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DISPRASSIA, ORGANIZZAZIONE MOTORIA ED ESERCIZIO IN ETA ...

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Università degli Studi di Verona Laurea Specialistica in Scienze delle Attività Motorie Preventive e Adattate Tesi di Laurea DISPRASSIA, ORGANIZZAZIONE MOTORIA ED ESERCIZIO IN ETA’ EVOLUTIVA: L’IMPORTANZA DELLA RIEDUCAZIONE MOTORIA NEL BAMBINO DISPRASSICO Relatori: Laureando: Ch.ma Prof.ssa Tortella Patrizia Miracolo Roberta Ch.mo Prof. Cevese Antonio Anno Accademico 2009 - 2010
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Università degli Studi di Verona

Laurea Specialistica in Scienze delle Attività Motorie Preventive e Adattate

Tesi di Laurea

DISPRASSIA, ORGANIZZAZIONE MOTORIA ED ESERCIZIO IN ETA’

EVOLUTIVA: L’IMPORTANZA DELLA RIEDUCAZIONE MOTORIA NEL

BAMBINO DISPRASSICO

Relatori: Laureando:

Ch.ma Prof.ssa Tortella Patrizia Miracolo Roberta

Ch.mo Prof. Cevese Antonio

Anno Accademico 2009 - 2010

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Questa tesi è dedicata a mia mamma

Antonella e a tutte le persone che

mi hanno sostenuta in questi

due anni.

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INDICE

LISTA DEGLI ACRONIMI 5

ABSTRACT 7

PAROLA CHIAVE 8

INTRODUZIONE 9

1 – NEL LABIRINTO: DEFINIZIONI E CLASSIFICAZIONI 15

1.1- IL PROBLEMA DELLE DEFINIZIONI E CLASSIFICAZIONI 16

1.1.1 - ALLE ORIGINI DELLE CLASSIFICAZIONI 16

1.1.2 - DEFINIZIONI E CLASSIFICAZIONI OGGI 18

1.1.3 - RECENTI CLASSIFICAZIONI 20

1.2- DISPRASSIA: ALLA RICERCA DI CRITERI UNIVOCI 22

1.2.1 - I CRITERI DIAGNOSTICI PER DCD E DISPRASSIA 22

1.2.2 - PRESENTAZIONE DEL DCD 23

1.2.3 - LE IMPLICAZIONI PSICOSOCIALI 24

1.2.4 - GLI APPROCCI ALLO STUDIO DEI DISTURBI 25

1.2.5 - DIFFERENZE TRA DISPRASSIA ED APRASSIA MOTORIA 27

1.2.6 - DISTURBO DEL MOVIMENTO O DISPRASSIA? 28

- OVERVIEW DEGLI ARTICOLI PIU‘ IMPORTANTI DEL CAPITOLO 35

2 – EZIOLOGIA DELLA DISPRASSIA 37

2.1 – SVILUPPO DELLA RICERCA SULL‘EZIOLOGIA DELLA DISPRASSIA 38

2.1.1- IL RITARDO DELLO SVILUPPO 38

2.1.2 – DANNO CEREBRALE MINIMO 40

2.1.3 – L’ELABORAZIONE DELLE INFORMAZIONI 42

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2.2 – IL PROFILO COGNITIVO-NEUROSCIENTIFICO 43

2.2.1 – TEMPORIZZAZIONE MOTORIA E CONTROLLO DELLA FORZA 44

2.2.2 – MODELLISTICA INTERNA AVANZATA 45

2.2.3 – MODELLI AVANZATI E APPRENDIMENTO MOTORIO 47

2.3 – IL CORPO CALLOSO ALL‘ORIGINE DELLA DISPRASSIA 48

2.3.1 – CALLOSOTOMIA NELLA DISPRASSIA DELLA MANO: ALCUNI STUDI DI CASI 50

2.3.2 – LE FIBRE CALLOSE INTEREMISFERICHE 55

2.3.3 – LA FUNZIONE DEL LOBO PARIETALE SUPERIORE 56

2.4 – LA DISPRASSIA NEI BAMBINI NATI PREMATURI 60

2.5 – DISPRASSIA E CERVELLETTO 64

- OVERVIEW DEGLI ARTICOLI PIU‘ IMPORTANTI DEL CAPITOLO 65

3 – LA COMORBIDITA‘ NELLA DISPRASSIA 68

3.1 – ADHD E DISPRASSIA 68

3.1.1 – UN DEFICIT TRA PERCEZIONE VISIVA E MOVIMENTO 69

3.2 – COMORBIDITA‘ NELL‘AUTISMO 74

3.2.1 – I NEURONI SPECCHIO 77

3.3 – DEGENERAZIONE CORTICO-BASALE 78

3.4 – DISPRASSIA E DISTURBI DI APPRENDIMENTO 82

- OVERVIEW DEGLI ARTICOLI PIU‘ IMPORTANTI DEL CAPITOLO 84

4 – LA VALUTAZIONE DEL BAMBINO DISPRASSICO 87

4.1 – STRUMENTI PER VALUTARE LA PRASSIA 88

4.1.1 – TEST DELL’USO DI OGGETTI MULTIPLI 92

4.1.2 – IMITAZIONE DEL GESTO 93

4.1.3 – TEST DI SEQUENZA MOTORIA 96

4.2 – LA VALUTAZIONE DELLA DISPRASSIA 97

4.2.1- I RECENTI PROGRESSI NELL’ANALISI BIOMECCANICA 103

4.3 – L‘ADC: IL NUOVO MODO DI VALUTARE GLI ADULTI DISPRASSICI 105

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- OVERVIEW DEGLI ARTICOLI PIU‘ IMPORTANTI DEL CAPITOLO 110

5 – TRATTAMENTI E RIEDUCAZIONE DEL SOGGETTO DISPRASSICO 112

5.1 – L‘APPROCCIO LOGOPEDICO AL TRATTAMENTO 113

5.1.1 – LA TERAPIA 115

5.2 – LA MUSICOTERAPIA 118

5.2.1 – LINEE GENERALI AL TRATTAMENTO 120

5.2.2 – TECNICHE IMPIEGATE 121

5.3 – IL METODO TERZI 125

5.4 – L‘IMPORTANZA DEGLI OMEGA 3 128

5.5 – LA PROSPETTIVA CHIROPRATICA 132

5.6 – RIABILITAZIONE MOTORIA 134

- OVERVIEW DEGLI ARTICOLI PIU‘ IMPORTANTI DEL CAPITOLO 138

CONCLUSIONI 140

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI 149

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Lista degli Acronimi

Acronimi Definizione

ABD Atypical brain development

ADHD Attention-Deficit/Hyperactivity Disorder

AHS Alien Hand Syndrom

APA American Psychiatric Association

BOTMP Bruininks Oseretsky Test of Motor Proficiency

CO-OP Cognitive orientation to daily occupational performance

DAMP Disorder of Attention and Motor Performance

DCD Developmental Coordination Disorder

DSM Diagnostic and statistical manual

EEG Electroencefalography

ELBW Extremly Low Body Weight

fMRI Functional magnetic resonance imaging

ICD Intemational Classification of Diseases

ICDIH International Classification of Impairement, Disabilities and Handicaps

ICF International Classification of Functioning, Disability and Health

IMD Internal modelling deficit

IP Information processing

LD Learning disabilities

MBD Minimal brain damage

M - ABC Movement Assessment Battery for Children

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NVLD No-Verbal Learning Disorder

OMS Organizzazione Mondiale della Sanità

PET Positron emission tomography

rCBF regional Cerebral Blood Flow

RD Reading Disorder

ROCF Osterreith Rey Complex Figur

SDDMF Specific Developmental Desorder of Motor Function

TC Tomografia Computerizzata

TMS Transcranial Magnetic Stimulation

TOMI Test of Motor Impairment

TVPS Test of Visual and Perceptual Skills

VLBW Very Low Body Weight

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ABSTRACT

Per descrivere i comportamenti motori più complessi e che richiedono un processo di

apprendimento, si usa spesso il termine prassia con riferiemento al fatto che il problema non risiede

nel movimento per se stesso, quanto nell‘uso coordinato di esso. Ad esempio, il bambino è in grado

di compiere tutti i movimenti richiesti all‘atto di allacciarsi le scarpe, ma riesce a coordinarli in

maniera tale da raggiungere lo scopo desiderato. La caratteristica fondamentale del Disturbo di

Sviluppo della Coordinazione è una marcata compromissione dello sviluppo della coordinazione

motoria in vista di uno scopo specifico. La diagnosi, generalmente, viene fatta solo se questa

compromissione interferisce in modo significativo con l‘apprendimento scolastico o con le attività

della vita quotidiana. La disprassia deve essere distinta da una compromissione motoria dovuta ad

una condizione medica generale o a specifici disturbi neurologici, anche se spesso essa compare in

comorbidità con altri disturbi. Le manifestazioni di questo disturbo variano con l‘età e con lo

sviluppo. Infatti, se i bambini più piccoli possono presentare goffaggine e ritardo nel

raggiungimento delle tappe fondamentali dello sviluppo motorio (gattonare, camminare, stare

seduti, saltare), quelli più grandi possono mostrare difficoltà nelle componenti motorie

dell‘assemblaggio dei puzzles, nel giocare a palla o nella calligrafia. In questo disturbo i problemi

motori e spaziali sono associati, come appare dalle difficoltà che i bambini disprassici hanno con il

disegno e con le attività sportive. Questo perché il movimento da un lato richiede l‘uso di

rappresentazioni visuo-spaziali, dall‘altro una buona conoscenza dello spazio che consente di

muoverci adeguatamente. Il decorso della disprassia è variabile, in alcuni casi la mancanza di

coordinazione permane nell‘adolescenza e nell‘età adulta, ma attraverso i vari strumenti di

valutazione ed i diversi approcci al trattamento, è possibile rieducare il bambino disprassico in

maniera efficiente.

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PAROLE CHIAVE

1 DISPRASSIA

2 EZIOLOGIA

3 COMORBIDITA‘

4 VALUTAZIONE

5 TRATTAMENTO

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INTRODUZIONE

A tutt‘oggi non sono molte le pubblicazioni in italiano sul tema specifico della disprassia in età

evolutiva: mancano criteri univoci rispetto alla definizione, alla diagnosi e all‘eziologia del disturbo

e vengono usate denominazioni diverse per inquadrare questi tipi di problemi; per esempio viene

utilizzato il termine disprassia congenita o disprassia evolutiva e, a seconda del paese,

Developmental Dyspraxia (DD), o Specific Developmental Disorder of Motor Function (SDDM-F),

o Disordes of Attention and Motor Performance (DAMP) oppure Developmental Coordination

Disorders (DCD) o disturbo evolutivo della coordinazione. Queste tematiche occupano la prima

parte di questa tesi, precisamente i capitoli 1 e 2, in cui si evidenziano le principali differenze nelle

classificazioni mondiali del disturbo. Infatti l‘ICD-10 descrive il disturbo evolutivo specifico della

funzione motoria (F82) che prevede un quadro caratterizzato principalmente da difficoltà di

coordinazione, presente dalle prime fasi dello sviluppo e non dipendente da deficit neurosensoriali o

neuromotori, da compromissione di entità variabile e modificabile in funzione all‘età, e da

goffaggine nei movimenti. Invece nel DSM-IV (Americam Psychiatric Association) la disprassia è

classificata all‘interno dei DCD, ovvero come un distrurbo evolutivo della coordinazione motoria.

E‘ spesso evidenziato che, in esso, coesistono problemi di incoordinazione motoria e problemi

percettivi. Per la diagnosi, secondo il DSM-IV, sono previsti alcuni criteri, come la presenza di una

marcata difficoltà o ritardo nello sviluppo della coordinazione motoria, infatti le performances

risultano inferiori rispetto ad un bambino normale comparando i dati si dell‘Età mentale (EM) che

dell‘Età Cronologica (EC) e, tra i criteri, le difficoltà motorie non sono dovute ad altre condizioni

patologiche mediche come PCI, distrofia muscolare o altro. Nel secondo capitolo, invece, viene

approfondito l‘argomento eziologico della disprassia, analizzando i diversi approcci che esplorano

le basi del disturbo. Recenti ricerche hanno utilizzato l‘approccio neuroscientifico per ipotizzare che

vi sia un deficit nella temporizzazione motoria e nel controllo della forza, alla base

dell‘incoordinazione motoria. Ma altri studi esaminano le diverse aree del cervello per scoprire la

base anatomica della disprassia come il cervelletto ed il corpo calloso, concludendo che il livello

più probabile di disfunzione, è un sistema di controllo motorio, che induce probabilmente un

processo che stimola ad eseguire movimenti adeguati, così come un processo inibitorio di

movimenti inappropriati corrispondente alla lesione della zona colpita. Inoltre, sono state condotte

numerose ricerche sull‘indebolimento motorio correlato alla nascita pretermine, in cui si evince che

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le prestazioni particolarmente mediocri dei neonati prematuri sono legate principalmente alla loro

difficoltà di prassia. Nel cercare di comprendere quale sia l‘esatta terminologia per una corretta

diagnosi della disprassia o quali siano i fattori sottostanti l‘insorgenza della patologia, ci si imbatte

in molti studi che espongono il tema della comorbidità, illustrato nel terzo capitolo, dimostrando

che solo nel 46% dei casi, la disprassia si manifesta in forma pura, infatti la comorbidità è divenuta

più una regola che un eccezione. Tra i disturbi ―concorrenti‖, sono stati evidenziati l‘autismo, i

distrurbi di apprendimento, la disabilità di lettura e l‘ADHD. Crowford e Dewey, in uno studio sulla

co-occorrenza dei disordini evolutivi, sostengono che nel DCD puro non sono presenti deficit

visuopercettivi, nelle forme in comorbidità ADHD e\o DA i disturbi visuopercettivi sono presenti e

quelli con DCD+ADHD+DA hanno disturbi ed outcome peggiori di quei soggetti con DCD in

comorbidità con un solo deficit. Particolarmente interessante è la scoperta sulla diminuzione delle

cellule di Purkinje nel cervelletto, fatta da studi post-mortem di autistici, che sprona la

considerazione che le anomalie del cervelletto o che le connessioni del cervelletto con le regioni

parietali e frontali, possano contribuire all‘indebolimento dello sviluppo delle abilità motorie

(Bailey A, 1998). Ma la disprassia, per quanto ne sappiamo dagli studi fino ad ora riportati, non

colpisce il pensiero e neppure i sentimenti. Per cui un disprassico o un autistico può essere

intelligente e sensibile, anche se non può parlare in modo attendibile e anche se gli è molto difficile

riuscire a scrivere da solo. In connessione con questa sorta di blocco nell‘apprendimento e

nell‘esecuzione di nuove abilità, Williams et al. (2008) ha ipotizzato una disfunzione nell‘area F5

dei neuroni specchio, la cui attività, in pochi termini, si estrinseca nella codificazione delle azioni

riprodotte dall‘altro, postulando che l‘ipotesi più basilare sarebbe la presenza di un errore o una

distorsione nello sviluppo del sistema dei neuroni specchio. Questo semplice modello di

―disfunzione dell‘imitazione‖ spiegherebbe, almeno in parte la relazione tra disprassia motoria ed

autismo, dato che una è co-condizione dell‘altra. Nello sviluppo del bambino, i neuroni specchio

possono essere gli elementi chiave che facilitano la precoce imitazione di azioni, lo sviluppo del

linguaggio e la funzione esecutiva. Nel quarto capitolo viene esaminato il tema della valutazione

delle abilità prassiche del bambino affetto da disprassia, infatti vengono riportati i vari studi ed le

diverse ricerche scientifiche che indagano le tappe ed il livello delle abilità motorie prassiche del

bambino nei diversi stadi evolutivi. La prassia degli arti superiori rappresenta l‘esito di un processo

cognitivo che permette di eseguire movimenti volontari dotati di un significato con o senza l‘uso di

oggetti (gesti transitivi e intransitivi), atti motori privi di senso e sequenze di gesti (combinazione di

azioni più complesse). La ricerca di O‘Hare et al. (1999) descrive lo sviluppo di uno strumento per

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misurare il livello di prassia manuale dei bambini e discute la varietà del normale sviluppo e delle

relazioni tra i diversi elementi di valutazione della prassia. Come ad esempio il test dell‘uso di

oggetti multipli, l‘imitazione dei gesti transitivi o intransitivi ed il test di sequenza motoria, in cui i

bambini sono invitati a svolgere una serie di gesti collegati tra di loro, per raggiungere un

determinato scopo. E‘ stato e evidenziato che l'imaging cerebrale negli adulti normali ha dimostrato

che l‘area motoria supplementare si attiva quando una sequenza motoria è eseguita da movimenti

che sono noti in anticipo (Robinson, 1998). Nella seconda parte del capitolo vengono analizzate

tutte le batterie di test che valutano la disprassia. Come, il più importante, M-ABC (ex TOMI)

ovvero il Movement Assessment Battery for Children (Henderson & Sudgen, 1992; seconda

versione del 2007), il BOTMP (Bruininks & Bruininks, 2005), l‘APCM, ovvero il Protocollo di

valutazione delle Abilità Prassiche e della Coordinazione Motoria ed è un test tutto italiano ideato

da Sabbadini et al.(2005), il MAND (McCarron, 1982), la McCarty Scales (McCarty, 1972), la

Bayley Scales (Bayley, 1993), il TIMP (Campbell et al., 1993), AIMS ovvero Alberta Infant Motor

Scales (Piper & Darrah, 1994), la PDMS (Folio & Fewell, 2000) ed infine il HINT o Harris Infant

Neuromotor Test (Harris, 2003). Lo studio di Wilson (2005) porta un‘innovazione nell‘ambito

della valutazione della disprassia, introducendo l‘analisi biomeccanica e cinematica del movimento.

La cinematica rispecchia in modo diretto le dinamiche di coordinamento del sistema del

movimento. Il ruolo dell‘analisi cinematica è realmente esistente per confermare le decisioni

diagnostiche e per isolare i parametri di quel particolare movimento, che può essere evolutivamente

inappropriato all'età. Tradizionalmente, quest‘analisi ha trovato applicazione nei più grandi centri di

riabilitazione e di ricerca in cui, per i grandi disturbi del movimento come il morbo di Parkinson e

la paralisi cerebrale, sono stati descritti i modelli di movimenti anomali. E 'da questo dominio che è

maturata la conoscenza e gli sviluppi tecnici nella modellizzazione dei movimenti complessi

(Capozzo, 2002). Il problema per la valutazione è determinare quali sono, evolutivamente parlando,

le competenze appropriate, attraverso le abilità del dominio di movimento. Anche se una

tassonomia universale delle capacità motorie non esiste, le decisioni relative alle attività in

questione sono spesso guidate dal senso comune dell‘esistenza di schemi motori dati dall‘esperienza

clinica (Henderson & Barnett, 1998). I sistemi diagnostici principali sono poco espliciti sulla

variabilità dell'espressione del disturbo (o eterogeneità). In sostanza, il disordine è lo stesso per tutti

i bambini ma, i bambini a cui viene diagnosticato il DCD e che ottengono lo stesso, o simile,

punteggio totale sul MABC, possono presentare prestazioni molto diverse, e mostrare profili molto

diversi (ad esempio, Visser, 2003). Infine ho trovato un ultimo articolo, recentissimo, del 2010

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(Kirby et al., 2010) in cui i ricercatori hanno ideato una checklist per diagnosticare la

disprassia/DCD nei soggetti adulti, ovvero l‘ADC (Adult Developmental Co-ordination

Disorders/Dyspraxia Checklist). Esso è semplice e pragmatico ed impiega circa 15 minuti per essere

completato. L'obiettivo dello studio di Kirby et al. era di sviluppare un nuovo strumento di

screening per identificare i giovani e gli adulti a rischio di DCD, e di stabilire la sua validità e

affidabilità. Inoltre, gli autori hanno lo scopo di stabilire una base di interventi adeguati prima della

potenziale insorgenza di menomazioni emotive secondarie, o handicap indotti, migliorando la

qualità complessiva della vita adulta. Al fine di raggiungere questi obiettivi, è stato sviluppato un

criterio basato su un questionario che riprende il criterio diagnostico B del DSM-IV.

Per quanto riguarda il trattamento e la rieducazione del bambino disprassico, ho trovato molto

materiale edito sia da banche dati on-line che da diversi siti internet prettamente dedicati alla

disprassia, come disprassia.org o dal sito internet dell‘Associazione Italiana Disprassia dell‘Età

Evolutiva - AIDEE.it, la cui Presidente è Letizia Sabbadini che ha condotto numerose ricerche nella

valutazione e nel trattamento della disprassia, citate in questa tesi. Dalle banche dati ho raccolto

diversi articoli che esaminano alcuni approcci al trattamento come: l‘esperienza logopedica che nel

bambino con disprassia evolutiva ha permesso di focalizzare l‘attenzione sulla compromissione

della comunicazione in senso lato. Infatti la difficoltà o, nei casi più gravi, l‘impossibilità di

utilizzare il sistema prassico, preclude la strada alla comunicazione verbale e non verbale, che si

traduce per il bambino in un fallimento continuo nell‘interazione sociale. L‘intervento logopedico

deve tenere conto di tutti gli elementi intrinseci ed estrinseci che influenzano il soggetto affetto da

disprassia evolutiva nell‘interazione con l‘ambiente in cui è inserito e di cui fa parte. In questo

senso si parla di un Approccio Ecosistemico (Rousseau, 2007) attraverso il quale il terapista non

prende in carico soltanto l‘aspetto patologico da riabilitare, ma l‘individuo nel suo essere unico, allo

scopo di fargli raggiungere l‘attivazione delle funzioni (di base e adattive) necessarie

all‘adattamento rispetto ai cambiamenti dell‘ambiente (Sabbadini e Sabbadini, 1995); l‘approccio

―alimentare‖ in cui, in uno studio di Alexandra J. Richardson del 2003, si evince che le carenze

funzionali o gli squilibri di alcuni acidi grassi insaturi (HUFA) della serie degli omega-3 e omega-6

possono contribuire allo sviluppo di una vasta gamma di condizioni di sviluppo e psichiatriche, tra

cui la dislessia, disprassia, disturbo da deficit di attenzione / iperattività (ADHD), autismo,

depressione. Allo stato attuale, il possibile ruolo della nutrizione è molto raramente considerato

nella diagnosi o nella gestione di disturbi dello sviluppo o psichiatrici, ma le prove delle ricerche

forniscono buone ragioni, affinchè questa situazione cambi. Sembra anche probabile che la dieta

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potrebbe giocare un ruolo nella prevenzione di tali disturbi, anche se sono ancora necessari studi

formali per affrontare questa possibilità; l‘approccio chiropratico che prevede, nel suo ambito

d‘intervento, degli esercizi motori per diminuire le recidive della disprassia (Pauc, 2010). Egli

sostiene che se la disprassia verbale è generalmente individuata e trattata precocemente con

l'intervento di logopedia, la disprassia generale può essere trattata, in generale, dalla pratica

chiropratica affrontando i problemi specifici, in quanto prevede un semplice sistema di esercizi che

il paziente può eseguire a casa quotidianamente; infine l‘approccio motorio-fisioterapico tratto da

uno studio del 1998, dove Michkle G. Lee & Graham N. Smith hanno esaminato sessanta pazienti

affetti da disprassia che hanno eseguito delle sedute di fisioterapia settimanalmente per otto

settimane con un programma di esercizi quotidiani da eseguire casa. I progressi dei soggetti

coinvolti nello studio sono stati registrati sia alla fine delle sessioni di trattamento che in una

revisione dopo 12 settimane. I punteggi totalizzati alla fine del trattamento hanno mostrato un

miglioramento dal 50 al 90% con una media del 72% per paziente. Nella revisione, il punteggio ha

mostrato un miglioramento dal 47 al 97%con una media del 73% per paziente. I risultati indicano

che la fisioterapia ha un effetto positivo per i bambini con disprassia, anche tre mesi dopo il

trattamento. Il programma di trattamento utilizzato in questo studio è stato indicato nella Disprassia

- Un manuale per i terapeuti (Lee e French, 1994) e Creazioni di un Servizio di Fisioterapia sulla

Disprassia (Lee, 1996). L'utilizzo dei risultati dettagliati ha permesso agli autori di mostrare che la

fisioterapia ha un effetto positivo sulla disprassia.

A mio avviso, merita di essere citata anche un trattamento che non ha ancora trovato riscontro nel

mondo scientifico, ovvero la musicoterapia, successivamente viene analizzato il metodo Terzi. Il

primo è tratto dal lavoro di una musicoterapeuta, la quale sostiene che la musicoterapia permette di

lavorare su due aree di difficoltà molto importanti. Da una parte attraverso l‘elemento ritmico,

inteso sotto forma di creazione di cellule ritmiche, movimento coordinato alla pulsazione, danza

strutturata, gioco musicale creativo e percezione corporea, è possibile intervenire direttamente sulla

difficoltà di coordinazione, movimento e andatura. Dall‘altra il contesto non verbale favorisce

l‘espressione dei vissuti del bambino, delle sue emozioni e difficoltà e il soggetto può canalizzare

questi elementi in forme musicali, sonore e corporee di senso compiuto. Sulla prima area

d‘intervento della musicoterapia, ho trovato un articolo di Berardi del 2009, che utilizza il

cosiddetto Cueing Rhythm. Nelle sequenze motorie il ritmo è introdotto dopo circa 2 minuti di

formazione (linea di base iniziale), seguito dall'esercizio specifico. Gli esercizi di Rhythm-cued

sono alternati in modo flessibile con esercizi non-cuing e con il tempo di riposo per evitare la fatica

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e il disagio del suono continuo. Quando il ritmo viene introdotto, è chiesto al paziente di

concentrarsi sul modello acustico e lasciare che il movimento si sincronizzi con gli impulsi, senza

esercitare troppo controllo cognitivo sul movimento stesso. Esso è ritenuto importante per la

coordinazione e per l‘imitazione dei movimenti proposti dal trainer. Il Metodo Terzi, tratto dal sito

disprassia.org, invece è stato ideato ed attuato dall‘insegnante Ida Terzi (1905-1997) ed è nato in

anni in cui nulla di dimostrato scientificamente si sapeva sulle rappresentazioni mentali dello

spazio. La grande capacità di osservazione e le geniali anticipazioni di Ida Terzi, supportate dai dati

allora disponibili, hanno permesso di mettere a punto il modello. Il Metodo è rimasto negli anni

fedele a se stesso, la teoria che lo supporta si è ampliata enormemente. Il Metodo di organizzazione

spazio-temporale Terzi è un sistema di esercizi senso-motori che sviluppa la capacità di integrare le

informazioni spazio-temporali che giungono al Sistema Nervoso Centrale dai diversi canali

percettivi. Potenzia la capacità di costruzione di corrette immagini mentali motorie (in 1° e 3°

persona nelle fasi di ―vissuto‖ e ―rappresentazione‖) e visuo-spaziali. Per le sue caratteristiche può

essere qualificato come metodologia cognitivo-motoria, in cui le esperienze ricavate dal corpo in

movimento e dalle relazioni con il mondo esterno giocano un ruolo essenziale per lo sviluppo della

mente e degli apprendimenti, ovvero per lo sviluppo cognitivo. E‘ solo il movimento che ci dà la

consapevolezza dello spazio e del tempo, la percezione appare immersa nella dinamica dell‘azione,

il cervello che agisce è innanzitutto un cervello che comprende (Rizzolatti, Sinigaglia, 2006). Si

inserisce nei più recenti filoni teorici relativi alla neuropsicologia cognitiva secondo la quale le

funzioni corticali superiori vengono svolte attraverso l‘attivazione di ―sistemi funzionali a rete‖. Il

Metodo Terzi enfatizza lo stretto legame tra percezione-azione-cognizione: il corpo col suo

movimento e le interazioni del corpo con l‘ambiente esterno vengono utilizzati come dispositivi

cognitivi da cui inizia l‘attività mentale.

La tesi si conclude con una riflessione sul ruolo del Laureato in Scienze Motorie, specializzato in

attività motoria per soggetti disabili, sottolineandone l‘azione motoria-educativa e di inclusione dei

soggetti disprassici, al fine di evitare l‘insorgenza di handicap indotti legati al contesto sociale in cui

il bambino è immerso.

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Capitolo 1

NEL LABIRINTO: DEFINIZIONI E CLASSIFICAZIONI

Per descrivere i comportamenti motori più complessi e che richiedono un processo di

apprendimento, si usa spesso il termine prassia con riferimento al fatto che il problema non risiede

nel movimento per se stesso, quanto nell‘uso coordinato di esso, la prassia infatti consiste in un

insieme di sistemi coordinati di movimenti, in funzione di un‘ INTENZIONE e di un RISULTATO

(Piaget, 1960) e costituisce l‘esito di un processo cognitivo che permette di eseguire movimenti

volontari dotati di un significato, atti motori privi di senso e sequenze di gesti, definite come

combinazioni di azioni. Per esempio, il bambino è in grado di compiere tutti i movimenti richiesti

all‘atto di allacciarsi le scarpe, ma non li sa coordinare in maniera tale da raggiungere lo scopo

desiderato. Un gesto abituale non deve essere pensato o monitorato, ma si realizza senza controllo

cognitivo (attentivo), per cui se il gesto è nuovo il soggetto deve selezionare la sequenza degli atti e

controllare il loro svolgimento ed eventualmente modificare il piano, il progetto d‘azione deve cioè

essere immaginato e monitorato nell‘atto della realizzazione. La caratteristica fondamentale del

Disturbo di Sviluppo della Coordinazione è una marcata compromissione dello sviluppo della

coordinazione motoria. La diagnosi è fatta solo se questa compromissione interferisce in modo

significativo con l‘apprendimento scolastico o con le attività della vita quotidiana. Molte persone

danno per scontata la propria capacità di svolgere lavori di tutti i giorni senza pensarci. Ma per i

bambini affetti da disprassia motoria, anche i compiti semplici possono diventare una lotta, fino a

danneggiare la propria autostima. La disprassia può interessare una o tutte le aree di sviluppo –

intellettuale, linguaggio emotivo, fisico, sociale e sensoriale – e può compromettere il normale

processo di apprendimento. Di solito, può essere un deficit o immaturità nell‘organizzazione del

movimento ma associato a questo potrebbero esserci problemi di linguaggio, percezione e pensiero.

Diviene così fondamentale l'impegno osservativo e di analisi iniziale delle manifestazioni

complessive del soggetto, in ogni situazione di vita, che sarà seguito da interventi a breve e a lungo

termine, per rilevare l'insieme dei problemi che il soggetto pone, definirli nella loro natura,

individuarne, per quanto è possibile, le cause, e poi procedere verso una attività programmatoria che

prenda in esame tutti gli aspetti della personalità e del comportamento del soggetto in osservazione.

Per esempio i bambini più piccoli possono presentare goffaggine e ritardo nel raggiungimento delle

tappe fondamentali dello sviluppo motorio (camminare, gattonare, stare seduti o abbottonarsi la

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Miracolo Roberta – Disprassia, organizzazione motoria ed esercizio in età evolutiva

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camicia). I bambini più grandi possono mostrare difficoltà nelle componenti motorie

dell‘assemblaggio dei puzzle, nel giocare con la palla o nella calligrafia.

1.1- IL PROBLEMA DELLE DEFINIZIONI E CLASSIFICAZIONI

Handicap, disabilità, disturbi dell‘apprendimento, svantaggio socio-culturale, disadattamento, non

sono problemi nuovi, ma suscitano un interesse ed una attenzione particolari proprio oggi, molto più

che un tempo, non solo perché il compito istituzionale della scuola, e delle altre agenzie educative e

riabilitative, è quello di affrontarli con procedimenti e metodologie pedagogicamente,

psicologicamente, scientificamente corrette, ma anche perché i fenomeni sembrano in via di

diffusione. Molto spesso,ad esempio in ambito scolastico, accanto a ragazzi attenti, motivati, capaci

di impegno continuato, collaborativi sono presenti ragazzi disattenti, che si distraggono con facilità,

che si impegnano pochissimo, che manifestano comportamenti imprevisti, talvolta molto aggressivi,

che incontrano difficoltà accentuate di apprendimento, di linguaggio, di ragionamento, di

numerazione, o che, addirittura, rifiutano le regole di vita civile e di rispetto reciproco e tutto questo

difficilmente può venir attribuito semplicisticamente ad un'ottica interpretativa efficientistica della

società. Un altro grosso problema, da non sottovalutare, è che non sempre il bambino o ragazzo

―con problemi‖ viene tempestivamente individuato e certificato secondo chiari parametri di

disabilità e handicap che permetterebbero un intervento mirato, tanto più valido quanto più precoce.

1.1.1- ALLE ORIGINI DELLE CLASSIFICAZIONI

Obsolete e quasi completamente abbandonate, risultano le classificazioni rigide fondate sui risultati

ottenuti mediante i test del Q.I. (Quoziente d'intelligenza), per mezzo dei quali venivano stabilite

delle graduatorie e delle casistiche. Le forme di classificazione accettate erano diverse l'una

dall'altra sia per i criteri, sia per la terminologia adottata per cui i risultati erano difficilmente

comparabili. La Scala di Terman1, ad esempio, indicava sette livelli di abilità: idiozia (0-25),

imbecillità (25-50), debilità grave (50-60), debilità lieve (60-70), campo limite (70-80), campo di

latenza (80-90), campo di normalità (90-100). Altre scale invece erano suddivise in cinque livelli e

1 M.R. Pizzamiglio, La riabilitazione neuropsicologica in età evolutiva, FrancoAngeli, 2003, pagg. 25-26

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Miracolo Roberta – Disprassia, organizzazione motoria ed esercizio in età evolutiva

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distribuivano il punteggio in maniera diversa; per esempio, l 'OMS suggeriva di utilizzare la scala

Stanford-Binet2, articolata su cinque livelli di insufficienza mentale con valori Q.I. da 20 a 85. Il

linguaggio utilizzato in queste scale, inizialmente di natura scientifica, ha assunto col tempo una

forte connotazione dispregiativa, quasi gergale (idiota, imbecille, cretino), e nasconde i problemi

reali del soggetto invece di spiegarli; per non parlare di altre distinzioni, su base prognostica, che

venivano fatte tra soggetti «recuperabili» e soggetti «irrecuperabili», o tra soggetti «dipendenti»,

«addestrabili» e «irrecuperabili», per cui venivano formulate diagnosi di irrecuperabilità che

giustificavano un atteggiamento di passiva rassegnazione e di non attiva programmazione di

modalità consone a stimolare adeguatamente e competentemente i soggetti ―inseriti‖ in classe. Da

più di un ventennio, l'illusione psicometrica, e cioè la speranza di valutare e schedare il bambino

con problemi di sviluppo per mezzo di batterie di test mentali sempre più ricche e complicate, è

aspramente criticata e giudicata negativamente. Fra i numerosi motivi di questo rifiuto si citano

alcuni dei fattori che hanno determinato questa tendenza generalizzata:

◆ il collegamento tra lo sviluppo cognitivo e fattori diversi, di natura ambientale, affettiva e

relazionale, per cui i problemi dello sviluppo intellettivo si intrecciano con quelli dei rapporti

sociali, in particolare con le relazioni tra madre e bambino, cosa che rende ancora più debole la

possibilità di valutare l'intelligenza in termini di efficienza formale;

◆il fatto che, come rileva lo psicologo Hunt3, l'intelligenza era ritenuta come un qualche cosa di

fisso e immutabile e il suo sviluppo predeterminato, che la funzione del cervello fosse di natura

statica e che l'esperienza dei primi anni di vita, in particolare quella precedente 1° sviluppo del

linguaggio, non avesse importanza.

Ormai, il concetto di intelligenza risulta radicalmente modificato in senso più ampio, più

pragmatico, maggiormente rapportato all'apprendimento ed al comportamento umano e viene

meglio definito in termini di rendimento, di adattamento ai modelli culturali, di capacità ideativa e

di soluzione di problemi.

Con Gardner4 si parla di più intelligenze, con caratteristiche distintive, e si apre la strada alla

definizione degli stili cognitivi e degli stili attributivi. Oltre che sul piano dei principi, i risultati dei

2 M.R. Pizzamiglio, La riabilitazione neuropsicologica in età evolutiva, FrancoAngeli, 2003, pagg. 25-26

3 R. J. Sternberg, E.E. Smith, La psicologia del pensiero umano, Armando Editore, 2000, pag. 331

4 Howard Gardner, Educazione e sviluppo della mente. Intelligenze multiple e apprendimento, Erickson, 2005, pag.8

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Miracolo Roberta – Disprassia, organizzazione motoria ed esercizio in età evolutiva

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test Q.I. sono stati contestati anche sul piano pratico, in quanto è stato osservato che il punteggio

ottenuto dai singoli soggetti non era legato al loro presumibile grado intellettuale, ma alle

conoscenze che essi avevano acquisito dal loro ambiente, e per mezzo delle quali erano riusciti a

dare un numero maggiore di risposte esatte. Vennero creati allora dei test di nuova impostazione, i

cosiddetti test cultur free, vale a dire test liberati da fattori culturali, dalle conoscenze e dalla

preparazione del soggetto, che potessero cogliere 1'intelligenza come forma pura, senza cioè le

influenze ambientali. Questo tentativo dimostrò come nessun test possa essere impostato senza fare

ricorso ad elementi culturali poiché le prove risentono sempre, in qualche misura, dell'ambiente

culturale in cui vive il soggetto. Anche classificazioni di origine neuropsichiatrica sono state

abbandonate, come quella avanzata da H. Zulliger5, il quale classificava i ―ragazzi che non si

lasciano influenzare da alcun metodo‖, nel seguente modo:

- oligofrenici (deboli di mente): mongoloidi, cretini, idioti, imbecilli, deboli;

- anormali psichici: psicopatici, psicotici, deboli morali, epilettici, neurotici;

- esseri antisociali: criminali, traviati, asociali, dissociali;

- ragazzi “difficili”.

Questo tipo di classificazione risulta essere addirittura un ostacolo alla conoscenza del soggetto in

difficoltà poiché un debole mentale potrebbe essere contemporaneamente un «debole morale» e un

«dissociale», inoltre, il criterio di distinzione risulta essere artificialmente costruito.

1.1.2- DEFINIZIONI E CLASSIFICAZIONI OGGI

Spesso, il problema della corretta definizione, e successiva classificazione, di concetti quali:

handicap, disabilità, menomazione, se non adeguatamente affrontati, creano confusione e difficoltà

di comunicazione tra le varie parti (docenti, operatori socio-sanitari, legislatori, etc.). Occorre tener

presente che queste definizioni, naturalmente, sono frutto ed espressione della ricerca e della cultura

di un determinato contesto storico ed ambientale, per cui sono soggette a variazioni e cambiamenti

che via via meglio rispecchiano il dibattito socio-culturale del momento. Si sceglie, con questo

lavoro, di proporre la classificazione internazionale delle menomazioni, delle disabilità e degli

5 M.L. Falorni, Lo studio psicologico del carattere e delle attitudini, Giunti - Barbera, 1954, pagg. 119-120

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Miracolo Roberta – Disprassia, organizzazione motoria ed esercizio in età evolutiva

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handicap, poiché rappresenta il sistema di riferimento più frequentemente utilizzato in numerosi

paesi europei e nordamericani. A questo proposito varie nazioni europee, compresa l‘Italia, investite

della necessità di omologare i vari linguaggi, hanno sottoscritto un accordo volto a promuovere

iniziative «tendenti a diffondere l'uso della classificazione [...] sia ai fini della valutazione e del

controllo dei trattamenti di riabilitazione, sia in vista di una più approfondita conoscenza del

fenomeno sotto il profilo statistico» (Foschi e Serio, 1990). Nei documenti ufficiali

dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) le espressioni quali: menomazione, disabilità ed

handicap hanno significati ben precisi, poiché ogni definizione ha una ―funzione di segnale esplicito

e non eludibile‖ (Giobbi, 1980) che deve emergere ogni volta che viene adoperata. L‘attenzione

dunque dei docenti, soprattutto se specializzati, e degli operatori sociosanitari, dovrà fare

riferimento a tali definizioni e classificazioni, senza utilizzarle in modo inappropriato e confuso,

nella pianificazione della riabilitazione e dell'attività programmatoria per l‘integrazione. L‘OMS, in

una assemblea tenutasi nel 1975, decise che era necessario definire, oltre che le classificazioni delle

malattie (ICD), anche le «conseguenze» delle stesse (ICIDH). Fletcher e Morris (1986) osservano

che «l'assunzione fondamentale di una ricerca sulla classificazione è che esistano soggetti che

presentano somiglianze/differenze in una serie di attributi che identificano una tassonomia.

L'obiettivo della ricerca sulla classificazione è quello di sviluppare una serie di criteri oggettivi in

base ai quali i soggetti possano essere esaminati in gruppi omogenei». L‘operazione classificatoria

viene incontro non solo ad esigenze della ricerca e della semplificazione delle procedure

diagnostiche e prognostiche, ma anche di chiarificazione concettuale. Fletcher e Morris,

propongono tre criteri per una classificazione nel campo dei disturbi dell'apprendimento basati sulla

prestazione, sull'analisi dei processi e sull'esame dello sviluppo. Sembrano soprattutto favorevoli a

classificazioni che si fondano su una formulazione teorica chiaramente definita e sulla ricerca di

validità interna (individuando precisi criteri operazionali, controllando la ripetibilità su altri

campioni, attendibilità sullo stesso campione, capacità esplicativa) e di validità esterna. Occorre

ricordare che ogni classificazione fa riferimento a precisi modelli su cui non tutti concordano, per

questo motivo, tradizionalmente, si è dato maggior peso alle classificazioni rivolte

all‘identificazione delle prestazioni deficitarie. Si propone inoltre il conosciutissimo, e ormai di

largo uso anche in Europa, Manuale degli psichiatri nordamericani, (DSM-III-R, 1989), che è

oggetto di costante revisione, riassunto nella tabella 1. Esso è così diffuso proprio perché garantisce

almeno alcuni elementi minimali di linguaggio comune. Possiamo distinguere tre tipi di disturbi

fondamentali legati all'apprendimento scolastico (calcolo, scrittura, lettura), tre tipi legati al

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Miracolo Roberta – Disprassia, organizzazione motoria ed esercizio in età evolutiva

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linguaggio (articolazione, espressione, ricezione e i disturbi dell'eloquio) e il disturbo di sviluppo

della coordinazione motoria.

Tab. 1 – Quadro dei disturbi dell’apprendimento in base al DSM-III-R

1.1.3- RECENTI CLASSIFICAZIONI

Poiché, come abbiamo visto, definizioni e classificazioni appartengono al contesto socio-culturale di

un dato momento storico, e sono collegate alle ricerche in atto in tutti i settori, dalle neuroscienze

alle tecnologie, sono soggette a cambiamenti e a ―ripensamenti‖, perciò non sono codificate una

volta per tutte. L‘OMS, nel novembre 2001, ha pubblicato una nuova Classificazione del

Funzionamento, delle Disabilità e della Salute (International Classification of Functioning,

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Miracolo Roberta – Disprassia, organizzazione motoria ed esercizio in età evolutiva

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Disability and Health - ICF) che è stata riconosciuta da 191 paesi tra i quali anche l'ltalia. Con

questa pubblicazione si è proposto il perseguimento dei seguenti obiettivi:

1. fornire una base scientifica per la comprensione e 1o studio della salute;

2. fissare un linguaggio comune per precisare le componenti della salute nonché favorire e

migliorare la comunicazione tra esperti ed utenti;

3. permettere, a livello mondiale, confronti di dati ed esperienze;

4. fornire sugli stati di salute un sistema organico di codificazione agli organismi di diffusione delle

informazioni.

Questo documento introduce una novità rilevante nel modo di osservare e classificare le disabilità,

basate sull'analisi della vita delle persone e sulle ―modalità con cui si trovano a convivere con le

loro patologie e cercano di migliorare le proprie condizioni di vita, in vista di un'esistenza

produttiva e arricchente"6, piuttosto che sui tassi di mortalità della popolazione. Esso pone tutte le

malattie sullo stesso piano, a prescindere dalle cause, dai disturbi mentali alle patologie fisiche, per

proporre un linguaggio uniforme e un quadro ―all'interno del quale descrivere la salute e gli ambiti

ad essa connessi, come l'educazione e il lavoro"7. Non più dunque una classificazione basata sulle

conseguenze delle malattie (menomazioni, disabilità ed handicap), formulata sulle ―mancanze‖,

difficoltà, ecc., in senso negativo e riduttivo, ma la rassegna delle ―componenti della salute‖ volte a

rilevare esperienze e situazioni in positivo sulle attività svolte e sui livelli di partecipazione alla vita

di tutti i giorni. Persona dunque, vista come individuo ed essere sociale, su cui s‘incentra:

- sia la verifica del funzionamento organico ed anatomico e delle funzioni, anche mentali e

psicologiche, e loro adeguatezza e completezza;

- sia l‘attenzione sulle attività pratiche svolte e i livelli di partecipazione.

Tale ottica dovrebbe cambiare in senso migliorativo tutte le politiche socio-sanitarie e riabilitative

elaborate in difesa dei diritti di persone in difficoltà.

6 Comunicato stampa WHO, 2001, pag.1

7 Vedi prec.

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Miracolo Roberta – Disprassia, organizzazione motoria ed esercizio in età evolutiva

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1.2 - DISPRASSIA: ALLA RICERCA DI CRITERI UNIVOCI

La Disprassia viene generalmente inclusa nella definizione di DCD (Developmental Coordination

Desorder), in italiano Disturbi della Coordinazione Motoria, ovvero un disturbo nel quale le

prestazioni in compiti di coordinazione motoria, fini o grosso motori, sono significativamente al di

sotto del livello atteso, rispetto all‘età e allo sviluppo intellettivo (DSM IV- Tabella 2). E‘ infatti

riconosciuta come un disturbo congenito o acquisito precocemente che, pur non alterando nella sua

globalità lo sviluppo motorio, comporta difficoltà nella gestione dei movimenti comunemente

utilizzati nelle attività quotidiane (ad es. vestirsi, svestirsi, allacciarsi le scarpe) e nel compiere gesti

espressivi (che servono a comunicare emozioni, stati d‘animo); inoltre è deficitaria la capacità di

compiere sia gesti transitivi (che comportano l‘uso di un oggetto, abilità manuali ) che intransitivi

(non rivolti ad un oggetto, a contenuto prevalentemente simbolico). Anche se la ricerca ha

esaminato i bambini con scarsa coordinazione motoria dal 1930 (Orton, 1937), fu solo nel 1994 che

è stato raggiunto un consenso globale per quanto riguarda la terminologia. Importanti ricercatori di

tutto il mondo decisero che i bambini con deficit delle capacità motorie, che in precedenza erano

classificati utilizzando una varietà di termini, ad esempio, 'goffo' (Hulme & Lord, 1986; Losse et al,

1991;. TR Smyth, 1992), 'disfunzionale motorio' (Neve, Blondis, e English, 1991), 'fisicamente

scomodo' (Snow et al., 1991), o come aventi 'disprassia evolutiva' (Cermak, 1985), 'minima

disfunzione del cervello '(I.C. Gillberg, 1985) o 'disfunzione percettivo-motoria '(Laszlo, Bairstow,

Bartrip, e Rolfe, 1988), dovrebbero rientrare sotto la classificazione di Disturbo di Sviluppo della

Coordinazione, come originariamente espresso nell‘American Psychiatric Association's (APA) e nel

Manuale Diagnostico e Statistico dei Disordini Mentali (DSM) III-R (APA, 1987) e poi aggiornato

nel DSM-IV (APA, 1994).

1.2.1- I CRITERI DIAGNOSTICI PER DCD E DISPRASSIA.

L'APA fornisce uno schema del DCD nel DSM-IV (APA, 1994). Ci sono diversi criteri elencati per

la diagnosi di DCD e disprassia. In primo luogo, ci deve essere "una marcata compromissione dello

sviluppo del coordinamento motorio". La mancanza di specificità per quanto riguarda questo

criterio ha lasciato aperta una vasta gamma di interpretazioni (Geuze, Jongmans, Schoemaker, e

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Smits- Engelsman, 2001). In particolare sono stati elementi di contestazione, la mancanza sia di un

test "gold standard" che di linee guida su come un disordine deve essere considerato una "disabilità

marcata" (S.E. Henderson e Barnett, 1998). Il secondo criterio elencato nel DSM-IV è che

l‘indebolimento motorio deve interferire con il successo scolastico di un bambino o con le attività di

vita quotidiana. Ancora una volta, questo criterio è difficilmente visto come operativo. In una

revisione di 176 pubblicazioni, Geuze e colleghi (2001) hanno rilevato che il 41% degli studi

sperimentali sembrano ignorare del tutto tale criterio nella scelta dei loro gruppi di DCD. Di quelle

che hanno affrontato questo criterio, molte avevano disegnato i loro campioni da popolazioni in cui

si credeva che l‘interferenza fosse implicita – cioè, popolazioni in cui i bambini erano stati

sottoposti ad una visita specialistica per il trattamento o bambini con difficoltà di apprendimento. Il

terzo criterio fa riferimento ad altre condizioni mediche in cui il valore motorio attuale non deve

essere la causa di una condizione medica generale, come la paralisi cerebrale o la distrofia

muscolare e il criterio di Disturbo Generalizzato dello Sviluppo non deve essere soddisfatto. Nella

loro revisione, Gueze et al. (2001) hanno riscontrato che la maggior parte degli studi non ha

affrontato questo criterio in dettaglio. Tuttavia, si presume che se i bambini sono selezionati da

scuole ordinarie, i loro campioni devono soddisfare almeno il primo criterio. Questa stessa logica è

spesso usata quando si affronta il quarto ed ultimo criterio elencato dal DSM-IV, ovvero i bambini

con ritardo mentale non possono essere considerati affetti da DCD a meno che la loro disabilità

motoria è maggiore di quella che sarebbe associata alla loro malattia. Questi criteri sono stati creati

quasi due decenni fa e come è stato discusso, non sono privi di difetti, soprattutto nei termini della

messa in atto. Henderson e Barnett (1998) hanno sottolineato, molti anni fa, che la ricerca empirica

è stata necessaria per convalidare tali criteri diagnostici. Questa ricerca continua ad essere carente e

come osserva Wilson (2005), la libera interpretazione dei criteri porta al fatto che non possiamo

essere sicuri che i singoli ricercatori li abbiano applicati nella stessa maniera. Fino a questo

momento, rimane importante per i ricercatori, descrivere minuziosamente i criteri di selezione

utilizzati al momento di inserire i bambini con DCD nei loro studi.

1.2.2- PRESENTAZIONE DEL DCD

La presentazione del DCD varia notevolmente tra bambini (S. E. Henderson & Sugden, 1992). La

variazione si verifica a seconda del tipo di deficit presente, qualche bambino è compromesso solo

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nelle attività motorie fini, qualche altro solo in quelle grosso-motorie, mentre altri ancora

presentano una compromissione generale di tutti i tipi di abilità motorie. Inoltre, c'è una variazione

nella forza della disabilità e nel modo in cui la riduzione di abilità si sviluppa e cambia nel tempo.

Per alcuni bambini, la compromissione motoria può essere ovvia fin dall'infanzia, mentre per gli

altri, non è evidente fino a quando non inizia la scuola. Come suggerisce Smyth (1992), la scuola

mette in evidenza la disabilità motoria di un bambino a causa di un aumento della richiesta delle

abilità fisiche, in un ambiente in cui i bambini si confrontano più spesso, in tal modo, le capacità

motorie più povere diventano più evidenti. A livello funzionale, la compromissione può essere

evidente nella scrittura e nel disegno (Geuze & Borger, 1993; L. Henderson, Rose, e Henderson,

1992; Miller, Missiuna, Macnab, Malloy-Miller, e Polatakjo, 2001), nella loro capacità di legare i

lacci delle scarpe (Geuze & Borger, 1993; Jongmans, Smits-Engelsman, e Schoemaker, 2003), nel

modo di camminare (MM Smyth & Anderson, 2000). Il DCD può manifestarsi anche in una

limitata capacità di correre e saltare, nell‘abilità di giocare con la palla e in equilibrio e postura (L.

Henderson et al, 1992;. Williams, Woollacott, e Ivry, 1992). Come accennato in precedenza, lo

sviluppo della disprassia varia nel tempo tra i bambini, in particolare varia il periodo di tempo in cui

i bambini riescono a sperimentare il disordine. Per molti anni, si pensava che i bambini sarebbero

usciti dalla goffaggine, semplicemente crescendo (Geuze & Borger, 1993). Tuttavia, gli studi

all‘inizio del 1990 hanno mostrato che, mentre alcuni bambini migliorano le proprie capacità

motorie nel tempo, per gli altri il DCD permane anche nell‘adolescenza (Geuze & Borger, 1993;

Losse et al, 1991). Per quest'ultimo gruppo, le conseguenze a lungo termine sono, per il successivo

sviluppo, più acute.

1.2.3- LE IMPLICAZIONI PSICOSOCIALI

Gli effetti del DCD e della disprassia si sono estesi oltre il dominio motorio. I ricercatori hanno

esplorato queste implicazioni utilizzando una serie di metodi - alcuni hanno usato l‘osservazione al

parco giochi per determinare i livelli di attività (Bouffard, Watkinson, Thompson, Causgrove Dunn,

& Romanow, 1996; MM Smyth & Anderson, 2000), altri hanno esaminato le relazioni scolastiche

per determinare il successo o il fallimento scolastico (Losse et al., 1991). I profili auto-percettivi di

Harter sono comunemente usati per esaminare le competenze percepite dai bambini con DCD sui

propri limiti (Losse et al, 1991;. Piek, Baynam, & Barrett, 2006; Piek, Dworcan, Barrett, e

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Coleman, 2000; Skinner & Piek, 2001). L'isolamento sociale è una conseguenza significativa della

scarsa coordinazione per molti bambini. Gli studi che hanno osservato l'attività e le interazioni dei

bambini al parco giochi, hanno trovato che i bambini con DCD passano più tempo da soli o a

guardare gli altri giocare (Bouffard et al, 1996;. MM Smyth & Anderson, 2000). Smyth e Anderson

hanno trovato che questo isolamento inizia già 6 anni. Associata a questa situazione, ci sono livelli

di partecipazione ad attività fisica più bassi e ridotte opportunità di sviluppare abilità sociali. Inoltre,

i genitori hanno riferito che i bambini con disprassia partecipano di meno allo sport durante il loro

tempo libero (Geuze & Borger, 1993), di conseguenza i bambini stessi hanno ripetutamente

dimostrato una minore competenza nella percezione del dominio atletico (Losse et al, 1991;. Piek et

al, 2000;. Skinner & Piek, 2001). All'interno della classe, i bambini con DCD hanno più probabilità

di avere problemi comportamentali e di apprendimento (Dewey, Kaplan, Crawford, & Wilson,

2002; Losse et al,. 1991). Sulla base delle relazioni dei genitori, i bambini con DCD hanno maggiori

probabilità di ripetere un anno scolastico, mentre gli insegnanti segnalano un‘alta distraibilità e una

mancanza di concentrazione (Geuze & Borger, 1993). Inoltre, Skinner e Piek (2001) hanno riportato

una minore competenza percettiva in ambito scolastico tra i bambini con DCD. I bambini con DCD

presentano anche una bassa auto-percezione in campo sociale (Skinner & Piek, 2001). Questo è

dichiarato anche dai genitori e dagli insegnanti, con rapporti di amicizia meno sviluppati e problemi

nelle relazioni tra pari (Geuze & Borger, 1993) che persistono fino all'adolescenza (Losse et al.,

1991).

1.2.4- GLI APPROCCI ALLO STUDIO DEL DISTURBO

La quantità di ricerca sul DCD e sulla disprassia è aumentata notevolmente negli ultimi dieci anni,

con diversi approcci allo studio della malattia. Siamo in grado di categorizzare gli approcci

sostanzialmente in tre tipi di ricerca: 1. quelle che trattano in maniera descrittiva la presentazione

del disturbo; 2. gli studi di intervento; 3. quelle che esplorano l'eziologia e / o i fattori sottostanti.

1- Studi descrittivi. Gli studi descrittivi di DCD sono disponibili in svariate forme, ma tutti offrono

informazioni dettagliate sulle caratteristiche del DCD. Cioè, gli studi descrittivi non hanno l'intento

di esplorare le cause alla base del disturbo o del danno di intervento, ma descrivono le

caratteristiche del disturbo stesso, come cambia, come colpisce i bambini nel corso del tempo o

come i bambini con disprassia non riescono ad eseguire movimenti specifici rispetto al normale

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Miracolo Roberta – Disprassia, organizzazione motoria ed esercizio in età evolutiva

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sviluppo dei coetanei. Per esempio, ci sono studi di ampio respiro, che forniscono informazioni

generali sulla presentazione clinica del disturbo (Barnhart, Davenport, Epps, e Nordquist, 2003;

Dewey & Wilson, 2001; Henderson SE & Henderson, 2002; Miller, Missiuna et al, 2001.TR

Smyth, 1992; Willoughby & Polatakjo, 1994), mentre altri studi descrittivi scelgono di concentrarsi

su una sola area della patologia, piuttosto che fornire una panoramica ampia. Esempi di tali studi

sono quelli che cercano le implicazioni psico-sociali del disturbo (Dewey et al, 2002;.. Piek et al,

2000; Skinner & Piek, 2001), gli studi longitudinali sugli effetti del disturbo (Geuze & Borger,

1993; Losse et al, 1991.) e i modelli di attività dei bambini con DCD (Bouffard et al, 1996;.

Mandich, Polatakjo, E. Rodger, 2003). Gli studi hanno anche cercato di identificare dei sottogruppi

(Hoare, 1994; Macnab, Miller, e Polatakjo, 2001; Visser, 2003; Wright e Sugden, 1996) infatti

hanno descritto la performance dei bambini con DCD rispetto a particolari abilità motorie o ad

aspetti di fitness (Larkin & Parker, 1998; Lefebvre & Reid, 1998; O'Beirne, Larkin, & Cable, 1994;

Raynor, 2001; Woodruff, Bothwell-Myers, Tingley, & Albert, 2002). Questi studi hanno fornito

una buona comprensione delle difficoltà incontrate dai bambini affetti e le molteplici forme in cui la

malattia si può presentare. Essi hanno inoltre fornito l'impulso per lo sviluppo di programmi di

intervento per i bambini con DCD e disprassia.

2- Studi d‘intervento. Ci sono stati una serie di approcci allo sviluppo di programmi di intervento

per bambini con disprassia. Nonostante ciò, non è stato trovato nessun programma d‘intervento che

sia migliore dei precedenti, forse perché, ancora una volta, c‘è troppa varietà all'interno dei gruppi

con DCD e con disprassia. I programmi di intervento sono stati suddivisi in due fazioni principali:

approcci bottom-up e top-down (Barnhart et al, 2003;. Mandich, Polatakjo, Macnab, & Miller,

2001; Miller, Polatakjo, Missiuna, Mandich, e Macnab, 2001). Gli approcci bottom-up hanno una

storia più lunga nella ricerca di questi disturbi e si basano sulle teorie gerarchiche del controllo

motorio. Coloro che utilizzano questo approccio si aspettano che, migliorando i deficit motori

sottostanti, ci sarà un successivo progresso nelle performance delle abilità motorie. I tipi di

trattamento che rientrano nell'approccio bottom-up includono la terapia d‘integrazione sensoriale,

trattamento orientato al processo e la formazione motoria-percettiva (Barnhart et al., 2003).Le prove

a sostegno dell‘approccio bottom-up sono miste, alcuni ricercatori trovano che tale approccio sia

consistente ed affidabile e comunque migliore del non ricevere alcun trattamento (Mandich et al.,

2001). Mandich e i suoi colleghi sostengono che non sono poche le prove a sostegno dell'ipotesi che

il miglioramento dei deficit motori sottostanti il disturbo, possono migliorare le prestazioni motorie

generiche. Inoltre suggeriscono che gli studi che sostengono questo approccio, sono spesso

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Miracolo Roberta – Disprassia, organizzazione motoria ed esercizio in età evolutiva

~ 27 ~

metodologicamente viziati o limitati dalla dimensione del campione. Più di recente, i ricercatori

hanno iniziato ad esaminare l'approccio top-down per intervenire sulle abilità motorie. L'enfasi di

questo approccio è data dal problem solving e dallo sviluppo della capacità di scegliere le azioni più

appropriate per avere successo nel contesto (Barnhart et al., 2003). Gli approcci top-down

includono sia gli interventi su abilità specifiche, che gli approcci cognitivi come l‘Orientamento

Cognitivo alla Performance Quotidiana Occupazionale (CO-OP). La CO-OP ha prodotto alcuni

risultati positivi nel trattamento di DCD e disprassia (Miller, Polatakjo et al., 2001), ma non sono

ancora arrivate le indagini indipendenti su campioni di bambini, per cui la sua efficacia non è

ancora nota (Mandich et al., 2001). Un altro interessante programma di intervento, attualmente in

fase di indagine, implica l'uso della formazione di immagini mentali. Wilson e i suoi colleghi (P. H.

Wilson, Thomas, e Maruff, 2002) hanno rilevato che i bambini che ricevono la formazione di

immagini hanno mostrato un miglioramento delle proprie capacità motorie, equivalente a quella di

un secondo gruppo di bambini con DCD che hanno ricevuto la formazione tradizionale percettivo-

motoria. La teoria, alla base di questo tipo di intervento, evidenzia che la formazione delle

immagini migliora la capacità dei bambini con DCD, di rappresentare internamente le azioni e

quindi il l‘uso del precomando. Mentre i risultati di questo studio sono promettenti, sia in termini di

intervento che nella nostra comprensione eziologica sulla malattia, gli autori riconoscono che deve

essere effettuata più ricerca, per testare ulteriormente il programma. Mentre ricercatori e terapeuti

continuano a studiare l'efficacia dei trattamenti d‘intervento e dei diversi approcci, è improbabile

che sarà sviluppato un trattamento gold standard fino a quando non si avrà una maggiore

comprensione sull‘eziologia del disordine. La maggior parte dei programmi di intervento attuali

mirano a migliorare la qualità della vita dei bambini con DCD e disprassia, superando la loro scarsa

coordinazione motoria, senza però curare la causa. E' un pò come prendere il paracetamolo e farne

una comune pomata meno efficace, perché non abbiamo un modo diverso di trattare il virus. Detto

ciò, la ricerca sull‘eziologia è di grande importanza. Così come noi impariamo di più sulla causa di

fondo del DCD, così ricercatori e terapisti sono in grado di sviluppare programmi che trattano

queste cause direttamente e quindi che abbiano un maggiore successo.

3- Gli studi eziologici. Vi è stata una relativa ricchezza di ricerca sull'eziologia del DCD, con una

serie di approcci che vanno, o meno, a favore dei ricercatori nel tempo. Il continuo sviluppo dello

studio sul controllo motorio assicura che questi approcci saranno ulteriormente perfezionati ed

ampliati nel tempo.

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Miracolo Roberta – Disprassia, organizzazione motoria ed esercizio in età evolutiva

~ 28 ~

1.2.5- DIFFERENZE TRA DISPRASSIA ED APRASSIA MOTORIA

Sempre cercando di fare chiarezza sull‘identificazione dei sintomi nei disordini motori, Terence et

al. (2006) volle definire i segni clinici negativi senza fare riferimento alle sindromi a cui fanno

parte, limitando lo studio a 4 segni motori che contribuiscono significativamente alla riduzione di

abilità motorie nei bambini, ovvero: la goffaggine, il ridotto controllo motorio selettivo, l‘atassia e

il deficit di prassia. La goffaggine è intesa come l‘insufficiente attivazione dei muscoli, il ridotto

controllo motorio è l‘inabilità ad attivare specifiche coppie di muscoli, l‘atassia è l‘inabilità ad

attivare specifiche coppie di muscoli durante il movimento e i deficit di prassia (aprassia e

disprassia) sono l‘inabilità ad attivare i corretti modelli di muscoli per completare un compito. I

deficit nella prassia possono essere di due tipi: Aprassia e disprassia dello sviluppo. L‘aprassia è

definita come l‘indebolimento dell‘abilità di compiere azioni motorie complesse dopo averle

apprese ed eseguite che non sono spiegate dall‘atassia, dalla riduzione del controllo motorio

selettivo, dalla goffaggine e dall‘attività motoria involontaria. La disprassia dello sviluppo è, invece,

definita come la mancanza nell‘aver mai acquisito l‘abilità ad eseguire azioni motorie complesse

appropriate all‘età, che non è spiegata dalla presenza di un‘inadeguata dimostrazione o pratica,

dall‘atassia, dal ridotto controllo motorio selettivo, dalla goffaggine o dall‘attività motoria

involontaria. La prassia, in generale, si riferisce all‘abilità di eseguire complesse azioni motorie

apprese. Nei bambini è essenziale determinare se un compito è stato prima appreso e poi eseguito,

per comprendere l‘origine del deficit della prassia. Qui abbiamo definito due entità separate nei

bambini: ―l‘aprassia‖ è un disordine acquisito che conduce alla perdita delle abilità acquisite,

mentre la ―disprassia dello sviluppo‖ è il fallimento nell‘acquisizione di compiti che i bambini

dovrebbero dimostrare di conoscere a quell‘età. La distinzione essenziale tra aprassia e disprassia

dello sviluppo è data dal fatto che i bambini non hanno mai appreso e competentemente eseguito le

azioni motorie, per più volte, nel passato. Per l‘aprassia, la perdita dell‘abilità deve essere il

risultato di un danno o un disordine che è accorso dopo il tempo di acquisizione dell‘abilità. Per la

disprassia dello sviluppo, l‘abilità non deve mai essere stata acquisita nonostante i tentativi, per cui

ci devono essere delle prove dell‘indebolimento dell‘apprendimento o dell‘esecuzione di compiti

nuovi o gruppi di nuovi compiti. Comunque, sia la storia del disordine che l‘attuale manifestazione

della disabilità contribuiscono alla definizione del disordine di prassia nei bambini.

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Miracolo Roberta – Disprassia, organizzazione motoria ed esercizio in età evolutiva

~ 29 ~

1.2.6- DISTURBO DEL MOVIMENTO O DISPRASSIA?

Per comprendere meglio il significato implicito nel termine vale la pena, distinguere i due termini:

Disturbo del movimento e Disprassia. Infatti mentre il disturbo del movimento può essere incluso

nella definizione di DCD, la definizione di Disprassia implica ―il deficit di esecuzione di un gesto

intenzionale e difficoltà soprattutto rispetto alla capacità di pianificazione, programmazione ed

esecuzione di una serie di deputati al raggiungimento di uno scopo od obiettivo. Va riconosciuto

comunque che ancora oggi mancano criteri univoci rispetto alla definizione, alla diagnosi e

all'eziologia della disprassia in età evolutiva e vengono usate denominazioni diverse rispetto a

questa tipologia di problemi prendendo spunto anche dalle diverse classificazioni, alcune ormai

storiche:

Leipmann (1900): Specific Developmental Disorder of Motor Function(SDDMF).

Orton (1937): Minimal brain damage.

Gubbay (1975): Clumsiness.

Denckla (1984): Developmental dyspraxia.

Gillberg et al. (1985): Disorder of Attention and Motor Performance (DAMP).

Rourke (1995): Non-verbal learning disability; Deficit delle funzioni Esecutive.

L‘ICD-10 (Tabella 2) mette in evidenza il Disturbo Evolutivo Specifico della Funzione Motoria

(SDDMF) identificandolo attraverso i seguenti criteri:

1. Difficoltà di coordinazione, presente dalle prime fasi di sviluppo e non dipendente da deficit

neurosensoriali e neuromotori; il deficit della coordinazione motoria non può essere spiegato

da una condizione di ritardo mentale;

2. Entità della compromissione variabile e modificabile in funzione dell‘età;

3. Ritardo di acquisizione, (non costante), delle tappe di sviluppo motorio, a volte

accompagnato da ritardo dello sviluppo del linguaggio (componenti articolatorie);

4. Goffaggine nei movimenti;

5. Ritardo nell‘organizzazione del gioco e del disegno (tipo di deficit costruttivo);

6. Difficoltà in compiti visuo-spaziali;

7. Presenza (non costante) di segni neurologici sfumati, privi di sicuro significato localizzatore;

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Miracolo Roberta – Disprassia, organizzazione motoria ed esercizio in età evolutiva

~ 30 ~

8. Presenza (non costante) di difficoltà scolastiche e di problemi socio-emotivo-

comportamentali.

Quest‘ultimo aspetto non va sottovalutato in ambito clinico; va tenuto conto infatti del carico di

frustrazione che il bambino disprattico deve sopportare nel corso dello sviluppo e rispetto alle

richieste dell‘ambiente; spesso i bambini disprattici vengono considerati poco intelligenti, pigri,

svogliati. Il rischio è quindi quello di innescare disturbi comportamentali e psicopatologici.

Secondo più recenti pubblicazioni e ricerche la terminologia dei disturbi di coordinazione è stata ed

è ancora confusa, ma in pratica Disprassia e DCD dovrebbero essere considerati sinonimi

(―Dyspraxia o DCD ? un enigma da risolvere‖, Gibbs, 2007). Ultimamente nella clinica si usa più

frequentemente il termine DCD. Inoltre bisogna tenere presente che sono presenti componenti

disprattiche in vari disturbi ―specifici‖ dello sviluppo in età evolutiva, ad es.:

DSA con conclamata disgrafia su base disprattica.

DSL con componenti disprattiche (DCD).

ADHD o ADD in cui si evidenziano gravi componenti disprattiche.

DGS, Disturbo Generalizzato dello Sviluppo.

Status quo accettato: la co-occorenza è la norma che sia la ricerca che la clinica devono tenerne

conto. Inoltre facendo riferimento alla ricerca scientifica su base neuropsicologica, la Disprassia

diviene anche una caratteristica o un sintomo presente in diversi disturbi neuroevolutivi (ad es. WS,

Asperger, Down, etc.), ovvero in quei bambini che, sebbene con patologie maggiori, presentano

anche sintomi di disfunzione dei sistemi di pianificazione dell‘atto motorio volontario, spesso

associati a disturbi nell‘area delle competenze visuo-spaziali. E‘ possibile evidenziare diverse forme

di disprassia che a volte coesistono in modo disomogeneo:

Disprassia di sguardo (movimenti di sguardo, oculomozione).

Disprassia verbale.

Disprassia orale.

Disprassia labio-glosso-velare.

Disprassia degli arti.

Disprassia dell‘abbigliamento.

Disprassia del disegno.

Disprassia della scrittura.

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Miracolo Roberta – Disprassia, organizzazione motoria ed esercizio in età evolutiva

~ 31 ~

Disprassia costruttiva.

Disprassia della marcia.

La disprassia in età evolutiva viene inserita nell‘ambito della psicopatologia delle condotte motorie;

la caratteristica principale è data comunque da ―profonde perturbazioni nell‘organizzazione dello

schema corporeo e della rappresentazione spazio-temporale.‖8 Le difficoltà dei bambini disprassici

si manifestano nell‘eseguire sequenze di gesti come allacciarsi le scarpe, abbottonarsi la camicia,

scrivere e disegnare. L‘esame neurologico di questi soggetti è quasi sempre normale e il quoziente

intellettivo risulta nella norma o addirittura al di sopra di essa; tuttavia risulta basso il loro QI

performance, nel senso che si trovano in difficoltà nell‘eseguire certi compiti della vita quotidiana

oppure li sanno portare a termine utilizzando soltanto la strategia appresa e non sono in grado di

crearne di nuove. ―La povertà delle loro strategie, cioè la stereotipia del loro comportamento,

impedisce di acquisire nuovi compiti trasferendo, per analogia, soluzioni strategiche già acquisite.

Essi, cioè, imparano una cosa alla volta, in un certo modo e solo in quel modo, senza realizzare

soluzioni alternative e senza possibilità di trasferimento9 ‖. Sul piano affettivo alcuni di questi

bambini, malgrado le difficoltà descritte e le frequenti prese in giro da parte dei compagni di scuola

e degli amici, si sviluppano normalmente; altri, invece, manifestano delle alterazioni più o meno

gravi dell‘organizzazione della personalità, soprattutto tendono all‘isolamento. La comorbilità e la

presenza di componenti disprattiche all‘interno di altri quadri diagnostici ci permette di arrivare ad

un concetto chiave per il nostro approccio teorico e clinico interpretando la disprassia come disturbo

multisistemico che coinvolge diversi aspetti dello sviluppo che vengono ad influenzarsi

reciprocamente dove la disorganizzazione sul piano motorio e deficit percettivi hanno gravi ricadute

su altri ambiti dell‘apprendimento. Tale assunto funzionale acquisisce un pregnante significato sia

nella valutazione che nella terapia, in relazione al concetto della stretta correlazione tra

PERCEZIONE e AZIONE al fine del raggiungimento della COGNIZIONE, soprattutto oggi alla

luce delle recenti scoperte nel campo delle neuroscienze e dei Neuroni specchio. Secondo una serie

di ricerche iniziate circa dieci anni fa (Rizzolatti et al. 1996-2006) è stata evidenziata una nuova

classe di neuroni premotori (area F5 corteccia premotoria ventrale del macaco) che si attivano, non

solo quando la scimmia fa, ma anche quando guarda altri fare. Questa classe di neuroni è chiamata

8 Marcelli Daniel, ―Psicopatologia del bambino”, Masson, Parigi, 1999

9 Giorgio e Letizia Sabbadini, “La disprassia in età evolutiva”, in ―La diagnosi neuropsicologica nell‘adulto e nel

bambino‖, Corso di perfezionamento, Roma 26-28 Novembre 1998

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Miracolo Roberta – Disprassia, organizzazione motoria ed esercizio in età evolutiva

~ 32 ~

Neuroni-specchio (Rizzolatti e Gallese 1996). Più tardi furono scoperti nella corteccia parietale

posteriore altri neuroni, con proprietà simili, reciprocamente connessi con l'area F5 (AIP-F5). La

scoperta dei neuroni specchio nelle scimmie ha suggerito l‘idea che un simile sistema fosse

riscontrabile anche nell‘uomo, ipotesi confermata poi da successive e sofisticate ricerche (Fadiga et

al. 2001). Viene così evidenziato che l‘organizzazione del movimento non dipende solo dai neuroni

afferenti alle aree motorie, ma è frutto delle strette connessioni tra aree motorie e sensoriali. In

particolare la corteccia frontale e la corteccia parietale posteriore risultano costituite da un mosaico

di aree anatomicamente e funzionalmente distinte, che sono fortemente interconnesse tra di loro e

formano circuiti destinati a lavorare in parallelo ed integrare informazioni sensoriali e motorie,

relative a determinati effettori: tuttavia esistono specifiche e particolari differenziazioni all‘interno

dei circuiti e delle connessioni neurali, a seconda che si tratti di movimenti non finalizzati a

funzioni adattive o di azioni motorie deputate a precisi scopi ed obbiettivi (circuiti: AIP-F1; AIP-

F5). Attualmente quindi, alla luce di tutti gli studi su menzionati, si ritene che abbia più senso usare

il termine Disprassia piuttosto che DCD o NVLD o Deficit delle Funzioni Esecutive, mantenendo

comunque una relazione tra i vari disturbi ad essa collegata, in quei bambini che si presentano con

deficit specifici della coordinazione, considerando i concetti importanti che sottendono il termine

Disprassia, ovvero: ―le prassie o azioni non sono semplicemente dei movimenti o atti motori, ma

sistemi di movimenti, coordinati in funzione di un’ intenzione o di un risultato.‖ Secondo quanto

detto, proponiamo la seguente definizione di Disprassia come: "Difficoltà a Rappresentare,

Programmare ed Eseguire atti motori consecutivi, deputati e finalizzati ad un preciso scopo ed

obbiettivo”(Sabbadini G. Sabbadini L. 1995). Tutto ciò a causa di:

1. mancata acquisizione di attività intenzionali intese come abilità e competenze, o

acquisizione di strategie povere e stereotipate

2. ridotta capacità di rappresentarsi ―l‘oggetto‖ su cui agire l‘intera azione o le sequenze che la

compongono;

3. difficoltà a coordinare e ordinare in serie i relativi movimenti elementari in vista di uno

scopo (pianificazione e programmazione dell‘atto motorio).

La relazione tra disprassia dello sviluppo ed altri disordini dello sviluppo (ad es. disordini da deficit

d‘attenzione, dislessia e disabilità d‘apprendimento) è sconosciuta ma emerge un‘intrigante

possibilità di una famiglia di disordini riferiti allo sviluppo cognitivo che potrebbero condividere

una fisiopatologia comune. Per più di 15 anni, ricercatori e clinici hanno lavorato per fornire

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Miracolo Roberta – Disprassia, organizzazione motoria ed esercizio in età evolutiva

~ 33 ~

definizioni ed investigare trattamenti, per un gruppo di disordini collegati che collettivamente sono

stati chiamati ―disordini dello sviluppo della coordinazione‖ (DCD). Il convegno di Londra del

1994 ha definito il DCD come ―un indebolimento sia dell‘esecuzione funzionale che della qualità

del movimento che non sono spiegati dall‘età, dall‘intelletto o da altre condizioni diagnosticate‖. Il

DCD include deficit nella pianificazione ed esecuzione motoria; per cui la definizione rispecchia la

nostra definizione di disprassia dello sviluppo (Cermak S, Gubbay SS, Larkin D, 2002). Ci si

aspetta che la disprassia dello sviluppo, così come è stata definita, potrà essere vista, nella DCD,

come uno dei suoi punti cardinali. Sabbadini et al. sottolinea, comunque, che la disprassia dello

sviluppo è distinta dal DCD e potrebbe o meno essere presente in soggetti con DCD sostenendo che

nella diagnosi di DCD non è richiesto l‘uso del termine ―disprassia dello sviluppo‖ ma,

inversamente, per diagnosticare ad un bambino la disprassia, non esistono altri criteri adatti che

quelli della diagnosi di DCD.

Tab. 2- Principali differenze tra il DSM-IV e l’ICD-10 nel classificare la disprassia

DSM- IV (APA, 1994) ICD-10

DCD - Disturbo Dello Sviluppo Della

Coordinazione

SDDMF – Disturbo Specifico dello

sviluppo della Funzione Motoria

DEFINIZIONE

Il disordine consiste in un danno marcato

nello sviluppo della coordinazione motoria

non dovuto a ritardo mentale né a cause

neurologiche note.

Si tratta di un serio danno nello sviluppo

della coordinazione motoria che non può

essere interamente spiegato da una generale

condizione di ritardo mentale o da danni

neurologici specifici congeniti o acquisiti.

Spesso alla goffagine motoria si

accompagnano difficoltà in compiti visuo-

spaziali.

PRESTAZIONI

Le prestazioni in compiti di coordinazione

motoria, fine o grosso motoria, sono

significativamente al di sotto del livello

atteso rispetto all‘età e allo sviluppo

intellettivo. La valutazione va condotta con

Le prestazioni nelle attività di vita

quotidiana, che richiedono coordinazione

motoria, risultano sostanzialmente inferiori

rispetto il livello atteso per età ed

intelligenza. Le difficoltà possono

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Miracolo Roberta – Disprassia, organizzazione motoria ed esercizio in età evolutiva

~ 34 ~

esame individuale utilizzando uno

strumento che misura la coordinazione fine

e grosso motoria. Le difficoltà di

coordinazione motoria dovrebbero essere

presenti sin dall‘inizio dello sviluppo e non

dipendono da deficit acquisiti.

manifestarsi con ritardo nell‘acquisizione

delle prime competenze motorie (gattonare,

sedersi, camminare) e con

comportamenti quali facilità nel far cadere

oggetti, ―goffagine‖, scarse competenze negli

sport e difficoltà nella scrittura.

CRITERIO A

Abilità grosso-motorie:

Ritardo nell‘acquisizione di competenze

quali, gattonare, star seduto,camminare.

Abilità grosso-motorie:

Ritardo psicomotorio e scarsa

consapevolezza nel portamento, lentezza

nell‘imparare a correre, nel salire e scendere

le scale.

Abilità fino-motorie:

• Fare i lacci alle scarpe

• Abbottonarsi

• Scrivere

• Disegnare

Abilità fino-motorie:

• copiare, scrivere

• assemblare puzzles

• costruire modelli

• giochi di pazienza

• giochi di costruzione

Altre difficoltà:

• giocare a palla

• far cadere oggetti

• ‗goffagine‘

• scarse abilità sportive

• linguaggio (disordini fonologici)

Altre difficoltà:

• lanciare ed afferrare una palla

• far cadere oggetti

• inciampare

• comprendere percorsi visuo-spaziali

• linguaggio (articolazione)

CRITERIO B

Il disturbo interferisce significativamente

con:

• attività di vita quotidiana;

• attività scolastiche.

Il disturbo interferisce significativamente

con:

• attività di vita quotidiana;

• attività scolastiche.

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CRITERIO C

Il disturbo non è dovuto ad una condizione

medica generale (es. paralisi cerebrale,

emiplagia o distrofia muscolare) e non

soddisfa i criteri per un disordine pervasivo

dello sviluppo.

Il disturbo non è dovuto ad una condizione

medica generale (es. paralisi cerebrale,

emiplagia o distrofia muscolare) e non

soddisfa i criteri per un disordine pervasivo

dello sviluppo.

CRITERIO D

Specificità ed abilità intellettive.

Se il ritardo mentale è presente, le

difficoltà motorie sono significativamente

peggiori rispetto ad altre disabilità.

Specificità ed abilità intellettive.

Il disturbo non è spiegabile nei termini di un

generale ritardo intellettivo.

- OVERVIEW DEGLI ARTICOLI PIU’ IMPORTANTI DEL CAPITOLO

ANNO-AUTORE INDAGINE RISULTATO FONTE BIBLIOGRAFICA

1991- Losse et

al.

In uno studio follow-up di

dieci anni, hanno indagato se

i bambini con DCD

riuscissero ad uscire dal

disordine crescendo.

Molti bambini migliorano le

proprie capacità motorie nel

tempo, per gli altri il DCD

permane anche

nell‘adolescenza, con

conseguenze psico-sociali

più acute.

DEVELOPMENTAL

MEDICINE AND CHILD

NEUROLOGY

1992-

Henderson &

Sugden

La presentazione e le

modalità d‘esoridio della

disprassia variano

notevolmente da bambino a

bambino

Qualche bambino è

compromesso solo nelle

abilità fini o grosso-motorie.

Per alcuni la disabilità può

essere ovvia fin

dall‘infanzia, per altri non è

evidente finchè non inizia la

scuola.

THE PSYCHOLOGICAL

CORPORATION

1996- Rizzolatti

& Gallese

In 10 anni di ricerche, hanno

evidenziato una classe di

neuroni dell‘area F5

(neuroni-mirror) che si

attivano solo quando la

scimmia guarda gli altri fare

qualcosa(imitazione).

L‘organizzazione del

movimento non dipende solo

dai neuroni afferenti alle

aree motorie, ma anche dalla

connessione tra le aree

motorie e sensoriali.

BRAIN

Hanno esaminato le

implicazioni psico-sociali

dei bambini con scarsa

I bambini con DCD passano

più tempo da soli o a

guardare gli altri bambini

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Miracolo Roberta – Disprassia, organizzazione motoria ed esercizio in età evolutiva

~ 36 ~

2001- Skinner

& Piek

coordinazione motoria,

utilizzando i profili auto-

percettivi di Harter per

testare le competenze

percepite dai bambini con

DCD sui propri limiti.

giocare, al parco giochi.

Durante il tempo libero

praticano poco sport, di

conseguenza hanno una

minore competenza nella

percezione del dominio

atletico. Hanno, infine, una

bassa auto-percezione in

campo sociale.

HUMAN MOVIMENT

SCIENCE

2001- Geuze et

al.

In una revisione di 176

pubblicazioni, indagano le

modalità di utilizzo dei

criteri del DSM-IV dai

ricercatori, per diagnosticare

il DCD.

Il 41% degli studi

sperimentali sembrano

ignorare del tutto i quattro

criteri del DSM-IV, nella

scelta dei gruppi di DCD.

HUMAN MOVIMENT

SCIENCE

2002- Cermark,

Gubbay e

Larkin

Forniscono una definizione

chiara e lineare della

disprassia, in accordo con il

convegno di Londra del

1994.

Definiscono il DCD come

un indebolimento sia

dell‘esecuzione funzionale

che della qualità del

movimento che non sono

spiegati dall‘età,

dall‘intelletto o da altre

condizioni diagnosticate

IN CERMARK &

LARKIN (Eds.)

Developmental

Coordiantion Disorder.

DELMAR THOMSON

LEARNING

2001- Gibbs et

al.

Tratta l‘enigma tra le

terminologie più usate

nell‘ambito dei disordini

della coordinazione, dalla

―clumsy child syndrome‖,

passando per la disprassia,

fino al DCD.

Disprassia e DCD

dovrebbero essere

considerati sinonimi, ma le

differenze tra le scale di

classificazione del disturbo

rendono la diagnosi difficile

ARCH. DIS. CHILD

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Miracolo Roberta – Disprassia, organizzazione motoria ed esercizio in età evolutiva

~ 37 ~

Capitolo 2

EZIOLOGIA DELLA DISPRASSIA

In questo capitolo andremo ad indagare tutte le possibili cause sottostanti l‘insorgenza della

disprassia motoria. Premetto che, ad oggi, non c‘è una formula specifica in cui la relazione causa-

effetto sia lineare, per cui, dopo l‘analisi dei vari studi e delle ricerche scientifiche sul tema, si può

sostenere che ciò che danneggia in qualche maniera il cervello può provocare la disprassia. Può

essere che le cellule non si sviluppino correttamente durante la crescita del bambino nel grembo

materno (Losse et al.,1991; Geuze e Börger, 1993), da una mancanza di ossigeno durante il parto,

da una precoce infezione virale oppure dall‘incompleta formazione cerebrale nei nascituri

pretermine (Jongmans et al., 1998; Barray, Picard e Camos, 2008). Può inoltre comparire a seguito

di un danno cerebrale (Tupper e Sondell, 2004) causato da una malattia, da un ictus o da un

incidente in età avanzata (McMath, 1980). Ma non c‘è mai un‘unica e specifica diagnosi. Da Prechtl

(1977) e Brazelton (1973) ai più recenti studi di ricerca neurobiologica di Diamond e Hopson

(1998), Dubowitz (Dubowitz et al., 1995), Johnston (1995) e Shonkoff (2001), sono ormai

confermate le conoscenze soprattutto sul funzionamento cerebrale e il suo precoce sviluppo già in

epoca fetale. Questi studi, infatti, evidenziano come inizi precocemente la capacità di svolgere

movimenti singoli di un arto in una fase in cui ci si aspetterebbe più che altro la presenza di

un‘attività motoria diffusa e generalizzata e come alcuni movimenti rilevati in epoca fetale si

presentino anche in epoca neonatale, deponendo a favore di una continuità tra la vita prenatale e

quella postnatale. Altri studi (Prechtl, Ferrari e Cioni, 1993) dimostrano come il movimento fetale

contribuisca alla specializzazione e al consolidamento di quelle parti di midollo spinale e di

encefalo che controlleranno e guideranno il movimento nella vita postnatale. L‘esercizio motorio

sembra far sì che solo le connessioni sinaptiche più efficaci rimangano a costituire il SNC, mentre

le altre regrediscono fino a scomparire. Tramite le indagini ecografiche si può osservare come il

feto sviluppi ed eserciti nel corso della gestazione anche alcuni movimenti che non hanno una

funzione durante la vita intrauterina, ma l‘avranno in seguito. Queste interpretazioni, senza alcuna

evidenza sperimentale, sono interessanti ipotesi di ricerca: le rotazioni del capo e gli stiramenti

potrebbero risultare utili al momento del parto, la deglutizione potrebbe essere una prima forma di

apprendimento sulla modalità di nutrirsi, ecc. Dopo la nascita i comportamenti motori quali suzione,

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Miracolo Roberta – Disprassia, organizzazione motoria ed esercizio in età evolutiva

~ 38 ~

deglutizione, estensione e flessione degli arti, primi tentativi di afferrare, unitamente ai pattern dei

riflessi motori, sono espressione da un punto di vista fisiologico e neurologico dell‘integrità dei

sistemi muscolari, mentre da un punto di vista psicologico rappresentano soprattutto il grado di

sviluppo psicoaffettivo del bambino. Le ricerche più importanti sui disturbi della funzione motoria

nella disprassia hanno evidenziato:

1. atipie a livello corticale: dilatazione dei ventricoli, prominenza del solco corticale (Gubbay,

1985; Gubbay e De Klerk, 1995);

2. anormalità a carico della sostanza bianca (Denckla e Roeltgen, 1992) con disturbi nella parte

posteriore del corpo calloso (Tanaka et al., 1996; Jongmans et al., 1998; Lausberg et al, 2003);

3. immaturità delle reti neurali a livello cerebrale (Portwood, 1996).

Andiamo ad analizzarne le basi cognitive, neurologiche e anatomiche.

2.1- SVILUPPO NELLA RICERCA SULL’EZIOLOGIA DELLA DISPRASSIA

Come la nostra conoscenza sui processi del controllo motorio si è sviluppata nel corso degli anni,

così si sono sviluppati tanti approcci per capire lo sviluppo delle capacità motorie e delle deviazioni

dal normale sviluppo. Il ritardo dello sviluppo (che era l‘assunzione più ampia dell‘approccio

individuale) e il danno cerebrale minimo (o disfunzione) sono state le ipotesi, una volta conosciute,

più utilizzate per spiegare la disprassia, ma ora sono in corso di valutazione sotto una luce più

critica. L’elaborazione delle informazioni ed il profilo cognitivo-neuroscientifico sul controllo

motorio e sull'apprendimento, hanno fornito dei viali più popolari per indagare l'eziologia di fondo

della disprassia. Questi quattro approcci sono discussi sulla base degli studi fatti negli ultimi

trent‘anni.

2.1.1- IL RITARDO DELLO SVILUPPO

Prima della nascita degli studi longitudinali della disprassia nei primi anni del 1990, molti

professionisti credevano che un bambino con scarse competenze motorie avesse una forma di

ritardo dello sviluppo (Larkin & Hoare, 1991). Questa convinzione ha fatto poco per alleviare le

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Miracolo Roberta – Disprassia, organizzazione motoria ed esercizio in età evolutiva

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difficoltà motorie di un bambino, insieme ai genitori che incontravano difficoltà ad ottenere un

aiuto professionale, quando la convinzione generale era che sarebbero semplicemente "cresciuti"

per uscire dal problema (Geuze & Borger, 1993). Tuttavia, gli studi longitudinali di Losse et al.

(1991) e di Geuze e Börger (1993) hanno dimostrato che in molti bambini con problemi motori,

continuano a verificarsi difficoltà anche nell‘adolescenza. Nello studio di Losse e colleghi (1991),

sono state utilizzate quattro misure per valutare le capacità motorie di bambini precedentemente

identificati come 'goffi' a 17 anni. Dei 17 bambini, nessuno aveva ottenuto un risultato 'medio' su

tutte e quattro le misure, nove sono rimasti poveri o poverissimi su almeno tre delle quattro misure.

Geuze e Börger (1993) hanno adattato il Test di Motor Impairment (TOMI; Stott, Moyes &

Henderson, 1984) per valutare le prestazioni motorie di bambini di età compresa tra 11 e 17 anni.

Utilizzando la versione adattata, gli autori hanno trovato che dei 12 bambini, in origine classificati

come goffi, i tre quarti ha continuato ad avere difficoltà motorie. Di questi, sei hanno continuato ad

avere problemi motori definiti e tre sono stati borderline. Solo un quarto era nel range di normalità.

Inoltre, entrambi gli studi hanno rilevato che l'effetto delle abilità motorie povere si estendono al di

là del dominio motorio, ovvero anche negli aspetti sociali e scolastici dei bambini e degli

adolescenti. Più di recente, Cantell e colleghi (Cantell, Smyth, e Ahonen, 1994, 2003) seguirono dei

bambini che erano stati individuati sulla base del ritardo dello sviluppo motorio prima all'età di 5

anni e successivamente alle età di 15 e 17anni. Hanno scoperto che a 15 anni il 47% dei bambini,

all'età di 5 anni, aveva problemi motori persistenti (gruppo DCD) e il 53% aveva problemi motori

minori (gruppo intermedio). Sebbene il gruppo intermedio ha continuato ad avere problemi motori

minori, solo all‘età di 17 anni (performance migliori di quelle del gruppo di DCD in sei degli otto

compiti motori percettivi), il gruppo con DCD ha continuato a differire dal gruppo di controllo su

una serie di compiti motori. Essi avevano anche un QI medio più basso e mentre il 90% del gruppo

di controllo ha specificato che frequentava ancora il liceo, solo il 29% del gruppo DCD ha fatto lo

stesso. Alcuni bambini in questo studio sembrano aver superato i loro problemi di abilità motorie,

nonostante la presenza di alcuni studi che dimostrano che in alcune abilità, come la performance

gestuale, il divario della precisione tra i bambini con DCD e quelli senza deficit di abilità motorie

diminuisce con l'età (Zoia, Pelamatti, Cuttini, Casotto, e Scabar, 2002), la teoria del ritardo dello

sviluppo non è ampiamente accettata come una possibile causa alla base della disprassia e DCD.

Ciò è dovuto in gran parte a studi come quelli descritti sopra, che dimostrano che, anche se alcuni

bambini identificati come aventi disprassia nell'infanzia non hanno più segni di deficit motorio in

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adolescenza, un gran numero comunque continua ad avere problemi, indicando che per questi

bambini, la loro insufficienza motoria non è qualcosa che si risolve 'crescendo'.

2.1.2- DANNO CEREBRALE MINIMO

Il danno cerebrale minimo (conosciuto anche come disfunzione cerebrale minima - MBD) è stata

una popolare teoria eziologica sulla disprassia per molti anni. Secondo Tupper e Sondell (2004), il

termine MBD fu reso popolare durante la metà del 20° secolo, quando i ricercatori osservarono che

i bambini con disfunzioni cognitive e comportamentali erano paragonabili a bambini con diagnosi

di disfunzione cerebrale. La sindrome del MBD è stata utilizzata per quei gruppi di bambini che

avevano lievi disfunzioni cerebrali e che presentavano un qualsiasi numero di sintomi, tra cui

disattenzione, iperattività e scarsa coordinazione motoria. I primi studi di casi di bambini che

mostravano goffaggine o caratteristiche fisiche imbarazzanti, indicavano un collegamento tra le

difficoltà neonatali e le capacità motorie povere (Gubbay, Ellis, Walton, e Court, 1965; Walton,

Ellis, e Court, 1962), insieme al fatto che nei bambini goffi si evidenziava un aumento

dell'incidenza dei traumi pre-, peri- e post-natali nella loro storia (McMath, 1980). I dati, tuttavia,

sono ambigui. Per esempio, nella ricerca che ha studiato che tra i bambini fisicamente goffi e quelli

non-goffi, non vi erano differenze significative nelle loro storie passate di malattie neurologiche o

di incidenza di fattori perinatali anomali (Gubbay, 1975a). Inoltre, come McMath (1980) sottolinea,

gli studi basati sugli studi di casi, come ad esempio quelli visti in precedenza, devono essere

interpretati con una certa cautela. I risultati si basano sulle storie mediche dei pazienti e non ci sono

prove che suggeriscono che in tutte le storie elencate, le possibili complicanze si siano verificate

durante o dopo la gravidanza. Pertanto, il fatto che un tipo particolare di complicazione era più

comune in un gruppo rispetto ad un altro, non sempre è concludente. I risultati sono discordanti

anche per quanto riguarda il funzionamento neurologico dei bambini con DCD. Anche se non sono

state individuate lesioni cerebellari, ci sono state alcune prove di disorganizzazione cerebrale

(Walton et al., 1962), e anche se fisicamente i bambini goffi hanno dimostrato di produrre un

maggior numero di EEG anomali rispetto ai bambini del gruppo di controllo, non c‘è stato un

modello comune di anomalie individuato tra i gruppi (Gubbay, 1975b). È interessante notare che

Jongmans e colleghi (Jongmans, Mercuri, Dubowitz, & Henderson, 1998) hanno esplorato le

prestazioni cognitive e motorie dei bambini nati prematuramente, a sei anni di età. Tutti questi

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bambini hanno fatto ultrasuoni cranici nei giorni successivi alla loro nascita e quindi, i ricercatori

hanno potuto determinare se era evidente una lesione cerebrale in quel momento. A sei anni di età,

nell'86% dei bambini nati prematuramente cui sono stati identificati dei problemi motori, sia nel

Test del Movimento ABC che nel Test di Developmental Visual Motor Integration, gli ultrasuoni

alla nascita avevano avuto risultati anormali. Inoltre, il 63% di quei bambini che sono stati

identificati come aventi problemi motori e che hanno utilizzato solo una delle prove descritte sopra,

hanno comunque avuto ultrasuoni anormali. Tuttavia, non vi era alcuna apparente relazione tra il

tipo di lesione identificato alla nascita e il modello di deficit motorio, se la lesione è perdurata nella

prima infanzia. Sebbene questi risultati non affermano che le lesioni nella fase iniziale dello

sviluppo potrebbero essere una delle cause del tardivo sviluppo motorio, non è possibile trarre la

conclusione che tutti i bambini con disabilità motoria sono il risultato di una lesione al cervello.

L'eterogeneità delle patologie neurologiche e delle storie di sviluppo ha impedito ai ricercatori di

trarre delle conclusioni sul MBD come una causa di fondo della disprassia (Wall, Reid, & Paton,

1990). Parte del problema può derivare dalla mancanza di chiarezza su cosa rappresenti un danno

cerebrale ad una persona (McMath, 1980). Nei casi gravi di danno cerebrale, come la paralisi

cerebrale, i criteri per la diagnosi sono chiari. La mancanza di consenso sul DCD e sulla disprassia è

data dall‘assenza di criteri specifici relativi al funzionamento del sistema neurale. Inoltre non ci

sono stati test affidabili e strumenti validi che avrebbero permesso ai medici di prendere una

decisione sulla salute del sistema nervoso nei bambini con DCD (S.E. Henderson, 1987), anzi,

nell'elaborazione di tali criteri, l‘ideale sarebbe richiedere che il consenso tra i ricercatori sia

raggiunto, per capire cosa esattamente deve essere testato. Infatti Henderson (1987) dichiarò che,

anche se la continua ricerca sullo sviluppo neurologico dei bambini con disprassia è stata

considerata importante, in termini di definizione eziologica di fondo del disturbo, le sue

applicazioni pratiche non sono state ritenute di grande valore. È interessante notare che, negli ultimi

anni, i ricercatori hanno proposto un nuovo quadro che comprende lo sviluppo del cervello e i

disturbi dello sviluppo, che si ritiene sia superiore, all'ipotesi di MBD (Gilger & Kaplan, 2001;

Kaplan, Dewey, Crawford, & Wilson, 2001; Kaplan, Wilson, Dewey, e Crawford, 1998). La teoria

dello sviluppo atipico del cervello (ABD) si basa sulla sovrapposizione e sulla concomitanza di vari

disturbi dello sviluppo, come il DCD, il deficit di attenzione/disordine da iperattività (ADHD) e la

disabilità di lettura. La maggior parte dell‘insorgenza dei disturbi derivanti da una qualche forma di

sviluppo atipico del cervello e la compresenza di questi disturbi, porta alla conclusione che quasi il

50% dei bambini non rientra esattamente in una singola categoria del DSM (Kaplan et al., 2001).

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Quindi i bambini si trovano una varietà di etichette e di diagnosi che causano solo ansia, non solo

per il bambino stesso, ma anche per la famiglia intera. Utilizzando però il termine "ombrello" ABD,

si elimina la necessità di più diagnosi e i professionisti riuscirebbero ad enfatizzare i punti di forza e

i punti deboli del bambino. I ricercatori preferiscono la teoria dell‘ABD perché il termine atipico

può comportare sia alti livelli di funzionamento che bassi, a differenza dei termini danno o

disfunzione che ne implicano solo di bassi. Va notato che la teoria non fornisce una visione

completa sull'eziologia dei disturbi, come il DCD o la disprassia, ma riflette solo il fatto di essere un

tipo di disturbo causato da uno sviluppo cerebrale atipico (Gilger & Kaplan, 2001). Questo fatto è

riconosciuto dagli autori che non credono che l'uso del termine ABD debba scoraggiare il lavoro

degli altri ricercatori ad individuare l'eziologia di fondo di tali disturbi.

2.1.3- L’ELABORAZIONE DELLE INFORMAZIONI

L'elaborazione delle informazioni (IP) nell‘approccio del controllo motorio ha costituito per i

ricercatori un modello importante per esaminare la disprassia motoria. La teoria IP presuppone che

ci siano fasi distinte tra presentazione dello stimolo e la risposta del motoria (Marteniuk, 1976), i

ricercatori ritengono che una ripartizione di queste fasi possa essere alla base del DCD (PH Wilson

& McKenzie, 1998). Questa teoria ha utilizzato un approccio particolare che è stato reso popolare

dalla nascita della psicologia cognitiva e secondo Tupper e Sondell (2004), esplora i processi che si

devono verificare per produrre il movimento. Così i ricercatori, utilizzando questo approccio, hanno

sostenuto che se si fosse in grado di isolare i singoli deficit che si verificano comunemente nei

bambini con DCD dalla catena IP, potrebbero essere in grado di identificare le relazioni causali.

Come risultato, hanno tentato di isolare tutti i fattori interni al sistema di elaborazione del controllo

percettivo e / o motorio per determinare, dove possibile, l‘esistenza di deficit. Esempi di tali fattori

sono la percezione visiva e la trasformazione visivo-spaziale (Hulme, Smart, e Moran, 1982; Lord

& Hulme, 1987b), l‘acutezza cinestetica (Coleman, Piek, e Livesey, 2001; Laszlo & Bairstow,

1983), i tempi di reazione e di movimento (L. Henderson et al., 1992) e la risposta di elaborazione

motoria (Van Dellen & Geuze, 1988). Gli studi in questi settori hanno evidenziato una serie di

deficit in bambini con DCD e disprassia. Henderson ed i suoi colleghi, per esempio, hanno trovato

che nella discriminazione visuo-spaziale della lunghezza, i bambini goffi erano significativamente

più scarsi rispetto al gruppo di controllo (S.E. Henderson, Barnett, e Henderson, 1994). In termini di

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capacità cinestetica, i ricercatori hanno dimostrato che i bambini di 5 anni che sono considerati a

rischio di sviluppare DCD, fanno più errori e gli errori di una maggiore grandezza, rispetto al

normale sviluppo dei bambini della stessa età, venivano effettuati quando si chiedeva il parere sulla

posizione di un arto (Coleman et al., 2001). La ricerca ha anche dimostrato che il tempo di reazione

e, in misura maggiore, il tempo di movimento sono in ritardo nei bambini con disprassia quando

devono completare semplici compiti di tempo di reazione (L. Henderson et al., 1992). Questo stesso

studio ha anche trovato che i maggiori errori assoluti fatti dai bambini con DCD venivano eseguiti

su compiti di coincidenza-tempo. Questi sono solo alcuni dei molti studi che hanno utilizzato

l'approccio IP per esplorare i disturbi della coordinazione motoria. Tutti gli studi e tutta la gamma di

fattori sono stati riassunti in un studio meta-analitico da Wilson e McKenzie (1998). Hanno, infatti,

esaminato le relazioni dell‘elaborazione delle informazioni nel DCD dal 1963 al 1996. Mentre la

loro meta-analisi ha trovato delle prove di compromissione generalizzata nei vari compiti, i bambini

con DCD erano particolarmente scarsi in una serie di aree, in cui le differenze sono state

significativamente maggiori tra DCD e gruppi di controllo. Queste aree erano quelle

dell‘elaborazione visuo-spaziale (con e senza una componente motoria), della percezione cinestetica

e cross-modale. Nonostante questi risultati, Wilson e McKenzie sottolineano che l'esistenza di

queste differenze non è indicativo di un rapporto causale. Per esempio, la scarsa capacità cinestesica

potrebbe essere il risultato della minore partecipazione all‘attività fisica e quindi non una causa di

goffaggine, ma una parte dell‘effetto. Hanno così concluso che gli studi di intervento che mirano al

miglioramento delle aree in cui sono stati identificati i deficit (come quella della trasformazione

visuo-spaziale), sono necessarie per aumentare la nostra comprensione sull'eziologia dei disturbi e

consentire l‘identificazione delle relazioni causali.

2.2- IL PROFILO COGNITIVO NEUROSCIENTIFICO

L‘approccio cognitivo neuroscientifico sullo sviluppo motorio utilizza un approccio multi-

disciplinare per comprendere, ulteriormente, i sistemi sottostanti al controllo motorio. I modelli di

approccio motorio-comportamentali, in termini di interazioni cervello-comportamento, si

allontanano dalla visione dell'organizzazione delle informazioni sulla trasformazione seriale.

Invece, i modelli delle neuroscienze cognitive suggeriscono un sistema di elaborazione in parallelo,

con strutture di lavoro neurali che lavorano insieme e contemporaneamente, per ottenere azioni

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coordinate e precise (Jeannerod, 1997). In questi ultimi anni, i progressi nelle varie tecniche di

neuroimaging, come la fMRI e i modelli computazionali, hanno aiutato lo sviluppo di tali approcci,

che a loro volta, hanno permesso ai ricercatori di cominciare ad esplorare le basi neurocognitive

della disprassia. Due recenti esempi di queste ricerche sono rappresentati dai deficit nella

temporizzazione motoria e nel controllo della forza (Piek & Skinner, 1999) e dalla modellazione

interna (PH Wilson, Maruff, Ives, & Currie, 2001).

2.2.1- TEMPORIZZAZIONE MOTORIA E CONTROLLO DELLA FORZA

Il tempo di risposta motoria è un aspetto importante del controllo motorio, in quanto permette ai

muscoli di essere attivati al momento giusto e in sequenza ordinata. In una serie di studi, è stato

esaminato il tempo di performance dei bambini con DCD (Geuze & Kalverboer, 1987, 1994;

Lundy-Ekman, Ivry, Keele, e Woollacott, 1991; Williams et al, 1992). Questi studi sono stati i

precursori del più sofisticato approccio nelle neuroscienze cognitive utilizzato negli studi attuali. Il

profilo dell‘elaborazione delle informazioni nel DCD e nella disprassia, ha lo scopo di isolare i

deficit nei processi che si verificano per produrre il movimento. Gli studi sul tempo di risposta

motoria (e sul controllo della forza), si sono concentrati non solo sui disordini di identificazione, ma

anche sulla determinazione della probabile base neurale di questi deficit, fornendo in tal modo una

possibile intuizione sull‘eziologia di fondo di tali disturbi. Gli studi sul tempo di risposta motoria

utilizzano compiti analoghi, dove viene richiesto ai bambini di picchiettare il dito al ritmo di un

metronomo e mantenere quel ritmo fin quando il metronomo non si arresta. I ricercatori hanno

misurato la capacità dei bambini di mantenere il ritmo, utilizzando il modello di Wing e

Kristofferson dei tempi di movimento (Wing & Kristofferson, 1973). I bambini con DCD hanno

ripetutamente dimostrato una grande variabilità nel mantenere le tempistiche richieste. Questa

variabilità si crede sia correlata ad un problema con il meccanismo di temporizzazione centrale del

corpo, che è responsabile dei tempi di risposta (Williams et al., 1992) e che sia controllata da aree

all'interno del cervelletto (Lundy-Ekman et al., 1991). È interessante notare che Lundy-Ekman e

colleghi (1991) hanno separato un gruppo di bambini goffi in due gruppi basati sulla presenza di

segni neurologici e sulle differenze trovate nei tempi di prestazione dei due gruppi. Un gruppo era

composto da bambini che mostravano goffaggine collegata alla disfunzione cerebellare e il secondo

gruppo era costituito da bambini la cui goffaggine era legata alla disfunzione dei gangli della base.

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La variabilità del gruppo ‗cerebellare‘ differiva significativamente dal gruppo di controllo, mentre

la variabilità del gruppo ‗gangli della base‘ era a livelli normali. Tuttavia, nel gruppo dei gangli

della base ci sono state delle limitazioni nelle performance dei compiti di controllo della forza.

Questo risultato ha dato sostegno al concetto che il cervelletto poteva, probabilmente, essere

coinvolto nella tempistica di tali movimenti e ha anche suggerito che potrebbero esserci dei

sottogruppi di bambini con DCD sia con difficoltà nella temporizzazione dei movimenti che con

difficoltà nel controllo della forza. In uno studio più recente, la capacità dei bambini con DCD di

controllare la propria forza è stata esplorata usando compiti con picchiettii più complessi, in cui i

partecipanti dovevano variare la forza del picchiettio durante la sequenza (Piek & Skinner, 1999).

Le sequenze dei picchiettii utilizzate in questo studio erano più corte ma avevano un battito più

veloce. Questi cambiamenti erano volti ad aumentare il ricorso a meccanismi di programmazione

centrale ed a ridurre l'uso del controllo del feedback, tra i colpetti. Il gruppo con DCD si è

dimostrato incapace nell‘abilità di controllare con precisione la produzione di forza. Gli autori

sostengono che ciò sia collegato ad un‘incapacità di attivare correttamente i muscoli agonisti e

antagonisti. Questo potrebbe essere collegato ad un deficit nel cervelletto o ai gangli della base.

Tale disordine si tradurrebbe in un aumento di co-attivazione dei muscoli antagonisti, con una

produzione di troppa o troppo poca forza e in una maggiore variabilità nel movimento, che è tipico

dei bambini con DCD e disprassia. Purtroppo, non è stata ancora identificata l'esatta natura dei

deficit di controllo dei tempi e della forza. Sulla base degli studi finora effettuati, sembra che questi

deficit possano apparire come entità distinte o correlate. Cioè, non è chiaro se questi due deficit

appaiono come deficit differenti con meccanismi diversi o se si verificano insieme - per esempio, se

è presente un deficit nella tempistica motoria, la muscolatura potrebbe essere attivata fuori sequenza

e potrebbe quindi risultare un livello di forza in uscita inadeguato. Sappiamo che i bambini con

disturbo della coordinazione, sembrano deviare la normale traiettoria di sviluppo in questo senso.

Per esempio, Jucaite e colleghi (2003) hanno dimostrato che i bambini più piccoli scalano la propria

forza in uscita in modo simile e applicano la forza massima nello stesso punto dei bambini più

grandi quando si solleva un oggetto. L'unica differenza nella loro performance è nel modulare la

forza in uscita, con i bambini più grandi che erano in grado di applicare una forza maggiore. Al

contrario, a differenza del gruppo di controllo di bambini più giovani, i bambini con ADHD

combinata al DCD, non erano in grado di scalare la loro forza in uscita in modo appropriato, il che

indica che non c‘è stato un ritardo nello sviluppo in questo settore ma anzi, c‘è stata una deviazione

della tipica traiettoria di sviluppo. Le future ricerche hanno bisogno di approfondire ciò che si

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verifica in sovrapposizione tra i tempi motori ed il controllo della forza e quale impatto possono

avere i protocolli di rieducazione sul miglioramento delle performance nei bambini con DCD e se

tale miglioramento si può trasferire sulle loro prestazioni delle abilità motorie.

2.2.2- MODELLISTICA INTERNA AVANZATA

Come accennato in precedenza, la nostra comprensione sui processi del controllo motorio è

cresciuta notevolmente grazie ai progressi delle tecniche di neuroimaging, della modellazione

computazionale e delle neuroscienze. La modellazione computazionale nel controllo motorio, per

esempio, vede il cervello come un sistema di elaborazione e studia il legame tra i segnali sensoriali

(ingressi al cervello) e i comandi motori (uscite del cervello) (Wolpert & Ghahramani, 2000;

Wolpert, Ghahramani, & Flanagan, 2001). Questo approccio ci ha fornito, con le teorie dei modelli

interni di controllo motorio, sia modelli avanzati (o predittivi) che modelli inversi (Wolpert, 1997;

Wolpert & Kawato, 1998). I modelli avanzati sono definiti come tali in quanto sostengono che "il

modello del rapporto causale va dalle azioni alle loro conseguenze" (Wolpert & Ghahramani, 2000)

o dai comandi motori ai segnali sensoriali, che risultano da questi comandi. Questi concetti sono di

particolare interesse per quanto riguarda il nostro studio sulla disprassia. I modelli inversi, invece,

vanno in direzione opposta, dalla conseguenza all'azione. Anche se entrambi sono importanti per il

controllo motorio e l‘apprendimento, ci concentreremo sui modelli avanzati. Perché un modello

avanzato è importante per il movimento? I modelli avanzati garantiscono stabilità al sistema

motorio per predire il risultato dei movimenti lenti, prima che i feedback senso-motori siano

disponibili (Wolpert, 1997). Ogni volta che i comandi motori sono rilasciati, viene prodotta una

copia del comando, definita 'copia efferente' (Frith, Blakemore, & Wolpert, 2000). Questa copia

efferente è utilizzata per formare uno stato predetto, cioè lo stato del sistema una volta che i

comandi motori attuali sono completi. Questo stato predetto può essere paragonato allo stato

desiderato, quello stato in cui non c‘è la necessità di feedback sensoriale, in cui le discrepanze

possono essere accuratamente corrette. Questo concetto è importante per i movimenti precisi e per

spiegare come il ritardo, tra il comando efferente motorio che viene emesso e il feedback sensoriale

del comando, può essere abbastanza grande (Frith et al, 2000) ed arrivare fino a 250ms. Quindi, dal

momento che il feedback è stato ricevuto, lo stato del sistema potrebbe essere già cambiato e il

risultato effettivo del movimento potrebbe essere diverso da quello che si sta percependo. Questo

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crea un errore tra i risultati percepiti e quelli reali. Pertanto se il risultato percepito sulla base del

ritardo del feedback senso-motorio è confrontato con il risultato del movimento desiderato, l'errore

che è presente, può portare alla produzione di una risposta imprecisa e inadeguata. L'incertezza nel

sistema motorio può essere ridotta attraverso l'impiego di modelli interni avanzati, per stimare lo

stato del movimento in anticipo sul feedback sensoriale.

2.2.3- MODELLI AVANZATI E APPRENDIMENTO MOTORIO

Come descritto precedentemente, i modelli avanzati sono importanti nel controllo motorio. Tuttavia

sono anche una parte essenziale dell‘apprendimento motorio (Wolpert & Kawato, 1998). Questo

perché, anche se è il modello inverso che deve scegliere il comando motorio adatto per il rilascio, il

modello da seguire deve ancora prevedere l'esito del comando motorio (Wolpert, Ghahramani, &

Flanagan, 2001). Così, la capacità di prevedere le conseguenze dei comandi motori si sviluppa, in

genere, prima dell'abilità di scegliere il comando motorio appropriato - la previsione delle

conseguenze di un comando motorio si verifica se il comando motorio è quello appropriato

(Flanagan, Vetter, Johansson, e Wolpert, 2003). Cioè, man mano che impariamo nuove abilità

motorie e, probabilmente, aspettiamo per trovare gli esatti comandi motori necessari, potremmo fare

molti movimenti basati su comandi motori inappropriati. Tuttavia, i modelli avanzati sono al lavoro

per questo processo e sono di vitale importanza per l‘apprendimento motorio e per lo sviluppo dei

modelli inversi. L‘indebolimento dei processi di modellamento interno possono avere un impatto

non solo sul controllo del movimento, ma anche sull‘apprendimento motorio. Attraverso una serie

di studi, che erano originariamente destinati ad esplorare l‘elaborazione visuo-spaziale nei bambini

con DCD, Wilson e colleghi hanno formulato un‘ipotesi di Deficit di Modellamento Interno (IMD)

(Katschmarsky, Cairney, Maruff, Wilson & Currie, 2001; Maruff, Wilson, Trebilcock, & Currie,

1999; Wilson PH & Maruff, 1999; Wilson P.H. et al, 2004;. Wilson P.H. et al, 2001;. Wilson P.H.,

Maruff, & McKenzie, 1997). L'ipotesi di IMD suggerisce che i bambini con disprassia hanno un

deficit nella capacità di utilizzare con precisione i modelli interni di controllo motorio. A causa del

ruolo cruciale dei modelli interni, il deficit si pone come una delle possibili cause di fondo della

disprassia. Questa teoria sarà discussa in ulteriori studi per verificare l'ipotesi IMD, come quello che

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studia i movimenti oculari saccadici per esplorare l'ipotesi di IMD (Katschmarsky et al., 2001). In

un altro articolo, si cerca di definire i segni motori indipendentemente dalla loro causa, ma è stato

notato che la disprassia dello sviluppo è strettamente collegata a disordini dell‘apprendimento

motorio. Infatti, affinché questa definizione possa giustificare le scarse performance, nonostante ci

sia un‘adeguata dimostrazione, c‘è bisogno di una diminuzione dell‘abilità di apprendere

semplicemente dall‘osservazione e dalla pratica. Per cui, la disprassia dello sviluppo molto

probabilmente proviene da una disabilità d‘apprendimento motorio o da un deficit di esecuzione che

influisce sull‘apprendimento e riflette l‘abilità indebolita nell‘acquisire nuove capacità (T.D.

Sanger, D. Chen, M.R. Delgado et al., 2006). Andando ad indagare l‘eziologia della disprassia, si

può citare uno studio di Ciccarelli et al. in cui concluse che negli adulti, l‘aprassia è spesso

localizzata nella corteccia parietale o frontale sinistra ed è spesso associata all‘afasia. Egli ipotizzò

che la disprassia dello sviluppo nell‘infanzia potrebbe essere associata a processi di maturazione in

posti simili, ma ciò non è stato ancora testato. Le immagini funzionali imputano un ruolo

importante all‘area associazionistica parietale, alla corteccia premotoria ed all‘area supplementare

motoria, nella pianificazione ed esecuzione di sequenze di movimenti complessi negli adulti

(Ciccarelli O, Toosy AT, Marsden JF, et al., 2005). Tali metodi non-invasivi potrebbero,

eventualmente, aiutare a rifinire la nostra comprensione sui disordini di prassia dei bambini. E‘ stato

notato che una lesione che porta alla perdita di abilità nell‘aprassia può indebolire l‘acquisizione di

nuove abilità; però la stessa lesione può anche essere la causa di disprassia dello sviluppo (May-

Benson T., 2001).

2.3- IL CORPO CALLOSO ALL’ORIGINE DELLA DISPRASSIA

Il nostro corpo presenta una marcata simmetria e anche il cervello sembra ubbidire a questa legge,

dal momento che la sua parte anteriore è divisa in due parti approssimativamente simmetriche che

sono chiamate emisferi cerebrali e sono preposte, tra l‘altro, alle funzioni cognitive superiori.

In realtà questa simmetria è solo apparente e l‘emisfero destro e sinistro presentano delle differenze

funzionali molto marcate. Una differenza emisferica importantissima è la lateralizzazione del

linguaggio, i cui centri cerebrali sono localizzati nei destrimani nell‘emisfero sinistro. Una lesione

alle aree del linguaggio porta a una perdita della capacità di parlare o di comprendere il linguaggio

verbale. Queste aree specializzate sono molto plastiche nei bambini. Una recente ricerca ha

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appurato che quando un bambino impara una nuova lingua, dopo quella materna, questa funzione si

localizza nella stessa area cerebrale usata per la lingua madre. In età più avanzata invece, a partire

dall‘adolescenza, l‘apprendimento di una nuova lingua coinvolge una diversa area cerebrale (K.H.S.

Kim, N.R. Relkin, K.M.Lee, J. Hirsch; 1997). Un‘altra differenza, anche questa notevole, sta nella

capacità di organizzare nelle sue varie relazioni interne un quadro visivo, una mappa, un insieme di

immagini che creiamo nella nostra mente, capacità insita nell‘elaborazione dell‘emisfero destro.

Il ruolo primario dell‘emisfero sinistro nell‘elaborazione del linguaggio scritto e parlato e in altre

funzione ad esso correlate, ha fatto ritenere che questa parte del cervello, che controlla dal punto di

vista motorio la parte destra del corpo, fosse più importante o "nobile" dell‘altra e che quest‘ultima

le fosse in qualche modo asservita. In realtà le ricerche hanno messo in evidenza specializzazioni

diverse tra gli emisferi, tutte con ruoli determinanti nella formazione dei processi cognitivi e del

pensiero nel suo senso più generale. Sommariamente si può dire che l‘emisfero sinistro, quello del

linguaggio, è più specializzato per i processi sequenziali, serie di eventi che si susseguono nel

tempo, come possono essere quelli della concatenazione logica del pensiero, mentre l‘emisfero

destro è più specializzato nell‘elaborazione visiva o per immagini degli eventi, nella loro

organizzazione spaziale oltre che nella loro interpretazione emotiva. Un emisfero diventa

dominante sull‘altro nel momento in cui esplica una funzione che l‘altro non è in grado di eseguire

altrettanto bene. Mentre parliamo la dominanza va all‘emisfero sinistro, per esempio, ma per fare

un bel disegno, nel quale hanno importanza i rapporti spaziali tra gli oggetti, occorre la dominanza

dell‘emisfero destro. Questa dominanza però non è automatica, nel senso che, a volte, la

consuetudine o la cultura portano a elaborazioni non consone al compito da portare a fondo e che

quindi producono mediocri risultati. A questo proposito è interessante un lavoro di Edwards (1982),

un‘insegnante di disegno che afferma che chi disegna male spesso, disegnando con la mano destra,

mantiene dominanti le elaborazioni dell‘emisfero sinistro a scapito di quelle dell‘emisfero destro.

Nel suo lavoro insegna tecniche "di aggiramento delle funzioni sinistre" che permettono di trovare

la giusta elaborazione complessiva. I due emisferi, pur separati, sono messi in comunicazione tra

loro da un grosso fascio di fibre nervose, il corpo calloso, che permette al cervello di integrare le

elaborazioni delle varie aree. Un esempio dell‘effetto "dominanza" si trova nel risultato

dell‘elaborazione del brano seguente:

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Miracolo Roberta – Disprassia, organizzazione motoria ed esercizio in età evolutiva

~ 50 ~

L‘analisi verbale del brano predomina nel primo caso, in cui la forma complessiva del testo (una

serie di righe che formano una struttura rettangolare) non assume particolare rilevanza nella lettura,

mentre nel secondo caso il risultato dell‘elaborazione, data la significatività della forma, privilegia

l‘immagine di un frutto piuttosto che l‘analisi verbale delle parole presenti10

. Tutto ciò per spiegare

l‘importanza delle funzioni del corpo calloso. Anatomicamente esso è una voluminosa lamina

sistemata nella scissura interemisferica, a decorso sagittale ed incurvata alle estremità anteriore e

posteriore, costituito da fibre tese trasversalmente fra i due emisferi. Procedendo in direzione

antero-posteriore, nel corpo calloso si individuano, il rostro uncinato attorno alla commessura

anteriore, il ginocchio (o genu) che curva dolcemente seguendo il limite inferiore del lobo frontale,

il tronco, che costituisce la maggior parte della porzione visibile del corpo calloso e lo splenio, un

rigonfiamento molto spesso, appoggiato sulla lamina quadrigemina, che segna il limite posteriore

del corpo calloso11

.

2.3.1- CALLOSOTOMIA E DISPRASSIA DELLA MANO: ALCUNI STUDI DI CASI

In uno studio di Tanaka et al. (1996) sono presentati tre pazienti che hanno mostrato, oltre ai segni

di interruzione del corpo calloso, una varietà di comportamenti motori anormali della mano sinistra

dissociata dalla volontà cosciente ed in assenza di fenomeni patologici di prensione. I movimenti

anomali della mano sinistra erano composti da movimenti antagonisti a destra, movimenti non

10

L. Wittgenstein. Osservazioni sopra i fondamentali della matematica. 1971, Einaudi.

11 Giuseppe C. Balboni; et al., Corpo calloso in Anatomia Umana, Vol. 3, Ristampa 2000, Edi Ermes.

"non può imparare a dominare la

geografia della regione uno che

percorra un paese così lentamente

da dimenticarne una parte

quando arriva all’altra"10

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Miracolo Roberta – Disprassia, organizzazione motoria ed esercizio in età evolutiva

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antagonisti irrilevanti per la destra, movimenti simmetrici a destra in cui la mano sinistra a volte ha

preceduto la destra, e incapacità occasionale di muoversi a piacimento nel corso di un compito

bimanuale. Da queste osservazioni e da una revisione di pubblicazioni precedenti, si può rettificare

che nella maggior parte dei soggetti destrimani, la disprassia, potrebbe essere definita come un

comportamento motorio anormale della mano sinistra, attivato da movimenti volontari della mano

destra. Fenomeni simili alla disprassia motoria ma attribuibili a movimenti impulsivi a tentoni

indotti dalla patologia mediale del lobo frontale dovrebbero essere esclusi dalla diagnosi di

disprassia. Il confronto delle MRI dei tre pazienti con quelli di cinque pazienti che non hanno

sviluppato disprassia a seguito di un infarto del corpo calloso, con o senza il coinvolgimento

emisferico mediale, ha rivelato che i danni alla parte ventrale dell'estremità posteriore del tronco del

corpo calloso sono stati cruciali nello sviluppo della disprassia. Poiché le fibre commissurali tra i

lobuli parietali superiori passano attraverso la parte caudale del tronco del corpo calloso e poiché

non esistono prove confermate, che il lobo parietale superiore umano si occupi della selezione del

movimento basato sull'integrazione delle informazioni visive e / o somato-sensoriali, si deduce che

la disprassia è il prodotto di una disconnessione del lobulo parietale superiore destro verso quello di

sinistra che è dominante nel controllo del movimento volitivo, nella maggior parte dei soggetti

destrimani. Uno dei più affascinanti fenomeni del comportamento neurologico è la sindrome della

―mano aliena‖ (AHS). Brion e Jedynak (1972) hanno coniato questo termine relazionando quattro

pazienti con sindrome da disconnessione posteriore del corpo calloso. Hanno usato la frase ―le

signe de la main etrangere‖ (letteralmente ―il segno della mano straniera‖) per descrivere la

mancanza del riconoscimento del braccio e della mano sinistra come appartenenti a se stessi,

nonostante l'assenza di perdita di sensibilità quando la sinistra è tenuta dalla destra dietro la schiena.

Bogen (1979) ha ampliato il concetto della mano aliena per indicare una ―circostanza in cui una

delle mani del paziente, di solito la mano sinistra nella mano destra, si comporta in un modo che il

paziente trova estraneo‖, ―straniero‖ o ―non collaborativo‖, lo ridefiniscono come un fenomeno

attivo. Per esempio, egli ha descritto i comportamenti motori anomali della mano sinistra in un

giovane paziente che aveva ricevuto callosotomia 3 settimane prima: mentre stava effettuando una

prova unimanuale con le costruzioni, coinvolgendo la mano destra, la sua mano sinistra salì da sotto

al tavolo e, mentre stava raggiungendo i blocchi, la schiaffeggiò con la mano destra e disse:

―Questo servirà a tenerla tranquilla per un po‘ ‖. Bogen (1979) considerava la mano aliena come

una forma minore di conflitto intermanuale ovvero come un epilogo di disprassia. Nella descrizione

di Bogen, il concetto dalla mano straniera è stato ampliato per indicare una varietà di azioni

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Miracolo Roberta – Disprassia, organizzazione motoria ed esercizio in età evolutiva

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involontarie ed incontrollate della mano. Feinberg et al. (1992) hanno proposto due distinti tipi di

AHS: una forma frontale (AHS frontale) associato al riflesso di afferramento, alla manipolazione

compulsiva degli strumenti e ad una forma del corpo calloso (AHS callosa) caratterizzata da

conflitto intermanuale e dall'assenza di elementi frontali. L'estensione e la localizzazione della

lesione, responsabile della manipolazione compulsiva degli strumenti, potrebbe essere diversa dai

semplici movimenti a tentoni del lobo frontale mediale (Tanaka,1991). Più tardi, venne segnalato

un altro gruppo di pazienti con AHS. Leiguarda et al. (1993) hanno studiato quattro pazienti che

avevano mostrato brevi episodi parossistici di comportamento motorio anormale del braccio

controlaterale, originati dalla regione mediale frontale, o con brevi episodi di inconsapevolezza

sulla posizione del braccio controlaterale, o con mancanza di riconoscimento del braccio come

proprio oppure con l‘illusione del movimento o dei reali movimenti originati dalla regione parietale

posteriore. Come visto in precedenza, i vari tipi di comportamento motori anomali di una mano

sono stati riportati con il termine ―mano straniera‖ , dove le lesioni responsabili e i meccanismi

neurali sottostanti sono molto probabilmente diversi l'uno dall'altro. Al fine di stabilire le relazioni

clinico - patologiche di questi modelli di comportamento anormali, è stato ritenuto che il termine

―mano straniera‖ non deve essere usato indiscriminatamente. Il concetto di disprassia è stato

introdotto da Akelaitis e colleghi (Akelaitis et al, 1942;. Akelaitis,1945) per descrivere un

particolare comportamento motorio in due pazienti che hanno ricevuto callosotomia per

un‘intrattabile epilessia. Uno dei suoi pazienti (caso 1) ha dimostrato il tipico conflitto tra le due

mani, che ebbe inizio due mesi dopo la divisione della metà posteriore del corpo calloso ed è durato

per circa 3 settimane. Ad esempio, per indossare i vestiti con la mano destra ha involontariamente

tirato fuori la mano sinistra. In un'altra occasione, quando ha dovuto aprire una porta o un cassetto

con la mano destra, contemporaneamente le chiuse entrambe con la mano sinistra. I pazienti non

hanno mostrato nessun riflesso di prensione o sono stati costretti a brancolare con entrambe le

mani. Così, la disprassia è un‘entità neuro-comportamentale distinta, che non può essere attribuita a

patologie della prensione, alla perdita di sensibilità o all‘atassia. Di recente è stato osservato il

decorso della disprassia della mano sinistra in tre pazienti destrimani, dopo un infarto del corpo

calloso (Fig.1). Ma per determinare la posizione esatta della lesione responsabile della disprassia,

nello stesso studio sono state confrontate le lesioni di tre pazienti con disprassia con quelli di altri

cinque pazienti che non hanno sviluppato la disprassia dopo un infarto del corpo calloso, con o

senza il coinvolgimento emisferico mediale (Fig. 1). Tutti i pazienti sono stati colpiti alla mano

destra ad eccezione di uno (paziente 7) che era ambidestro. Ogni paziente è stato osservato entro 6

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Miracolo Roberta – Disprassia, organizzazione motoria ed esercizio in età evolutiva

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settimane dall‘insorgenza dell‘ictus e subito gli è stata effettuata una MRI al cervello. Dei cinque

pazienti, solo un paziente (paziente 4), che aveva danni anteriori ai quattro quinti del corpo calloso,

ha dimostrato un‘aprassia sinistra unilaterale senza agrafia che è perdurata per circa 1 mese dopo

l'ictus. I rimanenti quattro pazienti hanno avuto una lesione del corpo calloso nella metà anteriore o

nei due terzi del tronco e non si è manifestata né aprassia né agrafia unilaterale. I pazienti 4 e 7

hanno dimostrato una manipolazione compulsiva degli strumenti posti davanti a loro, così come

nei movimenti riflessi di prensione e nei riflessi visivi a tentoni della mano destra (paziente 4) o

nella mano sinistra (paziente 7) controlaterale alla lesione. Questi due pazienti avevano una lesione

mediale del lobo frontale che coinvolgeva il giro del cingolo anteriore e si estendeva più verso il

rostro rispetto alla lesione del paziente 5 che ha mostrato di cogliere solo i riflessi visivi dei

movimenti a tentoni con la mano destra controlaterale alla lesione. Tutti i pazienti tuttavia, hanno

dimostrato l'assenza di tale comportamento motorio anomalo della mano sinistra come osservato

nei tre pazienti con disprassia ed in tutti i soggetti è stata conservata l'estremità posteriore del tronco

del corpo calloso.

Fig. 1- Vista sagittale schematica delle lesioni nei pazienti 1, 2 e 3. Le aree di distruzione del corpo calloso sono

riportate in nero e quelle dell'emisfero in tonalità. Anche se i pazienti 1 e 3 avevano un danno all'emisfero sinistro, le

lesioni vengono rappresentate sulla destra, al fine di facilitare il confronto fra le lesioni dei pazienti. Si noti che questi

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Miracolo Roberta – Disprassia, organizzazione motoria ed esercizio in età evolutiva

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tre pazienti hanno una lesione nella parte ventrale della metà posteriore del tronco del corpo calloso in comune (frecce).

Dal numero 4 al numero 8 sono rappresentati i cinque pazienti senza disprassia. Questi pazienti sono tutti destrimani ad

eccezione del paziente 7 che era ambidestro. Tutti questi pazienti sono stati osservati entro 6 settimane dalla comparsa

dell‘ictus ed eseguito MRI al cervello. Anche se i pazienti 4 e 5 hanno avuto un infarto nell'emisfero sinistro, le lesioni

sono state rappresentate in quello destro, al fine di agevolare il confronto delle lesioni tra i pazienti. Si noti che

l'estremità posteriore del tronco del corpo calloso è conservato in tutti i pazienti (frecce). Nessuno di questi pazienti ha

avuto disconnessione del corpo calloso tranne il paziente 4 con un infarto nei quattro quinti della parte anteriore del

corpo calloso, in cui è stata osservata un‘aprassia ideomotoria sinistra unilaterale senza agrafia per 1 mese dopo l'ictus.

I tre pazienti avevano subito un danno all‘emisfero oltre al danno al corpo calloso. L'ubicazione e

l'estensione del danno emisferico, tuttavia, non sono stati uniformi, mentre

la metà posteriore del corpo calloso, in particolare la sua parte ventrale, è stata danneggiata in

comune. Al contrario, i cinque pazienti che non hanno sviluppato alcuna forma di disprassia dopo

un infarto del corpo calloso, con o senza il coinvolgimento emisferico mediale, non hanno avuto

danni all‘estremità posteriore del corpo calloso. Ciò indica che un danno all‘estremità posteriore del

corpo del corpo calloso, in particolare nella sua parte ventrale, è fondamentale per lo sviluppo della

disprassia. Negli ultimi 20 anni, si stanno accumulando prove sul coinvolgimento della parte

posteriore del tronco del corpo calloso che è la parte più cruciale per lo sviluppo della disprassia

(Iwata et al, 1980;. Volpe et al, 1982;. Kawamura e Hirayama, 1986; Yasumura et al., 1987;.

Kawamura et al,1989; Risse et al, 1989;Kazui et al, 1992; Kazui e Sawada, 1993). I risultati

ottenuti negli otto pazienti descritti in questo studio, sostengono quest‘idea: tutti i quattro pazienti

che hanno manifestato disprassia unilaterale sinistra, avevano una lesione che coinvolgeva almeno

la parte posteriore del corpo calloso, mentre i restanti quattro pazienti che non hanno sviluppato la

disprassia unilaterale, non avevano una lesione nella parte anteriore o nei due terzi del corpo

calloso. Allo stesso modo, l‘agrafia unilaterale o l‘anomia tattile è stata causata da una lesione nella

parte posteriore del corpo calloso (Sugishita et al, 1980;. Gersh e Damasio, 1981; Kawamura e

Hirayama, 1986; Degos et al, 1987; Kawamura et al., 1989). Fenomeni motori simili alla disprassia

negli esseri umani sono stati riportati nella divisione del cervello delle scimmie o dei babbuini,

come il raggiungimento bilaterale simultaneo di un oggetto con entrambe le mani (Kennard e

Watts, 1934; Lehman, 1972; Brinkman e Kuypers, 1973). Kennard e Watts (1934) hanno riferito

che nei babbuini non è stato osservato alcun comportamento motorio anomalo, quando sono stati

divisi i due terzi della parte anteriore del corpo calloso, ma il babbuino ha mostrato un trasporto

simultaneo bilaterale di alimenti con entrambe le mani quando è stato diviso il residuo corpo

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calloso posteriore. Queste osservazioni suggeriscono che una lesione del corpo calloso, in

particolare alla parte posteriore, sembra giocare un ruolo primario nella produzione di disprassia.

Sono stati segnalati tre pazienti che presentavano disprassia dopo una limitata lesione del corpo

calloso, diagnosticata dalla RM o dall‘autopsia (Watson e Heilman, 1983; Watson et al, 1985;.

Nishikawa et al, 1986; Degos et al, 1987). Come nei casi descritti prima, tutti questi pazienti

avevano una lesione del corpo calloso che andasse almeno dalla parte ventrale all'estremità

posteriore del corpo. Al contrario, Kazui e Sawada (1993) hanno descritto un paziente che non ha

mostrato alcun segno di disprassia dopo un infarto calloso limitato alla metà posteriore del tronco

quindi con risparmio della parte posteriore del corpo. Questo paziente ha dimostrato un‘aprassia

sinistra unilaterale senza agrafia. Leiguarda et al (1989) hanno riportato tre pazienti con danni al

corpo calloso anteriore causati da un‘emorragia. Sulla base delle ricostruzioni della TC sagittale, è

emerso che due pazienti (casi 1 e 3) con lesioni callose che si estendevano alla parte più caudale del

corpo, hanno dimostrato disprassia e che l'altro paziente (Caso 2), con una lesione anteriore del

corpo calloso con risparmio di un terzo della zona caudale del corpo, non ha manifestato la

disprassia. Questi risultati supportano la nostra tesi secondo cui una lesione alla fine della zona

posteriore del corpo calloso, soprattutto nella sua parte ventrale, è responsabile della disprassia. I

pazienti con anomalie del comportamento motorio che non erano o non completamente qualificati

(Gazzaniga et al, 1967; Wilson et al, 1977; Zaidel e Sperry, 1977; Sine et al, 1984;. Graff-Radford

et al, 1987. Loring et al, 1989; Nagumo et al, 1993) o il cui comportamento motorio anomalo

poteva essere attribuito a movimenti impulsivi a tentoni della mano sinistra, causato da un infarto

del lobo destro frontale mediale (Joynt, 1977; Lejeune e Caparros-Lefebvre, 1993), anche se i

termini disprassia o mano aliena erano stati applicati per indicare i comportamenti anomali, sono

stati esclusi.

2.3.2- LE FIBRE CALLOSE INTEREMISFERICHE

Un caso di disprassia riportato da Degos et al. (1987) è particolarmente interessante in quanto

fornisce un importante indizio per la comprensione della base neuro-anatomica di questa

condizione. L'autopsia del loro caso ha rivelato una completa distruzione ischemica di un quarto

posteriore del tronco e dello splenio del corpo calloso. La sostanza bianca alla base del lobulo

parietale superiore e del lobo occipitale si era degenerata bilateralmente. Dal momento che le

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connessioni tra corpo calloso e lobi occipitali avvengono solo attraverso lo splenio, sia nelle

scimmie (al Pandya et al.,1971) che negli esseri umani (de Lacoste et al., 1985), questo caso

suggerisce che le fibre del corpo calloso umano, dal lobulo parietale superiore attraversano un

quarto del tronco posteriore del corpo calloso. D'altra parte, Lacoste et al. (1985) ha sostenuto che

le fibre interemisferiche dal lobulo parietale superiore attraversano esclusivamente lo splenio del

corpo calloso nell'uomo, sulla base di uno studio dell‘autopsia sulla distribuzione della

degenerazione Walleriana nel corpo calloso a seguito di lesioni focali. Uno dei loro pazienti, però,

aveva una degenerazione della parte caudale del tronco e dello splenio, secondaria ai danni alla

regione giunzionale temporo-parietale-occipitale, con estensione nella materia bianca sottostante il

lobo parietale superiore e parte del lobo temporale. In considerazione di quanto afferma Degos et al.

(1987) che, contrariamente a quanto è stato descritto nella scimmia, il percorso calloso va dal lobo

temporale rostrale al lobulo parietale superiore nell'uomo, i casi di Lacoste et al (1985) sembrano

inoltre suggerire che la parte caudale del tronco del corpo calloso contiene le fibre interemisferiche

tra i lobuli parietali superiori. Così le connessioni del corpo calloso umano, dal lobulo parietale

superiore sembrano attraversare la parte caudale del tronco e la parte più anteriore dello splenio,

così come nella scimmia (Seltzer e Pandya, 1983; Caminiti e Sbriccoli, 1985). Di conseguenza, è

più probabile che la disprassia risulti da un‘interruzione dei due lobuli parietali superiori.

2.3.3- LA FUNZIONE DEL LOBO PARIETALE SUPERIORE

Un esiguo numero di prove sostengono che il lobo parietale superiore umano si occupi della

selezione del movimento basato sull'integrazione delle informazioni visive e / o somatosensoriali.

In uno studio con Xenon-133, Roland et al. (1980) ha riferito che il flusso ematico cerebrale

regionale (rCBF) era maggiore nelle aree premotorie bilaterali, nelle aree supplementari motorie,

nelle regioni parietali superiori e nelle regioni parietali inferiori, specialmente nella parte anteriore,

quando i soggetti muovevano il dito indice seguendo un labirinto, oppure quando facevano una

spirale in aria con il braccio. Utilizzando la PET, Roland e Seitz (1989) hanno studiato le modifiche

del rCBF in soggetti normali mentre stavano imparando una complicata sequenza di movimenti con

le dita della mano destra. Hanno riferito che il rCBF aumentava significativamente negli accordi

bilaterali delle aree premotorie, nelle aree motorie supplementari e nei lobuli parietali superiori,

durante la prima fase di apprendimento. Quando il compito è stato appreso bene, tuttavia, non vi era

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più un significativo aumento del flusso sanguigno nei lobuli parietali superiori bilaterali, nell'area

premotoria destra e nell‘area supplementare motoria destra. Deiber et al. (1991), utilizzando anche

la PET, ha confrontato il rCBF durante le attività che richiedono movimenti di selezione durante dei

movimenti fissi. Hanno scoperto che quando la selezione del movimento è stata fatta sotto

intenzione volontaria, il rCBF è aumentato notevolmente nella corteccia premotoria, nell‘area

motoria supplementare e bilateralmente nella corteccia parietale superiore. Singh e Knight (1993)

hanno dimostrato elettrofisiologicamente che i pazienti con una discreta lesione parietale

unilaterale, includendo il lobo parietale superiore e parti rostrali del lobo parietale inferiore,

avevano una notevole riduzione delle ampiezze dei potenziali motori, correlata agli emisferi

bilaterali. Questi studi indicano che, negli esseri umani almeno, il lobulo parietale superiore

partecipa al processo di selezione e preparazione motoria volontaria. Grafton et al. (1992) hanno

indagato i cambiamenti del rCBF in soggetti normali nel monitoraggio di un bersaglio mobile con il

dito indice. Hanno trovato che la complessità spaziale dei movimenti volontari portava ad un

aumento del rCBF negli accordi bilaterali della corteccia parietale superiore e ha dichiarato che la

corteccia parietale mediale e dorsale è stata coinvolta nell‘integrazione degli attributi spaziali

durante la selezione del movimento. Pause et al. (1989) hanno studiato il rapporto tra i disturbi

somato-sensoriali e motori della mano in pazienti con lesione del lobo parietale. Hanno trovato che

i pazienti con una lesione nel lobo parietale posteriore, che coinvolgeva il lobulo parietale

superiore, hanno mostrato una compromissione preferenziale del complesso delle funzioni somato-

sensoriali e motorie, come movimenti esplorativi e manipolativi delle dita, mentre nei pazienti con

lesione del lobo parietale anteriore, vicino al giro post-centrale, la funzione somato-sensoriale era

chiaramente più disturbata della funzione motoria. Pertanto, è probabile che nell'uomo il lobulo

parietale superiore sia fondamentale per l'integrazione delle informazioni visive e / o somato-

sensoriali nella selezione del movimento. Come descritto in precedenza, i tre pazienti usano spesso

la mano sinistra per compiere movimenti spontanei in un compito per la mano destra, come anche

l'incapacità occasionale di muovere volontariamente la mano sinistra durante un compito

bimanuale. Questi fenomeni motori non possono essere spiegati dal semplice fallimento

d‘inibizione trans-callosa dell'emisfero sinistro sul destro, come suggerito da Feinberg et al. (1992).

Si deduce che il livello più probabile di disfunzione sia un sistema di controllo motorio più alto

dell'emisfero destro, che innesca, probabilmente, un processo che stimola ad eseguire movimenti

adeguati, così come un processo inibitorio di movimenti inappropriati della mano sinistra. Negli

individui normali questo sistema dovrebbe inibire i movimenti inadeguati della mano sinistra nel

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caso di un compito unimanuale con la mano destra e stimolare movimenti appropriati, nonché

inibire i movimenti inappropriati della mano sinistra, nel caso di un compito bimanuale. Tuttavia, i

pazienti possono svolgere attività spontanee senza problemi usando solo la mano sinistra in

condizioni di comportamento libero e anche in una situazione di prova, come l‘esame della

funzione prassica, con l'uso di oggetti reali. Un'altra caratteristica importante di questi pazienti è la

variabilità temporale dei movimenti anomali della mano sinistra. Anche se la mano sinistra non ha

sempre collaborato nel corso di un compito a due mani, a volte ha comunque collaborato bene. Ci

sono stati anche momenti in cui la mano destra aveva eseguito di proposito dei movimenti

spontanei, senza il comportamento anomalo della mano sinistra. Ciò implica che il sistema di

controllo motorio è stato rappresentato, in qualche misura, nell'emisfero destro dei pazienti e che il

sistema dell‘emisfero destro spesso si destabilizza quando il sistema di controllo motorio

dell'emisfero sinistro viene attivato nell'ambito dell‘intenzione volontaria. D'altra parte, il sistema di

controllo motorio dell'emisfero sinistro sembra sia stabile, dal momento che i pazienti non hanno

mai manifestato un comportamento anomalo della mano destra, il che indica che l'emisfero sinistro

era dominante nel controllo volitivo del movimento. Così, il comportamento dissociativo della

mano sinistra dei pazienti sembra sia stato prodotto da un fallimento nel trasferimento di

informazioni di controllo motorio dell'emisfero sinistro a quello di destra durante le attività che

richiedono il controllo motorio volontario dell‘emisfero sinistro. Il fatto che la mano sinistra si

muova spontaneamente, quando i pazienti hanno cercato di svolgere un compito unimanuale con la

mano destra o quando semplicemente hanno fatto qualcosa con la mano destra, indica che

l'intenzione volontaria di agire con una mano suscita l‘attivazione neurale nelle aree motore

correlate ad entrambi gli emisferi. Tale attivazione bi-emisferica nei movimenti con una sola mano

è stata riportata anche in soggetti normali, soprattutto quando la selezione del movimento è stata

fatta sotto l'intenzione volontaria in compiti complessi (Deiber et al. 1991; Grafton et al, 1992). Una

possibile spiegazione di ciò è che l'attività del sistema di controllo motorio controlaterale alla mano

da muovere, suscita dei movimenti appropriati della mano e che l'attività del sistema omolaterale

induce un controllo inibitorio della mano opposta. Quando la cooperazione bimanuale è necessaria,

queste attività possono indurre un processo di attivazione di movimenti adeguati e un processo di

inibizione di movimenti inadeguati di ogni mano, controlaterale all'emisfero. Nello stato normale, il

controllo volontario dell‘attività motoria può essere raggiunto mediante l'invio di informazioni di

controllo motorio dal lobulo parietale superiore sinistro al destro attraverso la parte posteriore del

corpo calloso, quando i neuroni del lobulo parietale superiore di sinistra sono stati attivati con

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l'intenzione volontaria. Un comportamento motorio anomalo della mano sinistra osservato nei

pazienti, può essere spiegato da un guasto funzionale nell‘associazione tra il controllo volontario e

la funzione visuo-motoria e / o sensomotoria integrativa, nel lobulo parietale superiore destro. Ad

esempio, la mano sinistra dei pazienti spesso si allungava per afferrare un oggetto posto di fronte a

loro nel corso di un‘attività per la mano destra, oppure portava via un oggetto tenuto nella mano

destra o interferiva in compiti da eseguire con la mano destra. Questi movimenti spontanei della

mano sinistra possono essere interpretati come segue: l'intenzione volontaria di agire con la mano

destra porta all‘attivazione neurale del lobulo parietale destro superiore così come del sinistro, ma il

controllo inibitorio trans-calloso dal lobulo parietale sinistro superiore a quello destro viene

disturbato. Di conseguenza, la funzione visuo-motoria integrativa del lobulo parietale superiore

destro, che dovrebbe essere attivato dalla visione di oggetti e / o movimenti del braccio e della

mano destra, potrebbe essere stato rilasciato, con la conseguente prensione spontanea della mano

sinistra. I pazienti a volte hanno mostrato altri tipi di comportamento motorio anomalo della mano

sinistra, come l‘incapacità di muovere questa mano a piacimento nel corso di un compito

bimanuale e nel ritirare la mano sinistra quando la destra si avvicinava. Tale comportamento

anomalo della mano sinistra potrebbe essere stato prodotto da una confusione nella selezione di

alcuni aspetti del movimento, come la direzione, l‘angolo e la postura del braccio, nel lobulo

parietale superiore destro a causa di un errore nel trasferimento delle informazioni di controllo

motorio, tramite il corpo calloso dal lobulo parietale superiore sinistro a quello di destra. Nella

maggior parte dei pazienti affetti da disprassia, il comportamento motorio anomalo della mano

sinistra si abbassa gradualmente e scompare con il tempo, così come nei pazienti citati nello studio.

Il lobulo parietale superiore destro può gradualmente acquisire la capacità di controllare il suo

sistema motorio volontariamente ed indipendentemente dalla sinistra. Tuttavia sono stati segnalati

alcuni soggetti che hanno mostrato disprassia 9 mesi dopo un infarto del corpo calloso (Tei et al.,

1993), 15 mesi dopo un danno post-traumatico del corpo calloso, del rostro e della parte superiore e

inferiore dei lobi frontali (Nakatani et al. 1984) e 38 mesi dopo callosotomia totale (Ferguson et al.,

1985). Allo stato attuale, è difficile rilevare qualsiasi differenza nelle lesioni del corpo calloso e

ulteriori lesioni emisferiche tra questi pazienti e quelli con disprassia transitoria. Per chiarire questo

problema, c‘è bisogno di sperimentare più casi di disprassia e analizzare le lesioni in dettaglio

utilizzando la risonanza magnetica. Infine, la mano sinistra dei pazienti, a volte, ha avviato

un'azione in anticipo rispetto alla destra, quando aveva intenzione di fare qualcosa

con la mano destra. Un simile fenomeno motorio è stato riportato da Fisher (1963). Questo può

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Miracolo Roberta – Disprassia, organizzazione motoria ed esercizio in età evolutiva

~ 60 ~

indicare che, nella maggior parte dei soggetti destrimani, l'emisfero destro è superiore nella

prontezza di risposta o nella preparazione di azioni rispetto a quello sinistro. Verfaellie et al. (1988)

hanno riferito che quando è stata data informazione preventiva ai soggetti normali, la mano sinistra

ha risposto più velocemente della destra, nonostante il fatto che questi soggetti erano destrimani.

Allo stesso modo, in un paziente destrimano con infarto del corpo calloso e disprassia, il tempo di

reazione è stato più veloce con la mano sinistra che con la destra, indipendentemente dalla

posizione nello spazio di uno stimolo visivo e / o uditivo (Nishikawa et al, 1986; Fukui et al.,

1987). Al contrario, è stato segnalato che lesioni all'emisfero destro causano un rallentamento del

tempo di reazione rispetto alle lesioni dell'emisfero sinistro (De Renzi e Faglioni, 1965; Benson e

Barton, 1970;. Howes e Boiler, 1975; Tartaglione et al, 1987). Howes e Boiler (1975) hanno riferito

che l‘incremento dei tempi di reazione in pazienti con lesioni all'emisfero destro si riduce, così

come gli intervalli fra i successivi stimoli sonori si prolungano oltre l'intervallo tra 4 e 15 secondi.

Questa scoperta suggerisce che l‘aumento del tempo di reazione nei pazienti non può essere

attribuito ad una scarsa vigilanza o attenzione, perché il tempo di reazione dovrebbe aumentare,

così come gli intervalli tra gli stimoli dovrebbero essere prolungati se la vigilanza o l‘attenzione

fosse compromessa.

2.4- LA DISPRASSIA NEI BAMBINI NATI PREMATURI

L‘indebolimento motorio è evidente in un numero sostanzioso di bambini nati pretermine studiati in

recenti ricerche scientifiche e che quindi può essere una causa scatenante la disprassia motoria.

Nello studio di Wocadlo e Rieger (2008) è stato esaminato il concorso dei deficit motori e degli

insuccessi scolastici in un gruppo di bambini nati molto prematuri ad 8 anni di età.

Tutti i bambini sopravvissuti con età gestazionale inferiore alle 30 settimane, ammessi all‘unità di

terapia intensiva neonatale tra il 1987 e il 1997, sono stati inclusi nello studio di follow-up. I

bambini con disabilità neurosensoriale o con un basso punteggio del livello intellettivo (FSIQ ≤ 75

punti) sono stati esclusi. In questa ricerca è stato somministrato, all‘età di 8 anni, ad un campione di

323 bambini molto prematuri il Bruininks Oseretsky Test of Motor Proficiency e test standardizzati

sul rendimento scolastico riportando che centouno (31,3%) di questi bambini molto prematuri sono

stati identificati come aventi Developmental Coordination Disorder (DCD). Dei bambini con DCD,

il 54,4% ha avuto scarsi risultati di alfabetizzazione e / o di numerazione. Così come la gravità del

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Miracolo Roberta – Disprassia, organizzazione motoria ed esercizio in età evolutiva

~ 61 ~

deficit motorio aumentava così cresceva la gravità e la complessità degli insuccessi. Un numero

significativamente inferiore di bambini con menomazioni motorie ha partecipato ad attività sportive

dopo-scuola. I bambini con DCD hanno avuto un supporto meccanico di ventilazione durante il

ricovero in ospedale. Wocadlo e Rieger (2008) hanno dimostrato che una percentuale significativa

di bambini nati molto prematuri hanno trovato molte difficoltà nelle competenze motorie e

accademiche nei primi anni di scuola. Inoltre i bambini pretermine hanno un elevato rischio di

sviluppare una paralisi cerebrale ed è per questo motivo che l‘acquisizione delle abilità motorie nei

bambini a cui non viene diagnosticata una paralisi cerebrale risulta difficile. Altri studi mostrano

che le scarse esecuzioni grosso-motorie e la proporzione della disabilità motoria rispetto ai controlli

aumentano nei gruppi con peso estremamente basso (ELBW- >1000g) e con peso molto basso alla

nascita (VLBW- 1250g). La proporzione può variare ampiamente, ma più del 50% dei bambini

ELBW ed il 34% dei bambini VLBW hanno mostrato un indebolimento motorio. Tale disabilità

rimane a livelli elevati anche nell‘adolescenza (Marlow N, Roberts B, Cooke R, 1989-1993; Saigal

S. et al., 1991). Recenti studi hanno esaminato che l‘indebolimento motorio è correlato alla

disabilità di apprendimento nei bambini prematuri ed alla stima intellettiva sia nel dominio visuale

che in quello verbale. Quando questi bambini sono confrontati con quelli che hanno uno sviluppo

motorio normale, le differenze sono evidenti nei compiti intellettivi e scolastici (Davis . et al.,2007;

Holsti L, Grunau R, Whitfield M, 2002). Nello studio di Wocadlo e Rieger (2008) la prevalenza di

DCD in settimane di gestazione è stato di 18 (50%) 24-25 settimane, 16 (31,4%) 26 settimane, 12

(25%) 27 settimane, 22 (26,5%) 28 settimane e 33 (31.4%) 29 settimane. Quasi un terzo di questi

bambini molto prematuri ha presentato indebolimento motorio, pur non avendo disturbi

neurologici, disabilità sensoriali o intellettuali. Questi bambini mostrano notevoli difficoltà in tutti i

compiti motori valutati. Più del 50% dei bambini con difficoltà motorie hanno punteggi al di sotto

del sesto percentile, riflettendo una grave insufficienza. Tra gli studi dello sviluppo motorio nei

bambini pretermine, il valore della disabilità motoria variano dal 9,5 al 51%. Mentre il 15°

percentile è stato riconosciuto come un appropriato cut-off per l'identificazione di DCD (Geuze R.

et al., 2001), gli studi hanno utilizzato anche il 5° percentile. Ad esempio, Powls et al. ha esaminato

un gruppo di bambini neurologicamente normali, con un peso alla nascita inferiore a 1250 g, a 12-

13 anni di età. La compromissione motoria, definita come sulla M-ABC (Movement Assessement

Battery Test) con un punteggio inferiore al 15° percentile, è stato visto in 24 bambini ELBW

(51,1%) rispetto ai 5 dei controlli (8,3%). Il trentaquattro per cento di questi bambini ELBW è stato

segnato al di sotto del 5° percentile. Holsti et al. hanno riportato dei bambini nati con meno di 800

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Miracolo Roberta – Disprassia, organizzazione motoria ed esercizio in età evolutiva

~ 62 ~

grammi, valutati a 7 e a 11 anni, e hanno mostrato DCD (di seguito il 15° percentile della BOTMP)

37 bambini ELBW rispetto a uno bambino di controllo. Più di recente Davis et al. ha confrontato un

gruppo di 8 bambini ELBW nati a 28 settimane di gestazione ed ha trovato che il 9,5% aveva un

punteggio inferiore al 5° percentile sul M-ABC rispetto al 2% dei controlli normopeso. La

variabilità nell‘identificazione del deficit motorio è preoccupante. Non ci sono attualmente

strumenti standard per la valutazione dell'individuazione del disturbo del coordinamento dello

sviluppo. Per questo studio è stato scelto il BOTMP, in quanto è considerato come uno strumento di

valutazione motoria generale. Esso riflette una rappresentazione generale dello sviluppo motorio

del bambino, fornendo l‘opportunità di esaminare le competenze che sono in anticipo rispetto

all‘età di un bambino oltre ai ritardi. Un altro strumento comune di valutazione, il M-ABC è uno

strumento di screening, specificamente progettato per identificare i bambini con difficoltà motorie.

Esso fornisce dei punteggi sulla compromissione, ma non fornisce informazioni sull‘abilità motoria

globale di un bambino. Recenti studi confrontano l'identificazione dei bambini con DCD,

riportando bassi livelli di accordo tra questi strumenti. Il M-ABC tendeva ad identificare una più

elevata proporzione di bambini con disprassia rispetto alla BOTMP e il M-ABC può penalizzare i

bambini con problemi di attenzione (Crawford S, Wilson B, Dewey D., 2001). Ma questo

argomento verrà trattato nei prossimi capitoli. Ciò che queste differenze rappresentano ed il loro

collegamento agli altri processi neurologici e neuropsicologici (come l'attenzione), resta da

esplicitare. Davis et al. ha esaminato l'impatto del DCD in un gruppo di 210 bambini ELBW

(1000g) o molto pretermine (meno di 28 settimane di gestazione). Questi bambini sono stati valutati

utilizzando la M-ABC dagli 8 ai 9 anni e il DCD è stato definito con un punteggio di disabilità

inferiore al quinto percentile. Venti bambini pretermine (9,5%) avevano DCD. Confrontando i

gruppi ci sono state differenze significative tra tutti gli indici intellettivi, oltre al rendimento nella

lettura, nell‘ortografia e nella matematica. Chiaramente, i bambini pretermine con insufficienza

motoria mostrano un rendimento scolastico più scarso. Inoltre questi dati suggeriscono che, più le

difficoltà motorie diventano severe, più vengono trovate ampie differenze cognitive. Oltre la metà

dei bambini con DCD ha avuto un ritardo concorrente di alfabetizzazione e / o di numerazione. Ciò

è coerente con i dati campioni che mostrano che la co-disabilità motoria si verifica in oltre il 50 per

cento dei bambini con difficoltà di apprendimento (Kaplan B et al., 1998). Mentre i risultati dei

compiti intellettuali e di rendimento più inadeguati sono stati evidenziati nei bambini prematuri con

disprassia, la conferma dei problemi motori e di apprendimento non sono mai stati esplicitamente

segnalati. Wocadlo e Rieger (2008) hanno dimostrato che come la disabilità motoria diventa più

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Miracolo Roberta – Disprassia, organizzazione motoria ed esercizio in età evolutiva

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grave, così vi è un aumento nella complessità degli insuccessi, con più bambini che mostrano

difficoltà multi-dominio. Il tasso di co-morbidità trovato in questo studio suggerisce che una parte

significativa di bambini prematuri troveranno problemi nella vita scolastica. Essi avranno bisogno

di sostegno per acquisire la fiducia nelle competenze accademiche e motorie e per evitare dei rischi

nei rapporti sociali (Schoemaker M, Kalverboer A., 1994) e nello sviluppo emotivo (Losse A. et

al., 1991). In uno studio comparativo di disprassia motoria, Barray et al. (2008) decidono di

confrontare e contrastare le differenze tra disprassia dello sviluppo (gruppo DVLT) e la disprassia

conseguente alla nascita prematura (gruppo AP). I ricercatori francesi hanno valutato 3 differenti

domini, quello attentivo-esecutivo, quello senso-motorio e quello visuo-spaziale attraverso la

batteria Nepsy e quella di Pundue. Quest‘ultimo è un test che misura la destrezza digitale e manuale

e le abilità che rientrano nel dominio senso-motorio. Il Nepsy è una batteria di valutazione

neuropsicologica dei bambini dai 3 ai 12 anni. Esso è costituito da un insieme di sottotest che

possono essere combinati in maniera diversa, secondo i bisogni e le competenze dei bambini. Al

termine della valutazione i due gruppi avevano performance visuo-spaziali simili, le differenze tra il

gruppo DVLT e quello AP appaiono nei test della funzione attentiva-esecutiva ed in qualche test

sensomotorio, con performance migliori dei bambini del gruppo DVLT in tutte le situazioni

somministrate. Le problematicità esibite dai bambini nati prematuri (scarso controllo motorio degli

arti superiori, disprassia più severa e presenza di indebolimento oculo-motorio) possono spiegare le

scarse esecuzioni relative ai bambini con disprassia dello sviluppo. Infatti la disabilità oculo-

motoria porta, probabilmente, ad un indebolimento nelle performance dei test dell‘attenzione

visuale e dell‘accuratezza visuo-motoria. In queste due situazioni le performance dei bambini nati

prematuri erano peggiori. Dai risultati di questo studio si può dedurre che anche se i gruppi di

bambini presentavano alcune somiglianze nella valutazione delle prestazioni delle tre aree, le

prestazioni particolarmente mediocri dei neonati prematuri sono legate alla loro difficoltà di prassia.

Altri studi supplementari sono necessari per verificare l'assenza di problemi di controllo motorio,

l'impatto della patologia sulle prestazioni oculomotorie nei test di attenzione visiva e motoria visiva

e il chiarimento di una comorbilità. Inoltre, il confronto di queste ―disprassie‖ dalle origini

differenti dovrebbero essere perseguiti affrontando altri domini (conseguenze funzionali sulle tasse

scolastiche, la vita quotidiana, i mezzi di efficacia terapeutica, ecc).

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Miracolo Roberta – Disprassia, organizzazione motoria ed esercizio in età evolutiva

~ 64 ~

2.5- DISPRASSIA E CERVELLETTO

Sono state proposte un certo numero di spiegazioni neuropsicologiche sul concorso delle difficoltà

motorie e di apprendimento. Una risposta che riceve un considerevole sostegno implica il

funzionamento del cervelletto. Tradizionalmente il cervelletto viene accettato come un settore

connesso al controllo motorio e alla capacità di apprendere sequenze motorie complesse. In genere

le difficoltà di equilibrio o di coordinazione sono visibili. Recenti studi hanno esteso il contributo

del cervelletto ai domini cognitivi e di linguaggio. È stato dimostrato che i bambini con problemi di

lettura hanno marcate disabilità nei test di coordinazione motoria. Un'alta percentuale di bambini

dislessici mostrano prove comportamentali anormali della funzione cerebellare sulla stima del

tempo, dell‘equilibrio ed anche classici segni cerebellari di distonia (Nicolson R, Fawcett A, Dean

P., 2001). Le prove degli effetti dell‘ipossia sulla struttura del cervelletto e l‘immaturità del sistema

nervoso nelle nascite premature possono essere visti sia negli studi sugli animali che in quelli sugli

umani. Utilizzando un modello di feto di pecora, hanno riscontrato che brevi periodi di ipossia

vicino alla metà della gestazione ha portato a cambiamenti nella sostanza bianca corticale, una

riduzione nelle cellule di Purkinje, un ritardo nella crescita dei processi neuronali nel cervelletto e

la proliferazione dei vasi sanguigni (Rees S., 1998). In alcuni studi sull'uomo, che utilizzano la

risonanza magnetica (MRI), Limperopulos et al. (2005) ha dimostrato che dalle 28 settimane al

termine della gestazione la crescita del cervelletto avviene rapidamente. Quando si confrontano il

volume del cervelletto dei neonati nati a termine rispetto a quello dei bambini pretermine, questi

ultimi sono notevolmente più piccoli. Gli autori hanno suggerito che lo sviluppo cerebellare è

ostacolato durante le prime settimane di vita prematura, in assenza di dimostrabili lesioni

cerebellari o cerebrale. Queste differenze continuano ad essere viste più tardi nella vita. Allin e coll.

(2001) hanno esaminato le dimensioni del cervelletto negli adolescenti nati prima delle 33

settimane di gestazione e hanno confrontato le scansioni MRI e i risultati dello sviluppo

neurologico dei controlli, a 8 e a 14-15 anni. I soggetti prematuri hanno volumi cerebellari ridotti

significativamente rispetto ai controlli, anche dopo l‘aggiustamento dei possibili fattori confondenti

come il volume intero del cervello, il sesso e classe sociale. Ci sono associazioni significative tra la

diminuzione del volume cerebellare e la scarsa funzione esecutiva, visuo-spaziale e del linguaggio.

A 14-15 anni il volume del cervelletto era significativamente associato alla capacità di lettura. In

questo studio oltre la metà dei bambini con DCD ha mostrato un problema ricorrente nel

rendimento. Inoltre i bambini del gruppo DCD, alla nascita, hanno avuto il supporto di ventilazione

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Miracolo Roberta – Disprassia, organizzazione motoria ed esercizio in età evolutiva

~ 65 ~

meccanica, suggerendo la possibilità di disordini in ossigenazione e potenziali eventi ipossici.

Infine, i bambini nati in gravidanze precoci hanno mostrato abilità motorie più scarse. Questi

risultati possono riflettere l‘ostacolato sviluppo del cervelletto in molti bambini prematuri, portando

ad effetti pervasivi nei compiti scolastici e motori. Tuttavia, i cambiamenti nel cervello dei bambini

pretermine hanno dimostrato di essere estesi, per cui isolare una sola regione del cervello come

causa dei complessi problemi di apprendimento può risultare troppo precipitoso. Le lesioni della

sostanza bianca sono rilevate dall‘ecografia cranica nelle prime settimane di vita ed è per questo

motivo che i bambini trattati solo con ultrasuoni potrebbero essere apparentemente normali, se non

fosse utilizzata anche la MRI, individuando precisamente il danno al cervello (Inder T. et al. 2003).

Nei bambini prematuri senza danno neurologico, le insufficienti prestazioni motorie possono

derivare da adattamenti diversi a quello dell‘ambiente extrauterino dove alcuni stimoli come la

gravità, il rumore, il dolore, la luce e la manipolazione sono introdotti in un sistema nervoso ancora

troppo immaturo (De Groot L., 2000). Inoltre, dato che le fibre muscolari a contrazione veloce si

sviluppano nel neonato solo dopo 30 settimane di gestazione (Keller H., 2000), gli aspetti delle

prestazioni motorie in molti bambini prematuri possono essere influenzati da variazioni dello

sviluppo muscolare mentre sono in terapia intensiva neonatale. Tutti questi cambiamenti possono

comunque influire negativamente sull'apprendimento motorio e sullo sviluppo neurologico del

bambino.

- OVERVIEW DEGLI ARTICOLI PIU’ IMPORTANTI DEL CAPITOLO

ANNO-AUTORE INDAGINE RISULTATI FONTE BIBLIOGRAFICA

1980- Roland et

al.

Il lobulo parietale

superiore è fondamentale

per l‘integrazione delle

informazioni visive e\o

somato-sensoriali nella

selezione del movimento.

Hanno riferito che

quando i soggetti

muovevano il dito indice

per seguire un labirinto, il

flusso ematico cerebrale

regionale (rCBF) era

maggiore nelle aree

premotorie, in quelle

supplementari motorie,

nelle regioni parietali

superiori ed inferiori.

JOURNAL OF

NEUROPHYSIOLOGY

Il tempo di risposta

motoria è un aspetto

Hanno separato i bambini

goffi in due gruppi, uno

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Miracolo Roberta – Disprassia, organizzazione motoria ed esercizio in età evolutiva

~ 66 ~

1991- Lundy-

Ekman et al.

importante del controllo

motorio in quanto

permette ai muscoli di

essere attivati in sequenza

ordinata.

con disfunzione ai gangli

della base e l‘altro al

cervelletto. Quest‘ultimo

mostrava limitazioni nel

controllo della forza e

nella risposta motoria.

JOURNAL OF

COGNITIVE

NEUROSCIENCE

1992- Larkin &

Hoare

Hanno elaborato la teoria

del ritardo dello sviluppo

come possibile causa

eziologica della

disprassia.

I bambini con scarse

competenze motorie

raggruppati nello studio,

avevano una forma di

ritardo dello sviluppo.

In SUMMER (Ed.)

Approaches to the study of

motor control and learning

1996- Tanaka et

al.

Sono presentati tre

pazienti con interruzione

del corpo calloso che

hanno mostrato

comportamenti motori

anomali della mano,

dissociata dalla volontà

cosciente.

Il confronto delle MRI

dei tre pazienti con quelle

di cinque pazienti che

non hanno sviluppato

disprassia a seguito di un

infarto al corpo calloso,

ha rivelato che i danni

alla parte posteriore o

ventrale del corpo calloso

sono cruciali nello

sviluppo della disprassia.

BRAIN

1998- Wilson &

Mckenzie

Hanno esaminato le

relazioni dell‘approccio

IP (Elaborazione delle

Informazioni) nel DCD

dal 1963 al 1996. Tale

teoria presuppone che ci

siano fasi distinte tra

presentazione dello

stimolo e la risposta

motoria.

La loro meta-analisi ha

riscontrato che molti

bambini con DCD erano

particolarmente scarsi

nell‘elaborazione visuo-

spaziale, nella percezione

cinestetica e cross-

modale.

JOURNAL OF CHILD

PSYCOLOGY AND

PSYCHIATRY

2000- Wolpert &

Ghahramani

La modellazione

computazionale nel

controllo vede il cervello

come un sistema di

elaborazione dei segnali

sensoriali e dei comandi

motori.

I modelli interni avanzati,

che vanno dai comandi

motori a quelli sensoriali,

garantiscono stabilità al

sistema motorio per

predire il risultato dei

movimenti lenti.

NATURE

NEUROSCIENCE

2001- Gilger &

Kaplan

Hanno proposto un nuovo

quadro diagnostico che

comprende lo sviluppo

del cervello e i disturbi

dello sviluppo, superiore

all‘ipotesi di MBD,

ovvero la teoria dello

sviluppo atipico del

cervello (ABD).

Utilizzando il termine

―ombrello‖ ABD, si

elimina la necessità di più

diagnosi. Va notato, però,

che la teoria non fornisce

una visione completa

sull‘eziologia dei

disturbi, ma riflette il

solo fatto di essere un

tipo di disturbo causato

da uno sviluppo cerebrale

atipico.

DEVELOPMENTAL

NEUROPSYCOLOGY

2001-

Attraverso una serie di

studi destinati ad

I bambini con disprassia

hanno un deficit nella

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Miracolo Roberta – Disprassia, organizzazione motoria ed esercizio in età evolutiva

~ 67 ~

Katschmarsky et

al.

esplorare l‘elaborazione

visuospaziale nei bambini

con DCD, è stata

elaborata un‘ipotesi di

Deficit di Modellamento

Interno (IMD).

capacità di utilizzare con

precisione i modelli

interni di controllo

motorio.

EXPERIMENTAL BRAIN

RESEARCH

2001- Allin et al.

Hanno esaminato le

dimensioni del cervelletto

negli adolescenti nati

prematuri ed hanno

confrontato le MRI all‘età

di 8 e 14 anni.

I soggetti prematuri

hanno volumi cerebellari

significativamente ridotti

rispetto ai controlli. Ci

sono associazioni

evidenti tra la

diminuzione del volume

cerebellare e la scarsa

funzione esecutiva e

visuo-spaziale.

BRAIN

2003- Cantell,

Smyth e Ahonen

Hanno seguito dei

bambini individuati sulla

base del ritardo dello

sviluppo motorio, prima a

5 anni e poi dopo 10 anni.

La teoria del ritardo delo

sviluppo non è accettata

come una possibile causa

della disprassia perché i

bambini identificati come

aventi disprassia

nell‘infanzia non hanno

più segni di deficit

motorio in adolescenza.

HUMAN MOVIMENT

SCIENCE

2004- Tupper &

Sondell

Hanno verificato la teoria

MBD (Minimal Brain

Dysfunction) resa nota

nella metà del 20° secolo.

La sindrome MBD è stata

usata per spiegare le

ridotte capacità motorie

in quei bambini che

avevano lievi disfunzioni

cerebrali e che

presentavano

disattenzione e scarsa

coordinazione motoria.

THE GUILFORD PRESS

A Neuropsycological

Prospective

2008- Wocadlo &

Rieger

Hanno esaminato un

campione di 323 bambini

nati prematuramente

(E.G. >30 settimane)

all‘età di otto anni.

Più del 50% dei bambini

ELBW (>1000g) ed il

34% dei bambini VLBW

(1250g) hanno mostrato

un indebolimento

motorio pur non avendo

disturbi neurologici

sensoriali o intellettuali.

EARLY HUMAN

DEVELOPMENT

2008- Barray et al.

Hanno impostato uno

studio comparativo per

confrontare un gruppo di

bambini con disprassia

evolutiva ed un altro con

disprassia conseguente a

nascita prematura.

Le performance dei

bambini nati prematuri

erano peggiori rispetto ai

bambini con disprassia

evolutiva, nei test della

funzione attentiva-

esecutiva ed in qualche

test senso motorio.

ANNALES DE READAP.

ET DE MEDICINE

PHYSIQUE

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Miracolo Roberta – Disprassia, organizzazione motoria ed esercizio in età evolutiva

~ 68 ~

Capitolo 3

LA COMORBIDITA’ NELLA DISPRASSIA

Dopo aver analizzato gli approcci e i metodi utilizzati dai ricercatori per la classificazione e

l‘eziologia della disprassia, si può appurare che essa è un disturbo eterogeneo la cui presentazione

differisce per molti aspetti tra cui: la gravità e le difficoltà motorie; i pattern delle performance nei

domini cognitivi, motori e comportamentali che possono manifestarsi in forma pura o in

comorbidità; e i diversi background dei soggetti come fattori genetici o problematiche perinatali.

La mancanza di univocità della terminologia rende ancora più difficile l‘inquadramento del

disturbo, ma recenti ricerche dimostrano che la maggior parte dei soggetti che presentano la

disprassia dello sviluppo, sono colpiti anche da altre patologie come ad esempio dalla sindrome di

Asperger, Autismo, ADHD, disturbi di apprendimento e del linguaggio e ritardo mentale, e solo nel

46% la disprassia si manifesta in forma pura, infatti la comorbidità è divenuta più una regola che un

eccezione. Andiamo ad esaminare nello specifico le caratteristiche di queste patologie associate al

DCD e le conseguenze che ne scaturiscono da tali relazioni.

3.1- ADHD E DISPRASSIA

L'associazione tra disturbi motori e altre disabilità nasce con il concetto, precedentemente citato, di

disfunzione cerebrale minima (MBD) nel 1970 (Bruininks RH, 1978; Gillberg C, Rasmussen P,

1982; Taft LT, 1989). Il MBD, inizialmente, si credeva fosse una combinazione di diversi deficit

dello sviluppo neurologico, tra cui disattenzione, iperattività, scarse abilità visuo-motorie e

goffaggine. I bambini con MBD spesso mostrano una serie di deficit motori minori in sede d'esame,

comunemente denominati lievi segni neurologici. Questi sintomi si sono evoluti in natura e sono

migliorati con l'età, ma erano più frequenti nei bambini con MBD. I concetti di MBD e segni lievi,

da allora, sono in disuso e sono stati sostituiti da una nuova terminologia (ad esempio, l'ADHD,

DCD).

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Miracolo Roberta – Disprassia, organizzazione motoria ed esercizio in età evolutiva

~ 69 ~

3.1.1- UN DEFICIT TRA PERCEZIONE VISIVA E MOVIMENTO

Nel 1982, Christopher Gillberg, una psichiatra infantile svedese, controllò 3.448 bambini di 6 anni

per deficit motori, percettivi e di attenzione (Gillberg, Ramussen, 1982). In seguito creò una nuova

diagnosi che era essenzialmente una ricreazione del MBD e la chiamò disfunzione di attenzione, del

controllo motorio e della percezione (DAMP). Gillberg ha continuato a condurre uno studio

longitudinale su questi bambini (Hellgren L, Gillberg C, Gillberg IC, et al., 1993) e continua ad

utilizzare la classificazione DAMP. I suoi dati hanno dimostrato che la stragrande maggioranza dei

bambini con deficit di sviluppo neurologico grave dovevano avere almeno due aree coinvolte.

Alcuni pediatri nel Regno Unito hanno aderito alla teoria di Gillberg secondo la quale il vero

ADHD non esiste senza la concomitanza di deficit motori e percettivi. Uno studio clinico

prospettico interdisciplinare degli Stati Uniti (Blondis TA, Roizen NJ, Fishkin J, et al., 1995) ha

trovato che meno di un terzo di 477 pazienti con diagnosi di ADHD riscontava anche i criteri per il

DCD. Questo studio tende a contestare gli accertamenti di Gillberg, perché meno di un terzo di

questi pazienti avevano ADHD e DCD o ADHD e un deficit visivo-motorio. Molti di questi

bambini, tuttavia, avevano anche un disturbo compulsivo del comportamento o difficoltà di

apprendimento. Solo un terzo dei bambini aveva ADHD isolato. Pertanto, questo studio rafforza

effettivamente la conclusione postulata da Gillberg, in cui i casi gravi di DAMP hanno un'alta

incidenza di molteplici deficit dello sviluppo neurologico. Durante la scuola materna e le prime

classi elementari, molti bambini con ADHD ma senza DCD possono ancora apparire goffi. Ciò è

strettamente correlato alla disattenzione e all‘ impulsività (come l'incapacità di fermarsi, di

guardare e di ascoltare) e poi con la scarsa coordinazione motoria. Come il bambino con ADHD

cresce, diventa troppo grande per lui anche la goffaggine e di fatto potrebbe fare bene nello sport,

ma non è il caso dei bambini con ADHD e DCD. Questi bambini continuano ad essere goffi, e la

loro goffaggine di solito è aggravata proprio dalla loro disattenzione. Alcuni neurofisiologi hanno

proposto un sistema di feedback sensoriale per spiegare il rapporto tra la sensazione e il movimento

(Bairstow PJ, Laszlo, 1983). Il sistema di feedback sensoriale si basa sulla cinestesia e sulla

percezione del movimento per fornire tutte le informazioni, secondo per secondo, sulla posizione

delle parti del corpo nello spazio. Questo feedback continuo produce le sequenze di movimento

integrato. Diversi studi hanno valutato il ruolo dei fattori di produzione cinestetica sia nei bambini

goffi che nei bambini normali (gruppo di controllo). Bairstow e Laszlo (1983) hanno riportato un

deficit di sensibilità cinestesica tra i bambini goffi e hanno concluso che le prestazioni degli atti

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motori specializzati dipendono proprio dalla cinestesia. Un altro studio controllato prospettico

(Hoare D, Larkin D, 1991) sui bambini goffi, però, non era in grado di duplicare le differenze

trovate da Bairstow e Laszlo. Uno studio di Lord e Hulme (1987) ha dimostrato però che il test di

sensibilità cinestesica non fa distinzione tra il gruppo di bambini goffi e il gruppo di controllo di

pari età. Per cui hanno concluso che il sistema visivo è più responsabile della goffaggine di quanto

ne sia la cinestesia. La relazione tra input cinestetici e bambini con DCD rimane, comunque, ancora

incerta e molti ricercatori continuano ad aderire alle conclusioni di Bairstow e Laszlo. Data la

recente ricerca clinica, non vi è dubbio che la cinestesia svolga un ruolo importante nel movimento

motorio, ma non è chiaro se la compromissione dei feedback rappresenti il principale deficit che

provoca il DCD. I bambini con difficoltà di apprendimento e ADHD hanno spesso problemi motori

associati (Bruininks VL, Bruininks RH, 1977). Walton et al. (1965) ha trovato che i bambini goffi

con disprassia evolutiva avevano un quoziente di intelligenza medio, ma erano presenti notevoli

divergenze tra le misure di intelligenza verbale e quelle di performance. Essi hanno concluso che

alcuni dei loro pazienti avevano insieme deficit percettivi e disprassia. Un cluster analysis (Blondis

TA, Roizen NJ, Snow JH, et al., 1997) di soggetti con DCD, ha esaminato se le misure quantitative

di intelligenza, di realizzazione e la funzione adattiva dimostravano proprietà che potrebbero

sottostare alla condizione di DCD. Gli stessi soggetti con DCD sono stati stratificati in due distinti

gruppi utilizzando due differenti programmi statistici. Il gruppo cluster più grande di DCD (n = 34)

aveva, nei test QI, una minima discrepanza verbale e di esecuzione. Nel gruppo più piccolo (n =

22), il quoziente d'intelligenza era più elevato e non vi era una maggiore discrepanza verbale e di

esecuzione. Ancora più sorprendente è stata la discrepanza tra il QI e il punteggio aritmetico

standard, ma in questo gruppo non è stato trovato il divario con le altre aree accademiche. Questa

analisi ha suggerito un legame diretto tra DCD, deficit percettivi e disabilità di apprendimento

dell'aritmetica.

In uno studio recente, Dewey e Crawford (2008) hanno esaminato come il funzionamento

percettivo visivo nei bambini con DCD può essere influenzato dalla compresenza di problemi di

apprendimento come la disabilità di lettura (RD), il disturbo da deficit di iperattività e / o di

attenzione (ADHD). Tra i partecipanti, vi erano sette gruppi di bambini: 27 bambini solo con DCD,

11 solo con ADHD, 14 solo con RD, 63 con DCD e almeno un altro disturbo (cioè, DCD + ADHD,

DCD + RD, DCD + ADHD + RD), e 73 controlli con sviluppo normale. Le capacità di percezione

visiva sono state valutate utilizzando il Test of Visual and Perceptual Skills (TVPS) e il Osterreith

Rey Complex Figur (ROCF). Nei bambini con DCD e almeno un altro disturbo, sono stati

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riscontarti impedimenti sul TVPS rispetto ai bambini con solo DCD, o solo ADHD, e ai controlli

con sviluppo normale, in particolare sulla valutazione dei test di memoria visiva. Sul ROCF, i

bambini con DCD e almeno un altro disturbo avevano punteggi significativamente inferiori ai

bambini con solo ADHD o solo RD. I bambini con DCD più un altro disordine sono stati

ulterirmente suddivisi in tre gruppi: DCD + ADHD, DCD + RD, e DCD + ADHD + RD e

confrontati con i bambini con solo DCD, solo ADHD, e solo RD. I risultati hanno indicato che i

bambini con DCD + ADHD + RD avevano svalutazioni significative sul TVPS rispetto ai bambini

con solo DCD e ai bambini con solo ADHD. Sul ROCF, i bambini con ADHD + DCD + RD hanno

avuto punteggi significativamente inferiori rispetto a tutti i gruppi, ad eccezione del gruppo DCD +

RD. Questi risultati suggeriscono che il DCD da solo non è associato a problemi di percezione

visiva, anzi, una possibile chiave per spiegare il deficit percettivo-visivo nei bambini con DCD è la

presenza di concorrenti nei disordini. Il numero di compresenza dei disturbi, presenti con il DCD, è

associata alla gravità della disfunzione visiva percettiva. Il deficit nella capacità di memoria visiva

sembra essere una specifica area di difficoltà nei bambini con DCD e coesistenza di RD e / o

ADHD. I bambini con deficit nelle competenze motorie specifiche sono indicati nel disturbo dello

sviluppo del coordinamento (DCD) (American Psychiatric Association, 1994). Questi bambini

possono dimostrare deficit motori praticamente in ogni dominio motorio. Essi tendono a lavorare

più lentamente rispetto ai loro coetanei con sviluppo tipico (Missiuna e Pollock, 1995;. Schoemaker

et al, 2001) e la loro performance nei compiti che richiedono movimenti rapidi e accurati

goal-directed, è spesso compromessa (Huh, Williams, e Burke, 1998; Johnston, Burns, Brauer, e

Richardson, 2002; Schoemaker et al, 2001). Gli studi che hanno esaminato le capacità percettive

visive, come la discriminazione di forma, superficie, pendenza, modello, lunghezza della linea, le

dimensioni e la costanza, hanno riferito che i bambini con DCD erano meno abili dei bambini con

sviluppo tipico (Henderson, Barnett, e Henderson,1994; Hulme & Lord, 1986; Hulme, Smart, e

Moran, 1982; Hulme, Smart, Moran, e McKinlay, 1984; Snowling & Hulme, 1992). Anche quando

la componente motoria è stata rimossa dai test di percezione visiva, i bambini con disprassia sono

risultati meno abili (Parush, Yochman, Cohen, e Gershon, 1998). Sulla base della revisione della

letteratura esistente, Wilson e McKenzie (1998) hanno riferito che i bambini con DCD erano più

scarsi rispetto ai bambini di controllo su quasi tutte le misure di elaborazione delle informazioni e il

più grande deficit è stato evidenziato nel settore della trasformazione visivo-spaziale. Questi deficit

sono risultati essere più pronunciati nelle attività percettive visive che richiedevano una risposta

motoria, tuttavia, la debilitazione è stata trovata ancora nei compiti percettivi visivi, senza risposte

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motorie. Hanno concluso che le abilità percettive visive sembrano essere una determinata area di

deficit nei bambini con DCD (Wilson & McKenzie, 1998). In aggiunta alle difficoltà percettive

visive, i bambini con DCD spesso presentavano compresenza di altri disturbi dello sviluppo

neurologico (Dewey & Wilson, 2001; Kaplan, Wilson, Dewey, e Crawford, 1998). E 'stato stimato

che la sovrapposizione tra DCD e disturbo da deficit di attenzione / iperattività (ADHD) è di circa il

50% (Kadesjo & Gillberg,1998; Pitcher, Piek, & Hay, 2003). Simili livelli di concorrenza sono stati

segnalati tra DCD e disabilità di lettura (RD) (Kaplan et al., 1998). Nonostante gli alti tassi di

comorbidità tra questi disturbi dello sviluppo neurologico, pochi studi hanno esaminato se i

bambini con solo DCD, ADHD, difficoltà di apprendimento o di lettura differiscono da bambini

con più di uno di questi disturbi dello sviluppo, in termini di funzionamento percettivo visivo. Altri

studi condotti da Pitcher e colleghi, hanno riportato che i bambini con DCD e ADHD hanno

mostrato deficit significativi nell‘organizzazione percettiva, nei tempi, nel controllo della forza e

nella velocità di elaborazione rispetto ai bambini con solo ADHD (Piek & Pitcher, 2004;. Pitcher et

al, 2003). Invece Jongmans, Smits-Engelsman, e Schoemaker (2003) hanno trovato che i bambini

olandesi con comorbidità di DCD e difficoltà di apprendimento (LD) mostrano difficoltà percettive

motorie più severe dei bambini con solo DCD, particolarmente nei compiti di destrezza unimanuale

o di equilibrio. Nello studio di Dewey e Crawford (2008) è stato notato che i bambini con solo

DCD o ADHD o LD differiscono dai bambini con altre combinazioni di questi disordini dello

sviluppo nella severità e nei pattern delle disfunzioni percettivo-motorie. Comunque è stato

riportato che nei bambini con ADHD la presenza di comorbidità dei disordini ha un impatto

significativo sul comportamento e sulla cognizione (Crawford, Kaplan, & Dewey, 2006).

Specificatamente è stato trovato che nei bambini con ADHD, le scarse performance nei test di

memoria e delle capacità visuo-motorie, la maggior parte dei problemi comportamentali e delle

disabilità nella vita di tutti i giorni, sono associati ad un alto numero di disordini compresenti.

Infatti il loro scopo principale era quello di investigare i deficit nelle capacità percettive motorie dei

bambini con DCD e determinare se questi deficit sono associati ad altri deficit neurologici, in

particolare RD e ADHD. Lo scopo secondario era di investigare se la severità dei deficit visuali

percettivi è associata al numero di disordini compresenti con il DCD e di indagare se nei bambini

con DCD e differenti tipi di disordini coesistenti, compaiono diversi pattern di difficoltà motoria ed

infine, di usare i deficit delle capacità percettive motorie per esaminare nuove ipotesi di

comorbidità di DCD, ADHD e RD. Pochi studi hanno affrontato la comorbidità di DCD, ADHD, e

RD, ma l'evidenza preliminare suggerisce che tale aspetto di questi disturbi è significativamente più

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frequente di quanto ci si sarebbe aspettati, se fossero scaturiti da eziologie indipendenti (Cruddance

& Riddell, 2006;. Kaplan et al, 1998). Wilson e McKenzie (1998) hanno concluso che le abilità

visivo-percettive sono state una determinata area di deficit nei bambini con DCD. I risultati del

presente studio suggeriscono, tuttavia, che il DCD, da solo non è associata a problemi percettivi

visivi. Piuttosto, la presenza di difficoltà percettive visive nei bambini con DCD sembra essere

associata al concorso di ADHD o RD. Coerentemente con i risultati di Jongmans et al.(2003), il

numero di co-disordini che si verificano è un fattore chiave per la gravità del deficit visivo

percettivo. I bambini con ADHD + DCD + RD hanno mostrato sempre di più deficit nelle capacità

percettive visive rispetto ai bambini con meno disturbi. Inoltre, il numero di disturbi compresenti

era collegato ai modelli di deficit motori visualizzati. In particolare, i bambini con ADHD + DCD +

RD hanno mostrato una significativa compromissione, in particolare sulle abilità con la palla (M-

ABC), nel coordinamento bilaterale e nel controllo motorio visivo (BOTMP) rispetto ai bambini

con meno disturbi. Questi risultati hanno riportato che i bambini con disprassia e difficoltà di

apprendimento o problemi di attenzione, mostrano gravi deficit nei compiti motori percettivi che

richiedono equilibrio dinamico e movimenti rapidi finalizzati all‘obiettivo (task-oriented)

(Jongmans et al., 2003). Inoltre, queste differenze non sembrano siano dovute al quoziente

intellettivo più basso trovato nei bambini con DCD in comorbidità. Le evidenze in letteratura

sembrano propendere per l‘ipotesi di una comune eziologia per quanto riguarda la coesistenza di

ADHD e RD (Willcutt et al, 2001;. Willcutt et al.,2005), tuttavia, all'aggiunta di DCD alla cornice,

si associa una maggiore complessità nell'interpretare i dati che riguardano la comorbidità dei

disturbi dello sviluppo. Il fatto che il DCD e almeno un altro disturbo sia più debilitante rispetto al

DCD da solo o al ADHD solo nei bambini, va contro l'ipotesi che suggerisce che avere un disturbo

crea un aumento del rischio per l'altro. Tra i bambini con ADHD + DCD + RD, le prestazioni nei

compiti di percezione visiva che non avevano una componente motoria (ad esempio, TVPS) sono

state sottovalutate, suggerendo che il deficit percettivo visivo nei bambini con ADHD e RD può

essere, almeno in parte, condiviso. Questi risultati non possono assolutamente escludere altre

ipotesi per quanto riguarda i disturbi compresenti, tuttavia, il modello è coerente con l'ipotesi

eziologica comune per l'ADHD e RD. Al contrario, quando sono state esaminate le prestazioni

percettive visive in un compito con una componente motoria (ad esempio ROCF), i nostri risultati

sono stati sopravalutati nel gruppo DCD + RD + ADHD, suggerendo che DCD, ADHD, e RD sono

disturbi indipendenti e non condividono un sottostante fattore di rischio cognitivo. Questa

mancanza di concordanza suggerisce che nei bambini con difficoltà motorie, i disturbi dello

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sviluppo hanno un'eziologia indipendente. Jongmans et al. (2003) riconosce che i propri risultati

hanno bisogno di essere confermati da altri studi, con la classificazione di LD e ADHD per bambini

sulla base delle valutazioni individuali. Dato che la presenza di almeno un disordine in aggiunta al

DCD ha avuto un impatto significativo sulla percezione visiva, clinici e ricercatori dovrebbero

essere avvertiti della necessità di indagare la presenza del concorso dei disturbi nei bambini con

DCD. Questi risultati supportano il lavoro di Piek e Brocca (2004) e suggeriscono che negli studi

sui disturbi dello sviluppo, i bambini con DCD e disturbi compresenti dovrebbero essere separati

dai bambini con solo DCD, per non confondere i risultati nei compiti che richiedono competenze

percettive visive. Questa separazione è essenziale anche nella progettazione di programmi di

trattamento efficaci per i bambini con varie combinazioni di disturbi dello sviluppo (Piek & Pitcher,

2004). L‘ ignorare la potenziale influenza di fattori confondenti nei disordini coesistenti sul DCD,

può essere la ragione per cui i risultati della ricerca fino ad oggi sono stati spesso poco chiari e

contraddittori (Piek & Dyck, 2004). La chiave per districare il concorso di DCD, ADHD, e RD può

derivare da futuri studi di ricerca genetica come quella attualmente in corso sull'esame

dell'associazione tra queste tre patologie usando l‘Australian Twin Registry data (Martin et al.,

2007). In conclusione, quando DCD, ADHD, and RD concorrono insieme, le difficoltà di

percezione visiva visualizzate dai bambini erano più severe, rispetto alle singole patologie in

isolamento. Una diagnosi singola di DCD o ADHD o RD, non è risultata essere associata al deficit

visivo percettivo. Piuttosto, era la presenza di disturbi concomitanti con il DCD che sembrava

essere la chiave del deficit percettivo visivo nei bambini con DCD; maggior è il numero di disturbi

―concorrenti‖, più grave è la disabilità osservata.

3.2- COMORBIDITA’ NELL’AUSTISMO

L‘indebolimento delle performance in abilità gestuali, in riferimento alla disprassia, è

coerentemente segnalata nei bambini autistici, tuttavia la sua base neurologica non è ben compresa.

I deficit delle capacità motorie di base sono osservati anche nei bambini con autismo e non è chiaro

se la disprassia osservata in questi ultimi è sufficiente per spiegare i problemi con le abilità motorie.

In uno studio recente (Di Carlo e Sechi, 2002), sono stati esaminati 47 bambini con ASD, autismo o

la sindrome di Asperger e 47 bambini con sviluppo tipico (TD). La valutazione fisica e neurologica

delle abilità fini prevedeva un esame delle abilità motorie di base ed un esame della prassia che

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comprendeva gesti a comando, per imitazione e utilizzando uno strumento. Dopo aver controllato

per l‘età ed il QI dei due gruppi, le abilità motorie di base divenivano un predittore significativo

della performance all‘esame della prassia. I deficit motori associati con l‘autismo sembrano essere

evidenti già nella prima infanzia, manifestandosi con problemi di sequenziamento dei movimenti

nel cammino o nella corsa. Nei bambini autistici più grandi, sono stati osservati problemi nel

controllo motorio di base, come scarso coordinamento (assiale e degli arti), scarso controllo

posturale, velocità di risposta lenta, andatura goffa e tono basso. E‘ stato molto evidente

l‘indebolimento nell‘imitazione dei gesti motori specializzati, portando alcuni ricercatori a

suggerire che l‘imitazione alterata può essere una caratteristica fondamentale della sindrome

autistica, contribuendo allo sviluppo abnorme di funzioni critiche nello sviluppo sociale e

comunicativo, come l‘empatia, l‘attenzione congiunta e la teoria della mente (Rogers et al., 1991).

Altri studiosi hanno, invece, ipotizzato che l‘autismo potrebbe essere correlato ad anomalie del

sistema dei neuroni specchio, critico per l‘imitazione, e associato al deficit del riconoscimento di sé

(Williams et al., 2001). Ma un‘indagine completa dei gesti motori qualificati con un esame

tradizionale della prassia, rivela che i bambini con autismo mostrano deficit nelle prestazioni, non

solo durante l‘imitazione, ma anche in risposta al comando o utilizzando uno strumento (Mostofsky

SH, Dubey P, Jerath VK, 2006). Questi dati suggeriscono che l‘autismo può essere associato con un

deficit generalizzato della prassia, piuttosto che un disordine specifico dell‘imitazione. In un

contesto di sviluppo, la compromissione delle performance nelle abilità gestuali, compresi quelle

relative all‘imitazione, può essere secondaria ad anomalie dei circuiti frontale/parieto-sottocorticale,

aree importanti per l‘acquisizione delle rappresentazioni sensoriali del movimento e dei programmi

di sequenze motorie, necessarie per eseguirli. Alla luce di questi risultati è importante considerare

l‘associazione tra deficit delle abilità motorie di base e le ridotte prestazioni dei gesti motori

specializzati. Nei modelli tradizionali per adulti, i termini aprassia e disprassia sono riservati alle

persone che presentano una compromissione nella capacità di eseguire compiti motori qualificati,

nonostante la destrezza motoria sia relativamente normale. In contrapposizione alla letteratura per

adulti, i risultati dei bambini con sviluppo tipico (TD) e quelli con disordini nello sviluppo del

coordinamento, hanno rivelato un indebolimento della performance all‘esame della prassia

associato al deficit di coordinazione motoria (Dewey, 1993). Dato che i bambini con disturbi dello

spettro autistico (ASD), tra cui l‘autismo ad alto funzionamento e la sindrome di Asperger,

mostrano dei deficit anche nelle performance motorie di base. Una domanda riguardante

l‘associazione tra la coordinazione motoria di base e la disprassia nell‘autismo rimane: se gli errori

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disprassici commessi dai bambini con ASD sono attribuibili a questi deficit motori di base o essi

rappresentano una distinta compromissione del gesto? La scoperta che gli errori body-part-for-tool

(BPT), che rappresentano una percentuale maggiore di errori di prassia nei bambini con ASD

rispetto ai controlli, suggerisce una distinta compromissione del gesto che, probabilmente, non è

causa della compromissione dell‘intera esecuzione motoria. Questi errori si verificano quando il

partecipante utilizza una parte del corpo come uno strumento piuttosto che utilizzare la parte del

corpo per tenere lo strumento (ad esempio, quando gli viene chiesto di mostrare come si taglia con

le forbici, il soggetto muove le due dita in un movimento di sforbiciata, piuttosto che far finta di

tenere effettivamente le forbici in mano) (Mostofsky SH et al., 2006). In un ulteriore studio,

effettuato per approfondire questa associazione diretta tra deficit delle capacità motorie di base e la

disprassia nell‘autismo, di Dziuk et al. (2007) hanno esaminato la prestazione dei bambini con ASD

e quelli TD, in un esame tradizionale della prassia (il Florida Apraxia Screening Test adattato ai

bambini) e in un test delle abilità motorie di base (il Physical and Neurological Assessment of

Subtle Signs- PANESS). Gli autori hanno ipotizzato che i bambini con ASD avessero mostrato un

indebolimento nella performance di prassia rispetto alle competenze motorie di base, una volta

confrontati con il gruppo di controllo. L‘associazione tra deficit delle abilità motorie di base e la

disprassia nell‘autismo è stato ulteriormente studiato esaminando le correlazioni con il punteggio

dell‘ Autism Diagnostic Observation Shedule-G. Mentre i disordini di base delle capacità motorie e

la disprassia sono stati segnalati in altri studi, nessuno ha direttamente esaminato la relazione tra

questi risultati e le disabilità sociali, comunicative e comportamentali che definiscono il disordine

stesso. I risultati indicano che la disprassia nel gruppo ASD non può essere interamente dovuta a

disordini delle capacità motorie di base, infatti l‘associazione osservata tra abilità motorie di base e

performance della prassia non è stata sorprendente, così come l‘esame della prassia è, in parte,

valutata dalla funzione motoria degli arti. Ciò può indicare che le prestazioni ridotte dei gesti

specifici nell‘autismo siano, almeno parzialmente, la causa dei problemi con la coordinazione

motoria di base. In alternativa, l‘associazione può essere un‘indicazione che i deficit nelle abilità

motorie di base e la compromissione della prassia nell‘autismo sono epifenomeni o sintomi

secondari, ovvero che una comune anormalità neurologica contribuisce sia per i deficit delle

competenze motorie di base che per la disprassia osservata nell‘autismo. L‘autismo è un disordine

dello sviluppo pertanto, è improbabile che la disprassia sia dovuta alla perdita di competenze già

acquisite, piuttosto si tratta di un indebolimento nell‘apprendimento di sequenze motorie coinvolte

nelle performance di gesti qualificati. L‘apprendimento di sequenze motorie è alterato nei bambini

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con autismo ed è importante considerare le anomalie nei sistemi neurali coinvolti

nell‘apprendimento motorio, esso infatti si basa su un‘ampia rete di collegamenti neurali che

coinvolgono direttamente la corteccia frontale e quella parietale e le regioni subcorticali: gangli

della base e cervelletto. Particolarmente interessante è la scoperta sulla diminuzione delle cellule di

Purkinje nel cervelletto, fatta da studi post-mortem di autistici, che esorta la speculazione che le

anomalie del cervelletto o che le connessioni del cervelletto con le regioni parietali e frontali,

possano contribuire all‘indebolimento dello sviluppo delle abilità motorie (Bailey A, 1998).

Concludendo, questo studio suggerisce che la disprassia può essere una caratteristica fondamentale

dell‘autismo o un marcatore del deficit neurologico, che è alla base del disturbo.

3.2.1- I NEURONI SPECCHIO

Esiste, in molti soggetti autistici, una grave difficoltà a realizzare ogni nuovo gesto volontario

complesso, tanto più grave quanto più il gesto richiesto implica la frequente necessità di variare la

posizione reciproca dei diversi segmenti corporei, la direzione e la velocità del movimento atto a

raggiungere lo scopo. Questo è, appunto, il caso della scrittura manuale, dove la sequenza di piccoli

gesti volti a tracciare le singole lettere sul foglio varia in funzione delle parole da scrivere e tutto il

meccanismo deve essere rapido ed agevole, se si vuole ricordare il significato di quanto s‘intende

scrivere. Ma è anche il caso del linguaggio parlato, dove il numero di muscoli da mettere in

funzione e coordinare per pronunciare i diversi suoni nella giusta sequenza per formare parole è

impressionante. Nessuna meraviglia sul fatto che la disprassia negli autistici intralci e blocchi in

modo elettivo la vita sociale degli stessi. Ma la disprassia, per quanto ne sappiamo dagli studi fino

ad ora riportati, non colpisce il pensiero e neppure i sentimenti. Per cui un disprassico o un autistico

può essere intelligente e sensibile, anche se non può parlare in modo attendibile e anche se gli è

molto difficile riuscire a scrivere da solo. In connessione con questa sorta di blocco

nell‘apprendimento e nell‘esecuzione di nuove abilità, Williams et al. (2001) ha ipotizzato una

disfunzione nell‘area F5 dei neuroni specchio, la cui attività, in pochi termini, si estrinseca nella

codificazione delle azioni riprodotte dall‘altro. Postulando che l‘ipotesi più basilare sarebbe la

presenza di un errore o di una distorsione nello sviluppo del sistema dei neuroni specchio. Questo

potrebbe essere dovuto a cause genetiche o di altro tipo endogeno, a condizioni esterne avverse al

funzionamento dei neuroni specchio, o ad una qualche interazione tra questi. Tali fattori potrebbero

influire su tutti i gruppi di neuroni specchio o essere limitati solo a certi gruppi come quelli nella

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corteccia parietale. Non necessariamente ci deve essere un errore completo, ci potrebbe essere

anche solo un certo grado di ritardo o sviluppo incompleto. Considerando tutti i fattori elencati, la

disfunzione potrebbe prevenire o interferire con l‘imitazione o forse più fondamentalmente,

potrebbe portare alla non corretta formazione o coordinazione di specifiche rappresentazioni del sé

e dell‘altro che potrebbero essere alla radice della cascata dei problemi autistici. Questo di contro

può spiegare il mancato sviluppo di abilità sociali reciproche come l‘attenzione congiunta, il

riconoscimento di gesti e il linguaggio (soprattutto gli aspetti semantici e pragmatici, dove la prima

è lo studio delle parole e del loro significato, la seconda è lo studio di come il linguaggio, verbale e

non verbale, venga usato per interagire con gli altri nelle situazioni sociali) (Williams J, Whiten A,

Suddendorf T, Perrett D, 2001). Questo semplice modello di ―disfunzione dell‘imitazione‖

spiegherebbe, almeno in parte la relazione tra disprassia motoria ed autismo, dato che una è co-

condizione dell‘altra. Nello sviluppo del bambino, i neuroni specchio possono essere gli elementi

chiave che facilitano la precoce imitazione di azioni, lo sviluppo del linguaggio e la funzione

esecutiva.

3.3- DEGENERAZIONE CORTICO-BASALE

Nel 1999 Graham NL, Zeman A, Young AW, et al. hanno studiato il ruolo delle informazioni

visive e tattili in un paziente con disprassia ideomotoria e con degenerazione cortico-basale (CBD).

La differenza tra disprassia ideativa e ideomotoria è stata interpretata in diversi modi. Per esempio,

la disprassia ideativa è stata definita da alcuni ricercatori, come un indebolimento nella produzione

di gesti transitivi (quelli che utilizzano un oggetto, come il martello), mentre disprassia ideomotoria

è stata intesa come una compromissione dei gesti intransitivi (quelli che non implicano l‘uso di un

oggetto) (De Rienzi et al. 1986). Un altro modo di definire questi tipi di disprassia comporta un

deficit nell'uso di più oggetti (ideativa) rispetto ai singoli oggetti (ideomotoria). A causa di questa

confusione nell'uso dei vari termini, Graham et al. hanno scelto di adottare una distinzione

teoricamente più motivata, definita in termini di deficit nei sistemi di progettazione e di produzione

coinvolti nell'uso degli strumenti. Sotto questo aspetto, la disprassia ideativa è un disordine del

sistema concettuale che comprende la conoscenza delle funzioni dello strumento e delle azioni,

mentre la disprassia ideomotoria è un disordine del sistema di produzione che comprende i

programmi di azioni senso motorie, la generazione e il controllo del movimento. Studi di pazienti

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disprassici hanno dimostrato che la dissociazione in termini di prestazione può essere vista sotto

determinate condizioni di prova. Ad esempio, Ochipa et al. hanno documentato un paziente che

riesce a mimare le azioni dopo un comando, ma non ha potuto imitare le azioni mimate, mentre il

paziente disprassico studiato da Riddoch et al. potrebbe anche eseguire azioni di mimo al comando,

ma non è riuscito a compiere dei gesti (con la mano destra), corrispondenti agli oggetti presentati

visivamente. Altri pazienti con disprassia possono risultare insufficienti nel mimare le azioni, ma

essere comunque in grado di eseguire l'azione quando viene dato lo strumento giusto per l'uso,

anche se è stata documentata l‘incapacità selettiva dell‘utilizzo di uno strumento in associazione

alla relativa conservazione della capacità di mimare le azioni. Il miglioramento delle prestazioni

nell‘uso di oggetti reali potrebbe essere spiegata con diversi meccanismi. Sia De Renzi et al. che

Roy e Square hanno proposto che gli strumenti forniscono ulteriori informazioni che potrebbero

essere sia percettivi (visive e tattili) che contestuali. I ruoli delle informazioni visive e tattili

sull‘effetto della facilitazione nell'utilizzo dell'oggetto non sono stati sistematicamente esplorati, e

molte questioni restano da chiarire, tra cui il ruolo specifico delle informazioni tattili nella prassia,

così come la natura e l'importanza relativa alle informazioni visive e tattili. Allo stesso modo, anche

se alcuni modelli ipotizzano specifiche modalità di input percettivi (uditivo / verbale e visivo) al

sistema di produzione d'azione, la possibilità di un percorso di azione da input tattili ha ricevuto

scarsa attenzione. Litvan et al. (1997) studiò la capacità dei medici di diagnosticare la CBD e

venne rilevato che la disprassia ideomotoria (come individuato all‘esame neurologico) era uno dei

sintomi che prevedeva una diagnosi accurata, anche se non si specifica la natura della disprassia

stessa. Allo stesso modo, Rinne et al.(1994) ha scoperto che la disprassia è una "caratteristica di

rilievo precoce" nella CBD e che la forma ideomotoria è più comune della disprassia ideativa, ma

l'uso di questi termini è ambiguo. Pochi ricercatori hanno tentato di caratterizzare più

specificatamente la disprassia nella CBD. Pillon et al. (1995) ha mostrato che un gruppo di 15

pazienti con CBD era compromesso nell‘utilizzo di uno strumento, così come nel mimare e imitare

l‘utilizzo degli strumenti. Nello studio di sei pazienti con CBD, Jacobs et al. (1995) ha anche

trovato una grave compromissione della produzione del gesto in combinazione con il

riconoscimento del gesto stesso. Alcuni ricercatori hanno suggerito che la disprassia dell‘arto in

CBD può essere meglio definita come disprassia cinetica o mielocinetica dell‘arto, che è definita

come l'incapacità di compiere movimenti fini, ed è evidente quando si valutano i movimenti delle

dita (Moreaud et al., 1996\a). Coloro che hanno identificato questo deficit specifico nella CBD

riconoscono, tuttavia, che può coesistere con la disprassia ideativa e ideomotoria. Vale la pena

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Miracolo Roberta – Disprassia, organizzazione motoria ed esercizio in età evolutiva

~ 80 ~

notare che all'interno della letteratura della disprassia, lo status di disprassia cinetica dell‘arto è

controverso, dato che si afferma che non è veramente disprassia, in quanto nelle scimmie può essere

indotta da lesioni del tratto piramidale o cortico-spinale (Moreaud et al., 1996). Lo studio più

dettagliato sulla natura della disprassia nella CBD è stato fatto da Leiguarda et al. (1994), che ha

esaminato 10 pazienti usando una batteria di test, da cui ha ripreso la produzione e il

riconoscimento di movimenti transitivi e intransitivi, così come le sequenze di passi multipli. I

movimenti transitivi sono stati valutati in "modalità sia verbali, che visivi e tattili", ed i punteggi

sono stati sommati con quelli ottenuti sui movimenti intransitivi. I risultati indicano che sette dei 10

pazienti sono stati disprassici; tutti e sette hanno mostrato disprassia ideomotoria, che è stata

definita come la compromissione nella produzione di movimenti intransitivi o di movimenti

transitivi che coinvolgono un singolo oggetto. Tre dei pazienti affetti da disprassia ideomotoria

hanno anche mostrato una forma di disprassia ideativa (definita come la compromissione nelle

attività multiple), così come un indebolimento nella comprensione dei gesti. Gli altri quattro

pazienti affetti da disprassia ideomotoria hanno dimostrato una normale comprensione del gesto. Si

è pertanto concluso che la disprassia in CBD ha più probabilità di essere ideomotoria, e che si

verifichi spesso nel contesto di conservazione delle azioni. Lo scopo dello studio di Graham et al.

era duplice. In primo luogo, si voleva chiarire il ruolo degli input visivi e tattili nell‘azione

esaminando, in una serie di studi sperimentali, la facilitazione delle prestazioni motorie dimostrate

dai nostri pazienti quando utilizzavano oggetti reali. In secondo luogo, si voleva documentare, in

dettaglio, la natura della disprassia, nonché i risultati neuropsicologici e clinici, in un paziente con

degenerazione corticobasale. Infatti sono stati condotti 4 esperimenti che mettevano in condizioni

diverse il paziente, ad esempio nell'esperimento 1 è stato esaminato il ruolo degli input visivi. La

pantomima dell‘utilizzo dello strumento non è stata facilitata dalla visione dell'esaminatore mentre

eseguiva l'azione, o dal chiedergli di descrivere lo strumento, o dal guardare un disegno dello

strumento, o dal guardare lo strumento stesso. Solo tenendo lo strumento, il paziente ha avuto un

impatto significativamente positivo sulla capacità di dimostrarne l‘uso. Inoltre, una volta che il

paziente aveva eseguito con successo un gesto mentre si utilizza lo strumento, non era in grado di

continuare il movimento dopo che lo strumento era stato rimosso dalla sua presa. Ciò indica che le

informazioni visive non erano sufficienti per consentire al paziente di eseguire gesti, ciò ricorda

l'importanza degli input tattili. L‘esperimento 2 ha dimostrato che la rimozione delle informazioni

visive (utilizzando una benda sugli occhi) non ha influenzato l‘utilizzo dello strumento. Presi

insieme, questi risultati indicano che l'informazione visiva aveva poco impatto sulle prestazioni

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Miracolo Roberta – Disprassia, organizzazione motoria ed esercizio in età evolutiva

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motorie del paziente e che le informazioni tattili sono state fondamentali. L‘esperimento 3 ha

dimostrato che, almeno in qualche azione, le informazioni tattili fornite dal possesso di un oggetto

che non era uno strumento, ha aiutato il paziente ad eseguire l'azione con successo (per esempio,

utilizzare un bastone come uno spazzolino da denti, usare una pallina da golf come un rasoio, ecc.).

Questo suggerisce che, sebbene la mimica nell‘utilizzo dello strumento è stata facilitata da

informazioni tattili, le informazioni richieste potevano essere aspecifiche, così come alcuni degli

oggetti non corrispondevano alla forma del vero e proprio strumento associato all'azione richiesta.

Nell'esperimento finale, è stato riscontrato che il paziente era in grado di mimare l'uso di un

determinato strumento in modo appropriato a un altro strumento (ad esempio, utilizzando un pettine

come se fosse una penna). Il paziente ha identificato ogni strumento messo in mano, ed era quindi

in grado di prevedere l‘utilizzo dello strumento in modo adeguato, piuttosto che nel modo indicato.

La scoperta che le prestazioni motorie disprassiche possano incrementare anche le informazioni

tattili sono facilmente soddisfatte dai modelli che ipotizzano la presenza di input specifici nel

sistema produttivo dell‘azione. Questi modelli includono tipicamente input visivi e uditivi \ verbali,

che sono utili per spiegare la facilitazione o il pregiudizio nelle prestazioni motorie dei soggetti

disprassici in determinate condizioni. Questi quadri in genere non includono input tattili, anche se

ci sono eccezioni. I risultati presentati da questo studio, che forniscono uno specifico

miglioramento tattile delle prestazioni motorie, indicano che esiste un percorso tattile nella

produzione dell'azione, che può essere selettivamente conservato. Tale conclusione è però

contrastata dalla scoperta che l'itinerario tattile dell'azione può essere selettivamente danneggiato.

La performance di due dei pazienti disprassici studiati da De Renzi et al. era più compromessa

quando hanno manipolato gli oggetti, rispetto a quando ne hanno solo mimato l‘uso. Questo

modello è stato documentato da altri ricercatori (Motomura e Yamadori, Klein, 1994, citato in De

Renzi et al.). Motomura e Yamadori hanno indagato sul fatto che l‘uso dello strumento poteva

essere regolato da "una particolare classe di neuroni" ed hanno constatato un parallelo di ricerche

condotte sulle scimmie che documentano delle prove sui "neuroni mano-correlati al movimento",

che si trovano nella corteccia parietale posteriore e che si attivavano solo quando le scimmie

usavano strumenti reali. Ci sono almeno due meccanismi mediante i quali le informazioni tattili

potrebbero facilitare i gesti nei pazienti disprassici. In primo luogo, tenendo un oggetto esso

fornisce ovviamente un feedback cinestetico, che può supportare la corretta postura o la posizione

della mano in un gesto. E‘stato dimostrato che gli aggiustamenti posturali (involontari) sono fatti

prima dei movimenti del braccio, ed è stato suggerito che le informazioni cinestesiche possono

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Miracolo Roberta – Disprassia, organizzazione motoria ed esercizio in età evolutiva

~ 82 ~

aiutare a definire "il contesto posturale del gesto‖. Allo stesso modo, può essere che nell‘afferrare

un oggetto, il paziente sia incapace di orientare la sua mano nella direzione corretta, per cui fornisce

un supporto meccanico per mantenere la mano nella postura corretta, in modo da compiere il gesto

con successo. Poiché egli è incapace di proseguire immediatamente dopo che lo strumento viene

rimosso dalla presa, sembra che l‘essere nella posizione corretta non è sufficiente per consentirgli di

eseguire il gesto. Tuttavia, in questa ricerca, si ipotizza che l‘esatta posizione della mano non sia

critica, dato che spesso le prestazioni sono migliorate, quando gli oggetti afferrati differivano per

forma e dimensioni dall'oggetto corrispondente al gesto. Questo effetto non è del tutto non-

specifico, dato che il paziente non era totalmente capace di eseguire la pantomima di un gesto

specifico quando afferrava un altro strumento (vedi esperimento 4). Il secondo meccanismo

mediante il quale uno strumento potrebbe facilitare l‘esecuzione del gesto riguarda il contesto. Il

maneggiare uno strumento fornisce un contesto più naturale, rispetto al mimare semplicemente

l'uso. L'importanza del contesto nella performance motoria dei pazienti disprassici ha ricevuto

molta attenzione e può spiegare perché i deficit sono spesso più evidenti nel contesto povero di una

prova formale, che nella vita quotidiana.

3.4- DISPRASSIA E DISTURBI DI APPRENDIMENTO

Attualmente, il quadro clinico dei bambini con disprassia è ancora più complicato a causa della

frequente comorbidità con altri disturbi dello sviluppo (Dewey & Wilson, 2001; Geuze, Jongmans,

Schoemaker, e Smits-Engelsman, 2001; Henderson e Barnett, 1998). I due disordini in comorbidità

più comunemente menzionati sono il disturbo di attenzione (ADHD, citato nel paragrafo 3.1) e i

disturbi di apprendimento (LD). Ad esempio, il tasso di comorbidità tra DCD e ADHD è stato

segnalato di circa il 50% (Kadesjö & Gillberg, 1999; Landgren, Petterson, Kjellman, e Gillberg,

1996), e le stime per il tasso di comorbilità tra DCD e LD sono di una grandezza simile (Kaplan,

Wilson, Dewey, e Crawford, 1998; Lyytinen & Ahonen, 1989; Silva, McGee, & Williams, 1982).

In passato, il termine deficit di attenzione, del controllo motorio e della percezione (DAMP) è stato

applicato per descrivere i bambini con una combinazione di DCD e ADHD (Landgren, Kjellman, &

Gillberg, 1998). Inoltre, le tre condizioni (DCD, ADHD e LD) spesso mostrano comorbidità

(Dewey, Wilson, Crawford, & Kaplan, 2000). E 'interessante osservare che mentre in passato lo

sforzo è stato fatto per la definizione diagnostica delle categorie di bambini con disturbi dello

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Miracolo Roberta – Disprassia, organizzazione motoria ed esercizio in età evolutiva

~ 83 ~

sviluppo, attualmente l‘ondata corrente di comorbidità osservata ha ispirato alcuni ricercatori a

riconsiderare la validità dei disturbi dello sviluppo. Per esempio, come già citato nel primo capitolo,

Kaplan et al. (1998) ha posto la tesi che "non ci sono disturbi dello sviluppo identificabili, perché

sono tutti riflessi eterogenei dello sviluppo atipico del cervello (ABD) ". I bambini con solo DCD,

ADHD, o LD e i bambini con una combinazione di questi disturbi dello sviluppo differiscono l'uno

dall'altro in termini di gravità e di modalità della disfunzione percettivo-motoria, ma hanno ricevuto

scarsa attenzione. Solo uno studio si è posto la domanda, se i problemi percettivo-motori nei

bambini con DCD e nei bambini con ADHD e DCD (DAMP) condividessero un deficit di base

comune (Pereira, Landgren, Gillberg, e Forssberg, 2001). I bambini con solo DCD o DAMP sono

stati valutati in un compito che misurava il coordinamento della forza nella presa e della forza di

carico, richiesta mentre si alza un piccolo peso. E 'stato dimostrato che entrambi i gruppi sono

riusciti a raggiungere lo scopo relativo all‘età specifica nella forza di presa e nella forza di carico

per una sinergia presa-rilascio. Tuttavia, i bambini con DCD isolato non differiscono dai bambini

con combinazione di DCD e ADHD nel controllo della forza di presa, dimostrando gli stessi

problemi motorio-percettivi in entrambi i gruppi. I bambini con disturbo dello sviluppo del

coordinamento (DCD) hanno difficoltà ad imparare e a svolgere le competenze percettivo-motorie

appropriate all'età, in assenza di disturbi neurologici diagnosticabili. Molti studi descrittivi, ripresi

nei paragrafi precendenti, hanno dimostrato che la comorbidità del DCD esiste con deficit di

attenzione / iperattività (ADHD) e disturbi dell'apprendimento (LD). Lo studio di Jongmans et al.

(2003) ha esaminato le conseguenze della comorbidità di DCD e LD per la severità e per il modello

di disfunzione percettivo-motoria. Rispetto ai bambini con DCD senza LD, i bambini con

comorbilità DCD e LD hanno performance inferiori nella valutazione standardizzata delle abilità

percettivo-motorie. Inoltre, è emerso che i bambini con DCD combinato e LD hanno particolare

difficoltà nella destrezza manuale e nell‘esecuzione di compiti di equilibrio, ma non nei compiti di

abilità con la palla, per cui la comorbidità tra DCD e LD non riguarda solo la gravità della

disfunzione percettivo-motoria, ma è associata con uno specifico modello di disfunzione percettivo-

motoria. Il tasso di comorbidità tra DCD e LD osservato nello studio di Jongmans, in cui il 48% dei

bambini con DCD frequentano anche la scuola per l'educazione speciale, è simile al tasso riportato

in precedenza (Kaplan et al., 1998). Dal punto di vista inverso, il 36% dei bambini che frequentano

le scuole per bambini con bisogni educativi speciali, sono stati identificati come aventi DCD,

inoltre da questo studio si evince che anche se i bambini con DCD sono stati esclusi dal gruppo LD,

i bambini rimasti con solo LD avevano risultati significativamente più bassi rispetto ai bambini del

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Miracolo Roberta – Disprassia, organizzazione motoria ed esercizio in età evolutiva

~ 84 ~

gruppo DCD senza LD. Rispetto ai bambini con solo DCD o ai bambini con solo LD, le prestazioni

del dominio motorio dei bambini affetti da disfunzione percettivo-motorie concomitante a problemi

di apprendimento, sono stati maggiormente colpiti. Ne consegue che la comorbidità è un deterrente

per lo sviluppo e il miglioramento delle abilità motorie del bambino. Il modello di disfunzione

percettivo-motoria trovato in questo studio conferma i sintomi motori più citati nei bambini con

LD. Infatti questi bambini, quando gli viene richiesto di muoversi velocemente e con precisione,

non hanno avuto un punteggio elevato nella coordinazione mano-occhio, il che può essere la causa

dei problemi motori con una rapida elaborazione delle informazioni sensoriali in arrivo, che

supporta anche un‘ipotesi di deficit intraemisferico. Tuttavia, i problemi nei movimenti veloci e

fluenti e nell'equilibrio possono anche implicare il coinvolgimento del cervelletto. Concludendo, tra

i bambini con DCD, la presenza concomitante di LD non solo aumenta la probabilità di un basso

rendimento nei compiti percettivo-motori che fanno parte di molte delle attività motorie quotidiane,

ma comporta anche un distinto pattern di disfunzione percettivo-motoria caratterizzata da problemi

con i movimenti goal-directed veloci e con il mantenimento dell'equilibrio durante i movimenti.

Questi risultati sono a favore della distinzione di DCD e LD in categorie diagnostiche separate per

il momento, perché i bambini che soddisfano i criteri per questi disturbi dello sviluppo sono

chiaramente distinguibili in termini di abilità percettivo-motorie.

- OVERVIEW DEGLI ARTICOLI PIU’ IMPORTANTI DEL CAPITOLO

ANNO\AUTORE INDAGINE RISULTATI FONTE BIBLIOGRAFICA

1982- Gillberg &

Rasmussen

Controllarono 3.448 bam-

bini di 6 anni di età, per

deficit motori, percettivi e

di attenzione.

Creò una diagnosi

nuova, che era

essenzialmente una

ricreazione del MBD e

la chiamò disfunzione

di attenzione, del

controllo motorio e

della percezione

(DAMP).

JOURNAL CHILD

PSYCOLOGY &

PSYCHIATRY

1983- Brainstow

& Laszlo

Hanno proposto un sistema

di feedback sensoriale per

spiegare il rapporto tra la

sensazione ed il movi-

mento. Esso si basa sulla

cinestesia e sulla perce-

zione del movimento per

La discrepanza princi-

pale tra i bambini goffi

è data da un deficit di

sensibilità cinestetica

ed hanno concluso che

le prestazioni degli atti

motori specializzati

QUARTERLY JOURNAL

OF EXPERIMENTAL

PSYCHOLOGY

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Miracolo Roberta – Disprassia, organizzazione motoria ed esercizio in età evolutiva

~ 85 ~

fornire informazioni sulla

posizione del corpo nello

spazio.

dipende proprio dalla

cinestesia.

1995- Blondis et

al.

In questo studio prospettico

si evidenzia che su 477 pa-

zienti con diagnosi di

ADHD, meno di un terzo

riscontrva anche i criteri del

DCD.

Questo studio contrasta

i risultati di Gillberg,

perché meno di un

terzo dei soggetti aveva

ADHD e DCD. Ma è

anche emerso che solo

un terzo dei bambini

aveva ADHD isolato,

rafforzando la conclu-

sione che vi è

un‘elevata incidenza di

più deficit in comorbi-

dità

JOURNAL CHILD

PSYCOLOGY &

PSYCHIATRY

1999- Graham et

al.

Lo studio della comorbidità

nella degenerazione cor-

tico-basale (CBD), ha chia-

rito il ruolo degli input vi-

sivi e tattili nell‘azione.

Revisionando le ricer-

che precedenti, gli au-

tori hanno concluso che

la disprassia è ―una ca-

ratteristica di riliev pre-

coce‖ nel CBD.

JOURNAL OF

NEUROLOGY

NEUROSURGERY AND

PSYCHIATRY

2001- Williams et

al.

Hanno ipotizzato una di-

sfunzione dell‘area F5 dei

neuroni-specchio, la cui at-

tività si estrinseca nella co-

dificazione delle azioni ri-

prodotte dall‘altro.

Non necessariamente

deve esserci un errore

completo, ci potrebbe

essere anche solo un

certo grado di ritardo o

di sviluppo incompleto.

Tale disfunzione po-

trebbe interferire con

l‘imitazione.

NEUROSCIENCE &

BIOBEHAVIORAL

REVIEWS

2003- Jongmans

et al.

Hanno condotto uno studio

per evidenziare il tasso di

comorbidità di DCD e di

LD.

I bambini con comorbi-

dità di DCD e difficoltà

di apprendimento (LD)

mostrano difficoltà per-

cettive e motorie più

severe dei bambini con

solo DCD.

JOURNAL OF

LEARNING

DISABILITIES

2006- Mostofsky

et al.

Hanno rivelato che ai

bambini con autismo può

essere associato un deficit

generalizzato della prassia,

piuttosto che un deficit

specifico dell‘imitazione.

Hanno scoperto gli

errori BPT body-part-

for-tool, che si

verificano quando il

soggetto utilizza una

parte del corpo come

strumento piuttosto che

JOURNAL INT.

NEUROPSYCOLOGY

SOC.

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Miracolo Roberta – Disprassia, organizzazione motoria ed esercizio in età evolutiva

~ 86 ~

utilizzare la parte del

corpo per tenere lo

strumento stesso.

2007- Dziuk et al.

Hanno confrontato un

gruppo di bambini con

ASD (Disturbo dello

spettro Autistico) con un

altro gruppo di bambini con

sviluppo tipico (TD).

La disprassia nel

gruppo ASD non può

essere interamente

dovuta a disordini delle

capacità motorie di

base.

DEVELOPMENTAL

MEDICINE & CHILD

NEUROLOGY

2008- Dewey &

Crawford

Hanno esaminato come il

funzionamento percettivo-

visivo nei bambini con

DCD, può essere

influenzato dalla

compresenza di problemi di

apprendimento.

I risultati indicano che

il DCD da solo non è

associato a problemi di

percezione visiva, anzi,

la chiave per spiegare

tale deficit nel DCD è

la presenza di

concorrenti nei

disordini.

HUMAN MOVIMENT

SCIENCE

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Miracolo Roberta – Disprassia, organizzazione motoria ed esercizio in età evolutiva

~ 87 ~

Capitolo 4

LA VALUTAZIONE DEL BAMBINO DISPRASSICO

Il disturbo della funzione motoria si caratterizza per il rallentamento delle prime tappe dello

sviluppo motorio, per la goffagine con cui è controllata la coordinazione dinamica generale e la

difficoltà ad apprendere schemi d‘azione prassici con e senza oggetto. In molti casi si evidenziano

all‘esame neurologico, segni neurologici minori quali sincinesie o asimmetrie di tono; in una larga

percentuale di casi si riscontrano difficoltà di tipo emotivo e relazionale. In uno studio di Sechi et

al. (2002) è stato evidenziato che i bambini con DSA (Disturbo Specifico di Apprendimento) e

DCD hanno un profilo di lettura e scrittura caratterizzato dalla presenza di una consistente disgrafia

e da difficoltà più marcate, a parità di competenze ortografiche, nella comprensione del testo;

presentano inoltre, degli aspetti tipici, quali la difficoltà nella localizzazione spaziale di stimoli privi

di significato linguistico ed una caduta nelle prove di memoria visuospaziale senza mediatori

verbali. Altre ricerche svolte di recente sul DSA, hanno inoltre attirato l‘attenzione sulla presenza di

due sottogruppi dalle caratteristiche cliniche abbastanza diverse; il Disturbo d‘Apprendimento

Verbale (DAV) e il Disturbo d‘Apprendimento Non Verbale (DANV). Nei primi appare evidente

che il difetto delle competenze logico-cognitivo-linguistiche rappresenta il nucleo principale del

disturbo (Levi et al., 1992) dove i bambini hanno delle cadute nei compiti scolastici, che derivano

principalmente da una difficoltà nel controllare gli aspetti linguistici o metalinguistici. I bambini

con DANV, invece hanno un quadro sintomatologico complesso ed eterogeneo caratterizzato da un

buon livello cognitivo ma con delle discrepanze nell‘attenzione visiva, un‘incoordinazione motoria,

un deficit di memoria spaziale, una difficoltà di organizzazione visuospaziale, un deficit di problem

solving e di competenze analitico-concettuale. Rourke (1993), attraverso uno studio approfondito di

bambini con DANV, mette in evidenza che c‘è un rapporto molto stretto tra difficoltà prassiche e

visuospaziali, e le difficoltà in compiti matematici. In un suo lavoro precedente (1989), lo stesso

autore analizza le cause che legano il deficit motorio-prassico e visuospaziale alle difficoltà

d‘apprendimento e le individua in una disfunzione emisferica destra. I suoi studi sono basati sui

lavori precedenti di Goldberg e Costa (1981) che affermano che l‘emisfero di sinistra è deputato

alle integrazioni intermodali e svolge un ruolo principale nei lavori che richiedono fissazione su un

singolo schema di rappresentazione o di esecuzione, mentre l‘emisfero destro è deputato alle

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Miracolo Roberta – Disprassia, organizzazione motoria ed esercizio in età evolutiva

~ 88 ~

integrazioni intermodali ed ha un ruolo fondamentale nei processi di rappresentazione all‘interno

degli aspetti cognitivi. Essi individuano nei bambini con DANV una moderata disfunzione cronica

delle regioni temporoparietali e di altre regioni adiacenti all‘emisfero destro. Da quanto emerge da

questo studio, molti bambini con DANV presentano anche delle difficoltà motorie; è importante

valutare, quindi, quali sono i profili dei bambini con DCD e DSA (o altre patologie correlate), per

comprendere in che modo possano rappresentare un vero e proprio sottotipo clinico e per stabilire

se all‘interno della disprassia si evidenziano dei sottogruppi di bambini con dei quadri specifici.

4.1- STRUMENTI PER VALUTARE LA PRASSIA

Prima ancora di valutare il grado di inabilità del bambino disprassico, cerchiamo di comprendere

dalla letteratura e dagli studi condotti negli anni, le tappe ed il livello delle abilità motorie prassiche

del bambino nei diversi stadi evolutivi. La prassia degli arti superiori rappresenta l‘esito di un

processo cognitivo che permette di eseguire movimenti volontari dotati di un significato con o

senza l‘uso di oggetti (gesti transitivi e intransitivi), atti motori privi di senso e sequenze di gesti

(combinazione di azioni più complesse). Lo sviluppo prassico nel bambino dai 2 ai 12 anni segue

un andamento ordinato e continuo (Kaplan, 1968):

– prima dei 4 anni il bambino indica l‘oggetto, ma non è in grado di mimarlo;

– a 4 anni inizia a eseguire il gesto ma per rappresentare l‘azione utilizza parti del corpo come se

fossero l‘oggetto;

– intorno agli 8 anni rappresenta gli oggetti in maniera simbolica;

– tra gli 8 e i 12 anni diventa abile nella pantomima dei gesti transitivi rappresentando

accuratamente sia l‘oggetto che l‘azione di riferimento;

– a 12 anni le prestazioni sono sovrapponibili a quelle dell‘adulto.

Le prestazioni prassiche possono essere molto diverse a seconda delle informazioni sensoriali di cui

dispone il bambino. Possiamo quindi distinguere:

– modalità imitativa: produce un‘azione imitando un gesto che gli è stato mostrato;

– modalità visuotattile: produce un gesto osservando e manipolando gli oggetti;

– modalità visiva: produce un gesto sulla base della sola visione degli oggetti;

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Miracolo Roberta – Disprassia, organizzazione motoria ed esercizio in età evolutiva

~ 89 ~

– modalità verbale: recupera il piano d‘azione esclusivamente sulla base del comando verbale.

Uno studio di Zoia (2004), effettuato su un campione di bambini disprassici, ha permesso di

identificare le difficoltà nell‘uso di informazioni sensoriali correlate alle suddette modalità da parte

di questi bambini rispetto al gruppo di controllo, sottolineando come per la modalità verbale la

discrepanza tra i due gruppi tenda ad aumentare con l‘età.

La ricerca di O‘Hare et al. (1999) descrive lo sviluppo di uno strumento per misurare il livello di

prassia manuale dei bambini e discute la varietà del normale sviluppo e delle relazioni tra i diversi

elementi di valutazione della prassia. La prassia è la capacità di usare ed imitare strumenti (Roy et

al., 1990; Dewey, 1995). La disprassia acquisita comporta un forte scompenso della funzione

motoria. Molti esempi di questa condizione sono discussi nella letteratura per adulti (De Renzi e

Lucchelli, 1988). La diagnosi si basa sull‘esclusione di debolezza muscolare, perdita sensoriale,

incoordinazione, afasia o deterioramento cognitivo (Roy, 1983). La disprassia motoria acquisita

può essere suddivisa in disprassia ideomotoria, in cui il paziente ha difficoltà a mimare il

movimento su richiesta o per imitazione, e disprassia ideativa in cui la difficoltà consiste nell'uso

corretto di oggetti. Anche se la disprassia è utilizzata anche nel contesto dei disturbi visuo-

costruttivi nel vestirsi, nella costruzione e nell'andatura, è stato suggerito che il termine deve essere

limitato a descrivere quei pazienti che mostrano problemi di sequenziamento motorio e di

selezione, ma con funzioni motorie intatte (Miyahara e Mobs, 1995). La letteratura pediatrica ha

poche descrizioni rispetto alla disprassia acquisita (Lehmkuhl, 1984), per contro, ci sono molte

descrizioni di bambini che sembrano avere una forma di disordine evolutivo (Deuel e Doar, 1992).

Questi bambini hanno un ritardo sproporzionato nell‘acquisizione delle capacità motorie e non

hanno alternative neurologiche sull‘eziologia. Il termine consensuale per questo disturbo dello

sviluppo è disordine di coordinamento dello sviluppo (DCD) (American Psychiatric Association,

1994). Questi bambini costituiscono un gruppo clinico eterogeneo, ma tra loro ci sono individui con

apprendimento motorio secondario perturbato e associato allo sviluppo ritardato della prassia

(Dewey e Kaplan, 1994; Missiuna e Polatajko, 1994). Anche se è ormai riconosciuto che i bambini

con DCD possono continuare ad avere difficoltà a lungo termine di follow-up (Losse et al. 1991), il

ruolo della disprassia in prognosi non è nota. Il primo obiettivo di questo studio era quello di

sviluppare un metodo per valutare l'uso manuale degli strumenti in un ampia fascia di età pediatrica

e quindi di estendere le informazioni già note sulla funzione della mano nei bambini più piccoli,

come ad esempio la ―manipolazione in-mano‖ (cioè quando la posizione di un oggetto viene

regolata all'interno della mano unilaterale) (Exner, 1993), e la funzione visuo-motoria di scrittura

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Miracolo Roberta – Disprassia, organizzazione motoria ed esercizio in età evolutiva

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(Martlew, 1992) e di disegno (Beery, 1989). In particolare, i ricercatori hanno voluto capire come i

bambini eseguono compiti motori complessi che richiedono diversi passaggi o sequenze da

completare, e come i bambini falliscono quando incontrano un compito che è troppo difficile per

loro. Problemi nell'uso degli oggetti caratterizzano gli adulti con disprassia acquisita che hanno

difficoltà gravi nella vita quotidiana (De Renzi e Lucchelli, 1988). Anche se la manualità è

incorporata in prove standardizzate attività-orientate, come il test di disabilità motoria ABC,

esistono diversi vincoli nella progettazione del compito, talvolta inadatti per la misurazione della

disprassia manuale (Henderson e Sugden, 1992). In primo luogo, le misure di valutazione delle

performance constano di una serie di compiti diversi e combinano i risultati in una partitura

composita. Questo consente di identificare il DCD in popolazioni predisposte, come i nascituri

pretermine (Marlow et al. 1993, Jongmans et al. 1997) o il bambino con ipotiroidismo congenito

(Simons et al. 1997), ma non ci permette di spiegare i motivi alla base della disabilità. In secondo

luogo, l'ipotesi che il punteggio rappresenta un dominio unitario, può essere errato (Chu, 1998). In

terzo luogo, la velocità di esecuzione è la considerazione primaria per fare distinzioni tra i gruppi di

età. In quarto luogo, molti dei compiti sono ripetitivi, come ad esempio il compito di distacco delle

monete e misurano il coordinamento, vale a dire la velocità e la precisione del movimento, piuttosto

che i cambiamenti nelle capacità motorie, che caratterizzano la pianificazione di compiti motori

complessi usando la prassia. Questi movimenti sono sottesi a diversi sistemi nel cervello. Pertanto,

è importante essere in grado di fare questa distinzione (Tanji et al., 1996; Crammond, 1997). Il

secondo obiettivo era di mettere in relazione le prestazioni, utilizzando degli strumenti con

l‘imitazione dei gesti. Anche se le due funzioni sono combinate nella definizione di prassia, sia per

gli adulti con disturbi acquisiti (De Renzi e Lucchelli, 1988) che per i bambini con DCD (Deuel e

Doar, 1992) può esserci una conservazione differente di queste abilità. Anche se l'imitazione del

gesto è stata ampiamente studiata sia nei bambini in via di sviluppo che nei bambini con ritardo

(Bergès e Lézine, 1965; Overton e Jackson, 1973; Kools e Tweedie, 1975; Hill, 1998), forse

dovrebbe ricevere meno enfasi nei bambini con ritardo di apprendimento motorio se non

strettamente correlata alla funzione. Esistono diversi tipi di gesti che sono descritti in letteratura:

quello transitivo in cui l'uso di un oggetto è mimato; quello intransitivo in cui il gesto può essere

simbolico o rappresentativo, ad esempio dicendo addio; quello intransitivo può essere

rappresentazionale o privo di senso. Questo studio coinvolge gesti transitivi ed intransitivi non

rappresentazionali. L'imitazione di gesti transitivi è compromessa nei bambini con DCD e Disturbo

Specifico di Linguaggio (Hill, 1998), e negli adulti con disprassia acquisita (Poole et al., 1997).

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Miracolo Roberta – Disprassia, organizzazione motoria ed esercizio in età evolutiva

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All‘età di 3 anni, i bambini sono in grado di rappresentare oggetti immaginari in sequenze d'azione.

Questa capacità aumenta fino all'età di 12 anni (Overton e Jackson, 1973). Le azioni dirette verso se

stessi, ad esempio lavare i denti o i capelli, possono essere utilizzate simbolicamente prima di

quelle dirette verso il mondo esterno, ad esempio tagliare con le forbici. Il secondo emerge

solitamente nell‘età compresa tra i 6 e gli 8 anni. Questo studio utilizza un metodo adattato dalla

letteratura per gli adulti in cui viene mostrato al bambino l'oggetto da mimare, piuttosto che con un

comando verbale (De Renzi e Lucchelli, 1988). I gesti intransitivi sono imitati con più successo dai

bambini con sviluppo tipico che dai soggetti in età adulta (Kools, Tweedie, 1975; Dewey, 1993).

Tuttavia, questi modelli di sviluppo normale derivano dalla combinazione di risultati di gesti

diversi, cioè simbolici o non-rappresentazionali così come singoli o in sequenza. Prove più recenti

suggeriscono che gli adulti con disprassia acquisita, derivante da danni all‘emisero sinistro, hanno

maggiore difficoltà con l‘imitazione di posture della mano al fianco della testa, mentre quelli con

danno all'emisfero destro trovano più difficile posizionare le dita (Goldenberg, 1996). Molti dei

gesti simbolici intransitivi segnalati coinvolgono le posture della mano al volto e coinvolgono

anche la comprensione e il linguaggio simbolico. Hill (1998) descrive come i bambini normali di

età compresa tra 5-6 anni possono avere difficoltà a capire le istruzioni per eseguire gesti

intransitivi simbolici, come la realizzazione di un pugno. E‘ stato evidenziato anche che hanno un

profitto basso sulle prestazioni. Pertanto, questo studio ha utilizzato i gesti non figurativi. Anche se

sono più facili da imitare dei gesti simbolici sia per i bambini normali che per quelli con ritardo

nello sviluppo (Hill, 1998), diversi rapporti dimostrano una performance significativamente più

povera, nei bambini con DCD rispetto ai soggetti del gruppo di controllo (Ispanovic-Radojkovic et

al., 1982; Conrad et al., 1983). In genere lo sviluppo di bambini di età compresa tra i 6 e 10 anni,

mostra una progressione costante della capacità di imitare i gesti intransitivi non rappresentazionali,

ideati da Bergès e Lézine (1965) e hanno riferito che i gesti complessi erano troppo difficili per

alcuni bambini di 10 anni. Ciò suggerisce che questi gesti sono adatti per la fascia di età di questo

studio. Il terzo obiettivo dello strumento di valutazione, era quello di esaminare il ruolo del

sequenziamento nello sviluppo della prassia (Roy, 1983; David, 1985; Dewey et al., 1988; Dewey,

1991). Il brain imaging funzionale suggerisce che la sequenza è importante per l'apprendimento di

abilità motorie. Alcuni studi dimostrano che negli adulti con disprassia ci sono anomalie nella pre-

programmazione di sequenze motorie eterogenee che si trovano in linea con il ruolo di elaborazione

temporale dell'emisfero sinistro (Harrington e Haaland 1992). Inoltre, l‘area motoria

supplementare, in particolare, appare cruciale nella preparazione e nell‘esecuzione del movimento

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Miracolo Roberta – Disprassia, organizzazione motoria ed esercizio in età evolutiva

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sequenziale basato su informazioni memorizzate (Tanji et al., 1996). Questo studio utilizza un

compito di sequenziamento motorio descritto da Dewey e colleghi (1988). Questo metodo, se usato

con i giovani con sviluppo tipico con immagini e modalità di comando, hanno rivelato un

andamento ordinato dello sviluppo. I soggetti con più di 7 anni, hanno dimostrato che nelle prove

verbali di sillabazione mnemonica, hanno migliorato le loro prestazioni rispetto a quelle dei

bambini più piccoli, che sembravano avere un livello inferiore di memoria cinestetica (David,

1985). Il metodo descritto da Dewey (1988) nel suo lavoro con i bambini con disprassia verbale è il

più completo per questo studio, in quanto incluse le tre modalità di comando possibili di imitazione,

verbale e pittorico e veniva esaminato se una di queste era più facile da eseguire per i bambini con

sviluppo tipico. Inoltre, le prestazioni sono state separate in sequenze motorie e non motorie. Lo

scopo finale era quello di effettuare una correlazione fra le prestazioni in tutti questi settori ad un

compito progettato per misurare l'apprezzamento dello spazio extracorporeo di un bambino, che

sembra essere un problema significativo per i bambini (Bergès e Lézine 1965; Wilson e McKenzie

1998). Nello studio di O‘Hare A., Gorzkowska J. e Elton R. viene messo a punto una serie di test

per valutare la prassia in bambini con disordini motori, in particolare con disprassia. Andiamo a

capirne i meccanismi.

4.1.1- TEST DELL’USO DI OGGETTI MULTIPLI

Questo test comprende 13 compiti. Ognuno richiede varie procedure per completare e progredire

nella difficoltà. E‘ stato presentato al bambino un elemento alla volta. Il ricercatore esegue un

percorso identico in cui il bambino doveva guardare e poi ripetere. Ogni attività ha avuto un

potenziale punteggio, come quello relativo al numero di passi o alle sequenze necessarie per

completare il compito. Il punteggio massimo possibile era di 38. Gli errori sono stati quantificati

globalmente e qualificati secondo il metodo descritto da De Renzi e Luchelli (1988). Gli errori

(Tabella 2) sono stati classificati in: non localizzazione, errori visuospaziali; abuso, se è stata

utilizzata la parte sbagliata dello strumento; omissione, se un passo è stato omesso oppure se il

bambino ha terminato il compito in ordine errato. E‘ stata registrata la manualità per ciascun

elemento e i bambini sono stati divisi in destrimani o mancini se hanno usato una mano per tutti i

compiti e misto se il bambino cambiava la direzione della manualità.

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TABELLA 2- Errori nel test di utlizzo di ogetti multipli

4.1.2- IMITAZIONE DEL GESTO

Nel caso di imitazione dei gesti transitivi, il test consisteva nel mostrare al bambino una fotografia a

colori (20X25 cm) di uno ―strumento di uso quotidiano‖ ed il ricercatore ha chiesto di mimarne

l'uso. L'ordine di presentazione è stato: tamburo e bacchette, spazzola per capelli, ferro, tastiera

musicale, tasti, matita, pennello, telefono, spazzolino da denti, macchina fotografica, coltello e

forchetta, forbici, candela, cembali, cera e spolverino, guanti, bandiera e vanga. Il punteggio è stato

calcolato secondo il metodo di De Renzi e Luchelli (1988). Ogni strumento mimato aveva un

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Miracolo Roberta – Disprassia, organizzazione motoria ed esercizio in età evolutiva

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punteggio massimo di 6 per una prestazione perfetta, alla prima presentazione. Se il gesto è stato

imperfetto alla prima presentazione, la fotografia veniva nuovamente presentata alla fine della serie

e calcolata come segue: punteggio di 2 nella prima presentazione se il mimo somigliava

chiaramente a quello corretto, ma è stato impreciso, o 1 se l'unico movimento che somigliava al

mimo appropriato o è stato eseguito in modo sbagliato. Non è stato dato nessun punteggio se la

prima presentazione era sbagliata. Nella seconda presentazione il punteggio del bambino è 3 se il

mimo era perfetto, altrimenti il punteggio sarebbe stato 2, 1 o 0 come nella prima presentazione. Il

punteggio per questo strumento è la somma delle due presentazioni. Per quanto riguarda

l‘imitazione dei gesti intransitivi o non-rappresentazionali, Il bambino ed il ricercatore erano seduti

uno di fronte all'altro e veniva chiesto al bambino di ripetere i gesti delle braccia o delle mani

dell'adulto. Sono stati identificati 44 gesti (Tabella 3). Il punteggio di 1 è stato dato se il bambino

eseguiva il gesto identico sul piano corretto. L'esaminatore ha interrotto il bambino dopo aver fatto

sei errori consecutivi. Le seguenti risposte hanno ottenuto il punteggio 1 (Bergès e Lézine 1965): le

risposte immediate e a specchio, le risposte realizzate con l'utilizzo dell'altra mano per mettere il

bersaglio in posizione e quelle conseguite passo dopo passo. Il test degli opposti è stato utilizzato

solo nei gesti del braccio (vedere Tabella 3, gesti 11-20). Il concetto del gesticolare con il braccio

opposto all'adulto è stato dimostrato con due gesti non inclusi nel test. Se un bambino eseguiva il

gesto a specchio alla prima presentazione, oppure una risposta non-specchio, veniva accettata come

una corretta dimostrazione del contrario. I bambini che non hanno afferrato il concetto con questi

esempi non sono stati inclusi nella valutazione.

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Tabella 3- Imitazione di gesti intransitivi non rappresentazionali. Bergés e Lezine (1965).

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4.1.3- TEST DI SEQUENZA MOTORIA

Sono stati presentati ai bambini quattro manopole di legno montate su una tavola di legno, dove il

ricercatore ha insegnato quattro azioni che possono essere eseguite, ovvero tiro, scivolo, girare e

punture (Dewey et al. 1988). Ci sono state tre modalità di comando: imitazione, in cui le azioni

sono state dimostrate, a comando in cui le azioni sono state richieste, e pittoriche, in cui sono state

mostrate al bambino delle fotografie che ritraggono le azioni. E‘ stato chiesto al bambino di avviare

la sequenza motoria, con la manopola più vicina. Le azioni sono state insegnate per imitazione e il

bambino ha eseguito sei prove. Questa prova è stata ripetuta anche con gli altri comandi. Se il

bambino non ha appreso le azioni con una modalità particolare di comando, realizza 0 punti. Il

punteggio per ogni sequenza esatta, è stato pari in modo da totalizzare un potenziale punteggio di 8

e bisognava annotare se il bambino ripeteva la sequenza d'azione da un comando verbale o

vedendola nella foto al fianco delle manopole, nello stesso ordine come richiesto dall'esaminatore.

Il punteggio massimo potenziale era di 12 per le sequenze motorie eseguite sulle manopole in ogni

modalità di comando. Gli errori sono stati suddivisi in: errore nella sequenza di posizione (SP), in

cui l'azione è stata eseguita sulla manopola sbagliata; errore nella sequenza di ordine (SO), in cui è

stata eseguita l'azione in un ordine non corretto; errore di perseverazione (P), in cui l‘errore è stato

ripetuto; errore di omissione (O), dove non è stata eseguita nessuna azione e le azioni sbagliate

(WA), nel quale il bambino ha effettuato un'azione che non era stata richiesta. Lo scopo dello studio

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di O‘Hare et al. era quello di sviluppare uno strumento per misurare la prassia manuale in bambini

normali di età compresa tra i 3 e i 12 anni, in aggiunta alle misure dei test dello sviluppo motorio

(Henderson e Sugden 1992). Un tale strumento potrebbe contribuire ad una comprensione del

relativo ruolo della disprassia nella condizione eterogenea di DCD (Miyahara e Mobs, 1995),

nonché determinare il ruolo della disprassia in difficoltà motorie acquisite nei bambini. E‘ stato

evidenziato che l'imaging cerebrale, negli adulti normali, ha dimostrato che l‘area motoria

supplementare si attivava quando una sequenza motoria veniva eseguita da movimenti che sono noti

in anticipo (Robinson, 1998). Inoltre, si verifica una relazione tra il sequenziamento motorio e le

difficoltà di imitazione del gesto, tra gli adulti con disprassia acquisita (Harrington e Haaland, 1992)

e bambini con DCD (Dewey, 1991) e quelli con disprassia verbale (Dewey, 1988). Questo studio di

bambini con sviluppo tipico è in linea con queste osservazioni nel senso che non c‘è un rapporto

lineare tra la capacità di sequenza del movimento e l‘imitazione dei gesti. Tuttavia, alla luce del

ruolo postulato dal sequenziamento motorio nella prassia, questa relazione non è stata vista con

l'uso di oggetti. Questo studio dimostra che con l'età migliora la capacità dei bambini di utilizzare i

gommini di protezione, che sono stati usati per misurare l'apprezzamento di un bambino dello

spazio extracorporeo. Bergès e Lézine (1965) non hanno mostrato alcuna correlazione fra tale

apprezzamento (valutata con un metodo diverso) e l'imitazione dei 21 gesti. Solo la prova del

gommino è stata cronometrata. Pertanto, è stata misurata la velocità di movimento, oltre che di

pianificazione. I bambini con manualità mista hanno avuto un rallentamento delle prestazioni e il

ruolo della manualità nello sviluppo è molto dibattuta (Bishop 1990). Lo sviluppo di questo

strumento per misurare la prassia manuale, ha bisogno di altre valutazioni da eseguire su soggetti

con disprassia ideomotoria e ideativa o con ritardo nell‘acquisizione delle abilità manuali.

4.2- LA VALUTAZIONE DELLA DISPRASSIA

Wilson (2005), in una sua ricerca sui metodi di valutazione e di trattamento della disprassia,

sostiene che sia i sistemi DSM che ICD forniscono strettamente le linee guida per i deficit specifici

delle abilità di movimento, le quali costituiscono una formale diagnosi. Il DSM-IV si riferisce ad un

'marcato ritardo nella realizzazione delle pietre miliari motorie' ed esempi di deficit funzionale sono

le scarse prestazioni sportive. L‘ICD si riferisce solo ai deficit delle abilità fini e grosso-motorie. Il

problema per la valutazione è determinare quali sono, evolutivamente parlando, le competenze

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appropriate, del dominio di movimento. Anche se una tassonomia universale delle capacità motorie

non esiste, le decisioni relative alle attività in questione sono spesso guidate dall‘esistenza, del

senso comune, di schemi motori dati dall‘esperienza clinica (Henderson & Barnett, 1998). Gli

strumenti di valutazione per i bambini più importanti sono costruiti su questo filone, le misure sono

in gran parte normative e orientate al prodotto. I sistemi diagnostici principali sono poco espliciti

sulla variabilità dell'espressione del disturbo (o eterogeneità). In sostanza, il disordine è lo stesso

per tutti i bambini ma, i bambini a cui viene diagnosticato il DCD e che ottengono lo stesso, o

simile, punteggio totale sul MABC, possono presentare prestazioni molto diverse, e mostrare profili

molto diversi (ad esempio, Visser, 2003). Se esistono o meno diversi sotto-tipi di DCD / SDDMF,

rimane una questione empirica. Alcuni dati suggeriscono delle distinzioni in termini di prestazioni:

ad esempio, un gruppo di bambini con DCD aveva un buon equilibrio statico ma presentava un

alterato equilibrio dinamico, e viceversa (ad esempio, Macnab et al., 2001). Se questi sotto-gruppi

hanno una base di sviluppo neurocognitivo, la loro validità è determinata da un‘unica entità

diagnostica. Chiaramente, ogni dispositivo di valutazione ha la necessità di catturare questa

variabilità, soprattutto perché il particolare profilo può contenere le implicazioni del trattamento

specifico. Il punto è che il punteggio totale non dovrebbe essere utilizzato in modo isolato. I

migliori sub-test catturano la performance.

L'approccio normativo sulle abilità funzionali dispone di ampie radici concettuali, esso è guidato

soprattutto dalla tradizionale teoria dello sviluppo e dalla fondamentale teoria cognitiva. Le correnti

più influenti di questo approccio sono i primi modelli normativi di sviluppo motorio, espressi più

precisamente nel lavoro di Gesell (1925) e McGraw (1945), così come in quello di Piaget (1952)

nello sviluppo sensomotorio e cognitivo. Nel loro insieme, si è sviluppata una particolare attenzione

sull'acquisizione delle pietre miliari sensomotorie e cognitive, pertanto, la valutazione di questo

approccio è descrittivo e riguarda l'acquisizione delle capacità motorie fondamentali e funzionali.

Questo approccio ha influenzato notevolmente la struttura dei dispositivi motori più utilizzati per lo

screening dei bambini. L'approccio normativo sulle abilità funzionali non supporta una particolare

modalità di intervento. Tuttavia, i modelli normativi di sviluppo sono stati miscelati con la teoria

cognitivo-costruttivista per fornire un approccio utile al trattamento, come il Cognitive Orientation

to Daily Performance Occupazional (CO-OP). Invece i test descrittivi sono in gran parte interessati

all'esito del movimento, cioè, se l‘obiettivo del movimento è stato raggiunto in modo tempestivo e

con sufficiente accuratezza. Di conseguenza, sono stati denominati product-oriented (Williams,

1983), al contrario di process-oriented (l‘esame delle funzioni specifiche del controllo motorio che è

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sotteso alla performance). I test product-oriented sono concentrati in gran parte sulle prestazioni di

tutti i giorni, sulle azioni funzionali. La validità di costrutto si misura nella maniera in cui i compiti

sono relativi al livello di sviluppo del bambino e agli obiettivi funzionali età-specifici. In linea di

massima, queste attività dovrebbero riguardare le principali categorie del movimento: locomozione

(presente / assente), manipolazione di oggetti (presenti / assenti), e le condizioni ambientali (aperto /

chiuso) (Gentile, 2000). Anche se questi domini possono essere concepiti lungo un continuum, un

sistema categorico è più comprensibile per i ricercatori. Coerentemente all'approccio normativo, i

test descrittivi dovrebbero produrre una misura quantitativa (tempo di risposta, la valutazione di

professionalità, errori ed i punteggi precisione) che indichi il livello delle prestazioni. Nella maggior

parte dei casi, questi punteggi grezzi vengono convertiti in punteggi standard che indicano la

posizione relativa del bambino, in relazione ai loro pari d‘età. Ad esempio, il MABC fornisce i

cosiddetti spartiti per la Impairment Scores, per le sottoscale e la prova totale. Sono anche elencati

gli equivalenti Percentili, che permettono al ricercatore di arbitrare sui punti di cut-off (ad esempio,

il quinto percentile). Questo test fornisce una indicazione del funzionamento motorio di un bambino

attraverso le attività fini e grosso-motorie. La performance è legata a punteggi standardizzati età-

dipendente per i bambini dai 4 a 12 anni. Ci sono quattro fasce di età. Età Band 1 riguarda l'età di 4

a 6 anni, Età Band 2 è per i bambini dai 7 e 8 anni, l'età Band 3 per bambini da 9 e 10 anni, e Age

Band 4 per bambini di età 11 e 12 anni. Per ogni fascia di età, la prova è costituita da otto elementi

di misurazione di differenti aspetti della capacità percettivo-motoria, tre per misurare la destrezza

manuale con gli oggetti, due per misurare le abilità con la palla, e ci sono tre elementi per valutare

l'equilibrio. Il primo elemento di abilità manuale (MD1), mira a misurare la velocità e la sicurezza

di movimento di ciascuna mano, separatamente. Il secondo elemento di abilità manuale (MD2) è

stato progettato per misurare il coordinamento delle due mani per l'esecuzione di una singola

operazione, mentre il terzo elemento, destrezza manuale (MD3), valuta la coordinazione occhio-

mano, come richiesto nel controllo di una penna o una matita. Il primo elemento palla-skill (BS1)

riguarda la capacità del bambino di spingere con precisione un oggetto nello spazio, e la seconda

voce ballskill (BS2) sfida il bambino a prendere un oggetto in movimento. Le tre voci di equilibrio

sono suddivise in un elemento di equilibrio statico (la valutazione di controllo statico; Sbal) e in due

voci di equilibrio dinamico che valutano i movimenti veloci ed esplosivi (DBAL1) ed i movimenti

lenti e controllati (DBAL2), rispettivamente. Gli otto compiti del MABC sono stati somministrati

con l‘ordine menzionato. I bambini possono totalizzare un punteggio tra 0 e 5 su ogni articolo. Più

alto è il punteggio, peggiore è la performance (Henderson e Sugden, 1992). Purtroppo, la maggior

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parte dei test descrittivi (come il MABC) sono concepiti solo per i bambini della scuola elementare;

le regole non si estendono al di là di 12-14 anni. Prove descrittive specializzate sulle abilità del

movimento per i bambini sotto i quattro anni, sono limitate. In generale, le principali prove di

sviluppo del bambino o fanno una chiara distinzione fra competenza motoria e capacità intellettuale

generale o tendono a sottovalutare il significato dell‘acquisizione delle abilità motorie. La scale

dello sviluppo infantile di Bayley-II (The Bayley Scales of Infant Development II - Bayley, 1993)

- progettato per i bambini di età compresa tra 1 mese e 3,5 anni – comprende molte ripetizioni per la

coordinazione motoria; ad esempio, mescolare con un cucchiaio su imitazione, o l'immissione di

pioli su una tavola. I bambini mal coordinati possono essere svantaggiati in questa situazione, così

come ogni difficoltà di esecuzione può essere interpretata come un‘immaturità dello sviluppo

cognitivo. Le scale di McCarthy sulle capacità dei bambini (McCarthy Scales On Children’s

Abilities - McCarthy, 1972) - progettato per bambini di 2.5 e 8.5 - include una scala motoria

composta solo da un piccolo numero di elementi, in quanto tale, la validità di contenuto è povera.

La nuova Peabody Developmental Motor Scales (PDMS-2; Folio & Fewell, 2000) è forse la

prova più specializzata sulle abilità di movimento per i primi sette anni dei bambini. I cosiddetti

strumenti di screening motorio che esistono per i bambini piccoli non sono molto diffusi e sono

progettati principalmente per identificare i neonati con rischi di ritardo dello sviluppo neurologico -

ad esempio, il Test of Infant Motor Performance (TIMP;. Campbell et al, 1993), l'Alberta

Infant Motor Scales (AIMS; Piper & Darrah, 1994), e la Harris Infant Neuromotor Test

(HINT; Harris et al, 2003). Di gran lunga i due test più comunemente usati nella compromissione

motoria sono il MABC e il Bruininks-Oseretsky Test of Motor Proficiency (BOTMP). Il primo

resta lo strumento più utilizzato per lo screening della DCD, mentre il BOTMP è uno degli

strumenti (diagnostici) più ampiamente usato dai terapeuti (Miller, Missiuna, Macnab, Malloy-

Miller, e Polatajko, 2001). Va osservato che se un test è chiamato screening o test diagnostico in

realtà dipende dai fini della valutazione: i test diagnostici sono progettati per fornire informazioni

cliniche sulle capacità del movimento, che vengono poi utilizzati per progettare dei programmi di

trattamento, i test di screening sono utilizzati per istituire dei gruppi di criteri per la ricerca e / o

l‘identificazione dei bambini a rischio di determinati tipi di problemi dello sviluppo. Altri test

sull‘abilità di movimento, sono raramente utilizzati per valutare il DCD, questi test sono stati rivisti

da Burton e Miller (1998). In generale, le proprietà psicometriche della MABC sono soddisfacenti,

al fine di diagnosticare il DCD e sono superiori al BOTMP. Nessuno dei due test, però, fornisce un

profilo completo delle prestazioni fra i vari tipi di abilità: il MABC è progettato per produrre un

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indice generale di compromissione motoria e la maggior parte della variabilità del punteggio sul

BOTMP è rappresentato dal fattore di ―un 'abilità motoria generale‖ (KRUS et al. , 1981). Una

novità molto utile con la MABC è il Motor Competence Checklist (MCC), progettato per gli

insegnanti. La lista di controllo è basata su una versione semplificata della tassonomia dei compiti

di Gentile (2000). Sono definite quattro sezioni dalla combinazione della performance fermo / in

movimento con un'ambiente aperto / chiuso. Una quinta sezione esamina i problemi associati al

comportamento, nel DCD. Le proprietà psicometriche della lista di controllo MABC sono

incoraggianti. Il DCD-Q (B. Wilson et al. 2000) è un questionario per i genitori che riporta anche la

validità del suono e l‘affidabilità. In generale, le liste di controllo possono servire come strumenti di

screening per arrivare a una maggiore valutazione formale e alla diagnosi. In particolare, essi

forniscono un modo molto utile per valutare le prestazioni nei compiti della vita quotidiana, che,

secondo i criteri del DSM-IV, è compromessa nei bambini con DCD. Nel complesso, il MABC

(nato come TOMI) e il BOTMP sono stati utili ai ricercatori e ai clinici, negli ultimi 20 anni.

Tuttavia, vi è motivo di sviluppare nuovi strumenti che riflettano meglio i recenti progressi nel

controllo motorio e dello sviluppo motorio e, di conseguenza, ottenere migliori proprietà

psicometriche. Vi è la necessità di adottare una prospettiva di vita sullo sviluppo motorio. Una

conseguenza è quella di selezionare le attività comuni tra gruppi di età (dai bambini agli adulti),

mentre la regolazione della difficoltà del compito, come requisito funzionale cambia con l'età.

L'adozione di una tassonomia dei compiti più rappresentativa possibile, migliora la validità dei

contenuti: un compito matrice definito dalla combinazione dell‘ambiente (aperto / chiuso), dalla

manipolazione dell‘oggetto (presente / assente), e dall‘orientamento del corpo (stable / mobile)

(Gentile, 2000). Ciò fornirebbe un quadro sistematico per la diagnosi di particolari deficit della

capacità di movimento. Inoltre, adottando le attività comuni tra gruppi di età migliorerebbe

l'affidabilità dei punteggi, perchè cambiano nel tempo e il confronto inter-età. Il McCarron

Assessement of Neuromuscolar Development (Mand, McCarron, 1982) è un test che valuta la

capacità fine e grosso-motoria utilizzando delle attività comuni a tutte le età (4 anni per gli adulti).

E' meno conservatore degli altri test e riporta una buona affidabilità e validità (Tan et al., 2001).

Infine, gli esiti hanno bisogno di catturare meglio le differenze individuali nelle competenze,

evitando l‘effetto appiattimento, come il tempo di risposta o il numero di errori. L'effetto netto

sarebbe quello di far aumentare la capacità di discriminazione per gli elementi di prova e la loro

sensibilità ai cambiamenti evolutivi nel tempo.

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Sabbadini L. e Mangiapelo MC. (2010) sottolineando che allo stato attuale la diagnosi di disprassia

è definita come una diagnosi per esclusione, ossia l‘incapacità a coordinare ed eseguire movimenti

volontari deputati ad uno scopo, la quale non è dovuta né a deficit neuromotori né a deficit

neurologici lesionali (Carray, Picard e Camos, 2008). L‘esperienza clinica e molte ricerche

nell‘ambito dei DSL, inoltre, ci hanno permesso di evidenziare sempre più casi di DSL con DCM e

comportamenti disprattici, confermando che il disturbo specifico è sempre ―meno specifico‖. La

necessità di stabilire un quadro clinico più delineato e dettagliato dei profili funzionali di tali

patologie, ha portato la comunità scientifica a focalizzare l‘attenzione su tale categoria di disturbi,

individuando così i predittori riconosciuti per i DSL già a l‘età dei due anni (Hill et al, 1998; Hill,

2001; Bishop, 2002). L‘idea base della ricerca italiana è che fin dall‘età di 2 anni del bambino sia

possibile individuare dei comportamenti predittivi e, di conseguenza, indicatori di rischio dello

sviluppo motorio – prassico tipico, riuscendo ad eseguire, in tal modo, un intervento precoce già dai

due anni di età. Per questo motivo si è cercato di adattare il protocollo APCM, Protocollo di

valutazione delle Abilità Prassiche e della Coordinazione Motoria (Sabbadini et al, 2005),

precedentemente validato in un campione di bambini dai tre anni di età, alla fascia di età 2-3 anni.

Una prima fase dei lavori è consistita nell‘effettuare degli aggiustamenti per rendere lo strumento di

osservazione e valutazione ―APCM‖ (Protocollo Abilità Prassiche e della Coordinazione Motoria)

idoneo già dai 2 anni di età; tutto ciò al fine di una valutazione delle abilità prassiche e della

coordinazione motoria e arrivare quindi all‘identificazione precoce dei profili di sviluppo a rischio

(Sabbadini et al., 2009). Le modifiche apportate hanno mantenuto, comunque, la struttura del

precedente strumento, pur aumentando il numero degli item per questa fase sperimentale (124 item

complessivi), al fine di poter selezionare, attraverso analisi statiche appropriate, gli item più

significativi per la fascia di età su citata. Vista l‘estrema difficoltà che tale fascia di età richiede,

abbiamo pensato di approfondire le informazioni qualitative per rendere la valutazione il più precisa

possibile. A tal proposito sono stati messi a punto una serie di indicatori qualitativi delle variabili da

misurare, per poi selezionare quelli con maggiore importanza e significatività qualitativa. Tali

indicatori hanno costituito, così, una vera e propria griglia di osservazione, creata con diversi

obiettivi; in primis, vista l‘ampia difficoltà incontrata nella prima versione del protocollo

nell‘attribuire il punteggio 1 (punteggio intermedio della scala di valutazione), la griglia è stata

creata per agevolare l‘attribuzione del punteggio 1 in quei casi che richiedono maggior accuratezza

e attenzione; in secondo luogo essa nasce per rendere l‘attribuzione del punteggio il più possibile

corretto e, in particolar modo, oggettivo per la fascia di età 2 - 3 anni. Infine la griglia permette di

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Miracolo Roberta – Disprassia, organizzazione motoria ed esercizio in età evolutiva

~ 103 ~

dar rilievo a quelle informazioni che non emergono dal dato quantitativo ma che lo completano. La

scala di valutazione è rimasta invariata. Questa prima analisi, del tutto esplorativa, è stata effettuata

su un campione di 106 soggetti, appartenenti a diverse zone geografiche del territorio italiano, in

particolar modo provenienti dalle regioni del Veneto, della Sicilia e del Lazio. Il campione era

composto dal 46% di femmine (49) e dal 53% di maschi (57) di età compresa tra i 24 e i 48 mesi. In

generale possiamo dire che per quanto riguarda la prima scala, ossia quella che indaga l‘Equilibrio e

la Coordinazione, molto lavoro ci attende affinché questa scala sia omogenea ed in particolar modo

adatta ai bambini dai 24 ai 30 mesi; un risultato migliore riguarda il secondo e terzo gruppo, ossia i

bambini che hanno un‘età compresa tra 31 e 42 mesi. Nella scala che valuta l‘oculomozione è stato

riscontrato un risultato molto analogo alla scala appena descritta; tale scala infatti risulta ancora

poco adatta per il gruppo dei bambini più piccoli, l‘omogeneità della scala è migliore per la seconda

e la terza fascia di età. Risultati molto significativi ci provengono dalle scale che valutano i

―movimenti delle mani e dita e la sequenzialità‖, in quanto entrambe le scale risultano avere un

buon livello di omogeneità in tutte le fasce di età prese in considerazione, anche per i bambini della

prima fascia, ossia i bambini dai 24 ai 30 mesi. Nella macrosezione ―Funzioni cognitivo-adattive‖ i

valori dell‘alfa di Cronbach della scala Coordinazione Dinamica sono inadeguati per le prime tre

fasce di età, quindi 24-30 mesi, 31-36 mesi ed anche per i bambini di età compresa tra 37 e 42 mesi.

Questi dati ci indicano che, oltre ad un ampliamento del campione per effettuare nuovamente le

analisi, è necessario uno studio più approfondito della scala per poterla meglio adattare alla fascia di

età oggetto del nostro interesse, ossia dai 24 ai 36 mesi. Interessanti sono risultati i livelli di

omogeneità delle Scale ―Abilità grafo-motorie, Abilità manuali – Gesti transitivi, Abilità Prassico

costruttive e visuo-spaziali, Gesti simbolici‖, nelle quali si sono registrati buoni livelli di alfa in

quasi tutte le fasce di età. Va segnalato, tuttavia, che la scala dei Gesti Simbolici richiede uno studio

più approfondito e quindi una revisione particolare per la seconda fascia, ossia per i bambini dai 37

ai 42 mesi, il cui valore di alfa potrebbe arrivare da sufficiente a buono. In questo studio si conclude

che il Protocollo APCM risulta ancora molto adatto per i bambini dai tre anni di età in poi, anche se

buoni risultati si sono riscontrati in alcune prove delle prime due fasce di età (24-30 mesi, 31-36

mesi). Un prossimo passo sarà quello di ampliare il campione, in particolar modo dei primi due

gruppi per poter ripetere le analisi e confermare o confutare questi primi risultati ottenuti nel

presente lavoro. L‘ipotesi è quella di giungere ad un Protocollo APCM adatto ed essenziale per la

fascia di età dai 2 ai 3 anni, considerando la difficoltà riscontrata nel somministrare prove troppo

lunghe ed impegnative a bambini di tale fascia di età.

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Miracolo Roberta – Disprassia, organizzazione motoria ed esercizio in età evolutiva

~ 104 ~

4.2.1- I RECENTI PROGRESSI NELL’ANALISI BIOMECCANICA

Lo studio di Wilson (2005) porta un‘innovazione nell‘ambito della valutazione della disprassia,

introducendo l‘analisi biomeccanica e cinematica del movimento. La cinematica rispecchia in modo

diretto le dinamiche di coordinamento del sistema del movimento. E‘ importante, però, il concetto

di coordinamento previsto dal termine DCD che non è generalmente interpretato in questo modo,

anzi, la concettualizzazione del termine nel DSM è inteso, più comunemente, ad un livello generale

di profitto dell‘abilità motoria. Inoltre, il DCD è 'diagnosticato' sulla base di una valutazione di

prima mano delle prestazioni del movimento; il medico o lo specialista o l‘insegnante non ha

bisogno di una sofisticata analisi biomeccanica per dire che un bambino è in difficoltà. Di

conseguenza, il ruolo dell‘analisi cinematica è realmente esistente per confermare le decisioni

diagnostiche e per isolare i parametri di quel particolare movimento, che può essere evolutivamente

inappropriato all'età. L'uso di metodi convenzionali dell‘analisi biomeccanica è stata limitata ai

contesti educativi, e certamente in uno studio privato. Il costo e la complessità delle apparecchiature

e la necessità di una formazione specialistica, al fine di dare un senso ai dati, hanno limitato la sua

applicazione al di fuori del laboratorio di ricerca. Tradizionalmente hanno trovato applicazione nei

più grandi centri di riabilitazione e di ricerca in cui, per i grandi disturbi del movimento come il

morbo di Parkinson e la paralisi cerebrale, sono stati descritti i modelli di movimenti anomali. E 'da

questo dominio che è maturata la conoscenza e gli sviluppi tecnici nella modellizzazione dei

movimenti complessi (Capozzo, 2002). Il problema per la valutazione è determinare quali sono,

evolutivamente parlando, le competenze appropriate, attraverso le abilità del dominio di

movimento. Queste innovazioni sono state applicate negli ultimi tempi per mappare lo sviluppo del

coordinamento sull‘infanzia e sull‘adolescenza in una serie di movimenti: raggiungere-afferrare,

camminare (ad esempio, Pierrynowski & Galea, 2001), e competenze complesse come gettare

(Schneiberg et al, 2002) e saltare (McKinley & Pelland, 1994). Nel caso di raggiungere-afferrare,

per esempio, gli indicatori chiave del cambiamento dello sviluppo, sono stati descritti, per esempio,

in termini di riduzione della variabilità su indici cinematici (come l‘escursione in comune, lo

spostamento del tronco e coordinamento gomito-spalla), fondamentali fra i 4 e 8 anni. Così i deficit

delle competenze funzionali che sono indicati dal medico, possono riflettere le interruzioni al

complesso delle variabili, che governano il controllo e la modifica delle azioni, nelle fasi di

sviluppo. L'elettromiografia è stata anche utilizzata con buoni risultati nella paralisi cerebrale per

documentare i cambiamenti nel movimento, che si verificano prima e dopo l'intervento (Õunpuu &

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Miracolo Roberta – Disprassia, organizzazione motoria ed esercizio in età evolutiva

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DeLuca, 1991). È concepibile che il cosiddetto EMG kinesiologico (KEMG) può essere utilizzato

per registrare anomalie di innervazione del muscolo che si verificano nei deficit delle abilità

motorie e anche per monitorare le variazioni di attivazione che si verificano a seguito di terapie

specifiche. Semplici valutazioni cinematiche dei programmi di intervento per il DCD stanno

cominciando a comparire (Jackson & Healey, 2000). La capacità di scalare i dati cinematici in base

alla lunghezza degli arti e alla massa, migliora la sensibilità dei risultati di gravi DCD, così come

nel caso della paralisi cerebrale. I dati individuali di andatura e le altre forme di analisi del

movimento sono generalmente le prime regole di sviluppo per misurare la 'normalità' o meno del

movimento. Così, in pratica, gli insegnanti ed i medici spesso rientrano in un approccio tradizionale

alla valutazione che è fondamentalmente descrittivo e normativo. In termini dinamici, nessuna

soluzione è considerata fondamentalmente corretta per un determinato compito (Burton & Davis,

1996).

4.3- L’ADC: IL NUOVO MODO DI VALUTARE GLI ADULTI DISPRASSICI

In un recentissimo studio, del 2010, Kirby A. et al. hanno ideato una checklist per diagnosticare la

disprassia/DCD nei soggetti adulti, ovvero l‘ADC (Adult Developmental Co-ordination

Disorders/Dyspraxia Checklist) (Kirby A., Edwards L., Sugden D., Rosenblum S., 2010). Dagli

studiosi di spicco è stato prodotto un meeting sui criteri diagnostici per i bambini, in primo luogo a

Hamilton, Canada (Polatajko, Fox, e Missiuna, 1995) e poi in seguito, un aggiornamento a Leeds,

nel Regno Unito, 10 anni dopo (Sugden, 2006). Tuttavia nessuno di questi ha considerato una

diagnosi in età adulta. Di solito la diagnosi nei bambini nel Regno Unito è data da un clinico come

da un pediatra, oppure da un terapista occupazionale, quando il bambino presenta difficoltà motorie

significative a partire dall'infanzia e in cui è evidente l‘indebolimento motorio. Nel Regno Unito, il

test standardizzato più comune per la diagnosi di DCD è il M-ABC-2 (Henderson e Sugden, 2007).

Questo test è stato standardizzato sui bambini di età compresa tra i 3-16 anni. Il Bruininks

Oseretsky Test-2 (Bruininks & Bruininks, 2005), più spesso utilizzato negli Stati Uniti, è

normalizzato fino a 21 anni. Una terza prova, la valutazione dello sviluppo neuromuscolare

McCarron (MAND; McCarron, 1982) è stato normalizzato fino a 18 anni di età. Anche se l'impatto

del DCD è stato riconosciuto come disordine dell‘età adulta, la conoscenza e la comprensione dei

sintomi e delle strategie di intervento, per questo disturbo, provengono principalmente da studi sui

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Miracolo Roberta – Disprassia, organizzazione motoria ed esercizio in età evolutiva

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bambini. Come vi è un aumento di prove che non tutti i bambini con DCD elimineranno le loro

difficoltà ''crescendo'' (Cousins & Smyth, 2003; Hellgren, Gillberg, Bagenholm, e Gillberg, 1994;

Losse et al, 1991), così anche la comprensione del modello di presentazione del DCD negli adulti è

aumentata, con l'impatto che questo disturbo limita la vita dell'individuo (Cousins & Smyth, 2003;

Kirby, Sugden, Beveridge, & Edwards, 2008). Inoltre, la mancanza di strumenti di screening

standardizzati per valutare e caratterizzare i deficit funzionali possono influenzare la partecipazione

in vari settori della vita. La maggior parte degli studi, di adolescenti e di adulti con DCD, hanno

adattato le misure dei bambini e, quest‘ultime, variavano da uno studio all'altro, rendendo quindi

difficile prevedere con precisione i tassi di prevalenza negli adulti. Per questa ragione, il limite di

difficoltà riportato varia tra il 30-87% (Cantell, Smyth e Ahonen, 2003; Geuze & Borger, 1993;

Knuckey & Gubbay, 1983;. Losse et al, 1991). Questo dato varia anche a causa dei criteri di

selezione, della gravità dei sintomi e / o se la persona ha diagnosi di sovrapposizione con altri

disturbi dello sviluppo, come l'ADHD, la dislessia e sindrome di Asperger. Tuttavia, è chiaro che

sulla sperimentazione della funzione motoria, la persistenza nelle difficoltà motorie prosegue in

molti e questo può essere particolarmente evidente quando viene presentato un nuovo compito da

apprendere (Cousins & Smyth, 2003). Così come un numero maggiore di ragazzi crescono e vanno

incontro all‘età adulta, e con una maggiore consapevolezza del disturbo dello sviluppo, così

aumenta la necessità di avere strumenti di valutazione e di screening. Mentre i criteri del DSM-IV

per il DCD possono generalmente essere applicate anche agli adulti, con piccole modifiche (ad

esempio, utilizzando il lavoro al posto della scuola come un ambiente di valore aggiuntivo dove

avviene), la descrizione tende a riflettere le presentazioni durante l'infanzia e non descrive il

modello di presentazione in età adulta. I test attualmente disponibili sono in grado di misurare il

funzionamento motorio (Criterio A del DSM-IV), ma non sono in grado di valutare come e dove

l'impatto sulle difficoltà avviene nella vita degli adulti (Criterio B del DSM-IV). Pertanto,

l'obiettivo dello studio di Kirby et al. era di sviluppare un nuovo strumento di screening per

identificare i giovani e gli adulti a rischio di DCD e di stabilire la sua validità e affidabilità. Inoltre,

gli autori hanno lo scopo di stabilire una base di interventi adeguati, prima della potenziale

insorgenza di menomazioni emotive secondarie, o handicap indotti, migliorando la qualità

complessiva della vita adulta. Al fine di raggiungere questi obiettivi, è stato sviluppato uno

strumento basato su un questionario, il quale riprende il criterio diagnostico B del DSM-IV. La

Checklist dei disordini dello sviluppo del coordinamento nell‘adulto / disprassia (ADC) è un

questionario pratico, facile da usare che fornisce informazioni sulla capacità del cliente di aver

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Miracolo Roberta – Disprassia, organizzazione motoria ed esercizio in età evolutiva

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operato in contesti diversi (come a casa, negli ambienti accademici e sociali). Il questionario

richiede solo 15-20 minuti per essere completato e include voci relative all‘organizzazione nello

spazio e nel tempo durante lo svolgimento della vita quotidiana e le competenze nella cura di sé, le

attività professionali (come la scrittura o la guida), gli elementi relativi agli hobby e la capacità di

partecipazione sociale. Le parole scelte sono basate sulle conoscenze aggiornate dei meccanismi

alla base del DCD, nonché sulle aree di funzionamento che sono reputate problematiche per i

bambini e gli adulti con DCD. Dopo averlo somministrato ai soggetti affetti, il questionario è stato

in grado di distinguere il gruppo di DCD dal gruppo di controllo. L'ADC (Tabella 4) ha alti livelli di

validità interna in entrambe le scale così come nelle tre sottoscale. Ogni sottoscala ha anche la

capacità di differenziare i gruppi. Questo presenta un potenziale strumento di screening che i medici

potrebbero utilizzare per il calcolo del punteggio totale (sezioni A, B e C totali e combinati).

Tagliare i punteggi uguali 80 o superiori (media + una DS) indicano 'probabile' difficoltà e punteggi

di 90 e oltre (Media + una DS) indicano 'probabili' difficoltà. E 'stato interessante vedere la

differenza nel funzionamento su questioni specifiche, con grandi differenze evidenti tra i gruppi. In

particolare, il 71,4% del gruppo DCD ha avuto difficoltà a ―scrivere ordinatamente quando c‘era la

necessità di scrivere velocemente‖ rispetto al 17,9% del gruppo di controllo; il 55,1% del gruppo di

DCD ha avuto difficoltà nell‘ ―organizzare / trovare le cose nella vostra stanza‖ rispetto al

solo il 7,1% del gruppo di controllo, e il 68,8% del gruppo DCD a ―evitare di associarsi o di

ballare‖ rispetto al 9,6% del gruppo di controllo. Le differenze nelle risposte evidenziano sia la

continuità delle difficoltà motorie in compiti di scrittura e di ricerca degli oggetti che la natura

pervasiva del DCD in età adulta nella difficoltà di organizzazione e pianificazione, come

l'imballaggio e l‘orientamento. L‘impatto sull‘andamento giornaliero è evidente anche con

differenze nei comportamenti sociali, come ad esempio evitare di associarsi e di ballare, attività

socialmente comuni e fondamentali nei giovani per incontrarsi e interagire. C'era anche la prova di

una correlazione significativa di un elevato deficit di scrittura tra gli studenti, questa è la prima

volta che viene dimostrato in questo gruppo di età. Concludendo, si può sostenere che l'ADC

rappresenta il primo stadio nello sviluppo di uno strumento di screening per l'identificazione degli

adulti con DCD \ disprassia ed è in grado di distinguerli dal normale sviluppo degli adulti. Essa

mostra anche un metodo promettente di identificazione delle aree di difficoltà che necessitano di

essere affrontate e queste informazioni possono essere utili per decidere dove deve essere mirato il

sostegno. Tuttavia, questo strumento per essere utilizzato in una pratica più ampia, dovrebbe

raccogliere ulteriori dati sull‘ADC, proprio per affinare il taglio dei punteggi. E' interessante notare

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che lo studio di Kirby et al. è stato intrapreso in due paesi con tante differenze culturali, ma lo

strumento è rimasto sensibile e differenziato nei due gruppi in modo simile. Sarebbe interessante

effettuare tale analisi con gruppi di altri paesi per acquisire un ulteriore confronto. Ci sono stati

confronti, in mancanza di procedure e strumenti di valutazione, anche in altri disturbi dello sviluppo

come l'ADHD e la Sindrome di Asperger (Berney, 2004; Coghill, 2004). Tuttavia, studi recenti

hanno visto emergere alcuni strumenti anche in queste aree (Barkley, Murphy e Fischer, 2008;

Baron-Cohen, Wheelwright & Hill, 2001). Lo strumento di screening è stato in grado di identificare

le difficoltà nelle funzioni esecutive, spesso più comunemente associate all‘ADHD, ma queste

carenze hanno, in termini di impatto sul DCD in età adulta, livelli di gran lunga maggiori rispetto ai

gruppi di controllo. Questa ricerca è stata guidata dalla necessità pragmatica di uno strumento di

screening, perché sempre più ragazzi stanno crescendo e presentano delle difficoltà nell‘ambiente

del college e dell‘università. Questo è particolarmente vero nel Regno Unito, dove la diagnosi è

necessaria al fine di ricevere ulteriori sostegni come l'assegno di invalidità allo studente. Al

momento attuale, la valutazione può essere limitata a valutazioni cognitive che rischiano di perdere

le tante e pervasive difficoltà, che gli individui con DCD possono presentare.

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Tabella 4- Adult Developmental Co-ordination Disorders/Dyspraxia Checklist (ADC)

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Miracolo Roberta – Disprassia, organizzazione motoria ed esercizio in età evolutiva

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- OVERWIEV DEGLI ARTICOLI PIU’ IMPORTANTI DEL CAPITOLO

ANNO\AUTORE INDAGINE RISULTATI FONTE BIBLIOGRAFICA

1992- Henderson

& Sugden

Sulla base del TOMI,

hanno strutturato il più im-

portante test descrittivo di

valutazione motoria dei

bambini con disordini del

movimento, ovvero il M-

ABC (Moviment Asses-

sment Battery of Children)

E‘ concepito per i

bambini di età compresa

tra i 4 e i 12 anni. Misura

per ogni fascia d‘età: 8

elementi per la capacità

percettivo-motoria, 3 per

la destrezza manuale, 3

per l‘equilibrio e 2 per le

abilità con la palla.

LONDON: THE

PSYCOLOGICAL

CORPORATION

1993- Bayley

Imposta una scala sullo

sviluppo infantile nota

come ―The Bayley Scales

of Infant Development II‖,

adattata per bambini di età

compresa tra 1 mese e 3,5

anni.

E‘ stato considerato un

utile riferimento per

visualizzare le tappe di

sviluppo motorio, ma nel

valutare fasce d‘età così

basse, può facilmente

indurre in errore.

SANT‘ANTONIO:

THE PSYCOLOGICAL

CORPORATION

1999- O‘Hare et

al.

Descrive lo sviluppo di uno

strumento per misurare il

livello di prassia manuale

dei bambini e discute la va-

rietà del normale sviluppo

tra i diversi elementi di va-

lutazione.

E‘ stata messa a punto

una batteria di test per

valutare la prassia dei

bambini con disordini

motori, ovvero il test

dell‘uso di oggetti multi-

pli, test dell‘imitazione

del gesto ed il test di se-

quenza motoria.

DEVELOPMENT

MEDICINE & CHILD

NEUROLOGY

2005- Bruininks

& Bruininks

Hanno ideato e sperimen-

tato il BOTMP (Bruininks-

Oseretsky Test of Motor

Proficiency). Per la sua ef-

ficacia, è il test diagnostico

più utilizzato nel valutare i

disturbi del movimento tra i

4 anni e i 21 anni.

Ideale per valutare le abi-

lità fini e grosso-motorie

dei soggetti affetti da

disprassia motoria.

LONDON: THE

PSYCOLOGICAL

CORPORATION

2005- Wilson

Nel rivedere i vari approcci

alla valutazione, evidenzia

il problema di determinare

quali sono, evolutivamente

parlando, le competenze

motorie appropriate all‘età.

Per valutare il DCD è

fondamentale

un‘approccio multi-li-

vello, per fornire una rap-

presentazione motoria

completa ai diversi livelli

di funzionamento. Intro-

duce l‘analisi biomecca-

JOURNAL OF

NEUROLOGY

NEUROSURGERY AND

PSYCHIATRY

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Miracolo Roberta – Disprassia, organizzazione motoria ed esercizio in età evolutiva

~ 111 ~

nica e cinematica del mo-

vimento per valutare la

disprassia.

2010- Sabbadini

et al.

Hanno sperimentato se con

il protocollo APMC sia

possibile individuare dei

comportamenti predittivi ed

indicatori di rischio dello

sviluppo motorio-prassico

dei bambini, così da

riuscire ad intervenire già a

2 anni di età.

Il protocollo APMC

(Abilità Prassiche e

coordinazione motoria) è

ancora adatto per i

bambini dai 3 anni in poi,

anche se ci sono stati

buoni risultati nelle prime

due fascie d‘età (24-30

mesi e 31-36 mesi).

RIVISTA

―I CARE‖

2010- Kirby et al.

Hanno ideato una checklist

per diagnosticare la

disprassia ed il DCD nei

soggetti adulti, ovvero

l‘ADC (Adult Dyspraxia /

DCD Checklist).

L‘ADC è in grado di

identificare gli adulti con

DCD e disprassia e

distinguerli dai soggetti

con sviluppo normale.

Questo stumento mostra

un metodo promettente di

identificazione delle aree

di difficoltà che

necessitano di sostegno.

RESEARCH IN.

DEVELOPMENT

DISABILITIES

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Miracolo Roberta – Disprassia, organizzazione motoria ed esercizio in età evolutiva

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Capitolo 5

TRATTAMENTI E RIEDUCAZIONE DEL SOGGETTO DISPRASSICO

Non è ancora ben noto il 'trattamento' per i bambini con disturbi della coordinazione e ci sono

variazioni locali nella fornitura di servizi. In assenza di un piano di gestione definitivo con una base

di ricerca solida, dunque, il meglio che si può fare è quello di fornire alcuni suggerimenti per il

riconoscimento delle azioni che girano intorno alla disprassia. Indipendentemente dall'età, la

maggior parte dei bambini che raggiungono il medico, avrà già sperimentato un certo grado di

incomprensione e la mancanza di simpatia da parte degli adulti e dei bambini che li circondano.

Perché il loro 'handicap' non ha una manifestazione fisica ma possono persino essere più colpiti

rispetto ai bambini la cui disabilità è più evidente, allo stesso modo i genitori possono avere

sperimentato la frustrazione di combattere con i professionisti che si rifiutano di prenderli sul serio

e si possono deprimere perché si sentono in qualche modo responsabili dei problemi del bambino e

possono sentirsi disperati che il tempo passa e non si fa nulla. L'importanza di essere semplicemente

in grado di parlare del problema non può essere sopravvalutata. Per esempio, le informazioni sulla

Disprassia dovrebbero essere offerte a quei genitori che sentono la necessità di un sostegno di

questo tipo. Le decisioni, su quanto aiuto ha bisogno un bambino, non possono che essere basate

sulla valutazione dettagliata di tutti gli aspetti delle difficoltà del bambino. Per i bambini meno

colpiti, può essere sufficiente avere un terapista occupazionale o un‘insegnante specialista per dare

all'insegnante di classe, un aiuto con la gestione della classe. Per i bambini più colpiti, le cui

difficoltà emotive sono tali che la scuola è diventata avversiva, è essenziale organizzare un

intervento al di fuori del contesto scolastico. L'età del bambino è un determinante importante di

come l'intervento è predisposto. Per i bambini piccoli, è raccomandata l‘attività di gruppo all'interno

del setting scolastico. L‘inserimento del bambino con difficoltà nel gruppo ed il tenere bassa la

soglia di intervento, possono essere degli espedienti molto efficaci. Con questo approccio si può

lavorare anche con gli alunni del primo o secondo anno di insegnamento secondario, purché vi sia

un insegnante o terapeuta esperto a supervisionare le attività. Tuttavia, ci sono bambini per i quali

l'intervento diretto cessa di essere efficace. Essi infatti, hanno bisogno di un un regime speciale per

le situazioni d'esame e di una consulenza su come affrontare le proprie difficoltà. Lo scopo di tutti i

metodi di intervento è quello di migliorare la capacità del bambino nelle funzioni della vita

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quotidiana. Tuttavia, alcuni iniziano dalla posizione in cui vi è una carenza nel bambino, che deve

essere 'corretta' prima che il processo di acquisizione delle abilità possa avere inizio. Altri ritengono

che l'insegnamento delle abilità e delle competenza sia sufficiente, a condizione che il ritmo è

adeguato e che le modalità di insegnamento sono opportunamente adattate. Qualunque sia la

strategia adottata, tuttavia, l'obiettivo di migliorare le competenze quotidiane non sarà mai

pienamente raggiunto senza la collaborazione dei genitori del bambino e degli insegnanti. I bambini

trascorrono molto più del loro tempo a casa e a scuola, di quanto non potranno mai passare con uno

specialista. È perciò essenziale, per il genitore e per il maestro, sapere esattamente che cosa lo

specialista sta facendo e perché e dall'altro lato, essere coinvolti nell'intervento, quanto più possibile

(Henderson, 1994).

5.1- L’APPROCCIO LOGOPEDICO AL TRATTAMENTO

Secondo una ricerca tutta italiana (M.G. Leotta, M. Garotta e P. Steffani, 2008), nonostante le

nuove metodiche d‘indagine e dunque la possibilità di fruire di una vasta gamma di informazioni di

carattere scientifico sempre più attendibili, concordanti con constatazioni di ordine teorico-clinico,

alcuni medici pediatri e/o specialisti, dopo aver codificato la diagnosi, continuano a consigliare ai

familiari di intraprendere un percorso psicomotorio e di aspettare per quello logopedico, facendo

riferimento a maturazioni fisiologiche delle strutture cognitive non ancora avvenute. Tuttavia

occorre considerare che:

1. nella migliore delle ipotesi il bambino giunge alla valutazione logopedica all‘età di 3-4 anni,

epoca in cui il suo coetaneo con sviluppo tipico ha già acquisito e collaudato lo strumento

linguistico;

2. patologie come la disprassia evolutiva investono una vasta area di sviluppo in cui il linguaggio

potrebbe essere utilizzato come mediatore del comportamento e regolatore dell‘attività prassica;

3. gli ultimi studi sulla plasticità cerebrale (Gan et al., 2005) sottolineano l‘efficacia di un intervento

mirato e precoce.

Se dunque si prendono in esame i suddetti aspetti, appare obsoleta la scelta di non intervenire

tempestivamente con un approccio multidisciplinare, in cui sia possibile l‘integrazione degli stimoli

provenienti anche dalla terapia logopedica. L‘esperienza logopedica nel bambino con disprassia

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Miracolo Roberta – Disprassia, organizzazione motoria ed esercizio in età evolutiva

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evolutiva ci ha permesso di focalizzare l‘attenzione sulla compromissione della comunicazione in

senso lato. Infatti la difficoltà o, nei casi più gravi, l‘impossibilità di utilizzare il sistema prassico,

preclude la strada alla comunicazione verbale e non verbale, che si traduce per il bambino in un

fallimento continuo nell‘interazione sociale. Inoltre è stata effettuata una panoramica dei più recenti

studi scientifici sul funzionamento del sistema neurobiologico e degli aspetti cognitivi,

comportamentali ed emotivi che devono essere presi in considerazione quando l‘oggetto del nostro

lavoro è l‘essere umano (M.G. Leotta, M. Garotta e P. Steffani, 2008). L‘intervento logopedico

deve tenere conto di tutti gli elementi intrinseci ed estrinseci che influenzano il soggetto affetto da

disprassia evolutiva nell‘interazione con l‘ambiente in cui è inserito e di cui fa parte. In questo

senso si parla di un Approccio Ecosistemico (Rousseau, 2007, Fig.1) attraverso il quale il terapista

non prende in carico soltanto l‘aspetto patologico da riabilitare, ma l‘individuo nel suo essere unico,

allo scopo di fargli raggiungere l‘attivazione delle funzioni (di base e adattive) necessarie

all‘adattamento rispetto ai cambiamenti dell‘ambiente (Sabbadini e Sabbadini, 1995). Quindi

distinguiamo: un livello educativo, un livello assistenziale, un livello terapeutico. Risulta a questo

proposito efficace e condivisibile la posizione di Ferrari (1997), che afferma: «[...] scopo

dell‘educazione nel tessuto sociale è educare il disabile, educare al disabile». Il livello assistenziale

permette il raggiungimento e «il mantenimento del massimo benessere possibile del bambino e

della sua famiglia (qualità della vita)». Il livello terapeutico più specifico ha lo scopo di

«promuovere una modificazione stabile e migliorativa delle funzioni del paziente (specie di quelle

di significato adattivo)». Prima di intervenire a tutti e tre i livelli, in un‘ottica eco sistemica, risulta

necessario analizzare gli elementi ambientali influenti, coordinandoli al fine di rendere efficace ed

ecologico il trattamento stesso. La famiglia del bambino disprassico può rappresentare sia una

barriera che un facilitatore nel percorso terapeutico. Essa è coinvolta rispetto alla percezione del

bambino e alla conoscenza della patologia: i genitori spesso sono molto confusi e disorientati verso

ciò che il bambino sembra e ciò che è di fatto. Il progetto terapeutico deve guidare la famiglia alla

ripetizione, in ambiente familiare, delle funzioni adattive acquisite in itinere. Inoltre deve essere

aiutata a tenere un atteggiamento funzionale verso il bambino: il bambino disprassico è spesso

sostituito dal genitore (generalmente la mamma), al quale comunica bisogni primari che vengono

regolarmente soddisfatti; questo scambio è chiuso ad altri interlocutori. La piena consapevolezza

del bambino delle sue reali difficoltà di espressione, gli preclude le possibilità sociali e sposta

l‘interesse del bambino verso attività finalistiche e stereotipate. La famiglia deve imparare a dare un

giusto significato alle intemperanze del bambino. Spesso capitano situazioni, per cui la famiglia si

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Miracolo Roberta – Disprassia, organizzazione motoria ed esercizio in età evolutiva

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trova a discutere con i genitori di altri bambini che sono stati troppo affettuosamente abbracciati o

puniti per non aver capito il pensiero del bambino disprassico. La scuola è l‘ambiente in cui

maggiormente si evidenziano i segni della patologia e per questo si può considerare o come

possibile barriera o come facilitatore per il bambino disprassico. La scuola rappresenta, per il

bambino, l‘aspetto sociale per eccellenza, in cui egli stesso deve mettere in atto le prime modalità di

interazione attraverso la convivenza tra coetanei e con adulti, le modalità di comunicazione tra

bambini, da bambino a adulto e da adulto a bambino. In questo ambiente deve saper rispettare le

regole e le attese. Si deve considerare la struttura scolastica, intesa come struttura fisica: per il

bambino può essere difficile orientarsi sia all‘interno dell‘edificio per trovare la sua classe, il

giardino o il bagno, sia all‘interno della sua classe per individuare il suo banco. La scuola è intesa

anche come tempi scolastici: i tempi di permanenza, i passaggi da una materia o da un insegnante

all‘altro possono creare molta confusione nel bambino. Oltre all‘aspetto sociale, di inserimento tra i

pari età, la scuola è ricca di richieste di tipo didattico, che implicano il riconoscimento del livello

emotivo-cognitivo e linguistico-prassico del bambino e l‘adeguamento delle richieste stesse. Il

bambino affronta anche le verifiche, intese come consapevolezza del bambino (metacognizione),

degli apprendimenti e del loro utilizzo nella vita quotidiana attraverso la generalizzazione di ciò che

è stato appreso. A livello terapeutico specifico, si distinguono due fasi: la prima di tipo valutativo,

con lo scopo di individuare i segni della patologia e i punti di forza sui quali la terapia potrà

eventualmente intervenire; la seconda di tipo riabilitativo, per insegnare al bambino ad utilizzare le

capacità indenni e funzionali, apparentemente negate dalla patologia, a vantaggio del deficit

motorio di programmazione e coordinazione sequenziale. L‘inquadramento del bambino, per essere

completo, prevede una parte di osservazione globale e una parte di valutazione strutturale che

comprende la valutazione del gioco, della linguistica, delle prassie e degli apprendimenti scolastici.

Naturalmente tutto ciò è diverso a seconda dell‘età del bambino che si deve valutare. Sono state

individuate due fasce d‘età: il bambino al di sotto dei 3 anni e il bambino dai 3 anni in poi. La prima

fascia d‘età è stata suddivisa in due tipologie di bambini: soggetti che giungono all‘inquadramento

in assenza totale di linguaggio e soggetti che parlano male.

5.1.1- LA TERAPIA

Dopo un‘attenta valutazione, il terapista si prefigge degli obiettivi a lungo e a breve termine. Nella

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presa in carico spesso, accogliendo il sentimento fallimentare del bambino e dando ad esso un

significato, egli favorisce le fasi di sviluppo, fondamentali nel suo percorso terapeutico-riabilitativo.

Inoltre la possibilità di utilizzare lo strumento linguistico nell‘attuazione del lavoro terapeutico

permette l‘evoluzione del pensiero e il conseguente sviluppo cognitivo. Per il bambino disprassico

che presenta notevole difficoltà nella modulazione, il naming diventa un mezzo regolatore del

comportamento che viene così controllato attraverso il linguaggio. Come si vede, a livello operativo

si individuano passaggi o fasi appartenenti ai modelli teorici summenzionati, di cui il logopedista

deve avere piena consapevolezza. Ecco che si parla di terapia quando è possibile misurare e

dimostrare che il bambino ha modificato le abilità e, quindi, attivato la funzione. Come ampiamente

sottolineato dal lavoro di Ferrari (1997), vanno rispettati degli elementi necessari per l‘attuazione

del progetto terapeutico. Essi sono:

– il luogo, cioè la struttura fisica che richiama nel bambino l‘elemento temporale e motivazionale;

– il ruolo, cioè l‘assegnazione dei diversi ruoli tra il bambino e il terapeuta, indispensabili per

sancire un‘alleanza terapeutica;

– la scelta del materiale, cioè le «cose» che permettono di rendere concreta l‘esperienza,

l‘emozione, il piacere, il successo e la continuità;

– la proposta, cioè la condizione necessaria per modificare il comportamento e quindi per attivare la

funzione.

Nel corso della terapia bisogna effettuare un‘azione di monitoraggio e verifica per migliorare ciò

che non funziona, in quanto risulta necessario personalizzare e adattare scegliendo la prestazione

più idonea per il bambino e consolidarla. La metodologia di trattamento deve rispettare quattro

obiettivi principali:

– sviluppo delle funzioni adattive: l‘individuo deve raggiungere la capacità di adattarsi rispetto alle

richieste ambientali, quindi deve essere in grado di agire efficacemente e autonomamente

nell‘ambiente;

– utilizzo della terapia multisensoriale: la stimolazione deve passare attraverso i diversi canali

sensoriali, affinché il bambino impari a utilizzarli e integrarli;

– funzione del terapista come mediatore: il terapista dovrà elicitare strutture processanti e processi

di controllo tenendo sempre conto della modalità da usare quando fa una proposta (quesito

cognitivo);

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Miracolo Roberta – Disprassia, organizzazione motoria ed esercizio in età evolutiva

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– funzione del linguaggio come controllore sull’agito: la possibilità di utilizzare il linguaggio

quando il bambino deve interiorizzare un‘informazione o ha bisogno di parcellizzare una sequenza.

Il trattamento logopedico specifico si svolge attraverso l‘attivazione delle funzioni di base o

strutture processanti, per attuare funzioni cognitivo-adattive di tipo linguistico che, inserite

nell‘approccio multidisciplinare, potenziano lo sviluppo psico-affettivo-cognitivo del bambino. Le

funzioni di base o strutture processanti sono la percezione, l‘attenzione e la memoria implicita in

tutti i processi di input e output, sempre attive nei processi cognitivi che funzionano attraverso

automatismi. Durante il trattamento il terapista deve controllare gli schemi di movimento utilizzati

dal bambino e intervenire se interferiscono negativamente sull‘esito della terapia. La terapia

prevede l‘attivazione continua dei processi di controllo, nelle fasi di feed-forward e feed-back per

sviluppare strategie cognitive adattive. Esse funzionano come un vero e proprio sistema: verificano

il risultato, selezionano la strategia più adeguata ed economica e pianificano un eventuale nuovo

intervento da utilizzare. Gli obiettivi terapeutici a questo livello sono: l‘integrazione da parte del

bambino di più abilità insieme e la risoluzione di quesiti cognitivi. La funzione linguistica è una

funzione adattiva che deve svilupparsi tenendo conto di tutti gli aspetti, da quello soprasegmentale

alla scrittura. Spesso è necessario aiutare il bambino a costruirsi lo schema motorio articolatorio,

fuori di lui affinché lo interiorizzi e lo metta in atto durante l‘eloquio. L‘attivarsi di una funzione

cognitivo-adattiva, consapevole, permette al bambino di aprire la strada verso il percorso di

autonomia a cui lui stesso ambisce.

FIG.1- Rappresentazione dell’ecosistema:

l’ecosistema in cui si inserisce il bambino

disprassico vede, al centro, il bambino stesso,

attorno a cui si collocano la sua famiglia, la scuola

e i trattamenti terapeutici che comprendono

logopedia, psicomotricità e fisioterapia, coordinati

dal servizio di Neuropsichiatria Infantile.

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Miracolo Roberta – Disprassia, organizzazione motoria ed esercizio in età evolutiva

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5.2- LA MUSICOTERAPIA

Nello studio di Berardi et al. (2009) si è cercato di identificare un modello sperimentale per studiare

l'interazione tra il ritmo cueing e la programmazione di azioni cognitive complesse. La musica, e

soprattutto il ritmo, grazie a una favorevole matrice di proprietà percettive, cognitive e

motivazionali, appare come il candidato ottimale per guidare la facilitazione di questo problema.

Fino ad oggi, la ricerca scientifica ha dedicato poca attenzione al legame tra il ritmo e il cueing,

nelle operazioni cognitive. Tuttavia, il ritmo cueing ha dimostrato di migliorare non solo ad un

livello di controllo motorio basso (controllo motorio di un arto superiore in pazienti emiparetici,

l‘andatura nella malattia di Parkinson) (Thaut, M.H. et al. 1999), ma anche l‘articolazione della

parola nei pazienti affetti da disprassia verbale. Inoltre, alcuni studi con EEG hanno dimostrato che

la musicalità mnemonica induce una sincronia oscillatoria nelle reti neurali alla base della memoria.

La superiorità della formazione ritmo-cued può essere spiegata all'interno della cornice dell‘ipotesi:

(i) la sincronizzazione con il ritmo ha contribuito a strutturare la sequenza motoria in modo

regolare, e (ii) grazie alla sincronizzazione del ritmo, il paziente ha ottenuto informazioni sulla

sequenza chiave del pattern sonoro. Inoltre, l'apprendimento nel contesto di un modello musicale

(ritmica in questo caso) potrebbe essere rafforzato da oscillazioni nelle reti corticali sottostanti la

pianificazione motoria e l‘apprendimento. Il Cueing Rhythm consiste in un tono metronomo-

isocrono come un'onda quadra. Nelle sequenze motorie il ritmo è introdotto dopo circa 2 minuti di

formazione (linea di base iniziale), seguito dall'esercizio specifico. Gli esercizi di Rhythm-cued

sono alternati in modo flessibile con esercizi non-cuing e con il tempo di riposo, per evitare la fatica

e il disagio del suono continuo. Quando il ritmo viene introdotto, è chiesto al paziente di

concentrarsi sul modello acustico e lasciare che il movimento si sincronizzi con gli impulsi, senza

esercitare troppo controllo cognitivo sul movimento stesso. La velocità iniziale del ritmo cueing è

abbinata alla frequenza spontanea del movimento esibito dal paziente per la sequenza motoria

target, mentre la velocità del ritmo viene cambiata in modo flessibile all'interno del trainig, al fine

di suggerire un approccio o più lento o più veloce / più agevole alla sequenza motoria target, a

seconda delle specifiche difficoltà del paziente. Oltre alla presenza o assenza del ritmo cueing, il

trattamento è stato caratterizzato dalla (i) dimostrazione della sequenza motoria dal trainer, (ii) dalla

dimostrazione della sequenza motore da parte del trainer e l‘imitazione simultanea da parte del

paziente, (iii) dal feedback sulla correttezza e (iv) dal sostegno relazionale. Nel complesso, le

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Miracolo Roberta – Disprassia, organizzazione motoria ed esercizio in età evolutiva

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caratteristiche della disprassia ideomotoria ci permettono di affermare che il cueing può migliorare

le prestazioni di un paziente con disprassia in quanto:

1. La sincronizzazione con il ritmo potrebbe contribuire a strutturare la sequenza motoria in modo

regolare.

2. Quando il movimento è sincronizzato con il ritmo, i pazienti otterrebbero informazioni sulla

sequenza chiave del motivo sonoro, in modo da essere in grado di prevedere con il minimo carico

cognitivo, il movimento in cui è necessario focalizzare l'attenzione e facilitando così il cambio di

modalità.

3. A causa della dissociazione automatico-volontaria, il paziente potrebbe essere particolarmente

influenzato dai fattori esterni scatenanti, come quello mediato da un ritmo musicale.

Un miglioramento delle prestazioni motorie del ritmo-cued, rispetto a ul ritmo non-cued, può essere

un modello efficace per i neuropsicologici per testare gli effetti del ritmo sul controllo motorio ad

alto livello. Domande come la durata ottimale del trattamento e dei risultati funzionali del

trattamento, devono essere esaminate in future indagini. Prima che questo trattamento sia

raccomandato all'uso clinico, sono ovviamente necessari delle repliche di questa indagine, su

popolazioni di pazienti più ampie, ai fini della validazione. Tuttavia, questo tipo di trattamento

sembra essere promettente per il trattamento della disprassia e sicuramente merita ulteriori studi

(Berardi et al., 2009). A tutt‘oggi sono poco numerosi e poco documentati, gli interventi su questo

tipo di disturbo, anche se la musicoterapia sembra offrire possibilità interessanti proprio sul piano

dello sviluppo motorio, affettivo e relazionale. Uno dei punti principali è dato dal fatto che la

disprassia si manifesta con difficoltà della sfera motoria e della coordinazione del movimento, ma le

ricadute più importanti riguardano i sentimenti del bambino, i suoi vissuti personali, le difficoltà di

inserimento e socializzazione e pertanto un intervento terapeutico non può prescindere dal sostegno

all‘autostima e alla personalità del soggetto. L‘ipotesi di fondo è che la musicoterapia possa offrire

il contesto e i mezzi adeguati, per permettere al bambino disprassico di sperimentare creatività,

confronto e gioco, il tutto in una dimensione ludica e non giudicante. Allo stato attuale delle cose la

psicomotricità e la danza ritmica, insieme al sostegno psico-pedagogico dove necessario, risultano

essere gli interventi maggiormente praticati. La musicoterapia permette di lavorare sulle due aree di

difficoltà più importanti. Da una parte attraverso l‘elemento ritmico, inteso sotto forma di creazione

di cellule ritmiche, movimento coordinato alla pulsazione, danza strutturata, gioco musicale

creativo e percezione corporea, è possibile intervenire direttamente sulla difficoltà di coordinazione,

movimento e andatura. Dall‘altra, il contesto non verbale favorisce l‘espressione dei vissuti del

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Miracolo Roberta – Disprassia, organizzazione motoria ed esercizio in età evolutiva

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bambino, delle sue emozioni e difficoltà dove il soggetto può canalizzare questi elementi in forme

musicali, sonore e corporee di senso compiuto. Infine il setting terapeutico, per sua natura non

giudicante, permette al bambino di esprimersi come sa e come riesce, e con il tempo può portarlo ad

accrescere la fiducia nelle proprie capacità e spingerlo quindi verso la ricerca di nuove formule di

gioco, di strategie ludiche e comunicative, con un miglioramento dell‘ autostima e del senso di

competenza.

5.2.1- LINEE GENERALI PER IL TRATTAMENTO

Il trattamento di musicoterapia, meglio se affiancato ad altre forme di sostegno e di stimolazione,

può essere realizzato in seduta individuale o di gruppo. All‘inizio è preferibile seguire il bambino in

sedute individuali, sia per avviare la relazione sia per permettere al musicoterapista di conoscere,

osservare e valutare il paziente. Questa fase, della durata minima di 8/10 sedute, è importante anche

per il soggetto che può avviare un‘apprendimento musicale di base, utile per esprimersi più

agevolmente attraverso il canale sonoro-musicale. In seguito è possibile formare dei piccoli gruppi

di soggetti omogenei per età e incominciare un trattamento di gruppo. La presenza di diversi

bambini permette al singolo di confrontarsi con i pari, di giocare e di scambiare con loro, e di

trovarsi in qualche modo avvantaggiato dal contesto, mentre a scuola o in altre situazioni relazionali

le difficoltà a socializzare e a stare con i coetanei sono numerose. La presa in carico di ciascun

soggetto è preceduta da un colloquio con i genitori, la compilazione di una scheda di anamnesi

sonora e da alcune sedute di osservazione e valutazione. Il colloquio con i genitori, è importante per

conoscere le loro aspettative rispetto al trattamento e per informarli del percorso che si andrà ad

affrontare. La compilazione della scheda sonora, è utile per conoscere l‘ambiente sonoro-musicale

del bambino e della sua famiglia. Infine le sedute di osservazione prima e di valutazione poi, sono

fondamentali per il musicoterapista che può avvicinarsi discretamente al soggetto, conoscerlo e farsi

conoscere ed iniziare poi a valutare le modalità di produzione sonora o vocale, di manipolazione

degli strumenti e incominciare ad entrare in relazione con il bambino. Sono state individuate due

aree principali su cui è possibile intervenire, e cioè da una parte la difficoltà di coordinazione e di

movimento finalizzato, dall‘altra i vissuti emotivi ed affettivi del bambino. Le difficoltà prassiche, i

movimenti scoordinati, l‘andatura poco sciolta, le difficoltà a salire e scendere le scale, ad

allacciarsi le scarpe e ad impugnare correttamente penne e pennarelli sono solo le manifestazioni

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più visibili di una difficoltà che significa anche tensione agli arti, scarso senso dell‘orientamento,

difficoltà a relazionarsi, paura a muoversi in uno spazio ampio, poca confidenza con il movimento

del proprio corpo e le sensazioni cinestesiche correlate. L‘elemento sonoro-musicale può dare delle

risposte a queste difficoltà perché la musica possiede una propria struttura ritmica, una scansione

temporo-spaziale che presuppone un prima e un dopo organizzati nello spazio e nel tempo.

5.2.2- TECNICHE IMPIEGATE

Ci sono due tecniche principalmente adottate in questo approccio al trattamento:

a) tecniche pedagogico-musicali (intervento strutturato).

Il bambino può essere facilmente coinvolto in giochi musicali motori utili alla scoperta dello spazio

e alla sperimentazione di movimenti nuovi, sia con le mani e le braccia che con le gambe. Tutte le

attività che prevedono un‘andatura nello spazio da coordinare ad una pulsazione data, favoriscono

la percezione e la discriminazione non solo del tempo scandito e dello spazio percorso ma anche dei

movimenti necessari per adeguare il proprio corpo ad un determinato input ritmico. Il soggetto può

essere guidato poco alla volta a sperimentare variazioni di velocità ed intensità ma anche e

soprattutto a creare lui stesso la pulsazione ritmica alla quale egli stesso, i compagni e il

musicoterapista devono adeguarsi attraverso giochi creativi. Le possibilità di inventare giochi

musicali di movimento sono pressoché infinite sia per lavorare singolarmente che in piccoli gruppi.

Gli stessi strumenti su cui si sperimentano i ritmi, possono essere portati in giro nello spazio per

favorire anche una migliore acquisizione dello schema corporeo. Infatti, secondo J. Dalcroze

(1965), il bambino è facilitato enormemente nell‘apprendimento della musica, con tutti i parametri

ad essa relativi, se la può creare lui stesso con il suo corpo, la voce e degli strumenti a disposizione.

In questo modo le strutture musicali, la melodia, e il ritmo si trasformano da elementi astratti a

creazioni concrete, quotidiane e divertenti da fare, disfare ed intrecciare a piacimento. Inoltre il

bambino apprende con maggior facilità lo schema corporeo, la distinzione tra destra/sinistra e

alto/basso, se può usufruire di piccoli strumenti che possono essere portati in mano da una parte

all‘altra della stanza di musicoterapia, suonati con i battenti o direttamente con le mani alternandole,

fatti rotolare sul pavimento verso un compagno. La veste ludica delle attività musicali favorisce

l‘apprendimento e l‘organizzazione della seduta in un momento più strutturato e uno più libero

favorisce da una parte la creazione e l‘improvvisazione, mentre dall‘altra si introduce un elemento

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di contenimento, utile allo svolgimento della terapia stessa. Interessate è anche il lavoro con

strumenti molto grandi: grossi tamburi, jembé, timpani o piatti sospesi. In questo secondo caso,

come insegna Benenzon12

, gli strumenti diventano oggetti integratori intorno ai quali tutti i soggetti

impegnati nella seduta possono ruotare, giocare, alternarsi e suonare. Le possibilità di gioco e

scambio, oltre che di apprendimento, sono molteplici: da una parte i bambini possono interagire

simultaneamente oppure a turno su un unico grande strumento che li richiama e li raggruppa,

annullando così le differenze, le difficoltà di socializzazione e favorendo, poco alla volta, l‘ascolto e

il dialogo. Dall‘altra i soggetti, con l‘aiuto del musicoterapista, possono sperimentare filastrocche e

canzoni da pronunciare, cantare e ballare in cerchio intorno al tamburo, battendo le mani sulla

membrana tutti insieme, due alla volta o in combinazioni sempre nuove e sempre diverse. Si può

altresì cambiare il giro di danza intorno allo strumento in modo da esercitare ugualmente i due lati

del corpo in due diverse direzioni. Ancora una volta attraverso giochi musicali è possibile favorire

la percezione e la discriminazione dei due lati del corpo e di conseguenza l‘acquisizione dello

schema corporeo. In questo senso anche elementi di danza ritmica e strutturata possono rivelarsi

molto utili per favorire la coordinazione e il movimento; i bambini vengono impegnati in un‘attività

che richiede, poco per volta, di coordinare il movimento dei passi e la direzione di movimento alla

musica proposta, poi magari anche le braccia e infine il canto, con l‘intenzione di creare una

coreografia che, per quanto semplice, rappresenta comunque una forma significativa e di senso

compiuto alla cui realizzazione tutti contribuiscono.

Se la disprassia, parlando in termini musicali, si manifesta come rumore, disarmonia, confusione, al

contrario la creazione musicale in terapia, la danza in gruppo e il movimento ritmico possono

definirsi suono, integrazione, armonia. E‘ possibile lavorare sulla disarmonia dei movimenti del

corpo in due modi; da una parte tutte le attività sonore che impegnano il bambino nel produrre suoni

in modo sempre più finalizzato (per esempio imparando a modulare l‘intensità, la velocità e poco

per volta anche a riprodurre melodie o a crearne di nuove) sono utili ai fini di un miglior controllo

del movimento e dell‘armonia cinetica stessa. Infatti per eseguire correttamente una melodia su di

uno strumento è necessario che il soggetto sappia manipolarlo correttamente, con la giusta forza e

riesca a riprodurre la corretta sequenza delle note. Altrettanto importante è un intervento più attivo

del musicoterapista sul corpo del bambino, finalizzato alla presa di coscienza delle tensioni

muscolari e ad un rilassamento delle medesime. Alla fine di ogni seduta si può invitare il soggetto a

12

Benenzon R., Wagner G., de Gainza V. H., ―La nuova musicoterapia―, Phoenix Editrice, Roma, 1997.

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stendersi su un materassino e poi intonare una melodia che richiama le varie parti del corpo e nello

stesso tempo esercitare sulle stesse un massaggio facendo rotolare lentamente una palla. Per

sperimentare vari tipi di sensazioni corporee si può inventare anche una ―passeggiata degli animali‖

che si avvicendano sulle membra, dai piedini fino alla testa: lo sfioramento lieve di una farfalla, il

passetto sottile di una formica, lo scivolare dell‘acqua o del vento e infine il passo pesante

dell‘elefante o la sensazione di picchettamento della pioggia. Suggerendo immagini di animali o di

eventi atmosferici è più facile per il bambino immaginare la scena che si svolge intorno a lui e gli

permette di concentrarsi di più sulla percezione tattile. E‘ superfluo aggiungere che questo tipo di

attività, dato lo stretto contatto che implica, va sempre proposta con estremo rispetto dei tempi e

delle sensazioni del bambino, che non va mai forzato ma sempre accompagnato per gradi nel suo

percorso di crescita e maturazione. L‘esperienza ci insegna che una volta che il soggetto ha

acquisito fiducia nel terapista, è egli stesso a richiedere il momento del rilassamento che viene

vissuto come un‘attenzione e un accudimento speciali, oltre che un momento di riposo e relax.

Lavorando con piccoli gruppi è più difficile intervenire su tutti i bambini con il massaggio; in

questo caso si possono fornire immagini da visualizzare e portare i bambini a focalizzare

l‘attenzione sulla respirazione per renderla più profonda e regolare, magari con un sottofondo

musicale lento e cullante.

b) improvvisazione strumentale e vocale (intervento non direttivo).

Attività meno strutturate e più libere si riferiscono in modo più significativo alla musicoterapia vera

e propria, mentre le attività brevemente illustrate sopra si richiamano maggiormente all‘animazione

e alla didattica musicale. Sicuramente le tecniche pedagogico-musicali (metodi Dalcroze, Orff,

Willems) sono più indicate per fornire al bambino una grammatica musicale elementare e per

favorire in modo ludico il movimento, la coordinazione, lo scambio, il confronto e l‘ascolto dei

compagni. Attraverso libere improvvisazioni strumentali e vocali, che sono attività più tipicamente

musicoterapiche, è possibile che i soggetti diano voce ad emozioni e vissuti profondi che vengono

veicolati attraverso suoni, intensità, gesti e movimenti magari non belli esteticamente ma

profondamente significativi ed espressivi. La finalità principale di un intervento di musicoterapia

non è infatti la creazione di melodie e suoni gradevoli, quanto il fornire al soggetto la possibilità di

rendere più fluida, armonica, ritmica, la propria espressività corporea e favorire lo scambio e la

comunicazione (Busolini R., Grusovin A., Paci M., Amione F., Marin G., 2004. Dal rumore al suono,

dalla confusione all’integrazione, ―Musica et terapia‖, n. 9, pag. 46). La musicoterapia secondo

Lorenzetti (1989), è una disciplina basata sulla non direttività e che pone al centro dell‘attenzione il

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soggetto considerato nella sua interezza, con l‘obiettivo di favorire lo sviluppo delle sue parti sane.

Pertanto è molto importante un atteggiamento empatico e di ascolto profondo che permette ai

soggetti di esprimersi liberamente senza la paura del giudizio o della critica. A questo proposito

sono molto interessanti le riflessioni del gruppo studi di musicoterapia di Trieste che ha condotto

un‘esperienza teorico-pratica con un gruppo di bambini disprassici. Per quanto riguarda l‘intervento

―…era fondamentale immedesimarsi nei bambini, comprendere le varie sonorità, entrare in rapporto

empatico per tentare di trasformare, organizzare e armonizzare il loro mondo interno. Ad esempio,

si sono presentate più volte situazioni ―caotiche‖ che esigevano momenti più o meno lunghi di

ascolto e di attesa per comprendere che cosa, con certi movimenti, suoni, urla, scariche verbali,

monologhi, i bambini volevano dirci‖ (Busolini R., Grusovin A., Paci M., Amione F., Marin G.,

2004). A partire da questi momenti di ascolto, talvolta non facili per il musicoterapista, è possibile

intervenire per dare un senso a quanto creato dai bambini, per rispondere in modo creativo alle loro

proposte e per farli sentire capiti e accettati. La tecnica dell‘improvvisazione si presta perfettamente

sia a creare una relazione comunicativa non-verbale sia a favorire il dialogo sonoro tra i componenti

del gruppo. A questo proposito è bene aggiungere che l‘improvvisazione in musicoterapia é utile e

stimolante quando i componenti del gruppo iniziano ad ascoltarsi tra di loro, a fare a turno e a

rispettare i tempi dell‘altro. Questo processo si verifica in tempi più o meno lunghi ed è di enorme

importanza perché nel tempo il singolo soggetto impara le regole del gruppo ed è quindi capace di

ascoltare l‘altro, aspettare il proprio turno, intervenire per ―dire‖ la propria, ―consuonare‖ con

qualcuno o ―dissonare‖ se non è d‘accordo. Il soggetto ha quindi imparato a prendere dello spazio

per sé, per affermare la propria identità ma anche a lasciare lo spazio perché l‘altro si esprima; in

questi termini si verifica uno scambio profondo attraverso il quale è possibile distinguere se stessi

ed affermarsi nel pieno rispetto delle personalità degli altri. Una competenza così importante può

essere trasferita anche nell‘ambito della scuola o del gioco perché entra a far parte dell‘identità del

bambino e delle competenze acquisite; è proprio l‘ambito del confronto sociale quello in cui il

bambino stenta ad inserirsi in modo sereno e vantaggioso. Non dimentichiamo che il fine di

qualunque intervento di riabilitazione è quello di far acquisire al paziente delle competenze che gli

siano utili nel contesto quotidiano per migliorare la propria qualità di vita. Sicuramente per il

bambino, per qualunque bambino, è importante riuscire ad inserirsi nel gruppo dei compagni in

modo tranquillo e soddisfacente per sé; troppo spesso i soggetti con problemi tendono ad essere

molto protetti dalle famiglie e pertanto non si confrontano con le dinamiche che sempre emergono

nei rapporti con i coetanei. Allo stesso tempo è fondamentale sostenere questi bambini, rinforzarli

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nelle acquisizioni deficitarie e soprattutto dare un sostegno alla loro autostima, valorizzandoli per le

capacità acquisite o migliorate. L‘intervento di musicoterapia intende sviluppare le parti sane del

paziente e promuovere uno sviluppo il più possibile armonico ed integrato.

5.3- IL METODO TERZI

Ida Terzi (1905-1997) diventa insegnante elementare e si specializza in tiflologia, per

l‘insegnamento dei non-vedenti, a Roma. Inizia la sua attività in un istituto per ciechi a Reggio

Emilia nel 1925. La prima formulazione del metodo risale a quegli anni sotto la spinta

dell'imponente problema pedagogico di rendere autonomo il cammino dei suoi alunni (Terzi, 1958)

e rappresenta il sistematico tentativo di trovare nuove vie di compenso alla mancanza della vista.

Prosegue la ricerca presso l'Istituto dei Ciechi e l'Istituto di Psichiatria dell'Università di Milano.

Nel 1958 pubblica sulla rivista Acta Neurologica i primi risultati del suo lavoro. Nel 1985 fonda

l'A.I.R.M.T. (Associazione Italiana Ricerche Metodo Terzi- Monza) che per sua volontà porterà

avanti la ricerca sul Metodo. Del 1995 è il testo edito da Ghedini "Il Metodo Spazio- Temporale". Il

Metodo è nato in anni in cui nulla di dimostrato scientificamente si sapeva sulle rappresentazioni

mentali dello spazio. La grande capacità di osservazione e le geniali anticipazioni di Ida Terzi,

supportate dai dati allora disponibili, hanno permesso di mettere a punto il modello. Il Metodo è

rimasto negli anni fedele a se stesso, la teoria che lo supporta si è ampliata enormemente. Il Metodo

di organizzazione spazio-temporale Terzi è un sistema di esercizi senso-motori che sviluppa la

capacità di integrare le informazioni spazio-temporali che giungono al Sistema Nervoso Centrale

dai diversi canali percettivi. Potenzia la capacità di costruzione di corrette immagini mentali

motorie (in 1° e 3° persona nelle fasi di ―vissuto‖ e ―rappresentazione‖) e visuo-spaziali. Per le sue

caratteristiche può essere qualificato come metodologia cognitivo-motoria, in cui le esperienze

ricavate dal corpo in movimento e dalle relazioni con il mondo esterno giocano un ruolo essenziale

per lo sviluppo della mente e degli apprendimenti, ovvero per lo sviluppo cognitivo. E‘ solo il

movimento che ci dà la consapevolezza dello spazio e del tempo, la percezione appare immersa

nella dinamica dell‘azione, il cervello che agisce è innanzitutto un cervello che comprende

(Rizzolatti & Sinigaglia, 2006). Si inserisce nei più recenti filoni teorici relativi alla neuropsicologia

cognitiva secondo la quale le funzioni corticali superiori vengono svolte attraverso l‘attivazione di

―sistemi funzionali a rete‖. In virtù dell‘esperienza conseguita le reti neurali si modificano e si

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verificano, nel corso dello sviluppo, in progressivi miglioramenti funzionali (Sabbadini, 2009). Tale

metodica è in linea con le attuali ricerche basate sulle teorie dell‘ ―embodied cognition‖ (Thelen,

1995; Iverson,1999) o ―cognizione incarnata‖, cioè radicata nel corpo, (Borghi e Inchini, 2002) che

sottolineano come lo sviluppo cognitivo evolve a partire dalla percezione del proprio essere,

parallelamente allo sviluppo delle funzioni motorie e al controllo delle stesse. Il Metodo Terzi

enfatizza lo stretto legame tra percezione-azione-cognizione: il corpo col suo movimento e le

interazioni del corpo con l‘ambiente esterno vengono utilizzati come dispositivi cognitivi da cui

inizia l‘attività mentale. Ida Terzi diceva: "l'atto motorio palese o celato è indispensabile per

promuovere la funzione degli organi di senso specifici” (1995). Berthoz attualmente, sostiene che

"l'azione anticipa la percezione" (1998). Il Metodo attiva processi di metacognizione come la

consapevolezza, il controllo e la pianificazione delle funzioni motorie stimolando:

processi cognitivi di analisi e di sintesi dei dati percettivi;

capacità di rappresentarsi l‘azione o la sequenza di azioni (pianificazione);

capacità di ordinare in sequenza spazio-temporale e/o coordinare una serie di movimenti

(programmazione);

organizzazione ed esecuzione del progetto motorio con l‘analisi delle sue componenti;

rappresentazione e verifica del risultato attraverso processi di controllo;

memoria di lavoro e attenzione selettiva.

Il metodo approfondisce inoltre lo studio delle rappresentazioni interne degli eventi, analizzando i

processi mentali che dallo stimolo portano al comportamento. In tutti gli esercizi del Metodo si

interviene sulla integrazione delle informazioni spaziali ordinate nel tempo che provengono dai

diversi canali sensoriali: propriocettivo, tattile, vestibolare, uditivo e visivo. Gli esercizi del

Metodo aiutano, infatti, i bambini a passare dalla sensazione alla percezione attraverso operazioni

integrative e associative che si realizzano in tutti i canali di informazione sensoriale e quindi alla

rappresentazione attraverso una organizzazione dei dati sensoriali. Nel soggetto disprassico la

metodica agisce sulle capacità rappresentative del proprio schema corporeo e del mondo esterno e

sulle capacità di costruzione e manipolazione delle immagini mentali. Il programma riabilitativo ed

educativo, attraverso esercizi mirati e specifici, prevedono il potenziamento della:

Organizzazione dello spazio personale (Schema corporeo), con un intervento specifico su:

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Miracolo Roberta – Disprassia, organizzazione motoria ed esercizio in età evolutiva

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la recettività sensoriale e l‘integrazione delle informazioni sensoriali (propriocettive, tattili,

vestibolari, uditive e visive) che toglie l‘ambiguità percettiva e fornisce un senso integrato

del corpo nello spazio,

la coordinazione della respirazione con la propriocezione e il controllo dei grandi segmenti

corporei (arti superiori e inferiori); coordinazione di schemi corporei (omolaterali e crociati)

in circuiti ritmici complessi,

la percezione dell‘asse corporeo o verticale soggettiva,

la distinzione propriocettiva degli emicorpi,

organizzazione spazio-temporale: percezione, rappresentazione su di sé e sull‘altro di

sequenze spazio-temporali (Atteggiamenti e Tocchi)

Organizzazione dello spazio extrapersonale vicino (peripersonale), spazio intorno al corpo

esplorabile con le mani, con un lavoro finalizzato a migliorare:

la consapevolezza delle possibilità motorie delle mani, anche nelle fasi di rappresentazione

esterna (motoria o grafica);

i movimenti fine-motori e la coordinazione delle dita, i movimenti in sequenza delle dita

delle mani, la mobilizzazione del polso e spalla, la manipolazione ―in-hand‖, la modulazione

delle forza e della pressione, la modellatura in plastilina, il ritaglio;

l‘organizzazione tattile-manuale (analisi manuale di figure geometriche piane) e la

stereognosia.

Organizzazione dello spazio extrapersonale lontano con un intervento specifico su:

lo spazio metrico-euclideo, per intervenire sulla rappresentazione mentale geometrica del

mondo e sul rapporto fra il soggetto e l‘ambiente esterno, definito geometricamente

(intervento sul Modulo geometrico).

Il canale deambulatorio, infatti, in cui le afferenze propriocettive ed esterocettive vengono

facilmente distinte, quantificate e composte in una sintesi spaziale, assume la funzione di “canale

percettivo” vero e proprio, che ci da prima la percezione e poi il concetto della distanza. Aspetto

peculiare del Metodo è l‘organizzazione degli esercizi in una fase di "vissuto", passivo e attivo,

seguita da una fase di ―rappresentazione". La fase di "vissuto‖ (esempio: ―Atteggiamenti‖ e

―Tocchi‖) è eseguita in prima persona dal soggetto e si chiede di prestare attenzione alla corretta

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Miracolo Roberta – Disprassia, organizzazione motoria ed esercizio in età evolutiva

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posizione in cui vengono poste le varie parti del corpo, o punti del corpo in cui viene toccato. Il

―vissuto‖ facilita nel soggetto la capacità di percepire e riprodurre su di sé in maniera

temporalmente ordinata una serie di informazioni cinestesico-propriocettive e tattili. Nella fase della

"rappresentazione" si chiede al soggetto di riprodurre sull'operatore (per gli esercizi sullo schema

corporeo) o su una tavolozza di plastilina (per gli esercizi sullo spazio extrapersonale) quanto ha

eseguito ad occhi bendati immediatamente prima. La rappresentazione permette di individuare il

grado di consapevolezza e la capacità di integrazione delle informazioni a livelli diversi. In questo

modo, il Metodo esercita l'integrazione delle informazioni relative al proprio corpo con quelle

provenienti dal mondo esterno, facilitando la coerenza percettiva ed il passaggio da un utilizzo

inconscio ad un utilizzo consapevole del corpo in movimento. L‘approccio al compito è di tipo

metacognitivo: non si interviene direttamente sull‘ ―errore-sintomo‖ ma si analizzano le risposte,

indagando i processi mentali che possono averle determinate. Nelle varie fasi di lavoro il bambino,

attraverso l‘attività intenzionale, attiva i processi metacognitivi attraverso la rappresentazione di sé

e dell‘ambiente esterno, la pianificazione e la programmazione di movimenti in sequenza per

raggiungere uno scopo e il controllo del programma. In ognuna di queste fasi si avviano processi di

verifica mediati dal canale propriocettivo e visuo-spaziale. Gli esercizi vengono proposti al soggetto

in un ambiente vasto, sgombro, silenzioso, con luci soffuse, si eseguono a piedi scalzi e ad occhi

bendati. L‘esclusione della vista nelle fasi del vissuto e della rappresentazione diventa una

facilitazione per il bambino perché riduce la complessità e la contemporaneità delle informazioni

che deve elaborare e permette una maggiore concentrazione su quelle cinestesico-propriocettive e

somatosensitive.

5.4- L’IMPORTANZA DEGLI OMEGA3

In uno studio di Alexandra J. Richardson del 2003 si evince l'importanza degli acidi grassi omega-3

nel comportamento, nella cognizione e nell'umore. È sempre più evidente che le carenze funzionali

o gli squilibri di alcuni acidi grassi insaturi (HUFA) della serie degli omega-3 e omega-6 possono

contribuire allo sviluppo di una vasta gamma di disturbi dello sviluppo, tra cui la dislessia,

disprassia, disturbo da deficit di attenzione / iperattività (ADHD), autismo, depressione, disturbo

bipolare e lo spettro della schizofrenia. Questi nutrienti sono indispensabili per lo sviluppo e la

funzione del cervello, ma in particolare il HUFA omega-3 (acidi eicosapentaenoico e

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docosaesaenoico) è spesso mancante nelle diete moderne. Le prove dell'implicazione degli acidi

grassi omega-3 in queste condizioni sono evidenti, con un focus sui risultati provenienti da studi di

trattamento randomizzati e controllati. Queste indicano che il trattamento con acido

eicosapentaenoico può ridurre i sintomi negli adulti con disturbi dell'umore, schizofrenia e

eventualmente la malattia di Huntington. Nei bambini, la prova preliminare indica che il HUFA

omega-3 potrebbe anche ridurre alcune delle difficoltà comportamentali e di apprendimento

associati con l'ADHD, la dislessia e le relative condizioni. Le caratteristiche principali della

maggior parte di queste condizioni si possono trovare in forma più lieve come parte delle normali

differenze individuali dell'umore, del comportamento e della cognizione. Le condizioni dello

sviluppo nell‘infanzia del disturbo da deficit di iperattività e attenzione (ADHD), della dislessia,

della disprassia e dei disturbi dello spettro autistico sono tutti definiti da diversi e specifici, modelli

di difficoltà di comportamento e / o di apprendimento. Nell‘ ADHD vi sono problemi di attenzione

e /o iperattività / comportamenti impulsivi; nella dislessia ci sono difficoltà specifiche di lettura e

scrittura; nella disprassia, carenze specifiche nell'organizzazione, pianificazione e coordinamento

delle azioni; nello spettro autistico, invece, compromissione delle competenze comunicative e

sociali. Queste condizioni, tra di loro, influiscono sul 20% dei bambini in età scolare, anche se i

confini della variabilità individuale rispetto al comportamento, alla cognizione e all'umore, è spesso

inferiore a quanto ci si aspetti. Le difficoltà persistono in età adulta, con costi notevoli non solo per

gli individui e le famiglie direttamente colpite, ma anche per la società nel suo insieme (Nyden A,

Paananen M, Gillberg C., 2000). Una delle maggiori difficoltà incontrate con tutte queste diagnosi è

data dal fatto che sono solo etichette descrittive, per quei particolari modelli di comportamento. La

causa è sempre multifattoriale e differisce tra soggetti con la stessa etichetta diagnostica. In pratica,

la sovrapposizione di queste condizioni è elevata e tendono anche a ripetersi nelle stesse famiglie,

suggerendo la presenza di elementi comuni sul piano della predisposizione biologica. Sempre più

prove suggeriscono che questi casi potrebbero includere una predisposizione costituzionale alla

carenza funzionale di alcuni acidi grassi insaturi (HUFA) (Richardson AJ, Ross MA., 2000).

Queste condizioni di sviluppo evidenziano anche le associazioni familiari e altre condizioni

psichiatriche di solito identificate in età adulta, tra cui la depressione e disordine bipolare

(maniacale/ depressiva) e i disordini dello spettro della schizofrenia e alcuni disturbi di personalità.

Le anomalie degli acidi grassi pare che giochino un ruolo fondamentale in queste condizioni, e

ancora, le prove esistenti indicano che i fattori genetici possano contribuire al processo anomalo del

metabolismo degli acidi grassi e si può agire aumentando il quantitativo di questi nutrienti,

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essenziali nella dieta (Peet M, Glen I, Horrobin DF, 1999). Solo i fattori ambientali, tuttavia,

potrebbero spiegare l'apparente aumento negli ultimi anni dell'incidenza e della gravità di alcune di

queste patologie, in particolare depressione, ADHD e disordini dallo spettro autistico.

Probabilmente tra questi motivi vi è la modifica delle abitudini alimentari dell‘uomo, in particolare

una drammatica riduzione dell‘ apporto dietetico degli acidi grassi omega-3 nella maggior parte dei

paesi sviluppati (Simopoulos AP., 2002). Molte caratteristiche associate con l'ADHD, la dislessia, i

disturbi dello spettro autistico e la disprassia sono coerenti con le carenze o gli squilibri di HUFA.

Queste includono l'eccesso di maschi affetti, tendenze leggermente aumentate delle complicazioni

della gravidanza e della nascita, lievi anomalie fisiche e un aumento della frequenza di disturbi

atopici o autoimmuni in individui affetti e nei loro familiari. Le anomalie degli acidi grassi

potrebbero anche contribuire a scoprire alcune delle principali caratteristiche cognitive e

comportamentali di queste condizioni, come le anomalie visive, motorie, di attenzione o di

elaborazione del linguaggio, così come alcune delle difficoltà legate all‘umore, all'appetito o alla

digestione, alla regolazione della temperatura e del sonno (Richardson AJ, Puri BK., 2000). Gli

acidi grassi omega-6 e omega-3 sono fondamentali per la normale struttura del cervello e per il suo

funzionamento, ma devono essere integrati con la dieta. Tra questi, quattro HUFA sono

particolarmente importanti per il cervello: l'acido dihomogamma-linolenico (DGLA), l‘acido

arachidonico (AA) (omega-6), l'acido eicosapentaenoico (EPA) e l‘acido docosaesaenoico (DHA)

(omega-3). Di solito questi acidi possono essere sintetizzati dai corrispondenti acidi grassi

essenziali (EFA), acido linoleico e l‘acido linolenico, rispettivamente. La fornitura dietetica di

omega-6 e omega-3 è essenziale, così come la conversione tra i due, non è possibile negli esseri

umani. Strutturalmente, AA e DHA sono componenti chiave delle membrane neuronali, che

costituiscono il 15/ 20% del massa secca cervello e oltre il 30% della retina. L‘AA è fondamentale

per la crescita del cervello e le lievi mancanze sono associate a un basso peso alla nascita e ridotta

circonferenza cranica. Svolge inoltre un ruolo chiave nei processi cellulari alla base

dell'apprendimento e della memoria. Il DHA è particolarmente concentrato nelle membrane di

sinapsi e fotorecettori e un fabbisogno adeguate, è essenziale per il normale sviluppo visivo e

cognitivo (Uauy R, Hoffman DR, Peirano P, et al., 2001). Per tutta la vita, un‘approvvigionamento

adeguato di HUFA resta cruciale per la funzione ottimale del cervello (Yehuda S, Rabinovitz S,

Mostofsky DI., 1999). Essi aumentano la fluidità delle membrane neuronali, essenziale per una

efficiente trasduzione del segnale ed alcuni HUFA (in particolare AA e EPA) agiscono come

secondi messaggeri nei sistemi di neurotrasmettitori chimici, oltre a contribuire agli altri numerosi

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aspetti della segnalazione cellulare. Funzionalmente, tre HUFA (DGLA, AA e EPA) sono

particolarmente importanti come substrati per gli eicosanoidi. Questi derivati degli HUFA giocano

un ruolo chiave nella regolazione del flusso sanguigno, nel funzionamento del sistema ormonale e

immunitario, inoltre sono in grado di modulare i canali ionici, l‘assorbimento dei neurotrasmettitori,

la trasmissione sinaptica, l‘apoptosi e molti altri processi biologici. Essi possono pertanto avere

influenze profonde sullo sviluppo e sulla funzione del cervello. Un‘adeguata alimentazione ed un

adeguato equilibrio di HUFA sono necessari per un normale funzionamento del cervello, sia durante

il primo sviluppo che per tutta la vita. La prova diretta di studi clinici e sperimentali, sostiene l'idea

che la deplezione degli HUFA può giocare un ruolo primario in queste sovrapposizioni delle

condizioni di sviluppo. Così, i segni fisici della carenza di acidi grassi quali sete eccessiva,

frequente diuresi, unghie o capelli secchi e opachi e pelle morbida e friabile, sono state chiaramente

collegati con ADHD, la dislessia e i disturbi dello spettro autistico. Per quanto riguarda il

trattamento con acidi grassi in queste condizioni, i dati raccolti, i case report e altri studi hanno

suggerito i possibili benefici, ma a tutt'oggi vi sono stati pochi studi sul trattamento, adeguatamente

controllati. Le prime prove sul trattamento di ADHD con l‘enotera [olio che fornisce gli acidi grassi

omega- 6 e l‘acido g-linolenico (GLA)], ma ha mostrato vantaggi poco chiari (Arnold, Kleykamp,

Votolato et al., 1987). L‘enfasi da allora si è spostata sull‘omega-3 HUFA e successivi studi

controllati randomizzati indicano che i supplementi essenziali contenuti nell‘olio di pesce (che

fornisce l'omega-3 HUFA, EPA e DHA) possono ridurre le difficoltà comportamentali e di

apprendimento, sia nell'ADHD che nella dislessia (Burgess JR., 1998). Tuttavia, la

supplementazione con DHA puro è risultato essere completamente inefficace nell‘ADHD (Voigt

RG, Llorente AM, Jensen CL, et al., 2001), in linea con le altre prove che l'EPA, potrebbe essere la

chiave degli acidi grassi omega-3 nei disturbi funzionali di attenzione, cognizione o umore. I

risultati del primo studio controllato di integratori di acidi grassi nella disprassia sono imminenti, e

anche se non ci sono prove di trattamento dello spettro autistico, gli studi sono attualmente in corso.

Al momento, elementi concreti per sostenere che gli HUFA siano un utile trattamento per questi tipi

di condizioni di sviluppo, restano pertanto limitati. Sono chiaramente necessarie ulteriori prove

cliniche ma, data l'eterogeneità e le questioni comorbidità, un focus esclusivo sulle etichette

diagnostiche attuali non può che essere il migliore approccio. Per esempio, sta diventando chiaro

che molti bambini che ricevono la diagnosi di ADHD possono avere in realtà un disturbo bipolare

dell'umore non diagnosticato (Spencer TJ, Biederman J, Wozniak J, et al.,2001), e anche se i

farmaci stimolanti sono diventati il trattamento primario per l'ADHD, questi potrebbero aggravare

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le difficoltà. Allo stesso modo, è stato dimostrato che gli stimolanti sono inefficaci nel 70% dei

bambini con ADHD con comorbidità di ansia. Allo stato attuale, il possibile ruolo della nutrizione è

raramente considerato nella diagnosi o nella gestione di disturbi dello sviluppo o psichiatrici, ma le

prove delle ricerche forniscono alcune buone ragioni affinchè questa situazione cambi. Sembra

anche probabile che la dieta potrebbe giocare un ruolo nella prevenzione di tali disturbi, anche se

sono ancora necessari altri studi per affrontare questa possibilità. In sintesi, la particolare

importanza di omega-3 HUFA in tanti aspetti del comportamento, dell'apprendimento e dell'umore,

oltre ai loro benefici sulla funzione cardiovascolare e immunitaria, suggerisce che il ripristino di

questi grassi nella dieta moderna potrebbe avere implicazioni molto positive per la salute pubblica.

5.5- LA PROSPETTIVA CHIROPRATICA

In un recentissimo studio del 2010, Pauc R. si prefigge di portare all'attenzione dei chiropratici i

sintomi e i diversi segni della disprassia e l‘effetto debilitante che essa può avere sul paziente, oltre

ai possibili esiti del trattamento.Un bambino su cinque soffre di disturbi dello sviluppo – ADD,

ADHD, disprassia, dislessia. Ci sono molte prove che attestano che questi disturbi esordiscono in

comorbidità, puntualizzando che devono essere considerati sintomi e non condizioni specifiche del

soggetto. Nei modelli di comorbidità, la disprassia è il più comune dei sintomi presentati.

Trascurare i disturbi dello sviluppo e la mancata cura degli stessi, continuerà a ripercuotersi nella

vita adulta influendo non solo sui successi scolastici, lavorativi e sociali, ma anche sulla salute

fisica della persona affetta. E‘ quindi indispensabile che il medico chiropratico abbia la

consapevolezza della disprassia e dei mezzi messi a disposizione per testarla. La disprassia verbale

è generalmente individuata e trattata precocemente con l'intervento di logopedia. La disprassia

visuale - insufficienza di convergenza e problemi di tracking - può essere provata mediante l'uso di

un isopter portato verso il naso da una distanza di 16 pollici e ripetuta 3 volte. La disprassia

generale può essere trattata, in generale, dalla pratica chiropratica affrontando i problemi specifici,

in quanto prevede un sistema semplice di esercizi che il paziente può eseguire a casa

quotidianamente. Sulla base dei risultati dei test di valutazione, possono essere prescritti specifici

esercizi, che indirizzeranno i problemi cerebellari generali o lateralizzati alle afferenze specifiche

dell‘emisfero sottosviluppato. Il trattamento, per il professionista con una formazione post-laurea in

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neurologia chiropratica, può fornire un programma di esercizio adatto al soggetto. Gli esercizi

generici prevedono:

(1) Con le mani al fianco, la testa in posizione neutra e gli occhi chiusi, scendere 3 scalini, 3 volte, 3

volte al giorno. Senza eccedere le 3 volte. Quando riesce a fare 3 ripetizioni perfettamente, si può

passare a 5, poi 7, poi 10 ripetizioni.

(2) Una volta che ha imparato a salire gli scalini, è possibile procedere a ritroso, con le stesse

progressioni.

(3) Una volta che è possibile eseguire le scale avanti e indietro, si può iniziare una nuova serie, ma

questa volta portando un vassoio con un bicchiere di plastica pieno d'acqua.

Per gli esercizi lateralizzati si possono eseguire gli stessi del piano generale, concentrandosi solo da

un lato. Il feedback al cervelletto rimane ipsilaterale, gli esercizi che utilizzando un singolo arto o

parte del corpo sarà afferente all‘emisfero cerebellare del lato in esame.

(1) Ogni giorno, quando vi lavate i denti - usare la mano sinistra e stare sulla gamba sinistra.

(2) insegnare a te stesso come utilizzare uno Yo-Yo con la mano sinistra. Imparare i trucchi

possibili.

(3) labirinti: traccia il percorso con la mano sinistra.

Nonostante la consapevolezza che la disprassia è in crescita tra la popolazione generale ed è

comunemente citata nei rapporti degli psicopedagogisti, il suo impatto nella medicina generale

viene trascurato e di conseguenza il paziente presenta una varietà di disordini neuromuscolari che

possono essere lenti nel rispondere al trattamento. L'impostazione del tono, il controllo della

postura, la locomozione e la pianificazione motoria sono molteplici ed è oltre lo scopo dello studio

di Pauc, ma il ruolo del cervelletto e del tronco encefalico sono ben consolidati, come lo sono le

funzioni dei pattern centrali nei movimenti ritmici ripetitivi, come camminare e nuotare (Kandel

ER, Schwartz JH, Jessell TM., 2000). Fino a poco tempo fa si è generalmente ritenuto che

l'apprendimento e i problemi comportamentali erano incurabili. Tuttavia, con la scoperta del

epigenoma e il suo controllo nella morfogenesi, è ora possibile considerare i regimi di trattamento

che possono avere un impatto significativo su queste condizioni (Beck S, Olek A, 2005). La

probabilità che l'epigenoma sia il primo fattore di ritardo dello sviluppo sembra probabile e farebbe

compiere un lungo cammino ai genetisti per spiegare perché, ad oggi, non hanno trovato una causa

puramente genetica di queste condizioni comuni. Si è pensato che la disprassia interessasse fino

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all‘otto per cento della popolazione adulta, in gradi diversi, ma corre nelle famiglie una maggiore

consapevolezza e una migliore comprensione delle sue varie presentazioni, le quali sono essenziali

per chiunque lavori con bambini con disturbi comportamentali e di apprendimento, ma anche per

quelli rivolti alle condizioni del sistema muscolo-scheletrico. E‘ noto che abbia profondi effetti

sull‘apprendimento e che si può presentare con fattori predisponenti latenti/sottostanti i singoli

disturbi. Ciò comporta che spesso il trattamento risponda in maniera inefficace o possa portare a

recidive ricorrenti.

5.6- RIABILITAZIONE MOTORIA NELLA DISPRASSIA

In uno studio del 1998, Lee MG. e Smith GN. hanno esaminato sessanta pazienti affetti da

disprassia motoria, che hanno eseguito delle sedute di fisioterapia settimanalmente per otto

settimane, più un programma di esercizi quotidiani da eseguire casa. I progressi dei soggetti

coinvolti nello studio sono stati registrati sia alla fine delle sessioni di trattamento che in una

revisione dopo 12 settimane. I punteggi totalizzati alla fine del trattamento hanno mostrato un

miglioramento dal 50 al 90% con una media del 72% per paziente. Nella revisione, il punteggio ha

mostrato un miglioramento dal 47 al 97%con una media del 73% per paziente. I genitori hanno

segnalato un miglioramento, in coerenza con gli obiettivi che si erano stabiliti, tra il 50% e il 100%,

con una media del 72% per paziente. I risultati indicano che la fisioterapia ha un effetto positivo per

i bambini con disprassia, tre mesi dopo il trattamento. Non è ancora stato possibile monitorare il

progresso in diversi anni. La procedura descritta in questo studio includeva un programma che

prevedeva: 1. Valutazione; 2. Otto settimane di trattamento; 3. Verifica dei cambiamenti nei

punteggi (presi nell'ultima sessione del trattamento); 4. Recensione 12 settimane dopo il

completamento del trattamento. Prima della valutazione iniziale è stato inviato ai genitori un

questionario confidenziale per scoprire un pò la storia personale, garantendo che non sarebbe stata

fatta nessuna domanda imbarazzante, di fronte al bambino. È stato inoltre dato un volantino che

descriveva il processo di valutazione, specificando ciò che i bambini devono indossare. Al

completamento di ciascuna valutazione, sono state identificate le principali aree di difficoltà e

successivamente segnalate ai genitori. Il fisioterapista ha delineato i punteggi specifici su cui il

bambino dovrebbe puntare per raggiungere un adeguato livello di abilità motoria, entro la fine del

programma di trattamento. Tutti i bambini sono stati trattati su base individuale con la presenza di

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un genitore. La sessione di un'ora alla settimana è stata completata da un programma quotidiano di

15 - 20 minuti da eseguire a casa, il quale comprende esercizi per migliorare la forza muscolare. A

partire da dieci ripetizioni, il numero è stato aumentato di cinque ripetizioni a settimana per ogni

esercizio finché ogni bambino sarebbe riuscito a compiere ogni esercizio con 40 ripetizioni. Il

programma in casa consisteva anche in giochi e attività con la palla. I giochi sono stati spesso dati

in prestito ai bambini. La conferma che il programma di casa veniva effettuato correttamente e che i

bambini potessero gestire l'aumento di ripetizioni, è stata data ogni settimana sia dai genitori che dai

figli. Sono stati praticati giochi e attività per migliorare le competenze motorie. Nell‘ultimo

trattamento, è stata completata una lista di controllo, che consisteva nel rivedere i risultati originali

con gli ultimi totalizzati. La percentuale di miglioramento è stata calcolata in ogni area, calcolando

la media generale. Dopo l'ultima sessione è stato elaborato un piano di trattamento futuro che

consisteva in esercizi e attività che venivano progressivamente ridotti nel corso delle 12 settimane,

in modo da terminare il programma di casa per la revisione finale. I genitori sono stati invitati a

contattare il fisioterapista se avessero avuto qualche preoccupazione prima della revisione. I test

effettuati nella valutazione originaria sono stati ripetuti in modo identico dal fisioterapista stesso e

in ciascun settore, i punteggi originali e quelli nuovi, sono stati utilizzati per calcolare la percentuale

di miglioramento e da questi è stata calcolata una percentuale media generale del miglioramento.

Sono stati controllati tutti gli obiettivi fissati nella valutazione iniziale, per assicurare che erano stati

tutti raggiunti ed il punteggio massimo che può essere raggiunto è del 100% per ogni area. I genitori

erano anch'essi invitati a verificare la percentuale di miglioramento per ogni obiettivo che si erano

prefissati ed hanno, inoltre, ricevuto una lista di attività con una serie di punteggi, per controllare i

propri figli mensilmente. In questo studio tutti i pazienti hanno mostrato un miglioramento molto

significativo rispetto al punteggio di base, infatti, la percentuale media di miglioramento per i

bambini immediatamente dopo il trattamento è stato del 69% (p <0,0001); la percentuale media di

miglioramento per ogni bambino al momento della revisione è stata del 73%, il quale è un

miglioramento significativo sui punteggi immediatamente dopo il trattamento (p <0,001); la

percentuale media di miglioramento per paziente con gli obiettivi fissati dai genitori in occasione

della revisione è stata del 72%. Non c'era differenza statisticamente significativa tra le osservazioni

dei miglioramenti dei genitori e le misure oggettive utilizzate. Gli obiettivi fissati dal fisioterapista

sono stati raggiunti da tutti tranne che da due bambini, mentre alcuni hanno superato il punteggio

desiderato. Il programma di trattamento utilizzato in questo studio è stato indicato nella Disprassia -

Un manuale per i terapeuti (Lee e French, 1994) e Creazioni di un Servizio di Fisioterapia sulla

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Disprassia (Lee, 1996). E‘ stato selezionato un blocco di otto settimane di trattamento perchè i vari

modelli che sono stati utilizzati in passato si sono rivelati particolarmente inefficaci per i seguenti

motivi:

- Quei pazienti che hanno ricevuto sei settimane di trattamento o meno, non hanno raggiunto tutti

gli obiettivi che il fisioterapista aveva fissato nella valutazione iniziale;

- Gli obiettivi che erano stati completati, non sono stati mantenuti in occasione della revisione

annuale;

- I pazienti che erano stati trattati per periodi più lunghi, si sono annoiati con il trattamento e

decisero di interrompere il programma a casa. Le misure scelte sono state di facile utilizzo e il

punteggio poteva essere facilmente estrapolato dalla normale valutazione di un fisioterapista.

Sebbene completare la valutazione e la revisione impiega circa un'ora, l'estrapolazione dei punteggi

per individuare le misure di esito, generalmente, non prende più di cinque minuti nella

consultazione iniziale e dieci minuti nella revisione. Si è ritenuto importante che i genitori venissero

a conoscenza della relazione tra ciascun settore della valutazione e la capacità dei bambini. Quando

un miglioramento viene osservato in una zona particolare, i genitori hanno spesso riportato una

progressione nelle abilità generali dei propri figli, inoltre i genitori erano ansiosi di sapere quanto il

proprio figlio era migliorato. Sembra che nei bambini aumenti la fiducia e l‘autostima e ciò, a sua

volta, li ha incoraggiati a tentare quelle attività che precedentemente avevano trovato difficili o che

avevano rifiutato di provare. E' stato interessante notare che i quattro pazienti che hanno richiesto

un ulteriore ciclo di trattamento sono stati di età inferiore agli 11 anni. La ragione potrebbe essere

dovuta al fatto che dopo il primo ciclo di trattamento, i propri figli avevano avuto una crescita

improvvisa. Lee e French (1994) hanno affermato che le difficoltà possono manifestarsi

nuovamente, dopo che la crescita ―scoppia‖ e che a sette anni è comune per questi bambini che si

verifichi. Inoltre, due bambini non avevano effettuato il programma a casa tutti i giorni e quindi non

avrebbero potuto raggiungere il proprio potenziale a pieno. Certo, questi bambini non avevano

adempiuto a tutti gli obiettivi del fisioterapista o agli obiettivi dei genitori. Tuttavia, questi quattro

bambini avevano ottenuto ottimi risultati nella seconda revisione, quando i genitori hanno

commentato che avevano una maggiore fiducia e autostima ed erano molto più disposti a tentare

nuove attività e questo non era avvenuto dopo la revisione iniziale. Tutti i genitori e bambini hanno

riferito che erano state tentate nuove competenze e lo sport. La maggior parte dei genitori hanno

riferito che i loro figli erano diventati più entusiasti nel fare sport regolarmente rispetto al passato,

ciò potrebbe aver contribuito al miglioramento della loro forza muscolare ed hanno riferito che

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Miracolo Roberta – Disprassia, organizzazione motoria ed esercizio in età evolutiva

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avevano iniziato a praticare diversi sport fuori dalla scuola, anche se i bambini più piccoli stavano

praticando solo su uno sport. I genitori di 48 dei 60 soggetti, hanno comunicato che i propri figli

avevano accettato di partecipare, alle associazioni scolastiche e sportive, per il tempo della

revisione. Il miglioramento tra la fine del trattamento e la revisione dopo 12 settimane è

interessante. Il miglioramento medio complessivo del 69% dopo il trattamento è significativamente

aumentato al 73% nella revisione (p <0,001). I dieci pazienti, compresi i quattro che hanno richiesto

un ulteriore trattamento, che avevano mostrato un calo della percentuale, in occasione della

revisione, era diminuita solo leggermente (0,5% -12%), mentre il resto ha dimostrato un ulteriore

miglioramento (0,5% -15%). Il punteggio sarebbe comunque incrementato perché tutti i bambini

avevano continuato con alcune attività del programma a casa. Inoltre, dopo la fine del programma

di trattamento hanno continuato regolarmente a praticare sport al di fuori della scuola, ad esempio,

nuoto, equitazione e calcio o rugby. Inoltre, e probabilmente è il fattore più importante, tutti i

bambini hanno mostrato una migliore autostima, motivandoli a tentare e sperimentare nuovi sport e

attività. Avevano scoperto che potevano avere successo. Quando, invece, si discute il programma a

casa con i genitori, quelli dei bambini più piccoli hanno raccontato che non era stato intrapreso

volentieri dai bambini. Spesso, i bambini più grandi hanno condotto il programma senza la

supervisione dei genitori.

I risultati mostrano che tutti i bambini dello studio di revisione hanno compiuto progressi

significativi. E' interessante notare che i genitori avevano soggettivamente avvertito che i loro figli

avevano compiuto sviluppi, simili ai punteggi degli obiettivi nella revisione. I genitori hanno

comunicato che nei propri figli era migliorata la fiducia in se stessi, trovando i compiti di classe più

facili, soprattutto la scrittura, ed ora riuscivano a tenere il passo con il lavoro di classe. Inoltre,

questo metodo di trattamento è stato utilizzato dall'autore principale (Lee M.), mentre stava

lavorando in una zona interna della città di Londra. Proprio lì, aveva osservato che tutti i genitori

erano molto motivati, la partecipazione è stata buona ed il programma di casa è stato effettuato da

tutti i pazienti, anche se i genitori non sempre avevano una così chiara comprensione delle difficoltà

del proprio bambino, prima della valutazione fisioterapica. L'utilizzo dei risultati dettagliati ha

permesso agli autori di mostrare che la fisioterapia ha un effetto positivo sulla disprassia. C'è stato

un riscontro molto positivo di queste misure anche in altri fisioterapisti, genitori e referenti. I

genitori sembrano essere soddisfatti nel sapere che i loro sforzi e quelli dei loro figli hanno avuto,

durante il trattamento, effetti positivi.

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Miracolo Roberta – Disprassia, organizzazione motoria ed esercizio in età evolutiva

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- OVERWIEW DEGLI ARTICOLI PIU’ IMPORTANTI DEL CAPITOLO

ANNO\AUTORE INDAGINE RISULTATI FONTE BIBLIOGRAFICA

1958- Terzi Ida

E‘ un metodo di

organizzazione spazio-

temporale che prevede un

sistema di esercizi senso-

motori che sviluppano la

capacità di integrare le

informazioni spazio-

temporale che giungono al

SNC dai canali percettivi.

In virtù dell‘esperienza

conseguita nel corso dello

sviluppo, le reti neuronali

si modificano in

progressivi miglioramenti

funzionali. Il metodo terzi

enfatizza lo stretto legame

tra percezione-azione-

cognizione.

RIVISTA

―ACTA NEUROLOGICA‖

1994- Henderson

In assenza di un piano sul

trattamento per i bambini

con disturbi della coordi-

nazione, con una base di

ricerca solida, il meglio

che si può fare è fornire

alcuni suggerimenti per il

riconoscimento delle con-

dizioni della disprassia.

Qualunque sia la strategia

adottata, l‘obiettivo di

migliorare le competenze

di tutti i giorni non sarà

mai pienamente raggiunta

senza la collaborazione dei

genitori e degli insegnanti.

I bambini trascorrono

molto più tempo a casa ed

a scuola di quanto non

potrà passare con il

medico.

CURRENT PEDIATRICS

1998- Lee &

Smith

Hanno esaminato 60 pa-

zienti affetti da disprassia

motoria che hanno ese-

guito delle sedute di fisio-

terapia per otto settimane,

più un programma di eser-

cizi a casa. I progressi

sono stati registrati sia alla

fine del trattamento che

dopo 3 mesi.

I risultati indicano che la

fisioterapia ha effetti posi-

tivi sui bambini affetti da

disprassia, anche 3 mesi

dopo il trattamento. Non è

ancora possibile monito-

rare i progressi dopo molti

anni.

PHYSIOTERAPY

2003- Richardson

Si evince l‘importanza de-

gli acidi grassi omega-3

nel comportamento, nella

cognizione e nell‘umore.

Essi possono contribuire

allo sviluppo della disles-

sia, della disprassia,

dell‘ADHD, dell‘autismo

e della depressione.

Molte caratteristiche asso-

ciate con l‘ADHD, la di-

slessia e la disprassia sono

coerenti con le carenze o

gli squilibri di HUFA

(acidi grassi insaturi). La

dieta potrebbe giocare un

ruolo nella prevenzione di

tali disturbi, anche se sono

necessari altri studi per af-

frontare questa possibilità.

SCANDINAVIAN

JOURNAL OF

NUTRITION

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Miracolo Roberta – Disprassia, organizzazione motoria ed esercizio in età evolutiva

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2008- Leotta,

Ganotta e Steffani

L‘esperienza logopedia nel

bambino con disprassia ci

ha permesso di focalizzare

l‘attenzione sulla com-

promissione della comuni-

cazione in senso lato. In-

fatti l‘impossibilità di uti-

lizzare il sistema prassico

gli preclude la strada alla

comunicazione verbale e

non verbale, che si traduce

per il bambino, in un fal-

limento continuo

nell‘interazione sociale.

L‘intervento logopedico

deve tener conto di tutti gli

elementi intrinseci ed

estrinseci che influenzano

il soggetto disprassico,

nell‘interazione con

l‘ambiente in cui è inse-

rito. Si parla, infatti, di

Approccio Ecosistemico in

cui il terapista non prende

in carico solo l‘aspetto

patologico da riabilitare

ma l‘individuo nel suo es-

sere unico.

LOGOPEDIA E

COMUNICAZIONE

2009- Bernardi et

al.

Hanno cercato di

identificare un modello

sperimentale per studiare

l‘interazione tra il ritmo

cueing e la

programmazione di azioni

cognitive complesse. Il

Cueing Rhythm consiste in

un tono metronomo

isocrono, come un‘onda

quadra.

Possiamo affermare che il

ritmo cueing può

migliorare le prestazioni di

un paziente disprassico in

quanto la sincronizzazione

con il ritmo potrebbe

contribuire a strutturare la

sequenza motoria in modo

regolare. Sono, comunque

necessari ulteriori studi per

perfezionare questo tipo di

trattamento.

THE NEUROSCIENCES

AND MUSIC III:

DIOSRDERS AND

PLASTICITY

2010- Pauc

Si prefigge di portare

all‘attenzione dei chiro-

pratici i sintomi della di-

sprassia e l‘effetto debili-

tante che essa può avere

sul paziente, oltre ai possi-

bili esiti del trattamento.

La disprassia può essere

trattata dal chiropratico af-

frontando i problemi spe-

cifici, in quanto prevede

un sistema semplice di

esercizi che il paziente può

eseguire a casa.

CLINICAL

CHIROPRATIC

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Miracolo Roberta – Disprassia, organizzazione motoria ed esercizio in età evolutiva

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CONCLUSIONI

Lo scopo di questa tesi è quello di fornire un resoconto completo degli studi e delle ricerche

scientifiche sul tema dei disturbi dello sviluppo della coordinazione, in particolar modo sulla

Disprassia motoria, convogliando i risultati degli ultimi cinquant‘anni. Nei primi due capitoli si

intende fare luce sulla denominazione e sull‘eziologia della disprassia. I primi studi fatti sui

bambini ―clumsy‖ risalgono agli inizi del ‗900 con Duprè (1911) che scoprì i ―problem affecting

motor function‖, ma fu con Orton (1937) che si cominciò ad ipotizzare ad una teoria eziologica del

disturbo, infatti egli definì questo disturbo ―Minimal Brain Damage‖ che si sviluppò nella teoria

MBD con Gubbay, Ellis, Walton, e Court nel 1965. Fu solo nel Forum di Londra nel 1994, che è

stato raggiunto un consenso globale per quanto riguarda la terminologia, dove ―in assenza di una

condizione neurologica o deficit cognitivo, la disprassia è l‘inabilità a pianificare, organizzare e

coordinare il movimento (difficoltà fino\grosso-motorie e\o linguistiche. I bambini disprattici sono

quelli che in assenza di deficit neurologici e\o fisici, hanno difficoltà nel controllo e nella

coordinazione delle attività motorie volontarie‖. Nonostante ciò, esistono diverse etichette

diagnostiche e la più utilizzata, secondo uno studio di Magalhães LC, Missiuna C, Wong S (2006),

è il DCD. Invece secondo Gibbs et al. (2007), i termini DCD e Disprassia dovrebbero essere

considerati sinonimi. Andando a rivedere le due classificazioni più importanti al mondo nella

diagnosi delle diverse patologie, ovvero L‘ICD-10 ed il DSM-IV, notiamo che la disprassia è

denominata in due modi differenti. Per il DSM-IV è inteso come Development Coordination

Disorder (DCD), mentre per l‘ ICD-10 si tratta di Specific Disorder of Development of Motor

Function (SDDMF). Per quanto riguarda l‘eziologia, invece, non si è riusciti a dare un‘unica e

unanime teoria eziologica al disturbo, spaziando dalle lesioni al corpo calloso ed al lobo parietale

superiore, fondamentale per l‘intgrazione visuo-spaziale dei movimenti volontari (Tanaka et

al.,1996), al cervelletto, fino ad arrivare a studiare i bambini nati prematuri, per individuare una

plausibile causa comune della disprassia. Ma, grazie al progresso delle tecniche di neuroimaging, si

sta facendo largo l‘approccio dell’elaborazione delle informazioni (IP) ed il profilo cognitivo-

neuroscientifico sul controllo motorio e sull'apprendimento, in cui il primo esplora i processi che si

devono verificare per produrre il movimento (Tupper e Sondell, 2004). Così i ricercatori,

utilizzando questo approccio, hanno sostenuto che se si fosse in grado di isolare i singoli deficit che

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Miracolo Roberta – Disprassia, organizzazione motoria ed esercizio in età evolutiva

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si verificano comunemente nei bambini con DCD dalla catena IP, potrebbero essere in grado di

identificare le relazioni causali. Come risultato, hanno tentato di isolare tutti i fattori interni al

sistema di elaborazione del controllo percettivo e / o motorio per determinare, dove possibile,

l‘esistenza di deficit. Esempi di tali fattori sono la percezione visiva e la trasformazione visivo-

spaziale (Hulme, Smart, e Moran, 1982; Lord & Hulme, 1987b), l‘acutezza cinestetica (Coleman,

Piek, e Livesey, 2001; Laszlo & Bairstow, 1983), i tempi di reazione e di movimento (L. Henderson

et al., 1992) e la risposta di elaborazione motoria (Van Dellen & Geuze, 1988).

Il profilo cognitivo-neuroscientifico, invece, vede il cervello come un sistema di elaborazione e

studia il legame tra i segnali sensoriali (ingressi al cervello) e i comandi motori (uscite del cervello)

(Wolpert & Ghahramani, 2000; Wolpert, Ghahramani, & Flanagan, 2001). Attraverso una serie di

studi, che erano originariamente destinati ad esplorare l‘elaborazione visuo-spaziale nei bambini

con DCD, Wilson e colleghi hanno formulato un‘ipotesi di Deficit di Modellamento Interno (IMD)

(Katschmarsky, Cairney, Maruff, Wilson & Currie, 2001; Maruff, Wilson, Trebilcock, & Currie,

1999; Wilson PH & Maruff, 1999; Wilson P.H. et al, 2004). L'ipotesi di IMD suggerisce che i

bambini con disprassia hanno un deficit nella capacità di utilizzare con precisione i modelli interni

di controllo motorio. L‘apprendimento ad osservazione (o di modellazione) è una parte importante

della capacità motoria. L‘apprendimento e la scoperta dei neuroni specchio nel cervello umano,

hanno rivelato che un‘azione, attiva strutture neurali simili a quelle che verrebbero attivate se

l'osservatore eseguisse effettivamente gli stessi movimenti (Buccino et al, 2001;. Maeda, Kleiner-

Fisman, e Pascual-Leone, 2002). In questo senso l'apprendimento osservazionale è simile alle

immagini motorie e l'osservazione del movimento genera una simulazione interna all'osservatore

per aiutare il processo di apprendimento (Calvo-Merino et al., 2005). In considerazione dei risultati

delle varie ricerche scientifiche riportati in questa tesi (ad esempio PH Wilson et al., 2001) che

suggeriscono che i bambini con DCD e disprassia hanno una ridotta capacità di rappresentare i

movimenti interni, è probabile che questi bambini avrebbero anche una ridotta capacità di

apprendere attraverso l'osservazione. L'uso della modellizzazione è uno dei modi più comuni per

insegnare abilità motorie agli altri, in quanto consente l‘utilizzo di ulteriori informazioni per essere

convogliate in un lasso di tempo più breve delle spiegazioni verbali (Magill, 1998). Attraverso

l'osservazione degli altri, si possono raccogliere informazioni riguardanti le strategie più opportune

per il completamento di un compito e gli aspetti spaziali e temporali di un movimento (Schmidt &

Lee, 2005). Nonostante l'uso dell‘apprendimento osservazionale nell‘acquisizione delle abilità

motorie, i meccanismi dietro di esso sono stati largamente ignorati per molti anni (Magill, 1998).

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Miracolo Roberta – Disprassia, organizzazione motoria ed esercizio in età evolutiva

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Recentemente, tuttavia, con lo sviluppo delle tecniche di neuroimaging, l'apprendimento

osservazionale è diventata un'area di ricerca importante per gli esperti del controllo motorio. Gran

parte della ricerca sull‘apprendimento osservazionale è stata alimentata dal rinvenimento dei

neuroni specchio, nei primati non umani (Ottone & Heyes, 2005). Questi neuroni sono attivi sia

quando la scimmia esegue un'azione specifica che quando si osserva la stessa azione che viene

eseguita da uno sperimentatore o da un'altra scimmia. I ricercatori ritengono che un simile sistema

di neuroni specchio esiste all'interno del cervello umano (Decety & Grèzes, 1999; Grèzes & Decety,

2001). Ad esempio, Buccino e colleghi hanno esaminato l'attivazione neurale prodotta

dall‘osservazione di bocca, mano / braccio e dei movimenti del piede (Buccino et al., 2001). I

ricercatori hanno scoperto che l'attivazione della corteccia premotoria ventrale si sposta verso le

aree dorsali in corrispondenza con l'osservazione della bocca, poi della mano / braccio e infine al

piede. Queste attivazioni mappano l‘organizzazione della corteccia premotoria, che indica che

l'osservazione di questi movimenti attivano le stesse aree neurali che sarebbero attive se gli

osservatori eseguissero effettivamente gli stessi movimenti. Inoltre, Maeda e colleghi hanno

osservato un aumento di eccitabilità cortico-spinale nei muscoli specifici delle dita quando gli

osservatori vedono una serie di movimenti delle dita, fornendo un ulteriore sostegno al

collegamento tra l'azione, nell‘osservazione e nell‘esecuzione (Maeda et al., 2002). In questo

modo, l'apprendimento osservazionale sembra attivare le strutture nervose in modo simile

all‘immagine motoria ed ora i ricercatori accettano una equivalenza funzionale tra i due (Clark et al,

2003;. Decety & Grèzes, 1999). Infatti, Grèzes e Decety (2001) ha condotto una revisione di meta-

analitica della ricerca esaminando le basi neurali della simulazione, l'osservazione e le prestazioni

dei movimenti delle mani, trovando una significativa sovrapposizione di attivazione in una serie di

aree neurali. Inoltre, Clark, Tremblay e Ste-Marie (2003) ha evidenziato un aumento di potenziali

motori evocati (MEP), quando i partecipanti imitano un'azione osservata, con aumenti evidenti

anche quando l'azione viene osservata senza imitazione o quando è stata immaginata. Inoltre, gli

aumenti corticospinali erano a livelli molto simili sia per le azioni osservate che nei movimenti

immaginati. Questa somiglianza sostiene la teoria di Jeannerod (2001) che la percezione del

movimento richiede in realtà una simulazione interna del movimento per essere prodotta. Un

numero crescente di ricercatori sembrano avvalorare questa teoria, che un osservatore genera una

simulazione interna del movimento osservato, permettendo al movimento di mappare il proprio

sistema motorio (Calvo-Merino et al, 2005; Hamilton, Wolpert, & Frith, 2004; Petrosini et al, 2003;

Vogt et al, 2003). Nei bambini con DCD, la capacità compromessa di rappresentare i movimenti

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internamente è probabile che sia aggravata da una ridotta capacità di apprendere in modo efficace

attraverso l'osservazione del movimento. È importante sottolineare che la forza della attivazione

neurale durante l'osservazione dell‘azione sembra essere legata alle capacità motorie

dell'osservatore (Calvo-Merino et al., 2005). In uno studio recente è stato chiesto a due gruppi di

ballerini professionisti e ad un gruppo di non-danzatori, di osservare una serie di movimenti di

danza. I ricercatori hanno scoperto che i due gruppi di ballerini hanno mostrato un‘attivazione

neurale più forte nelle aree specchio, quando l'abilità è stata osservata nel loro repertorio motorio.

Ad esempio, i ballerini hanno mostrato una maggiore attivazione quando si osservano i movimenti

di ballo rispetto ad altri movimenti di danza. I soggetti non-ballerini, d'altra parte, non ha mostrato

differenze di attivazione tra entrambi i tipi di danza. Così, quando un osservatore già possiede una

rappresentazione interna di un atto motorio, la risposta dei loro neuroni specchio è molto diversa a

quella di un osservatore alle prime armi, e potrebbero avere un impatto sulla loro percezione del

movimento. Questo legame tra il livello motorio dell'osservatore e la forza di attivazione neurale

durante l'osservazione dell'azione potrebbe essere di particolare importanza per i bambini con DCD.

Si potrebbe supporre che quando i bambini con DCD osservano qualcuno compiere un movimento

particolare, la loro attivazione neurale sarebbe inferiore a quella di un bambino senza deficit

motorio, a causa del loro repertorio motorio scarso e delle capacità motorie ridotte.

A questi deficit fisici si aggiungono le implicazioni psico-sociali che il bambino con disprassia deve

affrontare nell‘ambiente in cui è inserito. Gli effetti del DCD e della disprassia sono estesi oltre il

dominio motorio e i ricercatori hanno esplorato queste implicazioni utilizzando una serie di metodi -

alcuni hanno usato l‘osservazione al parco giochi per determinare i livelli di attività (Bouffard,

Watkinson, Thompson, Causgrove Dunn, & Romanow, 1996; MM Smyth & Anderson, 2000), altri

hanno esaminato le relazioni scolastiche per determinare il successo o il fallimento scolastico

(Losse et al., 1991). I profili auto-percettivi di Harter sono comunemente usati per esaminare le

competenze percepite dai bambini con DCD sui propri limiti (Losse et al, 1991;. Piek, Baynam, &

Barrett, 2006; Piek, Dworcan, Barrett, e Coleman, 2000; Skinner & Piek, 2001). L'isolamento

sociale è una conseguenza significativa della scarsa coordinazione per molti bambini. Gli studi che

hanno osservato l'attività e le interazioni dei bambini al parco giochi, hanno trovato che i bambini

con DCD passano più tempo da soli o a guardare gli altri giocare (Bouffard et al, 1996;. MM Smyth

& Anderson, 2000). Smyth e Anderson hanno trovato che questo isolamento inizia già 6 anni.

Associata a questa situazione, ci sono livelli di partecipazione ad attività fisica più bassi e ridotte

opportunità di sviluppare abilità sociali. Inoltre, i genitori hanno riferito che i bambini con

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Miracolo Roberta – Disprassia, organizzazione motoria ed esercizio in età evolutiva

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disprassia partecipano di meno allo sport durante il loro tempo libero (Geuze & Borger, 1993), di

conseguenza i bambini stessi hanno ripetutamente dimostrato una minore competenza nella

percezione del dominio atletico (Losse et al, 1991;. Piek et al, 2000;. Skinner & Piek, 2001).

All'interno della classe, i bambini con DCD hanno più probabilità di avere problemi

comportamentali e di apprendimento (Dewey, Kaplan, Crawford, & Wilson, 2002; Losse et al,.

1991). Sulla base delle relazioni dei genitori, i bambini con DCD hanno maggiori probabilità di

ripetere un anno scolastico, mentre gli insegnanti segnalano alta distraibilità e mancanza di

concentrazione (Geuze & Borger, 1993). Inoltre, Skinner e Piek (2001) hanno riportato una minore

competenza percettiva in ambito scolastico tra i bambini con DCD. I bambini con DCD presentano

anche una bassa auto-percezione in campo sociale (Skinner & Piek, 2001). Questo è dichiarato

anche dai genitori e dagli insegnanti, con rapporti di amicizia meno sviluppati e problemi nelle

relazioni tra pari (Geuze & Borger, 1993) che persistono fino all'adolescenza (Losse et al., 1991). In

questo campo, il laureato in Scienze Motorie può ampliamente spaziare affinchè il bambino

disprassico, o in generale con disabilità, non sia solo inserito nell‘ambiente sociale in cui vive, ma

anche incluso nelle relazioni tra lui stesso e gli altri, dove gli altri sono la famiglia, la scuola e le

attività extra-scolastiche. Soprattutto aiutandolo ad essere parte attiva e partecipe della propria vita,

nonostante i limiti, anzi, partendo proprio da ciò che il bambino riesce a fare insegnando a vedere

quel limite come un punto di partenza e non come una end-line. Il laureato in Scienze Motorie può

intervenire, quindi, in termini di attività-partecipazione-inclusione in modo da prevenire gli

handicap indotti, inevitabili senza il sostegno adeguato. Anche incrementando il circolo virtuoso di

autoefficacia- feedback positivo- autoefficacia, dove il bambino più riesce ad eseguire le ADL

(Activity of Daily Life) in maniera esatta, più ha una percezione positiva di se stesso e ne consegue

che è più sicuro e meno impacciato. Ma, per il bambino disprassico, il problema è proprio questo,

eseguire le attività della vita quotidiana, che, per lui, diventano un dover affrontare le azioni che

implicano il vestirsi, il lavarsi, il giocare etc., che per noi sono banali e scontate, ma, per i soggetti

disprassici, c‘è bisogno di un‘adeguata preparazione e soprattutto costanza per eseguire tutti i

movomenti. Per cui tra famiglia, scuola ed extra-scuola, per un‘armonica inclusione del bambino

nell‘ambiente sociale, il Laureato in Scienze Motorie può operare a livello dell‘extra-scuola e della

scuola. Solo attraverso l‘azione educativa e la prevenzione di comportamenti sbagliati, anche

all‘interno della famiglia, si può evitare l‘insorgenza di handicap indotti.

Nel terzo capitolo si indaga per determinare perché alcuni bambini con DCD hanno maggiori

deficit motori rispetto ad altri e la risposta è proprio la compresenza di altri disturbi. La grande

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sovrapposizione tra DCD ed altri disturbi dello sviluppo è un tema ampiamente studiato. Ad

esempio, Kaplan e colleghi (1998) hanno esaminato 162 bambini, con DCD, ADHD e disabilità di

lettura (RD). Ventisei di questi bambini ha riscontrato i criteri solo per il DCD, mentre un altri 32

soddisfacevano i criteri di sia di DCD che di ADHD o RD, ed altri 23 soddisfacevano i criteri per

tutte e tre le malattie. In un altro studio, 556 bambini con DCD (Miller, Missiuna et al., 2001). Di

questi bambini, il 38,5% sono stati classificati come LD, il 41,1% aveva sia ADD o ADHD e il

17,9% aveva altri co-disordini che si verificano (la maggior parte dei quali sono legati al

linguaggio). La sovrapposizione di DCD con ADHD e LD è stata confermata da Barnhart e

colleghi, che segnalano che fino al 41% dei bambini con ADHD e il 56% dei bambini con LD

hanno co-occorrenti DCD (Barnhart et al., 2003). Nello studio di Jongmans (2003) si evince che

rispetto ai bambini con solo DCD o ai bambini con solo LD, le prestazioni motorie dei bambini

affetti da disfunzione percettivo-motorie concomitante a problemi di apprendimento, sono stati

maggiormente colpiti. Ne consegue che la comorbidità è un deterrente per lo sviluppo e il

miglioramento delle abilità motorie del bambino.

Traendo delle conclusioni sulle ricerche effettuate sui mezzi di valutazione della disprassia, riunite

nel quarto capitolo, si può sostenere che i test più utilizzati e più specifici nell‘esaminare la

disabilità motoria dei bambini disprassici sono il M-ABC (Motor Assessment Battery for Children)

(Henderson & Sudgen, 1992) ed il BOTMP (Bruininks-Oseretsky Test of Motor Proficiency)

(Bruininks & Bruininks, 2005). Per il primo, la performance è legata a punteggi standardizzati età-

dipendente, per i bambini dai 4 a 12 anni. Ci sono quattro fasce di età. Età Band 1 riguarda l'età di 4

a 6 anni, Età Band 2 è per i bambini dai 7 e 8 anni, l'età Band 3 per bambini da 9 e 10 anni, e Age

Band 4 per bambini di età 11 e 12 anni. Per ogni fascia di età, la prova è costituita da otto elementi

di misurazione di differenti aspetti della capacità percettivo-motoria, tre per misurare la destrezza

manuale con gli oggetti, due per misurare le abilità con la palla, e ci sono tre elementi per valutare

l'equilibrio. Il primo elemento di abilità manuale (MD1), mira a misurare la velocità e la sicurezza

di movimento di ciascuna mano separatamente. Il secondo elemento di abilità manuale (MD2) è

stato progettato per misurare il coordinamento delle due mani per l'esecuzione di una singola

operazione, mentre il terzo elemento, destrezza manuale (MD3), valuta la coordinazione occhio-

mano, come richiesto nel controllo di una penna o una matita. Il primo elemento palla-skill (BS1)

riguarda la capacità del bambino di spingere con precisione un oggetto nello spazio, e la seconda

voce ballskill (BS2) sfida il bambino a prendere un oggetto in movimento. Le tre voci di equilibrio

sono suddivise in un elemento di equilibrio statico (la valutazione di controllo statico; Sbal) e in due

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voci di equilibrio dinamico che valutano i movimenti veloci ed esplosivi (DBAL1) ed i movimenti

lenti e controllati (DBAL2), rispettivamente. Gli otto compiti del MABC sono stati somministrati

con l‘ordine menzionato. I bambini possono totalizzare un punteggio tra 0 e 5 su ogni articolo. Più

alto è il punteggio, peggiore è la performance. Il BOTMP è uno degli strumenti diagnostici più

ampiamente usati dai terapeuti (Miller, Missiuna, Macnab, Malloy-Miller, e Polatajko, 2001). Va

osservato che se un test è chiamato screening o test diagnostico in realtà dipende dai fini della

valutazione: i test diagnostici sono progettati per fornire informazioni cliniche sulle capacità del

movimento, che vengono poi utilizzati per progettare dei programmi di trattamento, i test di

screening sono utilizzati per istituire dei gruppi di criteri per la ricerca e / o l‘identificazione dei

bambini a rischio di determinati tipi di problemi dello sviluppo. In generale, le proprietà

psicometriche della MABC sono soddisfacenti, al fine di diagnosticare il DCD e sono superiori al

BOTMP. Nessuno dei due test, però, fornisce un profilo completo delle prestazioni fra i vari tipi di

abilità. Lo studio di Wilson (2005) porta un innovazione nell‘ambito della valutazione della

disprassia, introducendo l‘analisi biomeccanica e cinematica del movimento. La cinematica

rispecchia in modo diretto le dinamiche di coordinamento del sistema del movimento. I sistemi

diagnostici principali sono poco espliciti sulla variabilità dell'espressione del disturbo (o

eterogeneità). In sostanza, il disordine è lo stesso per tutti i bambini ma, i bambini a cui viene

diagnosticato il DCD e che ottengono lo stesso, o simile, punteggio totale sul MABC, possono

presentare prestazioni molto diverse, e mostrare profili molto diversi (Visser, 2003).

L'elettromiografia è stata anche utilizzata con buoni risultati nella paralisi cerebrale per

documentare i cambiamenti nel movimento, che si verificano prima e dopo l'intervento (Õunpuu &

DeLuca, 1991). È concepibile che il cosiddetto EMG kinesiologico (KEMG) può essere utilizzato

per registrare anomalie di innervazione del muscolo che si verificano nei deficit delle abilità

motorie e anche per monitorare le variazioni di attivazione che si verificano a seguito di terapie

specifiche. Semplici valutazioni cinematiche dei programmi di intervento per il DCD stanno

cominciando a comparire (Jackson & Healey, 2000).

Infine, bisogna tirare le somme anche per quanto riguarda le ricerche sul trattamento e sulla

rieducazione del bambino disprassico, riunite nell‘ultimo capitolo della tesi. La prima ad ideare e

testare un metodo di rieducazione dei disprassici è stata Ida Terzi (1956). Il suo metodo

approfondisce lo studio delle rappresentazioni interne degli eventi, analizzando i processi mentali

che dallo stimolo portano al comportamento. In tutti gli esercizi del Metodo Terzi si interviene sulla

integrazione delle informazioni spaziali ordinate nel tempo che provengono dai diversi canali

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Miracolo Roberta – Disprassia, organizzazione motoria ed esercizio in età evolutiva

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sensoriali: propriocettivo, tattile, vestibolare, uditivo e visivo. Gli esercizi del Metodo aiutano,

infatti, i bambini a passare dalla sensazione alla percezione attraverso operazioni integrative e

associative che si realizzano in tutti i canali di informazione sensoriale e quindi alla

rappresentazione attraverso una organizzazione dei dati sensoriali. Nel soggetto disprassico la

metodica agisce sulle capacità rappresentative del proprio schema corporeo e del mondo esterno e

sulle capacità di costruzione e manipolazione delle immagini mentali. Invece Lee e French (1998)

hanno esaminato sessanta pazienti affetti da disprassia motoria, che hanno eseguito delle sedute di

fisioterapia settimanalmente per otto settimane, più un programma di esercizi quotidiani da eseguire

casa. I progressi dei soggetti coinvolti nello studio sono stati registrati sia alla fine delle sessioni di

trattamento che in una revisione dopo 12 settimane. I risultati di questo studio indicano che il

programma di fisioterapia migliora le prestazioni motorie del bambino disprassico, anche 3 mesi

dopo la fine del trattamento, seguendo il programma di esercizi quotidiani a casa. Nel 2003,

Richardson A. conduce uno studio sulle carenze funzionali e sugli squilibri di alcuni acidi grassi

insaturi (HUFA) della serie degli omega-3 e omega-6, concludendo che possono contribuire allo

sviluppo di una vasta gamma di condizioni di sviluppo e psichiatriche, tra cui la dislessia,

disprassia, disturbo da deficit di attenzione / iperattività (ADHD), autismo, depressione.

L‘integrazione degli omega-3 e 6 attraverso la dieta, può prevenire l‘insorgenza di tali disturbi.

Dallo studio di Berardi et al. (2009), si evince che la musica, in particolar modo il Cueing Rhythm,

conduce ad un miglioramento della coordinazione nei soggetti disprassici, attraverso la

sincronizzazione del movimento al ritmo dell‘esercizio. Ma è nella ricerca italiana di Leotta et al.

(2008) che viene impostato un approccio multilivello, grazie all‘esperienza logopedica nel bambino

con disprassia evolutiva. Infatti la difficoltà o, nei casi più gravi, l‘impossibilità di utilizzare il

sistema prassico, preclude la strada alla comunicazione verbale e non verbale, che si traduce per il

bambino in un fallimento continuo nell‘interazione sociale. L‘intervento proposto da Leotta et al.,

deve tenere conto di tutti gli elementi intrinseci ed estrinseci che influenzano il soggetto affetto da

disprassia evolutiva nell‘interazione con l‘ambiente in cui è inserito e di cui fa parte. In questo

senso si parla di un Approccio Ecosistemico (Rousseau, 2007) attraverso il quale il terapista non

prende in carico soltanto l‘aspetto patologico da riabilitare, ma l‘individuo nel suo essere unico, allo

scopo di fargli raggiungere l‘attivazione delle funzioni (di base e adattive) necessarie

all‘adattamento rispetto ai cambiamenti dell‘ambiente (Sabbadini e Sabbadini, 1995). Quindi

distinguiamo: un livello educativo, un livello assistenziale, un livello terapeutico. Il laureato in

Scienze Motorie interviene attivamente al primo livello, quello educativo, infatti ―lo scopo

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Miracolo Roberta – Disprassia, organizzazione motoria ed esercizio in età evolutiva

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dell‘educazione nel tessuto sociale è educare il disabile, educare al disabile‖ (Ferrari, 1997). Il

livello assistenziale permette il raggiungimento e «il mantenimento del massimo benessere possibile

del bambino e della sua famiglia (qualità della vita)». Il livello terapeutico più specifico ha lo scopo

di «promuovere una modificazione stabile e migliorativa delle funzioni del paziente (specie di

quelle di significato adattivo)». Prima di intervenire a tutti e tre i livelli, in un‘ottica ecosistemica

risulta necessario analizzare gli elementi ambientali influenti, coordinandoli al fine di rendere

efficace ed ecologico il trattamento stesso. La famiglia del bambino disprassico può rappresentare

sia una barriera che un facilitatore nel percorso terapeutico. Essa è coinvolta rispetto alla percezione

del bambino e alla conoscenza della patologia: i genitori spesso sono molto confusi e disorientati

verso ciò che il bambino sembra e ciò che è di fatto. Il progetto terapeutico deve guidare la famiglia

alla ripetizione in ambiente familiare delle funzioni adattive acquisite in itinere. Inoltre deve essere

aiutata a tenere un atteggiamento funzionale verso il bambino: il bambino disprassico è spesso

sostituito dal genitore (generalmente la mamma), al quale comunica bisogni primari che vengono

regolarmente soddisfatti; questo scambio è chiuso ad altri interlocutori. La famiglia deve imparare a

dare un giusto significato alle intemperanze del bambino. Spesso capitano situazioni per cui la

famiglia si trova a discutere con i genitori di altri bambini che sono stati troppo affettuosamente

abbracciati o scambiati per birilli durante un tiro effettuato con troppo slancio o puniti per non aver

capito il pensiero del bambino disprassico. La scuola è l‘ambiente in cui maggiormente si

evidenziano i segni della patologia e per questo si può considerare o come possibile barriera o come

facilitatore per il bambino disprassico. La scuola rappresenta per il bambino l‘aspetto sociale per

eccellenza, in cui egli stesso deve mettere in atto le prime modalità di interazione attraverso la

convivenza tra coetanei e con adulti, le modalità di comunicazione tra bambini, da bambino a adulto

e da adulto a bambino. La funzione del Laureato in Scienze Motorie si estrinseca al massimo

proprio in questo ambito dove, nelle vesti di esperto di attività motoria per disabili, promuove

l‘accettazione del bambino disprassico nel gruppo e favorisce lo scambio di feedback positivi

attraverso l‘impostazione di adeguati protocolli di attività motoria, in linea con le abilità del

soggetto affetto da disprassia motoria.

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