuti dalla maggioranzacome legittimati a comandarla. A partire simbo-licamente dalla Rivoluzione francese, si ritieneche la ragionevolezza di quel principio risiedanella razionalità in senso politico e strumenta-le, non trascendente. E la razionalità politicamoderna ci porta a ritenere che l’avallo dellamaggioranza sia di per sé legittimante il potere,trattandosi solo di regolamentarlo in una proce-dura formale che eviti gli esiti cruenti di un ri-cambio sregolato di opinioni.

3.In piena affermazione globale del princi-pio democratico, figlio probo dell’ateismorivoluzionario, un sacerdote polacco ve-

stito dei bianchi paludamenti papali, osa ripro-porre al mondo degli umili, prima che a quellodei potenti, la questione della “scelta” metafisi-ca, che ha inevitabilmente ricadute teologico-politiche immense, già devastanti per i regimidichiaratamente atei. Egli è convinto, infatti,che la piega del mondo moderno che ha scelto dirifiutare Dio, sia mortale, e che il suo compito èquello di riportare la parabola dell’umanità nel-la sinusoide spiritualmente ascendente. Diver-

samente dagli atei mistici rivoluzionari, eglinon vuole portare il cielo in terra ma vuole sem-plicemente (si fa per dire) riabilitare la funzio-ne del cielo, secondo il diagramma medievalespiegato da Le Goff. Egli non predica la rivolu-zione sociale o politica, ma quella spirituale, an-dando più in radice rispetto alla superficialitàterragna delle ideologie contemporanee. Il Papapolacco si rivolge agli uomini dell’Evangelo, agliumili, al gregge democratico che legittima i po-teri odierni, al popolo del sottosuolo dostoeskija-no, che non ha nulla da perdere rinfocolando inse stessi la speranza antica e dimenticata dellasalvezza in Dio. Fu quel popolo di fedeli a smuo-vere già una volta i colli della prima Roma e afar crollare la cortina della terza, rivendicandoi diritti di Dio a contare su questa terra.Da un punto di vista strettamente demagogico,Giovanni Paolo II non si discosta dai grandiprofeti ideologici del XX secolo, ma la differenzasostanziale è che lui non è un profeta rivoluzio-nario e ateista, cioè non combatte in nome delleideologie dissacratorie, bensì in nome di Cristoportatore di pace e della sua Chiesa, la più an-tica istituzione arrivata fino a noi. E comeCristo egli lascia a Cesare ciò che è di Cesare,rivendicando però fortemente e senza compro-messi ciò che nell’uomo è di Dio.Difficilmente, dopo la predicazione globale diGiovanni Paolo II tutto resterà come prima inquesto mondo del III millennio cristiano. La po-litica, anzitutto, deve fare i conti con una nuovaesigenza di legittimazione che non può prescin-dere dalla dimensione religiosa dell’uomo. Larimozione di essa è stata possibile nello stordi-to Occidente consumistico, ma non può essereproposto impunemente e senza contraccolpi nelresto del mondo. Né tampoco l’Occidente può le-gittimarsi agli occhi del mondo povero in consi-derazione dei suoi standards di vita materiale,vendendo la speranza che tutti possano rag-giungerli adottando il suo sistema socio-politicoe culturale. Questa speranza non basta più a se-durre le nazioni in via di sviluppo. Esse ricerca-no uno sviluppo più comprensivo di quello sem-plicemente economico, come teorizza AmrtyaSen, e soprattutto non vogliono rinunziare allaricchezza che hanno, quelle spirituali, che man-cano invece ai popoli più agiati.Dalla periferia si guarda meglio il mondo, e iprofeti come Cristo e il suo discepolo di Craco-via hanno dimostrato che il centro è in chi hafede.

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1.I titoli dei giornali di sabato 2 Aprile,quando si conobbero le cattive condizio-ni di salute del Santo Padre, sono signi-

ficativi dell’incidenza che questo leader spiri-tuale ha avuto nel mondo:‘Il mondo intero prega per il Papa’,‘È l’uomo che ci ha insegnato la speranza’,‘Immensa gratitudine per Karol Wojtyla’,‘Vincolo d’amore che non sarà spezzato’,‘Si è preparato alla morte come un vecchio prete”‘Il Papa fa crollare anche il muro del silenzio ci-nese’‘Soffia anche nel dolore il vento di Assisi “‘Il Palazzo si ferma in omaggio al Pontefice’,Il Papa è conscio della sua fine imminente ed èsereno: prega riceve i suoi collaboratori, firmaancora documenti, provvede alle necessità dellaChiesa. Non ha paura dell‘incontro con Cristo;che per primo ha vinto la morte: è questa la suatestimonianza umana e di fede nel momentopiù difficile per ogni creatura intelligente.Ma Giovanni Paolo II è coerente con quello cheha insegnato – anzi ha gridato – fin dal princi-pio del suo Pontificato: «Non abbiate paura diCristo, spalancate le porte a Cristo!»1

Nei 26 anni e mezzo del suo servizio apostoliconon ha fatto che ripetere a tutti che, per esse-re cristiani, bisogna prima di tutto diventareveri uomini, cioè persone che sanno prenderele cose sul serio.Nell’ultimo suo libro Memoria e identità scrive:“Mi è stato dato di fare esperienza personale del-le ‘ideologie del male’: è qualcosa che resta in-cancellabile nella mia memoria”2, Ma la filoso-fia del male – appresa fin da giovane lavorandoin una cava e poi nella fabbrica chimica Solvay(1940-1944) – lo spinge ad inoltrarsi nel mondodella fede, ad affrontare il mistero di Dio e il mi-stero dell’uomo: ecco le prime grandi Encic1ichedel suo Pontificato: la Redemptor hominis, laDives in misericordia e la Dominum et vivifi-cantem: un trittico che rispecchia il mistero tri-nitario di Dio e l’abisso del male, di cui l’uomo èinsieme artefice e vittima fin dagl’inizi dellasua storia.Rifacendosi però al documento conciliareGaudium et spes (a cui notoriamente diede uncontributo importante come vescovo partecipan-te al Concilio Vaticano II), afferma a chiare lette-re la vittoria di Cristo sul male e la sconfitta del

Giovanni Paolo IIe il ministero papale della riconciliazione

Domenico MA R I A N I

D O M E N I C O M A R I A N I

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Maligno attraverso la croce e la risurrezione; cioècol mistero pasquale che salva il mondo3.

2.Questo diventa come il leit motiv del suoimmenso insegnamento: 14 Encicliche,15 Esortazioni apostoliche; 11 Costitu-

zioni apostoliche e 45 Lettere apostoliche. Gli siascrivono inoltre 5 libri4, compie 147 cerimoniedi Beatificazione e 51 Canonizzazioni, ha tenu-to 9 Concistori (creando 231 Cardinali + uno inpectore), ha convocato 15 assemblee del Sinododei Vescovi, ha compiuto 146 visite pastorali inItalia e 104 viaggi apostolici nel mondo, ha visi-tato – come Vescovo di Roma – 317 delle attua-li 333 parrocchie romane, ha tenuto oltre 1160Udienze generali del mercoledì cui hanno parte-cipato più di 17 milioni e mezzo di pellegrini, hacompiuto 38 visite ufficiali e ha ricevuto 738Capi di Stato (per non contare gl’incontri coiPrimi Ministri), Insomma, un lavoro di evange-lizzazione davvero imponente per le forze diqualsiasi uomo, e per un uomo poi colpito da re-volverate e da accidenti di vario genere.Possiamo veramente affermare che lo zelo diquesto grande Pastore – il terzo Papa della sto-ria per il numero di anni di Pontificato5 – lo por-tò ad incontrare tutti i popoli, tutte le religioni,tutti gli uomini di buona volontà: prediletti inparticolare furono i bambini ed i giovani, chesapeva galvanizzare nelle grandi adunate dellaGiornate mondiali della gioventù6.Non avere paura, accettare Cristo e il suoVangelo: questo il suo programma apostolico.“Accettare ciò che il Vangelo esige vuol dire af-fermare tutta la propria umanità, vederne labellezza voluta da Dio, riconoscendone, però, al-la luce della potenza di Dio stessa, anche le de-bolezze”7 . Lo sguardo a Maria, che Cristo ci die-de per madre, incoraggia: Giovanni Paolo II sioffre a Lei come figlio e si sente Totus Tuus.“Alzatevi, andiamo! (Mt 26,46), disse Gesù aisuoi discepoli nell’Orto degli Ulivi; “Alzatevi,andiamo!” ripete oggi il Papa ai suoi collabora-tori più Vicini8; andiamo fidandoci di Cristo, checi accompagna nel nostro cammino; andiamo al-la meta che Lui solo conosce e che ci ha prepa-rato fin dall‘eternità.“Questo è [stato] un tempo meraviglioso per es-sere prete”, affermò Giovanni Paolo II nel 2003in occasione del suo 25° anno di Pontificato:espressione in cui si sente tutta 1’esultanza delsuo cuore di Pastore e tutta la riconoscenza aDio che l’ha chiamato al sacerdozio. Esultanza e

gratitudine che mille voci del mondo della cul-tura gli hanno espresso proprio in quel suoGiubileo d’argento9.Giovanni Paolo II si spegne il 2 aprile 2005, al-le ore 21,47 in Vaticano.Il Presidente della Repubblica Italiana, CarloAzelio Ciampi, in un messaggio televisivo alla na-zione così lo ricorda: “Giovanni Paolo II ha segna-to la storia. Sarà ricordato come uno di quegli uo-mini che hanno indicato una strada di libertà e digiustizia e che l’hammo perseguita con tutte le loroforze. In questo momento di profonda commozione,il pensiero va allo straordinario contributo cheEgli ha dato al superamento delle divisioni tra Ested Ovest, al Suo strenuo impegno per un ordinemorale sorretto da principi ed obiettivi di pace, alSuo infaticabile apostolato in ogni angolo dellaterra in sostegno di una migliore condizione uma-na. Egli ha comunicato speranza e fiducia a tuttinoi. Ha scolpito le coscienze con i valori che dannosenso e dignità alla vita delle persone e della socie-tà umana. Giovanni Paolo II ha creduto nella for-za dello spirito e ha testimoniato, con il Suo indo-mito coraggio e la serenità nella sofferenza, la for-tezza che permette di affrontare qualsiasi ostacolo,di operare per il bene in ogni circostanza”10.

3.Come rosminiano, vorrei aggiungere unaparola intorno al grande debito di gra-tritudine che l’Istituto della Carità deve

a questo Papa. Dei Pontefici del XX secolo, chepure hanno apprezzato Rosmini e ne hanno da-to pubblica testimonianza11, non abbiamo rice-vuto l’appoggio fattico che ci ha dato GiovanniPaolo II, che – lo confessava a Mons. C. Riva –non aveva conosciuto Rosmini prima della suavenuta a Roma, ma che apprezzò appena ne les-se qualche opera e volle sua sponte che se ne ini-ziasse la causa di beatificazione12.All’Istituto poi consegnò due bellissimi documen-ti, ricevendo i Padri Capitolari in Udienza il 10.11.1988 in Vaticano e il 21.9.1998 in Castel-gandolfo nella prima. dopo aver posto in risalto“l’intenso lavoro intellettuale che fu proprio diRosmini” annotava “l’ammirazione crescente el’interesse verso la sua figura e il suo pensiero”nella Chiesa e nel mondo; nella seconda afferma-va con decisione che “La Chiesa guarda con an-sia ai figli di Antonio Rosmini” per la nuovaevangelizzazione del terzo millennio.Ma è nella Fides et Ratio – la più importantedelle sue encicliche ai vescovi della ChiesaCattolica – che il Papa diede la prova più so-

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lenne della sua considerazione per Rosmini, ci-tandolo – unico Italiano tra i pensatori più re-centi nel canone dei grandi filosofi che sepperotessere un “fecondo rapporto tra filosofia e pa-rola di Dio”13. E questa sua coraggiosa inizia-tiva portò successivamente la Congregazioneper la Dottrina della Fede ad emanare quella

Nota così importante del 1.7.2001, che mette-va praticamente fine all’esilio culturale diRosmini nella Chiesa Cattolica.Tutto questo è ormai storia ed i Rosminiani –religiosi suore e laici – non dimenticherannoquesto grande Papa “venuto da lontano”.

D O M E N I C O M A R I A N I

1 Solenne celebrazione in piazza San Pietro, il 22Ottobre 1978.2 Giovanni Paolo II, Memoria e identità, Rizzoli, Milano2005, cap. 39, p, 25.3 Cfr. Costituzione pastorale Gaudium et spes. N. 2.4 Varcare la soglia della speranza (Ottobre 1994), Donoe mistero (Novembre 1996), Trittico Romano (Marzo2003), Alzatevi andiamo (Maggio 2004), Memoria e iden-tità (Febbraio 2005).5 Dopo San Pietro e Pio IX, che regnò dal 1846 al 1878.6 La prossima si terrà a metà Agosto, a Colonia, nellaGermania Federale. 7 Giovanni Paolo II, Varcare la soglia della speranza,Mondadori, Milano 1994, p. 244. 8 Giovanni Paolo II, Alzatevi, andiamo!, Mondadori,

Milano 2004.9 Libretto supplemento a «L’Osservatore Romano» ilgiorno 16 ottobre 2003.10 Quotidiano «Avvenire», domenica 3 aprile, p. 5.11 Giovanni XXIII fece gli ultimi esercizi spirituali dellasua vita sulle Massime di perfezione di Rosmini, PaoloVI in un’udienza generale fece di Rosmini un grande elo-gio (12.1.1972) e scrisse una bellissima letteraall’Istituto in occasione del 150° anniversario della suafondazione (12.2.1978).12 Lettera del Cardinale Angelo Felici, Prefetto dellaCongregazione per le Cause dei Santi, al Padre G. B.Zantedeschi del 22.2.1994 (Prot. n. 1954 – 1/94).13 Giovanni Paolo II, Enciclica Fides et Ratio del14.9.1998, n. 74.

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Ecce, viri tres quaerunt te.Quos Deus purificavit, tu commune ne dixeris.

Ac. 10

1.Per giorni e giorni, fino alle esequie delvenerdì 8 aprile, le moltitudini di tutto ilmondo non si sono vergognate di avere

un cuore. Chi hanno pianto? Chi hanno perduto?Una bara di cipresso grezzo contiene le reliquiedi Karol Wojtyla, il Papa polacco, il Papa piùpopolare del ventesimo secolo, compreso l’epilo-go nel ventunesimo.Perdita, rimpianto e devozione popolare pren-dono spontaneamente le proporzioni di un feno-meno mondiale, la cui materialità vuol essereletta senza pregiudiziali, e tutta salvata. LaChiesa è stata sempre sensibile all’esigenza,anche in situazioni difficili, come in occasionedella condanna di Galileo, di «salvare i fenome-ni», e lo ha fatto con successo, cercando e tro-vando un significato profondo nelle manifesta-zioni del sacro, specie in ciò che hanno di straor-dinario ed insieme di popolare.L’Europa della «fu cristianità», integrata pernazioni, con rinunce che danno luogo a con-traddittorie esclusioni (ed intanto giova allaRussia salvare l’anima slava, l’«anima orien-tale», dal mediocre compromesso della Carta),cede il primo piano ad altri protagonisti dellastoria mondiale. Si è rifatta viva, se non an-diamo errati, una nuova cristianità, con li-neamenti, che fanno pensare a una religiositànon più statutaria, ma sapienziale, che affidaal fenomeno, al «miracolo manifesto», una te-nue identità cosmopolitica. Cristianità senzacristianesimo? Non si può dire. Non è di quao di là dal cristianesimo il rispetto dei «dirit-ti umani e delle libertà fondamentali», diffu-so in tutte le articolazioni dell’uomo planeta-rio; rispetto non rigoroso, non uniforme, nondefinito nelle modalità generali e speciali del-la sanzione, ma pur sempre vissuto dalle mol-titudini come un «nuovo sentimento religiosodell’onore».

2.Si ripresenta qui la domanda iniziale:«chi hanno perduto le moltitudini?» Perla cronaca, il Sommo Pontefice, il Papa di

Roma, sulla cattedra da ventisei anni e cinquemesi, dedito più alla profezia che al sacerdozio,secondo la nota distinzione di Weber; il Papa cheridisegna appunto sulla mappa cosmopoliticadella profezia, con il suo incessante pellegrinag-gio, il Nomos della Terra.«Le guerre del ventesimo secolo e il ventesimosecolo come guerra» (Patoska) hanno fatto dan-ni incalcolabili, accelerando la corsa verso unoscuro obiettivo, già denunciato da Proudhon (eSorel); «demolire l’uomo». Arma della demoli-zione il fuoco di Prometeo, acceso nei «punti al-ti» perché bruci e consumi l’uomo di carne, ge-mello monozigotico dell’uomo di massa. Delquale il mutamento antropologico, seguito allacaduta dei tabù, non intacca ma anzi proteggele radici plebee in tutto il mondo, inclusi i paesidi cristianità, dove il trionfo della modernità co-pernicana porta all’ecclisse ma non al tramontodelle virtù teologali.Tra i gesti memorabili del Papa pellegrino inPolonia, in Israele, in America Latina, in Africa,chi non ricorda la liturgia della genuflessione ad li-mina, fino a baciare la terra? È un richiamo solen-ne alle radici delle patrie, un tributo di onore, allaloro storia, un esplicito riconoscimento dall’altodella «pari dignità» d’ogni terra. Magistero, mini-stero e giurisdizione si instaurano sul fondamentonaturale e soprannaturale della fraternità (fonda-mento antropologico e fondamento sacramentale).Pastore e fratello; pastore, in quanto fratello.Surge: et ego ipse homo sum. Io Pietro apro a teCornelio, incirconciso, le porte del Regno; ma nonio, che sono un uomo come te. Cornelio, tra l’altro,esercita un potere, e perciò compie in perdita l’attodi adorazione, che Pietro rifiuta, ristabilendo rigo-rosamente le proporzioni nella parità. Non c’è po-sto per l’homme de l’homme nella Chiesa sin dallecomunità di origine. Parola di Pietro.L’«unità d’ordine», nella conformità al precet-to ut unum sint, s’interpreta bene, insistendo

Chiesa di popolo e popolo senza ChiesaFrancesco MERCADANTE

F R A N C E S C O M E R C A D A N T E

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sull’unico gregge e sull’unico pastore, ma apatto che protagoniste siano e restino le peco-re, conosciute a una a una e che a una a unaconoscono. Non l’uomo dà la vita per loro, nonl’uomo.Come arriva Pietro a Cornelio? Iter faciens.Strada facendo. In pieno giorno, un sogno profe-tico: una visione di corpi, raccolti in un grandelino, un’arca di Noè, un contenitore, con dentroogni genere di animali comuni: rettili, quadru-pedi, uccelli. Iter faciens, Giovanni Paolo, chenon si ferma mai, di uomini comuni, in appa-renza di animali (nel telo, nel lenzuolo della me-tafora) ne incontra in quantità planetarie, fede-le al ministero del primo pastore, cui fu detto:sono tutti eguali, tutti pecore del mio gregge, losappiano o no.

3.Sulla linea tracciata dal Concilio giàben tre Papi si sono ormai lasciati allespalle l’uomo gotico. Nell’alta società,

tra le persone veramente importanti, circolanoinvece largamente le sue enigmatiche controfi-gure faustiane. Tutto si può dire di un uomo co-me Wojtyla, tranne che non sia stato un perfet-to «figlio del secolo», «figlio di donna», «figlio ditutti», che di sé ha portato avanti fino al suc-cesso prima e al miracolo poi, mostrandone daultimo le piaghe, l’«uomo di carne». E di questasua espressività carnale, esaltata dalla morte,in piazza San Pietro prendono possesso le mol-titudini (egli usa chiamarle con questo nome),accorrenti da tutte le periferie dell’«essere so-ciale»; moltitudini aperte, sacre e profane, gno-stiche e agnostiche, che nel segno di una veritàterranea, ma più ancora sotterranea, si metto-no in fila a Roma, a Cracovia, a Milano, aLisbona, a New York, a Città del Messico, aManila, a Buenos Aires, in tante altre capitali;per non dire di un’altra fila, quella mediatica,che si stende fino ad avvolgere come un nastrotutto il pianeta.L’omelia esequiale del card. Ratzinger suscitaed insieme modula il coro degli applausi, che nesottolineano ogni passaggio significativo a so-stegno dell’acclamazione antifonaria, scritta eorale: «santo subito!». Glorificazione pop, che dàda pensare e che il Prefetto della dottrina dellaFede recepisce senza battere ciglio.C’è spazio anche per l’agiografia, e non soltantoper lo starsystem, nella società dello spettacolo:ed anche questo è uno spiraglio sul profilo se-greto della nuova cristianità.

4.Due brevi riflessioni, a margine delle ese-quie in piazza San Pietro, rito riassunti-vo, da raccontare come una parabola.

a) Il primato di Pietro regge bene alla prova,guadagnando in orizzontalità, senza perdere inverticalità. Papa Wojtyla ha allargato il cerchiodel consenso – perché non ricordare l’illumini-stico «cielo più grande»? – facendo la spola conla fatica di un pendolare tra Chiesa e moltitudi-ni. Non a caso un così epocale «papato di popo-lo» riceve lo slancio iniziale in Polonia, sullemacerie di un regime di massa. Nella linguadella Chiesa dopo il Concilio, il popolo (le genti,Lumen gentium) corre dietro la nuvola divinaverso la terra promessa del nuovo Patto, da giu-rare senza formalità. La nuvola sorvola latitu-dine e longitudini, ogni terra è la stessa terra,ogni borgo cosmopoli.b) È nelle mani dei giovani e spetterà alla lo-ro verginità storica gestire il gran patrimoniodi popolarità, trasmesso alla Chiesa da PapaGiovanni Paolo II. «Vi ho chiamato, e siete ve-nuti»: se non emesso con l’ultimo fiato sul let-to di morte, se non vero di fatto, questo mes-saggio estremo è vero di diritto. E i giovani,cosa fanno i giovani? Hanno già dato; hannogià scelto festosamente di ritrovarsi, movi-mento dopo movimento, sciame dopo sciame,frangia dopo frangia; di ritrovarsi e di riunir-si e di stare insieme mano nella mano e di pre-gare in piazza San Pietro. È per essi, per lostupore nativo dei loro occhi, che la Chiesamicat in vertice; è al giogo soave del Papa gio-vane, morto giovane, che si piegano senza fa-re una grinza. La loro fiducia, ordinata e per-fetta, generosa e osannante, rompe la catenadelle mediazioni sacralizzanti nei molti resi-dui della loro arcaicità. «Santo subito!» è unvoto: ma che si diffonde nell’aria come rombodi tuono. Che rischio sarebbe sedare, sopire,far finta di nulla. Per segni ed enigmi, traver-so i quali maturano le primizie dello spiritopubblico – Lumen publicum è uno dei nomidello Spirito Santo – quei giovani, quella mol-titudine di popolo giovane e non giovane con-celebra il pontificale: e si rinfranca presto del-la tristezza.Il Conclave, tutto riti, liturgie, incognite, se-greti eleggerà tra qualche giorno il Suc-cessore. Troppo accidentato il procedimento. Èproibito pensare – pensare da apologisti, nonda iconoclasti – che in un futuro non lontanola celebrazione avrà sede in piazza San Pietro,detto ovviamente per metafora?

Roma, 14 aprile 2005.

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1.Le robuste, sassose braccia del colonnatodi Bernini a piazza San Pietro costituisco-no la metafora potente, inconfondibile ed

insostituibile, di una Chiesa di Roma – o dellapur «pietrosa», salda, ferma ed inconcutibileChiesa di Pietro – che non si chiude, non si trin-cera, non si isola in un proprio geloso recinto: sa-cro, in un tempio (da templum; e templum datemno = taglio, ritaglio), in un fano, in un fanum,fuori dal quale (pro-fano), come indegno di entra-re in esso, è destinato se non addirittura condan-nato a restare chi fede cattolica o anche solo cri-stiana non ha o, secondo una presunzione tradi-zionalisticamente massiccia, non può avere.Già, il pagano, oraziano Odi profanum vulgus etarceo (Carm., IlI, I, 1). Ma poteva, può, la Chiesadi Roma, pur nella sua «pietrosità», chiudersi,trincerarsi, isolarsi in un tempio inaccessibile, inun fano così sacro da restare non violabile, nonpro-fanabile? E che razza di ekklesia (da kaleo =chiamo) sarebbe stata, sarebbe, se non avesse te-so, non tendesse le braccia, pronte ad accoglierle,verso la gente di tutto il mondo, per pro-fana chefosse, che sia? È una domanda, questa, che ci sipone e che non ci si può non porre quando si af-ferma – e non si può non affermarlo – che PapaWojtyla, comunque morto di fronte al mondo de-gli uomini tra un clamore mass-mediatico chepuò piacere o non piacere, è stato il pontefice che,tra il secolo XX e il secolo XXI,– ha impresso ilmaggiore impulso al dialogo interreligioso, pron-to ad accogliere nel suo abbraccio – lui che ad es-si fa visita – gli uomini delle chiese protestanti,anglicane ed ortodosse, delle sinagoghe, delle mo-schee. Certo, le braccia berniniane a piazza SanPietro ricordano Dante che lascia dire al «pecca-tore» Manfredi: «Ma la bontà divina ha sì granbraccia, / che prende ciò, che si rivolge a lei»(Dante, Purgatorio, III, 122-123).Papa Wojtyla, vicario sulla terra di Dio e dellasua bontà che «ha sì gran braccia», ha fatto allaChiesa di Roma «prendere ciò che si è rivolto alei». Né la Chiesa di Roma poteva non farlo.Anche perché la Chiesa di Roma non è solo la

Chiesa di Pietro che «sta», bensì è anche laChiesa di Paolo che «va». Sempre collocabile al-l’ombra della felice metafora delle braccia:«Aprite, spalancate le braccia a Cristo!», è statauna delle prime grandi proposizioni di PapaWojtyla. Proposizione che, senza dubbio, si spiegain bocca ad un Papa che, fin dall’inizio, vuol esse-re il pontefice non solo della Chiesa di Pietro che«sta», ma anche della Chiesa di Paolo che «va»: ilPapa itinerante, il globetrotter della fede cattoli-ca, della fede cristiana.E ciò secondo un’originaria vocazione apostolica,di carattere «globalizzante» della Chiesa di Roma.In Memoria e identità, che si può considerare ilsuo testamento spirituale (Rizzoli, Milano 2005,p. 128), Papa Wojtyla ben ricorda che negli Atti (I,8) si legge delle vie missionarie che i discepoli diCristo devono percorrere «fino agli estremi confi-ni della terra»; e che in Mt (28, 19) è scritto:«Andate, dunque, ammaestrate tutte le nazioni,battezzandole nel nome del Padre e dello SpiritoSanto». Sì, gli apostoli, primi globalizzatori dellafede cattolica, «andarono»; ed «è andato» PapaWojtyla, apostolo novello o novello Paolo, all’al-tezza dei tempi della più raffinata civiltà dei mez-zi di comunicazione di massa.

2.Apostolo novello o novello Paolo «è anda-to» Papa Wojtyla. Con alle spalle una sto-ria (e/o un destino) del cattolicesimo (del

cattolicesimo più istituzionale, più «romano») cheha praticato, spesso, l’evangelizzazione con atti-tudine «colonizzatrice», quand’anche non «conqui-statrice» (sì, i conquistadores spagnoli!) o, addirit-tura, «predatrice».E non è che Papa Wojtyla non abbia avvertito edenunciato con forza come il momento modernodell’evangelizzazione conseguito alla scopertadell‘America sia stato caratterizzato dalla violen-za anche «culturalmente» espropriatrice. Dettocon riferimento non solo al continente soprattut-to sudamericano, ma anche al continente sudafri-cano, terre sulle quali maggiormente per secoli siè rovesciata la furia colonizzatrice dell’Occidente

Karol Wojtyla e il dialogo interreligiosoL’accoglienza salda di Pietro e l’ascolto itinerante di Paolo

Antimo NE G R I

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europeo: «La colonizzazione importa sempre unportare e un innestare il “nuovo” sul tronco anti-co. Ciò sotto un certo aspetto serve al progressodelle popolazioni indigene, ma comporta al tempostesso un esproprio non solo delle loro terre, maanche del loro patrimonio spirituale» (Memoria eidentità, cit., p. 129).È il filosofo della persona, educato su Tommaso,su Husserl, su Scheler, sulla Stein, ad avvertirloe a denunciarlo. Almeno se nell’inusurpabile «pa-trimonio spirituale», del quale qui si parla, si de-ve e si può individuare la più irrinunciabile cifradi un personalismo cristiano, impegnato non solonella predicazione, ma anche nella prassi concre-ta del rispetto dell’uomo nella sua più inalienabi-le identità culturale.E si può non esitare a ritenere che nel filosofo del-la persona, meno trattabile anche geneticamentee più culturalmente disidentificabile, c’è anche ilPapa polacco, il Papa «patriota» più umanamentelegato agli usi e ai costumi, alle tradizioni religio-se e persino alla lingua nazionale come «linguamaterna». Ah, questo Papa che rimane senzamamma ancora bambino: non dice niente il fattoche, per lui, «la Chiesa è madre che, a somiglian-za di Maria, serba nel suo cuore la storia dei suoifigli, facendo propri tutti i problemi ad essi conna-turali» (Memoria e identità, cit., p. 178)?

3.Nessuna meraviglia, dunque, che questoPapa, quando si è fatto novello Paolo iti-nerante, abbia ubbidito, anzi tutto, al-

l’impulso della «maternità» della Chiesa di Roma.Certo, «guai a me se non predicassi il Vangelo!» (ICor, 9, 16). Ma il Vangelo è predicato, da questonovello Paolo, «non con la spada, ma con la per-suasione» (Memoria e identità, cit., p. 165). «Fa-cendo propri tutti i problemi ai figli connaturali».Più esattamente: «I popoli fissano la loro storia innarrazioni che consegnano in molteplici forme didocumenti grazie ai quali si costruisce la culturanazionale. Strumento principale di tale progressi-vo sviluppo è la lingua [...]. Si realizza così una co-municazione tra soggetti che serve ad una piùprofonda conoscenza della verità e, mediante ciò,all’approfondimento e al consolidamento delle ri-spettive identità» (Memoria e identità, cit., p. 96).Queste identità – naturalmente, anche religiose –vanno «maternamente» rispettate, difese. Ma nonper questo chiuse le une alle altre. La «comunica-zione tra soggetti», alla quale si è sentito accenna-re Papa Wojtyla, si costituisce attraverso un«cammino di Dio» (le stesse vie della più dialogi-

ca globalizzazione evangelica). A cadere, si badi,è ogni odiosa forma di «eresia». No, non ci sono, aldi là della Chiesa di Roma, «sterpi eretici» neiquali essa debba e possa «percuotere» con «l’impe-to suo» (Dante, Paradiso, XII, 100-101). Dove c’è«eresia», c’è scissione, separazione, ferita, dolore.Resiste la passione dell’«unità» che eviti «eresia»,scissione, separazione, ferita, dolore. Ma non èpiù la passione di una «unità» che abbia la forzaimpositiva, violentemente sopraffattrice, schema-tizzatrice delle identità, anzi tutto religiose.Anche e soprattutto le diverse identità, metten-dosi in «comunicazione» con loro, servono ad una«più profonda conoscenza della verità».

4.Si legge Memoria e identità, si ripercorrela storia e/o il destino del lungo pontifica-to di Karol Wojtyla, e si fa più matura la

persuasione che, nella sua coscienza, opera co-stantemente l’idea di un cattolicesimo che nonpermette assolutamente di presumere che la vocedello Spirito debba e possa essere unicamentequella latina, centrale, romana. Accanto a questaidea, si può ammettere, ha operato, nella coscien-za di Karol Wojtyla, il sentimento che anche gliebrei, anche i protestanti, anche i musulmani ecc.sono «figli d’Eva» e che Cristo in croce «a tutti i fi-gli d’Eva / nel suo dolor pensò» (A. Manzoni, LaPentecoste, 71-72). Né il poliglotta Wojtyla, che «èandato» di gente in gente, baciandone di volta involta il suolo e parlandone di volta in volta la lin-gua diversa (anche questo esprime un profondorispetto delle identità), avrebbe potuto rinunciaread un convincimento radicale della tradizione re-ligiosa di un Paese cattolico come l’Italia.Espresso, questo convincimento, con il motivogiobertiano della «poligonia del cattolicesimo», inforza del quale si sostiene che «vi sono tanti cat-tolicismi quanti spiriti umani» e che questi spiri-ti «formano una Chiesa sola» (Riforma cattolica, §101). «Spiriti» che parlano lingue diverse? Ma èvero che «ogni parola che vuol essere parola di ve-rità [...] si fa intendere a ciascuno nel suo propriolinguaggio che è il suo modo di sentire e di pensa-re» (G. Gentile, La mia religione, 2). Proprio comecanta il cattolico liberale Manzoni: «Come la lucerapida / piove di cosa in cosa / e i color vari susci-ta / dovunque si riposa: / tal risonò molteplice / lavoce dello Spiro: l’Arabo, il Parto, il Siro / in suosermon l’udì» (La Pentecoste, vv. 41-48). Quandosi pretende che una gente non ascolti la voce diDio «in suo sermon», cioè secondo il suo peculiare«modo di sentire e di pensare», è il rispetto dell’i-

A N T I M O N E G R I

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dentità personale che vien meno, il rispetto cuinon è venuto mai meno il «personalista» Wojtyla.Il discorso sta prendendo un itinerario, suggesti-vo e provocatorio, tutto da seguire. Né, ove lo sisegua, si può, per il momento, eludere una do-manda fondamentale: si è arreso mai, PapaWojtyla, nel farsi novello Paolo, all’abbandono delpiù originario principio di identità, quello in forzadel quale la Verità non può e non deve essere fat-ta andare alla deriva attraverso la molteplicità,la storicità, la relatività delle sue forme? La do-manda si impone, si è imposta nel ricordo di Mt(5, 37): «Sì sì, no no; ciò che va oltre viene dal de-monio». È ricordo, questo, fatto valere, anche conla preoccupazione per una «vacanza» del sogliopontificio, anche contro un Papa che questo soglio

ha occupato con la fortissima volontà di far trion-fare l’amore sull’odio e, comunque, di difendere ladignità della persona umana contro il collettivi-smo comunista più antindividualisticamentespietato non meno che contro il capitalismo piùantindividualisticamente feroce, ecc. Né, è da ri-tenere che, con il pontificato di Papa Wojtyla, laChiesa di Pietro ha perduto l’identità attraversola Chiesa di Paolo in dialogo, ad un certo punto,anche con i non credenti.

Roma, 14 aprile 2005. È l’ultimo scritto licenziato per lastampa da Antimo Negri, scomparso a distanza di due set-timane, il 28 aprile 2005 tra il generale compianto. (n.d.r.).

A N T I M O N E G R I

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1.Nella emozione per la scomparsa di un im-menso protagonista della nostra storia riaf-fiorano ricordi di una personale, intima me-

moria e ci si accorge che sono anch’essi frammenti,pur minimi, di una comune ricerca da parte di chisi sente debitore di un dono immenso.Il mio primo personale ricordo risale al Concilio,non saprei dire la data, mentre ho chiaramentepresente la stagione: inizio di caldo estivo e refrige-rio di ponentino.Vittorino Veronese, persona ben nota in Italia eall’estero, sia sul piano civile che su quello eccle-siale, dotato di una rara sensibilità anche sul pia-no di rapporti umani, uditore laico al Concilio, in-vita un gruppetto di amici italiani e stranieri peruna cena a Casa Pallotti, presso Ponte Sisto (doveerano ospiti numerosi ecclesiastici che partecipa-vano al Concilio).Ci troviamo all’aperto, nel cortile (venti/trenta per-sone) per gli aperitivi e i primi timidi approcci.Vengo presentata ad un giovane Vescovo polacco dicui non afferro il nome: è l’Ausiliario del Cardinaledi Cracovia. La cosa che al momento più mi colpi-sce è la sua singolare bellezza, legata alla luce del-lo sguardo, ai colori del volto, alla modulazione del-la voce. Facevano capo a lui, a Cracovia, alcuni ami-ci polacchi che avevo incontrato (se ricordo bene, inBelgio) durante una riunione del MovimentoInternazionale degli Intellettuali Cattolici (M. I. I.C.). Appartenevano alla Chiesa del silenzio, dun-que, ma parlavano e addirittura viaggiavano.Erano dei “sorvegliati speciali” nei confronti deiquali il regime decideva di quando in quando di fa-re un gesto. La loro militanza cristiana era pagatacon la rinuncia ad ogni tipo di carriera accademicao civile, e ad ogni guadagno eccedente i mezzi peruna modesta sopravvivenza.Avevano in compenso, il privilegio di poter far sen-tire sulle limitatissime e censurate pagine di unastampa cattolica priva di strumenti e di mezzi, unavoce cauta e sommessa, ma ferma e, soprattutto,condivisa da un numero importante di lettori (talo-ra clandestini).I legami fra Wojtyla e questi miei amici polacchierano assai forti ed io ero felice di poterne parlarecon lui. Ma il discorso non poté essere approfondito:

era l’ora del pranzo. O forse era stato Wojtyla a pro-fittare della occasione per interromperlo.Tuttavia mi trovai, subito dopo, vicina a Wojtyla altavolo da pranzo e il discorso riprese con grande na-turalezza. Io ero stata da poco in Polonia ed ero sta-ta particolarmente colpita dalla bellezza e armoniadi Cracovia. Grande merito aveva avuto BonaSforza, la moglie del primo re polacco, precisòWojtyla, che aveva chiamato gli architetti italianiche avevano fatto di Cracovia una capitale delRinascimento. La presenza e l’influenza italiana fuduratura, lasciando tracce ancor oggi evidenti a li-vello linguistico. Ma quello che più mi colpì in que-sta lunga conversazione fu quanto mi disse a propo-sito del ruolo che lui stesso aveva direttamente avu-to per tener viva la speranza e alimentare il sensodi Dio e della Patria durante l’atroce periodo dell’oc-cupazione nazista.Un gruppo di giovani, da lui guidato si riuniva, conuna certa frequenza, e per la durata dell’intera not-te (c’era il coprifuoco) in case ospitali per recitarebrani e testi, poetici e/o drammatici , relativi allastoria e alla vita della Polonia e per cantare le me-lodie di una ricca tradizione. Una forma singolaredi “resistenza” che ben rispondeva al temperamen-to di gente sensibile alla bellezza e fiera di esseresempre riuscita a rinascere dopo le sue tragedie.Con grande discrezione accennò anche alla suaesperienza di attore, ma certo non mi disse quel cheappresi più tardi da altri e cioè che quella dell’atto-re era stata per lui una esperienza prolungata e im-portante e che addirittura molti gli avrebbero dettoche, dato il suo talento, sarebbe stato un modo pri-vilegiato per servire la Chiesa.

2.Un secondo frammento di memoria è ri-masto per me l’abbraccio per il giovanePapa che viene intronizzato davanti alla

Basilica di San Pietro e il suo maestro e Car-dinale Wyszynski che, col suo atteggiamentosembra dire: “illum oportet crescere, me autemminui”. Era stato un abbraccio lunghissimo,fuori protocollo: l’uno inginocchiato davanti al-l’altro, quasi fusi in quell’abbraccio che rappre-sentava insieme la continuità della storia e ilsuo inevitabile, provvidenziale mutamento.

Un ricordoMarisetta PA R O N E T T O VA L I E R

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Giovanni Paolo IIvicario di Cristo e successore di Pietro

Marcelo SÁ N C H E Z SO R O N D O

1.Sappiamo che Capo e Pastore dellaChiesa è Cristo, sposo dell’unica Chiesa. Èlui che battezza; lui che redime i peccati; è

lui il vero sacerdote che si è immolato sull’ara del-la croce, e per la virtù di lui il suo corpo viene con-sacrato ogni giorno sull’altare; e tuttavia poichécorporalmente non poteva rimanere con tutti i fe-deli, elesse dei ministri, affinché dispensasseroisacramenti. Ecco perché egli disse a Pietro primadella sua ascensione: “pasci le mie pecore” (Gv27,17); e prima della passione gli aveva detto “tu,una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli” (Lc22, 32); e a lui solo aveva fatto la promessa: “A tedarò le chiavi del regno dei cieli” (Mt. 16,19); permostrare che il potere delle chiavi doveva deriva-re agli altri da Pietro, allo scopo di conservare l’u-nità della Chiesa. Dunque, il Papa ha i due titoli più alti imputabi-li alla persona umana: a) essere vicario di Cristob) successore di Pietro. Il Papa è “il dolce Cristo interra”, come diceva Santa Caterina da Siena.Proprio per l’altezza, importanza e universalità diquesti titoli di vicario di Cristo e successore diPietro la missione è difficile da compiere, per nondire impossibile. In un certo modo, nessun uomopuò realizzare adeguatamente il titolo di esserevicario di Cristo, che è il figlio di Dio. Come pureè ben difficile essere successore di Pietro, il primopapa, vescovo di Roma, che ha conosciuto diretta-mente Cristo nella sua passione e nella sua risur-rezione e che faceva miracoli impressionanti.Ogni Papa ha cercato, in accordo alle proprie pos-sibilità umane e soprannaturali, e in relazione al-le circostanze storiche in cui è vissuto, di realizza-re quella altissima vocazione e chiamata. Non po-chi Papi lo hanno fatto con una singolare gran-dezza, e la Chiesa li ha chiamati magni. Tra i 264pontefici che si sono succeduti nel corso della sto-ria, troviamo numerosissimi santi e beati, alcuniriconosciuti come tali dal popolo credente mentreerano ancora in vita, ma credo solo due col titolodi magni. Ricordo il tusciano San Leone I oMagno, celebre per i suoi Sermoni teologici e peravere fermato Attila alle porte di Roma, e ancheil romano San Gregorio I, o Magno, che convertì

al cristianesimo molti popoli come i Lombardi egli Angli. Recentemente il Card. A. Sodano ha da-to questo titolo di Magno a Giovanni Paolo II nel-la sua bella omelia della Domenica in Albis.

2.Frequentemente nei mezzi di comunica-zione si è parlato di Giovanni Paolo II co-me “un Papa politico” e si è descritta in

questo quadro la sua grandezza. È chiaro che ilsuo influsso nel corso della storia è stato decisivosia in Europa come in America Latina, pensiamo,ad esempio, alla caduta del muro di Berlino con lasua rivoluzione pacifica o alla pace fra Argentinae Cile mediante il dialogo. Tuttavia, quella di po-litico è una categoria che non si addice per descri-vere Papa Wojtyla. Credo che egli sia stato innan-zitutto un Papa religioso, un successore di Pietro,un vicario di Cristo, che è precisamente quelloche deve essere e ha voluto essere sempre.Questa è la sua vera radice, il centro di organiz-zazione di tutta la sua immensa attività, l’animaprofonda delle sue iniziative. I suoi libri sono de-dicati quasi esclusivamente alla sua vocazionesacerdotale, episcopale e papale. Si parla di lui con frequenza come “conservatore”,forse “reazionario”. La verità è proprio l’inversa.Forse dal secolo XVII è stato il primo Papa che si èsentito come in casa sua nella filosofia del suo tem-po. Ha familiarizzato con essa fin dalla sua gioven-tù, passando attraverso una conoscenza molto am-pia dei grandi autori. Nutrito specialmente di pen-siero fenomenologico e di personalismo tomista, ciha destinato in dono una delle più importanti ebelle Encicliche filosofiche di tutti i tempi: la Fideset ratio, ricca di innovazioni e conquiste, che per-mettono di sperare in un rinnovamento valido av-venire del pensiero cattolico e non solo. Non meno importanti e attuali sono le sueAllocuzioni alle Pontificie Accademie. Il Papa hacapito l’importanza decisiva per l’uomo contem-poraneo di riconciliare la cultura umanistica conquella scientifica e ha posto le condizioni per unnuovo inizio fecondo di mutua conoscenza. E sem-pre ricominciando da Dio e da Cristo.

M A R C E L O S Á N C H E Z S O R O N D O

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Tanto altro si può dire delle diverse Encicliche suquestioni rigorosamente religiose e da una pro-spettiva teologica cristiana. Il commento allaparabola del figlio prodigo, Dives in misericordia,è un testo decisivo sulla paternità umana, alla lu-ce della quale si tenta di comprendere la paterni-tà divina. Così anche si potrebbe dire delleEncicliche sul Figlio e sullo Spirito Santo. Questaforza religiosa emerge ancora nell’ultimasull’Eucaristia e in quella che era in preparazio-ne sulla Carità come risposta alla sfida della glo-balizzazione.

3.Negli scritti di carattere sociale comel’enciclica Laborem excercens e Sollicitu-do rei socialis, si vede la maturazione re-

ligiosa della sua esperienza di lavoro e di povertà,che ha vissuto sia per la situazione del suo paesedi origine sia per le circostanze della guerra. La sua impronta nel mondo in cui è vissuto è mol-to profonda e amplissima, e non la si può dare perconclusa nemmeno con la sua morte. Non si può misconoscere che questo Papa suscitaanche da morto assieme all’entusiasmo inconte-nibile che stiamo vedendo, una dose di impazien-za, irritazione e ostilità specialmente in certi in-tellettuali. Ci sono state molte persone che hannovissuto con la convinzione di assistere ad un debi-litamento del cristianesimo o almeno del cattoli-cesimo, ad una sua dissoluzione o sfaldamento,senza avvertire che è passato per altre crisi al-trettanto gravi. Tre decenni fa, l’apparizione diGiovanni Paolo II sulla scena del mondo, ha fattosì che si dissipassero tali erronee convinzioni. Inquel momento non si poteva neppure immagina-re quello che sarebbero stati i successivi ventiset-te anni. Si è passato a quello che i matematici chiamano“altro ordine di magnitudine”. Ma questa dimen-sione profonda della vita non si può porre in que-sti termini se non solo in senso analogico. Il con-cetto di magnitudine si può applicare alla figuraumana di Giovanni Paolo II, strumento della gra-zia petrina e quindi delle trasformazioni a cui ab-biamo assistito e stiamo assistendo. E qui toc-chiamo un tasto delicato: fino a che punto quella“pienezza dei tempi”, che marcò l’Incarnazione el’avvento del Cristianesimo con l’energia nuovadella grazia soprannaturale, si è dilatata tramiteil suo pontificato? Fino a che punto la nuovaevangelizzazione, che è stata il programma diGiovanni Paolo II, già annunziato dal ConcilioVaticano II e da Paolo VI, si è attuata? Senza dubbio Giovanni Paolo II, come vicario diCristo e successore di Pietro, ha aperto le porte,

ha preparato il terreno, ha varcato la soglia… Lasua azione infaticabile al servizio della dignità diogni persona umana, capace di Cristo, al serviziodella riconciliazione e della pace del Regno, azio-ne che lo ha portato in tutti i continenti, ha pro-fondamente contrassegnato il passaggio di mil-lennio. Forse con la sua morte ha dato ancora unpasso in più per aprire le porte a Cristo di unmondo ancora smarrito nelle nebbie del nichili-smo. Con la sua morte certamente lo abbiamoscorto come mai immerso in quella dimensione ri-gorosamente religiosa e trascendente che gli ap-partiene come a nessuno. Forse con l’esempio del-la sua vita coronata di una morte edificante ab-biamo capito un po’ più quanta sia stata la graziadi Vicario di Cristo e successore di Pietro che haposseduto e che ha dato, a noi, alla sua Chiesa, almondo.

Roma, 4 aprile 2005

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Après moi le délugeGiuseppe A. SP A D A R O

1.Questa sarà anche una voce fuori del co-ro, ma l’enfasi che è stata messa sull’ago-nia e sulla morte di papa Wojtyla, non ci

convince. «Morto un Papa, se ne fa un altro» èun antico detto popolare, ma tanta enfasi sem-bra smentirlo. Sembra quasi che la Chiesa vivain una atmosfera da Après moi le déluge. Maquest’atmosfera è giustificata dall’attuale mo-mento storico? La situazione è tutt’altro che si-mile a quella del 1° dicembre 1800, quando icardinali convenuti a Venezia, ch’era passataall’Austria col trattato di Campoformio, si ac-cordarono sul nome del cardinale Chiaramonti.Atterrito da quella scelta, solo dopo due giorniquesti si decise ad accettare il mandato, pren-dendo nome Pio VII. Il suo predecessore, Pio VIBraschi, era morto il 29 agosto 1799 in Francia,dove era stato deportato per ordine diNapoleone, e il futuro della Chiesa era vera-mente nelle mani del Signore. Altro momento di grande incertezza fu quello cheseguì la morte di Pio IX il 7 febbraio 1878. LeGuarantigie offerte dal governo del Re d’Italianon davano abbastanza garanzie ai cardinali diCuria, ancora sotto il trauma del funerale, du-rante il quale il feretro di papa Mastai aveva ri-schiato di finire a fiume. Chi suggeriva di tenereil conclave a Malta sotto protezione inglese, chiad Avignone e chi in Austria. L’unico a sostenereche il diavolo non era così brutto come si dipinge,fu il cardinale Hohenlohe. Infatti il conclave sitenne indisturbato a Roma, e ne uscì papa LeoneXIII. Ora, che la situazione non sia analoga aquelle due, e che di anticlericali, eccettuato il sot-toscritto, non ci sia nemmeno l’ombra, è un fattoassodato. I cattolici sono presenti in entrambi ipoli, che fanno a gara per tenerseli buoni. IlPresidente della Repubblica va a Messa e si con-fessa, mentre il presidente del Consiglio ordinacinque giorni di lutto nazionale.

2.Après moi le déluge? In effetti gli ultimiatti di questo Pontefice, non del tutto se-reni e composti, nonché il tono dell’ar-

ringa di Messori sul «Corriere della Sera» del 26marzo: «Il Padre che ha salvato la Chiesa», sem-brano confermare che la situazione non è roseaper la Chiesa. E questo è solo un eufemismo,perché il cardinale Ratzinger ha lasciato capireche la barca fa acqua da tutte le parti. Le ragio-ni di tanta preoccupazione sono però intrinse-che: l’occidente è cristiano solo a parole, forseperché crocianamente non può non dirsi cristia-no. Se così non fosse, che significato avrebbeparlare di rievangelizzazione? L’ultima speran-za è nel Terzo Mondo, è qui che si possono anco-ra reclutare i sacerdoti. È quel che aveva recri-minato a Giovanni Paolo II il teologo HansKüng: «Karol Wojtyla propaganda una figurasacerdotale maschile caratterizzata dal celibatoed è quindi il principale responsabile della cata-strofica carenza di sacerdoti e dello scandalo

G I U S E P P E A . S P A D A R O

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della pedofilia nel clero, ormai venuto alla luce.[...] Gli scandali della pedofilia verificatisi dagliStati Uniti all’Austria hanno gravemente dan-neggiato la sua credibilità, portando sull’orlodella bancarotta grandi diocesi».

3.Non tutte le accuse del Küng sono condi-visibili: non si può pretendere da un papache sponsorizzi «l’uso della pillola e del

profilattico». Egli avrebbe potuto però attenua-re i toni, in ragione della maggiore santità diuna gravidanza voluta rispetto a una subita, opeggio all’incidente riparato dall’aborto. C’è in-fatti un’altra considerazione da fare: «Le ricer-che di sociologia della religione dicono esplicita-mente degli italiani che circa la metà non si ac-costa mai al sacramento della confessione [...]invece è aumentato il numero dei credenti chefrequentano il sacramento della comunione».Insomma, sarà un bene o sarà un male, ma, co-me ha scritto Pietro Prini in Lo scisma sommer-so (Garzanti 1999): «Alla radice del cambiamen-to profondo che è avvenuto in una parte consi-derevole della popolazione che continua a di-chiararsi cristiana e cattolica, sta certamente ilrifiuto di confondere la moralità con la possibi-lità di codificarla alla guisa di un diritto con-trattuale.» Alle accuse di Küng c’è da obbiettare che, secon-do un criterio generale, le critiche vanno fattejuxta propria principia. Ma appunto in base aquesti principi, la Chiesa non può continuare asostenere che del Canone non si deve spostareuna virgola, e poi ignorare la I Epistola aTimoteo: «Bisogna che il vescovo sia irreprensi-bile, marito di una sola moglie, [...] che governibene la propria famiglia e tenga i figli in sotto-missione (chè se uno non sa governare la propriafamiglia, come potrà aver cura della chiesa diDio?)» Küng ha qui ragione: «Questo è solo unesempio di come anche questo Papa abbia igno-rato la dottrina della Bibbia e la grande tradi-zione cattolica del primo Millennio, in cui non viera alcuna legge sul celibato sacerdotale». Sulcelibato, come su altri temi scottanti (lasciamoda parte il sacerdozio femminile, che si riscon-tra nel culto di Astarte ma non nella Bibbia!),papa Wojtyla ha operato una restaurazione delVaticano I. Ricordiamo invece come GiovanniXXIII era stato comprensivo verso tanti casi dipreti concubinari, avviando una normativa piùlibera, analoga a quella della Chiesa ortodossa,che, pur non prevedendo l’obbligatorietà del ce-

libato ecclesiastico, riserva ai celibi l’accesso al-le gerarchie più elevate.

4.Restaurazione? Papa Wojtyla non è statoil primo a fare marcia indietro rispetto alVaticano II. Già Paolo VI aveva pronun-

ciato la famosa frase: «Da qualche fessura è en-trato il fumo di Satana nel Tempio di Dio». «Maipiù condanne per eresia» si era detto alVaticano II, ma già da allora si ricominciò aparlare di eresie, di pelagianesimo e di gnostici-smo, che divenne il chiodo fisso di Comunione eLiberazione. Ecco nel ’76 la prima sospensionea divinis a quel vescovo Marcel Lefebvre, il qua-le sosteneva che il Vaticano II aveva ribaltato ilVaticano I. A smentire il ribaltamento papaWojtyla ha beatificato Giovanni XXIII, ma fa-cendo lo stesso con Pio IX, ha annullato ognispecificità del primo rispetto al secondo. Pio XIbeatificò il Bellarmino quando Mussolini rispo-se picche alla richiesta di rimuovere la statua diGiordano Bruno da Campo dei Fiori.Ora, le contraddizioni del Papa defunto sononumerose. Egli ha esaltato l’ecumenismo e lacollegialità episcopale, ma al tempo stesso hacompromesso i rapporti con le Chiese ortodossee con quelle riformate, ha dichiarato fedeltà alConcilio, per poi tradirlo nei fatti. GiovanniXXIII, con una iniziativa coraggiosa e rivoluzio-naria, volle che al Concilio fossero rappresenta-ti tutti i cristiani, in riconoscimento degli error-ri commessi da entrambe le parti. Invece al pri-mato della Cattedra di Pietro papa Wojtyla nonha voluto rinunciare. Da lui sono venute soltan-to profferte di scuse e richieste di perdono, maiseguite da atti diretti alla rigenerazione religio-sa della modernità. In questo modo egli ha diso-rientato la cattolicità gettandola inutilmentenella costernazione. Sotto il profilo logico è poi inutile domandarsiperché il 14 maggio 1999 in Vaticano GiovanniPaolo II baciò il Corano presentatogli da una de-legazione irakena. Il Papa in quell’occasione rico-nobbe il Corano come libro sacro, e quindi divi-namente ispirato. Dio è il Dio di tutti, e va bene,ma un Papa può riconoscerlo coram populo? Senon ci fossero prove in contrario, come la dichia-razione di Ratzinger, che ha ribadito: «ExtraEcclesiam nulla salus», potremmo giudicareWojtyla un papa-filosofo (come del resto egliamava atteggiarsi) che vede una teofania inogni fenomeno religioso. E proprio la fenomeno-logia gli è stata rimproverata da cattolici di fer-

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ro come Fausto Belfiori (La buona battaglia,Settimo Sigillo 1998): «Le radici velenose dellacultura di Wojtyla, un misto di tomismo e di fe-nomenologia. Un misto letale. [...] Il solitoMessori è intervenuto per addurre attenuanti aWojtyla il cui misticismo lo renderebbe vittimadelle circostanze».Non dimentichiamo che dalla Comunità S. PioX (Sodalitium - n. 49 1999) il Papa defunto fudichiarato eretico e la Sede vacante. Né si tra-scurò di ricordargli (La Tradizione cattolica, n.12000) che per il Corano i cristiani sono miscre-denti da mettere a morte o tagliare loro la ma-no e il piede in modo alterno, perché dicono:«Dio è il terzo di tre, mentre non vi è altro Diose non il Diounico! Essi dicono: Dio ha preso persé un figlio, ma non si addice al Misericordiosoprendere per sé un figlio.Il Messia figlio diMaria, in verità è un apostolo!». Ci guarderem-mo dall’ascoltare simili campane, se GiovanniPaolo II fosse stato coerente. Ma egli ha traditola risoluzione conciliare Nostra Aetate, inse-diando vescovi cattolici in diocesi ortodosse eistituendo perfino una sede episcopale a Mosca.Con tale istituzione egli si è tagliata la via perla Russia, che fino all’ultimo gli è stata vieta-ta.Tornano così ad emergere i motivi per cui cir-ca mille anni fa la Chiesa greca si separò dallaromana.

5.C’è da dire al riguardo che, dal punto divista d’un corretto monoteismo, laTrinità subordinazionista degli Ortodossi

non è più ortodossa di quella cattolica, e ancheil Corano, nato sotto l’influsso nestoriano, met-te in guardia: «O gente del Libro, non siate stra-vaganti nella vostra religione, e non dite di Diose non la verità: l’Altissimo non generò né fu ge-nerato!» Ma in Varcare la soglia della speranza,dopo aver ricordato la risoluzione conciliareNostra Aetate: «La Chiesa guarda con stima imusulmani che adorano l’unico Dio, vivente esussistente, misericordioso e onnipotente crea-tore del cielo e della terra (n. 3)», papa Wojtylavolle ribadire: «L’islamismo non è una religionedi redenzione. Non vi è spazio in esso per laCroce e per la Resurrezione». Poteva un Papagiudicare diversamente? Ma egli proseguiva:«Tuttavia, la religiosità dei musulmani meritarispetto. Non si può non ammirare la loro fedel-tà alla preghiera. L’immagine del credente inAllah che, senza badare al tempo e al luogo, ca-de in ginocchio e si immerge nella preghiera, ri-

mane un modello in particolare per quei cristia-ni che, disertando le loro meravigliose cattedra-li [!], pregano poco o non pregano per niente.» È sconcertante, sentire da questo Papa, che cre-de talmente scristianizzato l’occidente da rivol-gere uno sguardo preferenziale all’oriente e alsud del mondo, rivendicare alla «mistica cristia-na di tutti i tempi di avere edificato la civiltà, inparticolare quella civiltà occidentale segnata daun positivo riferimento al mondo e sviluppatasigrazie ai risultati della scienza e della tecnica,due branche del sapere radicate sia nella tradi-zione filosofica dell’antica Grecia, sia nellaRivelazione giudeo-cristiana.» A causa di tali enormità la situazione dellaChiesa si presenta scissa tra dichiarazioni ver-bali, cui non hanno corrisposto che smentite difatto. Così è rimasta disattesa la consegna del-la Nostra Aetate: «Se nel corso dei secoli non po-chi dissensi sono sorti tra cristiani e musulma-ni, il Sacrosanto Concilio esorta tutti a dimenti-care il passato e a esercitare la mutua compren-sione nonché a promuovere insieme la giustiziasociale, i valori morali, la pace e la libertà».Anche i buddisti ritirarono la loro delegazionedagli incontri interreligiosi di Assisi, dopo ilgiudizio negativo da lui espresso in Varcare lasoglia della speranza, in cui definì il buddismoun sistema ateo.

6.Forse il nostro errore è quello di aspettar-ci qualcosa di diverso dalla religione.Tuttavia una maggiore ratio non avrebbe

potuto che giovare alla fides dei nostri contempo-ranei, che non è poi a prova di bomba. LaConferenza Episcopale, che aveva approvato larevisione del Pater circa il «non c’indurre in ten-tazione», in considerazione del fatto che «Dio noninduce mai in tentazione» non ha più insistitonell’imporla. Ciò che si può rimproverare alPapa defunto, è dunque avere incoraggiato lasuperstizione popolare, fornendole appigli conestemporanee esternazioni. Può un papa, sep-pure nel trasporto della sua devozione mariana,dire: «I Vangeli sono incompleti circa il rappor-to fra Gesù e sua Madre: non è possibile cheGesù risorto non sia apparso prima a suaMadre che alla Maddalena»? Il pontificato di Karol Wojtyla è stato in realtàtroppo lungo, perché non si accumulassero glierrori. All’inizio del suo pontificato egli avevasuscitato grandi speranze, ma il Papa che si eraopposto con tanta energia alla dittatura sovieti-

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ca in Polonia, dopo la caduta del comunismo dicui è stato il principale protagonista, non hamostrato di capire il caso italiano, nella suascandalosa e tragica unicità. Sede del partitocomunista più forte del mondo, che ci ha lascia-to in eredità un apparato capace di incepparequalsiasi programma di riforme, l’Italia si trovaincagliata nelle maglie di una coalizione catto-comunista sprovvista e di cultura di governo edi quella d’opposizione. È pur vero che la sban-data cattocomunista era cominciata prima delsuo pontificato, ma il Pontefice defunto ha mo-strato di non aver superato l’identità nazional-cattolica, nel senso negativo che ne diede papaRatti quando fu Nunzio in Polonia: i polacchifanno dell’essere cattolici un fatto nazionale.Ecco perché papa Wojtyla ha smesso l’antico-munismo come un abito vecchio. I nodi vennero al pettine quando, intervenendosulla legge riguardante l’aborto, «L’OsservatoreRomano» (30 maggio 1998) si provò a redargui-re «qualche cattolico obnubilato dalla logicacompromissoria del male minore». Allora i po-polari diffidarono il Papa dal sollevare problemiche mettessero in pericolo l’alleanza cattocomu-nista. In quell’occasione il cardinale Ruini di-chiarò: «In futuro non sosterremo più alcun par-tito», confessando così d’averlo fatto: tutti ricor-

diamo le suorine d’un collegio di Padova, chenel ’96, fedeli al patto di desistenza, votaronoper il candidato di Rifondazione Comunista. Inogni caso la minaccia del cardinale Ruini non èstata mantenuta e la situazione si è deterioratafino a un punto di non ritorno.

7.Questo dobbiamo ad un Papa che, men-tre con entusiastica disinvoltura esaltava«la castità dei nubili e delle vergini, fami-

glia spirituale formata da tutti coloro che non dasangue, né da volere di carne né da volere d’uo-mo sono formati, ma sono generati da Dio», di-ceva di rifiutare «ogni forma di pessimismo esi-stenziale». Diverso da papa Montini, per questosi è accaparrato la simpatia dei giovani, che unavolta scrivevano sui muri: Cloro al Clero! e oggisono del tutto clero-formizzati. Ma il Clero haforse di che gioire? Lo scisma sommerso avanzaa passi da gigante, e i giovani che si dichiaranocattolici, fanno dei sacramenti un uso poco rego-lamentare. Papa Wojtyla è piaciuto ai giovaniper le performances con cui si dilettava di in-trattenerli nonché per il Rock che divenne ilprotagonista del Congresso eucaristico diBologna. Non è questa la rigenerazione religio-sa di cui la modernità ha bisogno.

G I U S E P P E A . S P A D A R O

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Si narra che il Papa, essendo nell’ultimanotte della sua vita piombato nel buio e nelsilenzio dove spazio e tempo già si annulla-

no, abbia sentito d’improvviso avvicinarglisi uncoro di voci giovanili, e abbia mormorato: “Io viho chiamato e voi sieti venuti”. Era la restituzio-ne delle tante volte in cui egli era andato incon-tro a loro predicando la speranza, quando dedica-va ai più piccoli il linguaggio muto dei teneri ge-sti, sollevando da terra i caduti, cullando tra lebraccia i dormienti, baciando facce emaciate opaffute, pulite o moccicose e col pollice segnandosulla fronte di tutti la Croce. Sospinto da quelcanto di ragazzi egli aspettò serenamente che lasua anima fosse assunta nella luce.

Ed io sentii una fitta acutissima di dolore, il ri-morso di aver quasi dubitato di lui, quando ilpresenzialismo, l’esibizione della sofferenza, lospettacolo di sensi che non ubbidivano più allamente mi avevano procurato un certo turba-mento. Non avevo capito che si trattava di unattaccamento alla vita senza la quale non c’èmorte, senza la quale non c’è Dio.

Tra il turbinio di parole udite nella circostanzauna restava sospesa nell’aria: nostalgia, malin-conia del tempo trascorso, per la giovinezza co-me metafora, per la gagliardia del corpo e dellospirito, per la bellezza della natura, per l’armo-nia che tiene insieme tutte le cose e rivela ilprodigio della creazione, assai difficile da rite-nere casuale.

Poi l’atleta di Dio si mostrò sul catafalco e sem-brò piccolo piccolo, sepolto dai ricchi paramenti.La mia attenzione fu però attratta dalle scarpe;traboccavano dalle vesti, si imponevano con lesuole destinate a fare ancora un lungo cammi-no; scarponcini sportivi: quello destro un po’ in-clinato, forse per aver sopportato un maggiorpeso. Questa immagine mi accompagnerà certa-mente come un flash indelebile della memoria.Mi ricordò intanto la lettura di un romanzo fan-

tastico degli Anni Sessanta, The Shoes of theFisherman (Le scarpe del pescatore), tradottoin italiano col titolo meno suggestivo Nei pannidi Pietro. Autore ne era un australiano cattoli-co, Morris West, che soggiornò molto a Romadove lo incontrai e lo frequentai. La storia erauna singolare anticipazione: un uomo venutodall’Est era stato eletto Papa. Sportivo anch’e-gli, in più anticonformista, amava mescolarsi inincognito alla gente dei rioni popolari per misu-rarne il bisogno di Dio.

Le scarpe di Giovanni Paolo II erano piuttostoquelle del pellegrino; venuto anche lui da lonta-no non poteva tuttavia che andare lontano, finoagli estremi confini della Terra, non era statochiamato per fermarsi a Roma, bensì per ritor-narvi ogni volta che se ne fosse allontanato.

Quanto si è detto di lui! Panegirici, esaltazioni,encomi solenni sinceri e ipocriti, riserve rispetto-se e critiche insinuanti. Egli lottò per la pace delmondo, per evitare gli scontri di civiltà, lottò con-tro nazismo e comunismo; fu operaio, poeta, atto-re e drammaturgo, scrittore, alpinista e ora san-to proclamato a gran voce dal popolo, con unicalegittimazione quella, pur non valevole, della in-genuità e della sincerità. Più inquietante è statainvece l’immediato e sospetto fiorire di miracoli,attribuiti al Papa, di guarigioni del corpo come senon bastasse quello finora accertato delle animedei poveri di spirito ai quali è stato promesso,dalla Montagna, il Regno dei Cieli.

La sensazione è inoltre che molti “intellettuali”inflazionando di parole piccoli schermi e paginedi giornali suggessero dagli esempi della sua vi-ta il nettare che più gli conveniva, soprattuttola tolleranza, i mea culpa, l’abbraccio a tutti gliuomini della Terra indipendentemente dalleconvinzioni e dalle confessioni di ciascuno. Maquanti si sono soffermati sulla sua funzione dicustode della ortodossia e di strenuo difensoredella vita se non per criticarlo?

Le scarpe del pellegrinoTuri VA S I L E

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Nella messa di suffragio, la più grandiosa sacrarappresentazione visibile in tutte le zone delpianeta, egli era nascosto tra quattro tavole dilegno rozzo in contrasto con la magnificenzadella cerimonia. Mi tornava alla mente un ver-so imparato da ragazzo: “È risorto, non è qui”.C’era invece, come quando sembrò che la sua in-confondibile voce dicesse: “Scambiatevi il segnodella pace”. Un fremito percorse la piazza; si vi-dero mani che si stringevano, abbracci, occhipieni di lacrime di pellegrini venuti da tutto ilmondo senza che nessuno li avesse obbligati,ubbidendo a un richiamo irresistibile. Nel palcodei Potenti della Terra si strinsero sì mani diamici e di nemici, alcuni però pronti a sconfes-sare l’indomani quel segno di pace, altri perconfermarlo per motivi diplomatici.

Guardare per televisione è come stare al balco-ne di casa sul totale della piazza sottostante.La cerimonia è finita; ma la folla indugia comese si attendesse una replica. Io rivedo la baradel Papa risalire il sagrato; sulla porta dellabasilica i sediari manovrano per una conver-sione che la esponga di faccia al popolo e incli-nano leggermente la parte anteriore. Ecco, orail Papa è di nuovo rivolto a tutte le genti, è co-me se possa essere visto attraverso le grezzetavole. A me pare di rivedere svettare le scar-pe; ingrandiscono, mi vengono incontro fino adoscurare il campo visivo.

Il Papa è morto, viva il Papa pronto a riprende-re il suo cammino.

T U R I V A S I L E

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1.La strategia, seguita dagli ultimi pon-tefici, Paolo VI e Giovanni Paolo II, sipuò comprendere e giudicare soltanto

nella luce (luce per modo di dire) delle novitàintrodotte da quella devastante rivoluzionesessantottina, che rappresenta l’ultima insor-genza anticristiana.La dottrina. effervescente, che animava le agi-tazioni del Sessantotto, ha smentito le serioseillusioni dell’utopia progressista, inauguratol’età postmoderna e, con essa, il ciclo edonisti-co dell’apostasia.La realistica cognizione del cambiamento epo-cale dell’indirizzo rivoluzionario, consente,adesso, di cogliere la continuità del magisterocattolico, da Pio XI e Pio XII a Paolo VI finoGiovanni Paolo II. Continuità della sollecitudi-ne spirituale nella diversità degli argomentiusati per fronteggiare un aggressore disconti-nuo e mutante.Intorno al fatidico Sessantotto, il popolo deipensatori e degli entusiasti rivoluzionari, rico-nosciuta l’impossibilità del paradiso in terra egettate alle ortiche le promesse di palingenesi,si è rovesciato nelle consolazioni disperate e ne-gli stordimenti orgiastici proposti da una “mo-rale” rinnovata secondo le suggestioni crepusco-lari del paganesimo.Eugenio Scalari, pensatore domenicale di mas-sa e volgarizzatore dell’illuminismo in versionepostmoderna proclama infatti, che i nuovi mae-stri della rivoluzione sono tre decadenti, Leo-pardi, Schopenhauer e Nietzsche.Dopo il Sessantotto e grazie alla riforma com-piuta dai francofortesi e dai californiani, la cul-tura dell’apostasia ha attuato tutte le potenzia-lità distruttive (propriamente nichiliste) dellerivoluzioni. Con appropriato linguaggio, l’ina-scoltato e purtroppo dimenticato Augusto DelNoce aveva definito la rivoluzione sessantottina“totalitarismo della dissoluzione”.Gli araldi del “mondo moderno” hanno affon-dato nel più nero pessimismo le utopie sodali ei miti paradisiaci, mutando stato d’animo, sti-

le di vita, classe sociale egemone, e perfinogeografia d’elezione. La rivoluzione ha assunto1e maniere della borghesia corrotta ed este-nuata, ha posto il suo verice nel salotto squisi-to, ha eletto sua patria la “grande mela” occi-dentale. Non senza ragione, Michele FedericoSciacca usava il termine spregiativo “occiden-talismo” per definire l’ultimo, crepuscolaremomento dell’eversione moderna.La maggioranza dei politologi controrivoluzio-nari , non avendo inteso i lungimiranti e pun-tuali avvertimenti di Paolo VI e di GiovanniPaolo II, non ha calcolato l’ampiezza del muta-mento, prodotto dal riba1tone sessantottino, edha perciò difficoltà ad ammettere il catastroficocambio di colore subito dal progressismo “clas-sico”. Preda di infinite specie di daltonismo, lacultura controrivoluzionaria. è incapace di ve-dere il nuovo colore della realtà rivoluzionaria eperciò accusa la Chiesa di Paolo VI e diGiovanni Paolo II di aver sospeso la denuncia.del pericolo comunista. Alcuni hanno addirittu-ra attribuito agli ultimi pontefici un colpevolecedimento alla sinistra comunista e un’ingiustacritica al consumismo occidentale.Le critiche e le accuse di discontinuità insisten-temente rivolte a Paolo VI e a Giovanni Paolo IIdiscendono dalla materiale ignoranza della na-tura del postmoderno oltre che dall’incompren-sione della sollecitudine cristiana per il benedell’umanità.Le accuse alla Chiesa. postconciliare sono for-mulate da coloro che non hanno capito che ilmaterialismo dei soviet trionfanti è scomparsonel buco nero della storia e che il suo parados-sale residuo e il “consumismo”.Ora la matrice filosofica del consumismo tota-lizzante, antiumanistico e perciò duramentecondannato da Giovanni Paolo II, è la dispera-zione neopagana, dichiarata senza ritegni daimaestri e dai pre-maestri del Sessantotto (unalunga fila, che inizia da Walter Benjamin , e at-traverso Adorno e Horckheimer, approda aMarcuse e a Taubes).

Giovanni Paolo IIe il «totalitarismo della dissoluzione»

Piero VASSALLO

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Il Sessantotto ha, infatti, preso una lunga rin-corsa: fin dai primi anni cinquanta il cardinaleGiuseppe Siri aveva descritto 1’ispirazionepseudomistica del nuovo movimento rivoluzio-nario.Il consumismo nel nuovo orizzonte dell’ideolo-gia rivoluzionaria esaspera una passione dasempre imperversante a sinistra, il desiderio diconsumare il mondo dei capitalisti lo trasformanel desiderio dì evadere da questo mondo invi-vibile attraverso le vie d’uscita offerte dalloscialo, dalla dissipazione e dallo stordimento.Intendiamoci, Giovanni Paolo II non ha condan-nato gli umili consumi e i modesti lussi delle fa-miglie, al contrario è entrato nelle case degliumili e ha consumato con loro i ricchi cibi delladomenica preparati nell’intento di rallegrare ildesco familiare. Il Cristianesimo non nutre ivuoti furori del fachirismo e non approva gli im-pietosi disprezzi “a monte” del pauperismo,

2.Nel pensiero del papa, il consumismo noncircola nelle oneste necessità dei semplicima nella volontà deviata dall’intento di

consumare il creato mediante la sequela disor-dinata e distruttiva degli istinti.L’anima del consumismo è una morale capovol-ta dalla falsa religione: l’ostilità nei confrontidel mondo borghese è lo schermo di odio “misti-co” verso il creato, che dagli occhi abbagliati deipiù profondi maestri sessantottini è visto comeopera di un demiurgo malvagio.Per comprendere le ragioni dell’allarme sul con-sumismo insistentemente lanciato da GiovanniPaolo II, basta consultare due opere che, da fon-te insospettabile, rivelano la profonda e auten-tica ispirazione della sinistra neocomunista,La prima è “La rovina di Kasch”, un testo in cuiRoberto Calasso ha dimostrato, con argomentignostici, l’essenza distruttiva – consumistica,dissolutoria – del pensiero di Marx.Interprete rigoroso del nichilismo di sinistra, ilmaestro di Calasso, Jacob Taubes, nell’altrosaggio rivelatore, “La teologia politica di SanPao1o”, aveva in precedenza confessato (permezzo di inquietanti riferimenti a1l’eresia diMarcione e alla teologia nazista) che, a fonda-mento del consumismo si trova una capovoltateologia, dove si contempla il conflitto tra ilcreatore malvagio e il redentore impotente.Le conseguenze perduranti sono la contestazio-ne globale (non fu globale nel sessantotto); e, inultima analisi, quella “cultura di morte” (anti-

proibizionismo per la droga, eutanasia, suicidioassistito, abortismo, vandalismo, violenza ter-roristica) tante volte denunciata da GiovanniPaolo II.Illuminanti saggi di questa guerra furente lihanno offerti i no-global durante le vandaliche(propriamente decostruttivistiche) giornate ge-novesi del G8 e li offrono ogni giorno le manife-stazioni (francamente patologiche) dell’odiocontro qualunque governo sia inteso allo svilup-po e alla conservazione della vita umana sulpianeta.Senza dimenticare i fantasmi del “secolo ster-minato” Giovanni Paolo II ha destato e mobili-tato le coscienze descrivendo gli errori che in-combono sul presente e ricordando che la sal-vezza del mondo è legata alla fede in CristoGesù. Il felice istinto della folla ha compreso laforza del messaggio del papa polacco e ha ripor-tato il pensiero cristiano al centro della storia.

P I E R O V A S S A L L O

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I COLLABORATORI

Giano ACCAMEeditorialista, scrittore politico, autore di Una storia della Repubblica, Rizzoli Milano 2000, BUR.

Pierfranco BRUNIpoeta, scrittore, rappresentante Min. BB.AA.CC. presso la Commissione Nazionale UNESCO, già Vicepresidente della Provinciadi Taranto.

Anna CIVRANdocente di filosofia, già Presidente, più volte confermata, del M.E.I.C.

Dino D’ERICE (on. Dino GRAMMATICO)scrittore, poeta, saggista, Presidente dell’ISSPE, già deputato al Parlamento siciliano per sette legislature.

Antonio DELOGUprofessore ordinario di filosofia morale nell’Università di Sassari.

Sandro FONTANAgià Vicepresidente del Parlamento europeo, professore ordinario nell’Università di Brescia

Fausto GIANFRANCESCHIscrittore, giornalista, già responsabile della «Terza pagina» per il quotidiano «Il tempo».

Francesco A. GIUNTAscrittore, giornalista.

Ennio INNOCENTIscrittore, giornalista, già docente di Dottrina Sociale della Chiesa.

Franco LANZAgià professore ordinario nell’Università di Viterbo.

Giuseppe LORIZIOprofessore ordinario di Teologia fondamentale presso la Pontificia Università Lateranense, Preside dell’Istituto Superiore diScienze Religiose «Ecclesia Mater», Direttore della rivista teologica «Lateranum».

Costantino MARCOscrittore, saggista, editore.

Domenico MARIANIProcuratore Generale dell’Istituto della Carità (PP. Rosminiani).

Francesco MERCADANTEprofessore emerito nell’Università di Roma «La Sapienza».

Antimo NEGRIscrittore, filosofo, storico, saggista, già professore ordinario nell’Università di Roma «Tor Vergata».

Marisetta PARONETTO VALIERstorica, Vicepresidente del M.I.I.C. (Pax Romana), membro del Consiglio Esecutivo dell’UNESCO.

Tommaso ROMANOpoeta, scrittore, editore, già Vicepresidente della Provincia Regionale, Palermo.

Marcelo SÁNCEZ SORONDOvescovo, professore ordinario nella LUMSA, Cancelliere della Pontificia Accademia per le Scienze Sociali.

Giuseppe A. SPADAROstorico, scrittore, giornalista.

Turi VASILEdrammaturgo, scrittore, produttore cinematografico, giornalista.

Piero VASSALLOdocente ai corsi europei (Milano), saggista, scrittore.


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