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La buona politica al sevizio della pace - Insieme Ragusa · tema: “La buona politica è al...

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PERIODICO D’INFORMAZIONE DELLA DIOCESI DI RAGUSA GENNAIO 2019 ANNO XXXV - N. 634 La buona politica al sevizio della pace Corruzione e razzismo vergogne della vita pubblica Etica ed economia nell’agricoltura vittoriese L’esperienza di una donna-manager Ragusa Un centro storico da rigenerare Chiesa Recuperare la memoria delle feste religiose
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Page 1: La buona politica al sevizio della pace - Insieme Ragusa · tema: “La buona politica è al servizio della pace”. Francesco passa in ras - segna le virtù e i vizi della politica,

PERIODICO D’INFORMAZIONEDELLA DIOCESI DI RAGUSA

GENNAIO 2019ANNO XXXV - N. 634

La buona politicaal sevizio della paceCorruzione e razzismo vergogne della vita pubblica

Etica ed economia nell’agricoltura vittorieseL’esperienza di una donna-manager

RagusaUn centro storicoda rigenerare

ChiesaRecuperare la memoriadelle feste religiose

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Pace3 La buona politica a servizio della pace

M. Michela Nicolais4 Costruire un mondo di pace

Mario Cascone6 Beato il politico artigiano della pace

Bruno Bignami7 Gli orizzonti di Giorgio La Pira

Andrea La Rosa8 Una luce di speranza nel dramma della Siria

Mario Tamburino9 I rappresentanti dell’Ifor a Canicarao

Antonio La Monica10 La pace dei ragazzi di Azione Cattolica

Raffaella Refano11 Si può essere felici anche con poco?

Saro Distefano12 Dall’obiezione di coscienza al servizio Civile

Antonio La Monica

In Diocesi14 Restaurato a Vittoria un altare settecentesco

Orazio Rizzo15 Ragusa e il rapporto con gli universitari

Martina Occhipinti16 I dieci anni della Cattedra del dialogo

Biagio Aprile17 Recuperare la memoria storica delle feste

Giuseppe Cassarino18 Uno sguardo sereno oltre le difficoltà

Agata Pisana19 Rivive il manoscritto del canonico Ventura

Attualità21 Un’opportunità non solo per l’aeroporto22 Ecco come la crisi ha cambiato la democrazia

Vito Piruzza23 Così Dhaker ha unito a città di Vittoria

Graziella Rovetto24 Etica ed economia nell’agricoltura vittoriese

Silvana Amato26 “La mia vita a fianco di Govanni Falcone”

Daniele Pavone27 Ragusa e un centro storico da rigenerare

Alessandro Bongiorno28 Come abitare il pianeta internet

Vincenzo La Monica29 Bullismo e infelicità tra i banchi di scuola

Donatella Ventura

Chiesa e società31 I Frutti avvelenati del decreto sicurezza

Renato Meli32 In ascolto delle domande più profonde33 Meno social network e più volontariato

Silvia Rossetti34 L’assenza di fiducia nella politica

Andrea Casavecchia

7 gennaio 2018

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La ricerca del potere ad ognicosto porta ad abusi e ingiusti-

zie: comincia con questa constata-zione il messaggio del Papa per la52. Giornata mondiale della pace sultema: “La buona politica è al serviziodella pace”. Francesco passa in ras-segna le virtù e i vizi della politica, acominciare da corruzione, razzismoe xenofobia, che sono «la vergognadella vita pubblica e mettono in pe-ricolo la pace sociale». Per il Papa«non sono sostenibili i discorsi poli-tici che tendono ad accusare i mi-granti di tutti i mali e a privare ipoveri della speranza». La politica,piuttosto, «è un veicolo fondamen-tale per costruire la cittadinanza e leopere dell’uomo, ma quando, da co-loro che la esercitano, non è vissutacome servizio alla collettività umana,può diventare strumento di oppres-sione, di emarginazione e persino didistruzione». Poi l'invito, sullascorta di San Paolo VI, a «prenderesul serio la politica», come ricercadel «bene della città, della nazione,dell’umanità».

Le virtù e i vizi. La giustizia,

l’equità, il rispetto reciproco, la sin-cerità, l’onestà, la fedeltà sono le“virtù” proprie di una buona poli-tica. La corruzione, la xenofobia e ilrazzismo sono, invece, «la vergognadella vita pubblica e mettono in pe-ricolo la pace sociale». L’elenco deivizi è preciso e dettagliato: «la cor-ruzione, la negazione del diritto, ilnon rispetto delle regole comunita-rie, l’arricchimento illegale, la giu-stificazione del potere mediante laforza o col pretesto arbitrario della“ragion di Stato”, la tendenza a per-petuarsi nel potere, la xenofobia e ilrazzismo, il rifiuto di prendersi curadella Terra, lo sfruttamento illimi-tato delle risorse naturali in ragionedel profitto immediato, il disprezzodi coloro che sono stati costretti al-l’esilio».«Viviamo in questi tempi inun clima di sfiducia che si radicanella paura dell’altro o dell’estraneo,nell’ansia di perdere i propri van-taggi, e si manifesta purtroppoanche a livello politico, attraverso at-teggiamenti di chiusura o nazionali-smi che mettono in discussionequella fraternità di cui il nostro

mondo globalizzato ha tanto biso-gno». Le sfide di oggi. Il Papa sot-tolinea che, oggi più che mai, lenostre società necessitano di «arti-giani della pace» e ricorda come nonsiano «sostenibili i discorsi politiciche tendono ad accusare i migrantidi tutti i mali e a privare i poveri dellasperanza». La pace, al contrario, «sibasa sul rispetto di ogni persona,qualunque sia la sua storia, sul ri-spetto del diritto e del bene comune,del creato che ci è stato affidato edella ricchezza morale trasmessadalle generazioni passate. La pace –spiega il Papa più avanti - è frutto diun grande progetto politico che sifonda sulla responsabilità reciprocae sull’interdipendenza degli esseriumani. Ma è anche una sfida chechiede di essere accolta giorno dopogiorno. La pace è una conversionedel cuore e dell’anima».

Tre, conclude Francesco, le «di-mensioni indissociabili di questapace interiore e comunitaria»: lapace con se stessi, la pace con l’al-tro, la pace con il creato.

M. Michela Nicolais (Sir)

Il messaggio lanciato da Papa FrancescoLa buona politica sia al servizio della Pace

Corruzione, razzismo e xenofobia

sono «la vergogna dellavita pubblica»

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Imiti e i misericordiosi sono i mi-gliori costruttori della pace, per-ché vivono già un’esistenza

trasfigurata dalla potenza del Ri-sorto. Il dono pasquale per eccel-lenza è la pa-ce, derivante dallaremissione dei peccati: Cristo Ri-sorto, entrando nel cenacolo, cosìsaluta gli apostoli: “Pace a voi!” (Gv20,19). E poi aggiunge: “Ricevete loSpirito Santo; a chi rimetterete i pec-cati saranno rimessi e a chi non li ri-metterete, resteranno non rimessi”(Gv 20, 22-23). La pace intesa comedono pasquale che il Padre ci fa inCristo è il risanamento di tuttequelle fratture che derivano nellastoria dal rifiuto di Dio, cioè dal pec-cato. La pace non è un equilibriofatto di accomodamenti e di compro-messi, non è nemmeno il quietismo,ossia il quieto vivere. Questo signi-fica che quella cristiana non è la pacedel cimitero, dove tutto è quiete, ma

regna la morte… La pace cristiana èuna con-quista impegnativa, fati-cosa, soprattutto perché non è ilfrutto delle prepotenze, del timore,della legge del più forte, ma è una re-altà fondata sull’amore, sul dialogo,sulla mitezza, sulla misericordia.

Perché si giunga ad una pace diquesto genere evidentemente oc-corre favorire un insieme di convin-cimenti e di atteggiamenti. Occorreeducare alla pace, alla mitezza, allanon violenza, alla misericordia. Tutticomprendiamo quanto sia impor-tante oggi che i ge-nitori educhino iloro figli alla pace! Quanto è impor-tante che la televisione, i mass mediaspingano verso questa direzione!Essa è la direzione delle Beatitudinievangeliche, che costituiscono ilpresupposto per costruire la paceanche a livello delle strutture econo-miche e politiche. La pace infattinasce dall’alleanza con la giustizia, la

sapienza e la solidarietà. Ma questevirtù devono essere coltivate primadi tutto nei rapporti interpersonaliper poi essere immesse nelle rela-zioni strutturali.

Abbiamo bisogno di costruire lapace facendo leva sul messaggiodella Montagna, che Gesù pronuncianon come un discorso puramentespirituale, ma come messaggio voltoa costruire una comunità ideale, chefunga da modello a tutta l’umanitàper costruire un mondo secondo ildisegno salvifico di Dio.

Se entriamo in questa logica ci ac-corgiamo che le Beatitudini nonsono una utopia, ma una eutopia,cioè un “buon luogo”, il luogo delRegno di Dio che cresce dentro dinoi e si espande nel mondo intero.Secondo San Tommaso Moro l’uto-pia va intesa come la co-struzione diuna comunità ideale che serva damodello a tutta l’umanità. Per lui al-

Costruire un mondo di pacecon lo spirito delle beatitudini

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lora i principi espressi nelle Beatitu-dini non sono puramente ideali, masono concretamente in grado di co-struire un mondo secondo il pro-getto di Dio. La maniera per farequesto è quel-la di costruire una co-munità dove l’ideale delle Beatitu-dini venga vissuto alla lettera.Quando Francesco d’Assisi si mettein testa di vivere il vangelo sineglossa entra proprio in questa pro-spettiva positivamente utopica, per-ché costruisce una comunità cherappresenta per tutti un pungolocritico, uno stimolo, una provoca-zione a vivere secondo il modellodelle Beatitudini. E lo stesso si puòdire di tutte le comunità religiose edelle nuove comunità che lo Spirito

sta suscitando nel nostro tempo. Un giorno un giornalista chiese a

madre Teresa di Calcutta: “Madre,lei ha 70 anni. Quando lei morirà, ilmondo sarà come prima. Che cosa ècambiato dopo tanta fatica?”. MadreTeresa non reagì con fastidio, ma loguardò con profondo affetto e disse:“Vede, io non ho mai pensato dipoter cambiare il mondo! Ho cer-cato soltanto di essere una goccia diacqua pulita nella quale potesse ri-flettersi l’amore di Dio”. Poi disse algiornalista: “Cerchi di essere anchelei una goccia di acqua pulita e cosìsaremo in due. È sposato?”. “Sì,madre”, rispose il giornalista. “Lodica anche a sua moglie e così sa-remo in tre. Ha figli?”. “Tre figli,madre”. “Lo dica anche ai suoi figli,e così saremo in sei”. Questa è la lo-gica con cui cresce in mezzo a noi ilRegno di Dio: la logica della “gocciad’acqua pulita” in cui si riflettel’amore di Dio! Questa è la logicadelle Beatitudini, che servono nonsolo a costruire rapporti interperso-nali più sani, ma anche a realizzareun mondo come piace a Dio.

Una comunità che vive nell’otticadelle Beatitudini è attraente, fasci-nosa e può contagiare gli altri colproprio modo di vivere. È esatta-mente questo il ruolo della Chiesanel mondo: essere sacramento, cioèsegno visibile ed efficace di questa

maniera di vivere “contagiosa” e tra-sformante.

Può esserci utile questa tradu-zione delle Beatitudini fatta dal ve-scovo tedesco Klaus Hemmerle:

Beati coloro che amano gli inte-ressi degli altri come il proprio, per-ché stabiliranno pace ed unità.

Beati coloro che sono semprepronti a fare il primo passo, perchéscopriranno che l’altro é molto piùaperto di quello che dava a vedere.

Beati coloro che non dicono mai:“adesso basta!”, perché troverannoun nuovo inizio.

Beati coloro che prima ascoltano epoi parlano, perché troverannoascolto.

Beati coloro che scorgono il gra-nello di verità presente in ogni con-tributo alla discussione, perchésaranno capaci di integrare e di me-diare.

Beati coloro che non sfruttano maila loro posizione, perché troverannostima.

Beati coloro che non si offendonoe non rimangono mai delusi, perchécreeranno una at-mosfera di sere-nità.

Beati coloro che sono capaci disoccombere e perdere, perché il Si-gnore potrà allora gua-dagnare!

Mario Cascone

Una comunità che vive nell’ottica del Discorso della Montagna è attraente, f ascinosa e può facilmente contagiare gli altri

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Beato il politico “artigiano della pace”: c’è unabeatitudine in più!

Il messaggio di papa Francesco in occasione della 52.Giornata della Pace, ci porta a guardare alla buona poli-tica. Proprio perché “buona” non può che essere al ser-vizio della pace, “per” il bene dell’umanità. Francescosi esprime per un’alta considerazione della politica. Essaè forma di carità perché edifica la città. Diviene eserciziopratico di virtù umane quali la giustizia, l’equità, il ri-spetto reciproco, la sincerità, l’onestà e la fedeltà. Unbagaglio di valori che fa associare la politica alle beati-tudini evangeliche.

La buona politica è negata dalla “cattiva”, quella cioèche trova terreno fertile nei vizi personali e nelle stor-ture delle istituzioni. La pubblica amministrazioneperde credibilità quando coincide con la corruzione.Inoltre, si squalifica quando nega i diritti, scavalca le re-gole comunitarie, si arricchisce illegalmente, ottiene ilpotere con la violenza, fomenta il razzismo, calpesta ilcreato, permette lo sfruttamento illimitato delle risorse,disprezza gli esuli... È curioso che il Papa faccia coinci-dere la corruzione non solo con l’appropriazione inde-bita di beni pubblici – cosa a cui siamo particolarmentesensibili, oggi – ma anche con la strumentalizzazionedelle persone. È corrotto il potere che si serve degli ul-timi, dei migranti, degli sfruttati per costruire le propriefortune politiche. È corrotto chi monta la guerra tra po-veri per salvaguardarsi o affermarsi. C’è da riflettere...

Dunque, la buona politica è già di per sé un progettodi pace. Lo è per i giovani, che possono vedere nel ser-vizio al bene comune una modalità di impegno della pro-pria vita per rendere più bella la creazione, dono di Dioe per promuovere la fraternità tra i popoli.

La politica è anche il luogo dei doveri. Francesco loricorda citando la Pacem in terris di Giovanni XXIII, ilpapa “buono”. A livello italiano potremmo riprendere

il tema facendo tesoro dell’insegnamento di uno statistaesperto di “buona politica”: Aldo Moro. Scriveva il po-litico democristiano, assassinato 40 anni fa: “QuestoPaese non si salverà, la stagione dei diritti e delle libertàsi rivelerà effimera, se in Italia non nascerà un nuovosenso del dovere”. Si tratta di un saggio insegnamento,che oggi possiamo allargare al mondo intero. Il pianetasi salverà se la stagione dei diritti farà scaturire un nuovosenso del dovere.

Il messaggio sottolinea anche le tre dimensioni dellapace: quella interiore con se stessi, quella comunitariacon l’altro e quella ecologica con il creato. C’è da me-ditare all’inizio di un anno che vedrà l’Europa impe-gnata nel rinnovo del proprio Parlamento e nella sceltadel futuro indirizzo politico. Mentre soffia il vento chescredita sempre più la politica come affare per pochi ocome attività “sporca” da cui guardarsi, la Chiesa scom-mette sulla sua bontà come servizio alla convivenza fra-terna. La buona politica necessita di buone persone.Ben vengano nuovi artigiani della pace! Li accoglieremocome “beati”. Allora anche la pace sarà in buone mani.

Bruno Bignami (Sir)

Beato il politico “artigiano della pace”che coltiva giustizia, equità, rispetto, onestà

È corrotto il potere che si serve degli ultimi e dei migrantiper affermarsi o costruire le proprie fortune politiche

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Giorgio La Pira, nato a Pozzallo nel 1904, membrodell’Assemblea Costituente e indimenti-cato sin-

daco di Firenze negli anni Cinquanta e Sessanta, di re-cente proclamato venerabile dal Papa, non può passareinosservato per noi siciliani, essendo, tra l’altro, nato aPozzallo.

Giorgio La Pira, profeta e ambasciatore di pace, haavuto una duplice valenza: politica e pro-fetica. Si è fattoportatore di idee, di opere e di iniziative ed ha saputoassociare i luoghi di preghiera e di meditazione ai suoiincontri con i potenti della terra, nella sua infaticabileope-ra di impegno per la pace. Il segreto della testimo-nianza di La Pira è racchiuso nelle essen-zialità del suomessaggio: «l’idea dell’umanità unica famiglia, fondatasulla giustizia frater-na». Ed è per questa profezia edopera perenne che La Pira è riconosciuto tra le figureitalia-ne più eminenti della spiritualità, della cultura edella politica del Novecento.

«Abbattere i muri, costruire i ponti», il filo conduttoredelle sue azioni: dai colloqui per la Pace al convegno deisindaci delle capitali del mondo, dai colloqui Mediter-ranei alle tavole rotonde Est-Ovest, dall’azione per laPace nel Vietnam al viaggio nel Cile di Allende e all’ap-passionato impegno per l’unità della triplice famiglia diAbramo e la soluzione del dramma che coinvolge laTerra Santa.

A dispetto dei luoghi comuni che per un certo tempotendevano a presentarlo come un inge-nuo, un sogna-tore, Giorgio La Pira è stato un amministratore capacee lungimirante, un ne-goziatore sottile e paziente, unpolitico accorto ma senza compromessi.

Giorgio La Pira non è affatto l’uomo degli alti palazzidella politica: è l’uomo che combatte il pericolo dell’ato-mica con la preghiera, che occupa le fabbriche e com-batte per le case degli operai. Dunque, anche un uomosemplice: di semplicità evangelica. Dare dignità alla po-vera gente: fu questo l’assillo di tutta la vita di La Pira,l’operaio del Vangelo come lui stesso si definiva, il Sin-daco santo di Firenze come lo amava chiamare la gente.

La Pira è un cristiano siciliano, un personaggio stra-ordinario e appassionante da studiare ed analizzare nellaprofondità del suo insegnamento, ma è soprattutto unpunto di riferimento popolare che ci indica il camminoda intraprendere per costruire, in questo mare Medi-terra-neo, un orizzonte di pace, di benessere e solida-rietà.

Firenze fu la città del suo lavoro di docente universi-tario, del suo impegno amministrativo, delle sue singo-lari iniziative per il dialogo tra le culture e la pace tra ipopoli. Ma sempre viva restò in lui la coscienza delle ra-dici siciliane; è stato un uomo del sud, uomo del Medi-ter-raneo di pace, che ha studiato, pensato e lottato nellacarità, con le armi non violente della preghiera e dellapolitica per il riscatto dei sud del mondo, nell’ottica diun’armonia contem-plativa e di una fraternità univer-sale.

La Sicilia, con la sua storia millenaria di incontro, con-fronto e integrazione di civiltà, razze e religioni, ha tuttii titoli per riprendere questo cammino, un po’ comequel cammino di Isaia tanto caro a La Pira ed ancora at-tuale ai giorni nostri.

Andrea La Rosa

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Il Mediterraneo e gli orizzonti di Pacedel “sindaco” santo Giorgio La Pira

Ha saputo mettere la politica al servizio degli ideali evangeliciimpegnandosi a costruireponti di giustizia e solidarietà

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In Sicilia per il conferimento del premio “Don Pu-glisi”, a Ragusa padre Ibrahim Alsabagh, parroco di

Aleppo, vicario del vescovo della città martire della Siria,presenta il suo ultimo libro “Viene il mattino. Ripararela casa, guarire i cuori”. È l’occasione per osservare at-traverso gli occhi di un testimone il dramma della Siria,suo malgrado al centro degli interessi delle potenze chegovernano i flussi di petrolio, di gas e lo sfruttamento deiminerali utilizzati per far funzionare gli smartphones.

Le case sventrate, le giornate trascorse al buio, i mesisenz’acqua che costringono la popolazione a trascinarsiper la città alla ricerca di acqua e gasolio al solo fine sisopravvivere un altro giorno. La gente che smette di cu-rarsi per non privare i figli dell’indispensabile, i ragazziche studiano alla luce delle candele. E poi le bombe «chetolgono il sonno e ti chiedi quando ti colpiranno». E so-prattutto la solitudine. Quella «di quanti restano rinta-nati in casa, paralizzati dalla paura o dalla malattia odall’età». Proprio per non abbandonare quella gente,dialogando con l’allora Custode di Terrasanta, monsi-gnor Pierbattista Pizzaballa, nel 2014, Ibrahim decide diandare nell’inferno di Aleppo.

Divisi in nove confessioni, un tempo il 30 per cento, icristiani costituiscono oggi il 4 per cento della popola-zione. L’obiettivo iniziale del frate è quello di riportarein chiesa la piccola comunità di cattolici rimasti in città«per pregare insieme per la pace, per farli sentire unacomunità». Dopo una lunga opera di convinzione, in-fatti«il 25 ottobre del 2015, alla messa della domenicac’erano in chiesa – racconta padre Ibrahim – 800 per-sone. Ed è stato in quel momento – continua mostrando

l’immagine della cupola della chiesa “bucata” da un or-digno – che una bomba rudimentale ha fatto tremare perquasi un minuto il pavimento della nostra chiesa». In re-altà, la bomba artigianale piena di chiodi, deviata mira-colosamente dal cornicione, scoppia a un centinaio dimetri di distanza e non vi saranno morti. Il messaggiodell’Isis era chiaro: restate rintanati nelle vostre case!

Padre Ibrahim e i suoi confratelli, però, non cedonoalla logica della guerra. «Insieme ai parroc-chiani ab-biamo cominciato ad aprire il pozzo del convento a tuttiquelli che arrivavano chiedendo acqua, cristiani e mu-sulmani. Con le donazioni di tanti cristiani d’Occidenteabbiamo mandato in giro i camioncini con le pompe per-ché anche quelli che abitavano all’ultimo piano, magariamma-lati, potessero avere di che lavarsi. Abbiamo chie-sto a due amici ingegneri di aiutarci a ricostruire le case.

E oggi, che le bombe sono più lontane e più rare, por-tiamo pacchi di alimenti alle famiglie e sosteniamo pic-cole attività imprenditoriali perché i nostri giovani nonabbandonino la terra in cui, per la prima volta, ad Antio-chia, i seguaci di Gesù, furono chiamati “cristiani”».

Tra il male di cui gli uomini sono capaci, c’è il beneche spunta inaspettatamente, come i fiori, tra le macerie.Come i fiori nei vasi sistemati all’interno del missile chedoveva sventrare la chiesa, recuperato dai parrocchiani.E l’Isis? E Assad? «Se volete aiutare la Siria – racco-manda padre Ibrahim – non cercate qualcuno a cui attri-buire le colpe, ma dite di “sì” al bene nelle circostanzedella vostra vita. Si espanderà fino ad Aleppo».

Mario Tamburino

Una luce di speranza nel dramma della SiriaE un missile diventa un vaso di fiori

Il parroco di Aleppopadre Ibrahim a Ragusainvita a cercare e costruiresempre il bene

Su www.insiemeragusa.it l’intervista di Vincenzo Lacognata a padre Ibrahim

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Il cammino verso la pace prevede passi sul sentierodella nonviolenza e consente ai viandanti momenti di

incontro che lasciano il segno. E’ quanto avvenuto inoccasione della visita che i rappresentanti internazionalidell’IFOR (International Fellowship of Reconciliation)hanno voluto portare al progetto SPRAR “AccoglienzaCasmenea” a Torre di Canicarao a Comiso.

“L’IFOR-International Fellowship of Reconciliation– spiega Zaira Zafarana, rappresentante presso le Na-zioni Unite di GInevra – è il più antico movimento perla pace a base spirituale. Sorto agli albori del primo con-flitto mondiale, nel 1914, ha operato per la salvaguardiadella vita umana, la sua dignità, contro la guerra, le di-scriminazioni e per il disarmo e la solidarietà”.

All'inizio degli anni Settanta il MIR, la branca italianadell’Ifor, è stato tra i primi movimenti italiani a schie-rarsi contro il nucleare civile, fino al referendum del1987 nel quale l'Italia ha deciso la definitiva rinuncia al-l'uso del nucleare. Il MIR ha fatto parte dei comitati an-tinucleari del nuovo referendum che nel 2011 haconfermato la scelta antinucleare degli italiani. Dunquela visita alla città di Comiso, con tappa alla Pagoda dellapace e al reverendo buddista Morishita hanno assuntouna particolare valenza grazie alla possibilità di toccarecon mano la riconversione dell'ex base militare in unaeroporto civile.

“Quest'anno- aggiunge Zaira Zafarana - il Congressointernazionale ha scelto di aggiungere un evento pub-blico internazionale sul tema della migrazione per of-frire una narrativa alternativa sul tema che tenga ancheconto delle cause, dell'esperienza del viaggio e degliaspetti legati all'accoglienza e all'integrazione: il nostroobiettivo è di affrontare il tema parlando direttamentecon migranti e rifugiati quali interlocutori e non merioggetto del discorso”.

Nel corso dell’incontro, persone di almeno 30 nazio-nalità diverse hanno condiviso esperienze e poggiato lebasi per progetti di collaborazione futura.

“Siamo rimasti emozionati dal modo in cui i ragazziospiti della struttura ci hanno accolto – prosegue Zaira– fin da subito. Era per noi importante non parlare,come spesso avviene, dei migranti, ma con i migranti.Questo termine non contraddistingue l’intera persona,ma solo la situazione temporanea del suo percorso divita. Il ruolo dei centri SPRAR ci pare sia molto impor-tante. Anzi, occorrerebbe dare maggiore sostegno aglioperatori dell’accoglienza. Questo incontro ha offertoai delegati internazionali dell’IFOR un’altra opportunitàper conoscere la realtà locale della migrazione e dei nu-merosi sforzi per gestirla al meglio ponendo al centro ladignità degli individui”.

“Abbiamo accolto con gioia questa richiesta da partedi Ifor – racconta Renato Meli, presidente della Fonda-zione San Giovanni Battista – perché crediamo nel dia-logo, nell’ascolto e nei valori di pace che la nostracomunità diocesana rappresenta. Comiso è un luogosimbolo di pace e di incontro: la Pagoda della Pace con-fina con la nostra struttura e da qui vediamo i frutti dellariconversione dell’ex base militare in un aeroporto ci-vile. Come Fondazione viviamo il tema della Pace e dellaspiritualità come valori fondanti del nostro lavoro e delnostro vivere. “.

“Abbiamo presentato ai nostri ospiti – prosegue Ales-sandro Guastella, coordinatore del progetto SPRAR –le peculiarità del nostro sistema di accoglienza. Ab-biamo notato un grande interesse da parte loro verso lefigure professionali coinvolte nel lavoro di accoglienzae nei riguardi dei migranti per i quali cerchiamo di ope-rare quotidianamente con professionalità e cuore”.

Antonio La Monica

I rappresentanti dell’Ifor a CanicaraoQuando lapace si nutre di spiritualità

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Verso la festa della Pace del 17 febbraioI ragazzi in cammino alzando lo sguardo

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Ogni tanto mi diverto a chiederecos’è la pace? E non mi stupi-

sco più delle risposte, ognuno la in-tende come vuole. In effetti la pacenon ha mai potuto godere di unachiara definizione positiva. C’è chidefinisce la pace come ordine socialee internazionale nel quale tutti gli es-seri umani possono godere di tutti idiritti umani; chi come frutto maturodella giustizia e del pieno rispetto deidiritti umani. Insomma la pace paresia un valore, un diritto, un obiettivoe perfino una condizione.

Ma è soltanto questo la pace? Ognigiorno sentiamo frasi del tipo: “De-sidero la pace nel mondo”, “Fermia-moci per la pace”, “La carovana dellapace”; perché ogni iniziativa è rivoltaalla pace? Perché anche Papa Fran-cesco non smette mai di parlare dellaPace? Ho sentito parlare di una festadella Pace, incuriosita ho indagato echiesto cosa fosse! Ho conosciuto i

ragazzi dell’Azione Cattolica che mihanno parlato di una festa che metteinsieme, la gioia della compagnia, laricchezza della diversità, la novitàdella condivisione, la bellezza delservizio.

Elementi ancora troppo genericiper comprendere meglio la pace. Hoinsistito un po’ ed ho scoperto che inquesta festa ci si diverte rispettandole regole del gioco, superando le fa-tiche di una marcia, creando gruppocon altre persone, talvolta scono-sciute, saltando, cantando e alzandolo sguardo perché c’è sempre un pal-loncino colorato lì pronto a regalartiun sorriso e il buon umore. Ho sco-perto che non si inizia mai senza ilsegno della croce e non si concludemai senza uno scambio di saluti. Hoscoperto che questa festa piace per-ché unisce ragazzi di tante zone epaesi, unisce genitori, fratelli e deveessere parecchio importante perché

il vescovo non se ne perde una e per-sino il Papa ne parla. Mi racconta-vano che contano i giorni che ci sonoal 17 febbraio, giorno in cui si cele-brerà la festa della Pace, e di come sistanno preparando a viverla. Perchéla pace – almeno questa, la pace deiragazzi – non è la gioia del momento,ma è un cammino di preparazione,durante il quale si vivono diversetappe dove ci si ricarica per potercontinuare. Questa pace deve pro-prio essere importante, quasi si fa fa-tica a viverne senza. Deve essere disicuro qualcosa da mangiare, magariun pezzo di pane. In effetti se pensoal pane ritrovo il servizio, il rispettodelle regole, la diversità dei tipi, lacapacità di adattarsi ad ogni condi-mento, la gioia di poterlo mangiarein compagnia.

Grazie a questi ragazzi ho capitocos’è la Pace! La Pace è servita!

Raffaella Refano

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Serge Latouche è un gigante delpensiero moderno. La sua pre-

senza a Ragusa non poteva non at-trarre i tantissimi che hanno letto isuoi libri o anche soltanto sentitoparlare della cosiddetta “decrescitafelice” che è il filone di pensiero delquale il filoso francese è iniziatore.

Con il filosofo ed economista pa-rigino nella sala Ideal di Piazza Li-bertà anche Rosario Lo Bello,parroco della San Paolo Apostolo diSiracusa, prete quarantenne che hada anni intrapreso serie e seguitobattaglie ecologiste nella sensibilis-sima area del siracusano, che vuoldire Augusta e Melilli, le raffinerie etutto quanto ne deriva.

La serata, organizzata e introdottada Calogero Rizzuto, il soprinten-dente di Ragusa, è servita a capirecome non ci si può più chiedere se ilcambiamento climatico e la distortapolitica economica tipica del capita-lismo spinto siano causa di chissàquali disastri. Si tratta invece di ca-pire quali e quanti disastri, ritenutiinevitabili, saranno prossimi e cer-tamente nel corso del secolo, postoche gli esperti prevedono un au-mento minimo della temperaturamedia globale di almeno due gradi(altri, ancora più preoccupati, arri-vano ad ipotizzare un tre o quattrogradi di aumento).

«Noi cristiani abbiamo a modelloil Vangelo – ha spiegato don LoBello – dove è contenuta la visione

che Cristo aveva del Creato e dellaidea di vita terrestre che gli uominie le donne dovrebbero, se si diconocristiani, condurre. Non solo – ag-giunge il parroco aretuseo – noidonne e uomini appartenenti allachiesa cattolica abbiamo da qualchetempo anche una apposita enciclica,

la “Laudato Si”, che Papa France-sco, primo pontefice nella storia, hapubblicato proprio per richiamaretutti gli uomini, ed i cristiani in par-ticolare, ad un maggiore rispetto perla natura, per il creato».

Serge Latouche ha quindi spie-gato come filosofia ed economiasiano chiamate a trovare nuovi para-digmi, diversi dal consumismo edallo sviluppo a tutti i costi. «Da gio-vane ho lavorato come economistanel Laos – racconta il professor La-touche – dove incontrai uomini edonne che vivevano felici di poco,pochissimo. Sostanzialmente delriso sufficiente per la vita e con la in-contaminata natura attorno. A noigiovani economisti i maestri avevanoinsegnato che per lo sviluppo di una

area apparentemente depressa comequella era necessario, semplice-mente, creare un bisogno per poiprovvedere a soddisfarlo ovviamentea fronte di un compenso, mettendocosì in moto la macchina capitali-stica, più o meno raffinata, più omeno evoluta. Adesso – continua

l’accademico francese autore di sva-riati volumi, molti dei quali tradottiin italiano – quel metodo, quel mo-dello è stato portato alla esaspera-zione, e il mondo tutto èprobabilmente già ben oltre il puntodi non ritorno».

Preoccupante la conclusione dipadre Lo Bello: «Siamo arrivati alpunto che dovendo necessariamenteattendere una catastrofe, dobbiamoaugurarci di subirne una seppuregrandiosa ma non ancora apocalit-tica, così da far capire che tutti,ognuno per la propria parte, che laspecie è a rischio per i nostri stessicomportamenti, non più sopporta-bili dal pianeta».

Saro Distefano

Si può essere felici anche con poco?L’economia secondo Serge Latouche

Occorre individuare alternative possibilia un'economia capitalista che presenta chiari limiti

Serge Latouche, Saro Distefano, padre Rosario Lo Bello

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Speci

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Il servizio civile universale odiernoè frutto di una storia iniziata 70

anni fa con la scelta di un giovanechiamato al servizio di leva, che ri-fiutò di prestare giuramento pressola caserma della Scuola allievi uffi-ciali di Lecce, dichiarandosi obiet-tore di coscienza: il suo nome eraPietro Pinna. Il suo esempio, unito aquello di decine e decine di giovaniche lo seguirono, cattolici e non, èstato richiamo per le coscienze ditanti giovani italiani alle istanze dinonviolenza, di pace, di giustizia. Siè dovuto attendere il 1972 perché laRepubblica Italiana giungesse a rico-noscere l’obiezione di coscienza.«Sono stati gli obiettori di coscienzaal servizio militare obbligatorio – haaffermato il presidente della Repub-blica Sergio Mattarella – ad aprire lastrada, talvolta con contrasti e in-comprensioni, ad ampliare il signifi-cato e le modalità di servizio allaPatria».

«Ancora oggi – spiega DomenicoLeggio, direttore della Caritas –quando testimoniamo di questa sto-ria ai giovani in servizio, durante laformazione generale, notiamogrande interesse e anche stuporenell’udire che il loro servizio civileaffonda le radici nella coscienza diragazzi che si sono prodigati, chehanno rischiato il carcere e la deni-grazione durante anni di lotte non-violente, affinché il nostro Paese

capisse che la coscienza è inviolabilee che la Patria può essere servitaanche in modo nonviolento e nonesclusivamente con l’addestramentoall’uso delle armi. Il servizio civile,come amiamo dire ai ragazzi, non di-fende il Paese nei suoi confini ma neprotegge il midollo, l’essenza, ossiale persone e le relazioni tra di essenell’ordinarietà e nella quotidia-nità».

La Diocesi di Ragusa è da anniprotagonista di questo cammino diservizio con progetti gestiti dalla Ca-ritas e dalla Fondazione San Gio-vanni Battista. Percorsi chefavoriscono l’inclusione sociale, lafruizione dei beni culturali, l’aiuto aibambini e alle parrocchie.

«In Caritas – prosegue Leggio –questo si fa attraverso centinaia digiovani e il loro impegno a renderemigliore la vita delle persone e i con-testi territoriali sotto il profilo edu-cativo, culturale ed ambientale. Una

moltitudine di persone che la nostraDiocesi, attraverso la Caritas dioce-sana e Caritas Italiana, ha accolto findagli albori della legge e continua adaccogliere, scrivendo di pugno uncapitolo degli oltre 40 anni di storiadel servizio civile».

La Fondazione San Giovanni Bat-tista è da qualche anno titolare diprogetti di Servizio civile universale.«Dobbiamo ringraziare di cuore –sottolinea il presidente Renato Meli– ognuno di questi volontari che perun anno si impegnano offrendo ilmeglio di loro stessi. Il servizio civilerappresenta una importante occa-sione di crescita e di consapevolezza.Basti pensare alla possibilità con-creta che hanno questi ragazzi diconfrontarsi con tematiche attualicome l’immigrazione, la custodia ela valorizzazione dei beni culturali,l’educazione e la vita delle parroc-chie. Un anno di impegno che puòdavvero cambiare la vita e rende i no-stri giovani autentici missionari dipace e tolleranza».

Antonio La Monica

Dal no alle armi degli obiettori di coscienzaal moderno servizio civile universale

A unire le due esperienze la possibilitàdi educare alla mondialità

I giovani del serviziocivile della fondazione San Giovanni

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in 13PUBBLICITÀ

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Èstato portato a compimento il restauro del settecentescoaltare reliquiario della Madonna di Loreto nella chiesa

di Santa Maria Maddalena a Vittoria. L’intervento, che hasuggellato il 50. anniversario di istituzione della parrocchia,è stato reso possibile da una sottoscrizione popolare allaquale hanno risposto positivamente imprenditori, ditte,aziende del territorio, oltre a tanti parrocchiani e a molti vit-toriesi anche di oltre oceano. Tra questi il giovane parroc-chiano e cultore di storia locale Gaetano Bruno che, conpassione, ha pubblicato la storia della presenza dei Frati delPopolo, i Cappuccini a Vittoria e che ha voluto donare i pro-venti della seconda edizione, al restauro dell’altare, curandoanche la risistemazione delle reliquie dei santi e delle varieteche.

I lavori sono stati eseguiti dalla ditta Giallongo e Figli, sottoil vigile ed attento sguardo di Anita Causapruno che ha se-guito i lavori per conto della Soprintendenza ai Beni Cultu-rali di Ragusa, in concorso con l’ufficio per i beni artisticidella Diocesi di Ragusa. La ditta è riuscita a debellare il tarloche aveva corroso il mobile, ripristinando i colori originalidel legno. L’ultimo intervento risaliva al 1943 ma i Frati Cap-puccini dell’epoca si erano limitati ad una verniciatura e aspostare l’altare dalla posizione originaria a quella attuale.

L’altare reliquiario fu costruito per conservare il settecentosimulacro della Madonna di Loreto, la cui devozione eramoto sentita a Vittoria; alto circa 5 metri e largo 3 metri, con-tiene 102 reliquie (delle 126 originarie) di vari santi. Non sihanno fonti certe sugli autori ma si pensa che l’opera siafrutto di artisti ed ebanisti professionisti quali il maestro Car-melo D’Asta e gli stessi Frati Fabbriceri, ed è stato realizzatocon l’utilizzo di legni pregiati quali il palissandro, l’abete, laradica ed altri ancora.

«Si tratta – ha commentato il parroco don Giuseppe diCorrado – di una cappella contenente reliquie di santi anchedei primi secoli del cristianesimo, quindi oggetto di culto evenerazione, ma allo stesso tempo è un opera d’arte che an-dava salvaguardata e restituita alla città. L’altare rappresentaun segno concreto della storia e della cultura di Vittoria».

“Un gioiello nel gioiello, un opera nell’opera – ha com-mentato la restauratrice – un restauro complesso e difficol-toso per la conformazione stessa del mobile, degli intarsi edelle teche e lo stato di degrado in cui versava. Un tesoro diarte e spiritualità restituito alla città e alla devozione dei fe-deli”.

Orazio Rizzo

in 14 DIOCESI

A Vittoria tornato al suo splendorel’altare della Madonna di Loreto

Completato un delicatointervento di restauronella parrocchia

Santa Maria Maddalena

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Una delle tante ragioni per cui sonoi gruppi della Fuci locali ad ani-

mare la vita federativa, pensiamo, siaproprio questo: elaborare una letturadella città perché termometro della sa-lute di una società e restitutiva dei suoicambiamenti. Ci siamo posti, quindi,un interrogativo: come Ragusa guardai suoi universitari?

Il fatto che la popolazione giovanilepresente in città copra in termini per-centuali il 3 per cento sul totale non de-pone favorevolmente.

Ragusa, inoltre, risente di alcune pro-blematiche sistemiche, tra cui la disgre-gazione del tessuto urbano e larelazione con la tecnologia. Di recente,esse hanno trovato un segnale nell’in-contro sulla mobilità condivisa dedicataagli studenti della Facoltà di Media-zione linguistica. Infatti, l’offerta agliuniversitari li concepisce spesso comesoggetti consumatori e solo sporadica-mente attivi, relegandoli ad una ver-sione stereotipata. Si potrebbe porreanche la domanda inversa: come gli uni-versitari abitano Ragusa?

È ineludibile che il sistema universi-tario corrente avalli un sapere settoria-lizzato. Tuttavia, questa non è l’unicaconcrezione anche culturale che morti-fica l’esperienza universitaria in rela-zione alla vita civile: un esempio fra tuttilo svilimento del diritto allo studio. Ciòsu cui però vogliamo concentrarci è ilfatto che Ragusa è prevalentemente(dis)abitata da fuori-sede. Oltre allaforte emigrazione verso atenei setten-trionali, esiste una frequente mobilitàinterna all’Isola con ragazzi in uscita(soprattutto verso l’Università di Cata-nia) e in entrata (relativamente alla Sdsdi Lingue a Ragusa Ibla). Essa ci con-sente di parlare soprattutto di due cate-gorie di studenti: i pendolari efuori-sede non permanenti.

I primi non vivono né la città univer-sitaria né quella di residenza, preclu-dendosi di un riferimento formativo,mentre i secondi lo pongono su due ful-cri poiché divisi tra una dimensioneuniversitaria nel primo arco della setti-mana e una affettiva quando non anchericreativa o associativa nella seconda

parte.Una chiave di lettura tale, scevra da

tensioni analitiche, non può privarsidella pars costruens: il punto di par-tenza è riconoscere come sia anacroni-stico pensare agli universitari maauspicabile farlo con loro e per loro,cioè anzitutto mettersi in ascolto e aservizio nelle direzioni dell’acco-glienza, della cura e dell’orientamento.A questo seguirà un consolidamentoutile all’esercizio mediante e coesivodella professionalità futura. Per partenostra, tentiamo nell’ambiente univer-sitario di costruire la nostra città del-l’uomo, promuovendo una visioneumanistica complessiva in cui intessererelazioni autentiche intra e intergene-razionali.

Martina Occhipinti

Ragusa e il rapporto con gli universitariRicostruire la città dell’uomo e dello studente

La Fuci evidenzia le difficoltà dei fuori sede a creare relazioni

DIOCESI

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Una presenza che si sta rivelandosempre più come un “segno” di

speranza nel contesto della provincia diRagusa è costituita dalla Cattedra di“Dialogo tra le culture”, iniziativa dellaFacoltà teologica “S. Bonaventura” diRoma che ha voluto farsi presente nelSud per offrire un servizio teologico eculturale, avvalendosi della sinergia conla Diocesi di Ragusa e la Provincia reli-giosa dell’Ordine dei frati minori con-ventuali di Sicilia.

La provincia di Ragusa registra unapresenza di quasi trentamila immigratidi diverse etnie e culture, con i relativiproblemi che un ambiente così confi-gurato comporta.

La Cattedra nasce nell’anno accade-mico 2008-2009, sollecitata dallagrandi problematiche legate all’immi-grazione, presenti già da anni nel terri-torio ibleo, ma anche dalla prioritàpolitica e sociale che il dialogo intercul-turale cominciò proprio in quegli anniad assumere.

Se si considera che uno dei principaliobiettivi della Cattedra è quello di favo-rire il dialogo tra le culture, a partiredalla conoscenza dei tre grandi mono-teismi (ebraismo, cristianesimo, islam),e di interagire con il territorio attra-verso un servizio di formazione sui di-versi ambiti in chiave interdisciplinare,ecco che si può cogliere in essa un evi-dente “segno” profetico che apre allasperanza di un concreto impegno cul-turale sul difficile campo della convi-

venza pacifica tra i popoli.Nel corso del decennio, l’impegno

scientifico si è concentrato dapprimasullo studio delle tre grandi religionimonoteiste, e, successivamente, si è ap-profondito il tema cruciale dell’educa-zione, trasversale a tutte le culture, ealla sottesa questione antropologica.Così, dopo un confronto trans-cultu-rale sull’educazione, sulla famiglia esulla spiritualità, la Cattedra ha volutoaprire un dialogo diretto con alcune ca-tegorie professionali, in primis inse-gnanti, giuristi, medici, architetti eingegneri. Serviva infatti che il discorsoaccademico trovasse un’applicazioneconcreta nell’ordinarietà della vita so-ciale. Ascoltando le esigenze formativedi tali categorie, sono stati lanciati deicorsi d’avanguardia su temi di frontiera,con il coinvolgimento di Università ita-liane e straniere, che hanno permessoai professionisti non solo di abbatterestereotipi e pregiudizi, ma anche di ac-

quistare maggiore consapevolezza sullacomplessità di problemi nuovi, postidalla società multiculturale.

L’impulso che la Cattedra in questidieci anni ha dato anche al dialogo trale autorità pubbliche e le comunità re-ligiose è stato notevole, lavorando confatica per l’abbattimento di pericolosipregiudizi, a servizio della verità. Ma seè indubbio che oltre al suddetto dia-logo, dovrebbe essere sviluppato il dia-logo interreligioso tra le comunitàreligiose stesse, allora la Cattedra testi-monia la grande importanza di quantotale impegno possa contribuire real-mente a rafforzare il consenso circa lesoluzioni ai problemi sociali, perché«soltanto quando le religioni dialoganocon successo», la pace «può essere rea-lizzata anche a livello sociale e poli-tico».

Biagio Apriledirettore della Cattedra

Un segno profetico che lega le religioni alla paceDieci anni di Cattedra del Dialogo tra le culture

Senza pregiudizi e stereotipi al servizio della verità studiando i problemi della società multiculturale

in 16 DIOCESI

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“A la festa ri lu Santu nun ci mancari, iddu ajuta e pruvviria tutti l’uri”, così ricanta nella memoria e ammonisce an-

cora un antico adagio nato nella nostra terra in un’ epoca incui il tempo, a differenza che oggi, fluiva con i ritmi scanditidai cicli naturali e dalle dA la festa ri lu Santu nun ci mancari,iddu ajuta e pruvviri a tutti l’uri”, così ricanta nella memoriae ammonisce ancora un antico adagio nato nella nostra terrain un’ epoca in cui il tempo, a differenza che oggi, fluiva coni ritmi scanditi dai cicli naturali e dalle diuturne ed indefesseattività lavorative. Nelle terre e nei paesi dell’altopiano, deglialti Iblei o nella plaga ipparina, il ritmico vangare del conta-dino, il picconare degli scalpellini, i rumori degli attrezzinelle botteghe artigiane, di certo, scandirono la vita dei no-stri padri, che, quotidianamente alle prese con i problemi delvivere ebbero lo sguardo ed il cuore sempre rivolti al cielodevotamente pregando i Santi e Dio stesso perché vigilasserosulle loro vicende umane e guidassero i loro passi.

Spontaneamente nacquero e si sedimentarono culti, pre-ghiere, devozioni e riti che, nonostante le mutate condizionisocio-economiche permangono, ad oggi, genuina testimo-nianza ed espressione del singolare sentire religioso della di-gnitosa civiltà di chi fu. Nacquero ovunque le feste in onore

dei santi dalle quali traspaiono e lo stretto legame con ilmondo agricolo che le ha generate, le influenze conseguentiagli scambi con colonizzatori e gruppi di stranieri invasoried anche il mondo classico.

Chi pertanto avesse a trovarsi, qui, dalle nostre parti inqualsiasi periodo dell’anno sentirà echeggiare nell’aria dal-l’uno o dall’altro dei quattro punti cardinali, il botto ora cupoora ritmato e brioso, di salve a cannone che annunziano o ri-cordano nelle varie ore del giorno, l’inizio, lo svolgersi, lafine di novenari, settenari o processioni.

Finalmente era festa, quella dell’abito buono, delle lunghepasseggiate sotto l’infilata degli archi, della “calia e simenta”consumate nella piazza strapiena, ascoltando la musica “apalco” in attesa del santo. Quella festa, che continuava a vi-vere nell’attesa della successiva.

Ma oggi, gli insulti ed il tarlo del tempo, l’affermarsi del“progresso”, di un presunto modernismo, le contaminazioniesterne con l’adozione di espressioni ed usanze estranee,hanno fatto sì che ogni festa riproponga solo parte della pro-pria peculiare tradizione.

S’impone un restauro, un’operazione di salvaguardia e tu-tela, che, compatibilmente, con i tempi mutati, porti sullabase di un ampio progetto culturale ad un serio recuperodella memoria storica della festa, affinché, senza cedere adistanze estetizzanti, se ne ritrovi e preservi la struttura nellospirito originario che le appartiene.

Giuseppe Cassarino

Occorre ritrovare lo spirito che per secoli ha scandito atmosfere e usanzedivenute tradizione

in 17DIOCESI

Recuperare la memoria storica delle festee gli aspetti genuini della religiosità popolare

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Perché un consultorio? Perché un luogo in cui semplice-mente “si parla” dei problemi? Non sarebbe meglio tro-

vare un modo per risolvere concretamente le tante difficoltàche gravano sulle famiglie? È l’obiezione che spesso ricorredinanzi al nostro stare ore e ore ad ascoltare sofferenze e do-lori. Sta di fatto, però, che la persona che trova due occhi chela fissano sereni mentre racconta dei suoi tanti grandi o pic-coli problemi, che le tiene strette le mani mentre rivive, nar-randoli, i momenti peggiori della sua vita… sta meglio.Ritrova in sé le forze per affrontare i disagi personali e fami-liari e trova da sé soluzioni prima impensate. Non ci sono dif-ficoltà insostenibili nella vita se c’è una mano stretta in cuitenere la nostra. Anche il dolore più grande non ci distruggese non ci sentiamo soli, l’ostacolo che sembra insormontabileviene attraversato se il nostro corpo porta dentro un calorevero. Se i nostri occhi non incontrano un altro sguardo tuttoè complicato e la vita stessa è brutta, ma se un sorriso tenerococcola le nostre ferite o rassicura i nostri timori tutta la no-stra vita sarà bella: non facile (non lo è mai), ma sicuramentepiena.

Confidando con tutte le proprie forze in questa grande ve-rità e percependo la reale gravità di sofferenze relazionali incui le famiglie versano, don Romolo Taddei, padre GiovanniSalonia, il professore Gaetano Lo Monaco e tanti altri hannodeciso, nel lontano 1978, di fondare a Ragusa un Consultoriofamiliare di ispirazione cristiana. Ogni anno sono centinaiale persone che continuano a rivolgersi alla nostra struttura,per un totale di circa diecimila ore di volontariato all’anno.Le richieste vanno dalla consulenza individuale a quella di

coppia o familiare, dal sostegno etico a quello giuridico,dall’aiuto per la gestione di una famiglia in cui arrivano nuovifigli a quella in cui subentrano malattie gravi, separazioni,crisi economiche o morti. La risposta d’aiuto viene non dalsingolo operatore ma dal Consultorio nel suo insieme.

È per festeggiare tanto bene che è stata organizzata unagiornata di celebrazione del quarantesimo articolata in unconvegno con le relazioni di padre Giovanni Salonia, psico-terapeuta, e di don Edoardo Algeri, presidente nazionaledella Confederazione dei Consultori Familiari di ispirazionecristiana. Targhe di ringraziamento sono state consegnate atutti gli ex presidenti, ai relatori, a don Romolo, al direttoredella Banca Agricola Popolare di Ragusa, che da sempre offreannualmente un contributo economico al Consultorio e alvescovo monsignor Carmelo Cuttitta, che continua a soste-nerci con l’8 per mille e che è stato presente anch’egli al con-vegno salutando gli intervenuti ed elogiando il Consultorioper il servizio che svolge. Una vera standing ovation, a con-clusione, per don Romolo Taddei, che ha commosso tutti colsuo fare delicato e profondo.

Il nostro lavoro continua con un nutrito programma dicorsi rivolti a singoli, a coppie e famiglie scaricabile sul sitowww.consultoriofamiliareragusa.it

Agata Pisana

Uno sguardo sereno oltre le difficoltàI 40 anni del Consultorio familiare

in 18 DIOCESI

Dal 1978 a oggi una comunità di professionistioffre in modo gratuito le proprie consulenze

Don Edoardo Allegri, padre Giovanni Salonia, Agata Pisana, don Romolo Taddei

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La storia della Ragusa dell’Ottocento, con la sua vita so-ciale, politica, economica e culturale è stata riletta attra-

verso il manoscritto del canonico Pasquale Ventura,custodito nella Biblioteca Diocesana, e le carte della beataMaria Schininà. L’occasione è stata fornita da un seminariosul tema “La storia dell’Ottocento ibleo: protagonisti, lin-guaggi e contesti del XIX secolo”, promosso della Bibliotecadiocesana “Monsignor Francesco Pennisi”.

Il filo della storia della città si è riavvolto sino al 1874quando Maria Schininà, rimasta sola con la madre, scelse diabbandonare il lusso e lo sfarzo cui lei - esponente di unadelle più titolate famiglie dell’aristocrazia ragusana - era abi-tuata, per consacrare la sua vita agli ultimi. La decisione didedi-carsi ai più poveri infranse il muro che separa in ma-niera netta i ricchi dagli indigenti, i nobili dal popolo edemerge in maniera pacata ma netta dalle carte della stessabeata. Circa quarant’anni prima un canonico, Pasquale Ven-tura, aveva scritto in un’elegante e affilata grafia ottocentescala storia della sua Ragusa. Proprio questo manoscritto è statoora ripreso dalla studiosa Sandra Guastella che ha ricostruitotutti i passaggi di un’opera che rappresenta uno dei fulcridella storiografia locale e che è custodito proprio nella Bi-blioteca Diocesana.

A guidare i presenti in questo viaggio nell’Ottocento ra-gusano sono stati il direttore della Biblioteca diocesana, donGiuseppe Di Corrado, il giornalista Saro Distefano capo de-

legazione del Fai di Ra-gusa, («Individui, cultura e societàlungo un secolo»); la docente e saggista Laura Barone(«Devo-zione, spiritualità e pietà nelle carte di Maria Schi-ninà»); la studiosa Sandra Guastella («Per una storia di Ra-gusa: il manoscritto Ventura tra ricerca filologica ericostruzione storiografica»). Anche grazie a questo appun-tamento la Biblioteca Diocesana si è confermata uno spazioaperto do-ve, oltre a consultare libri, si possono creare oc-casioni di studio, di relazioni, di ricerca e di cultura. Unospazio vivo che aiuta anche a dare un’anima al centro storicodi San Giovanni e questo semina-rio ha rappresentatol’ideale ponte tra il nostro passato e il presente.

«Obiettivo del convegno - ha affermato Stefano Vaccaroche ha coordinato i lavori del convegno - è stato quello di ri-costruire, con i mezzi che l’odierna critica storico-letterariaoffre, l’ambiente cultu-rale della città di Ragusa nel corso delmedio e tardo Ottocento, approfondendo e problematiz-zando i contesti socio-culturali all’interno dei quali preseroavvio iniziative di natura letteraria ancora oggi scarsamenteindagate».

La storia della Ragusa dell’Ottocentoe il manoscritto del canonico Ventura

in 19DIOCESI

Sandra Guastella, Laura Barone, Stefano Vaccaro, don Giuseppe Di Corrado

In un appuntamento della Biblioteca diocesanaspazio anche alle lettere della beata Maria Schininà

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in 20 BREVI DALLA DIOCESI

Prende il via il 16 gennaio il nuovo corso di formazione alvolontariato che la Caritas diocesana propone annualmentea tutte le persone che desiderino dedicare del tempo e leproprie qualità al servizio del prossimo in attività di volon-tariato. Il prossimo percorso formativo, giunto alla sua nonaedizione, si terrà a Comiso, nei locali della parrocchia SantiApostoli in via delle Viole 8, e inizierà il 16 gennaio. Gli in-contri avranno cadenza settimanale e si terranno il merco-ledì dalle 17 alle 19. Ad accompagnare i volontari saranno ildirettore, Domenico Leggio, Vincenzo La Monica, del-l’equipe Caritas, la psicologa Delizia Di Stefano e l’assi-stente spirituale, padre Rosario Cavallo. È possibile giàmanifestare l’interesse o richiedere informazioni, contat-tando la Caritas al numero 0932/646424 o mandando unae-mail a [email protected].

Volontari Caritasal via la formazione

È stato prorogato al 15 gennaio il ter-mine per presentare le candidature perle selezioni del progetto di volontariatoeuropeo “Estamos Juntos”, promossodalla Caritas diocesana di Ragusa, chesi terrà tra Ragusa e Lisbona. La parte-cipazione è riservata tra i 18 e i 28 anni.Il progetto prevede la coper-tura dellespese di abitazione condivisa e budgetper il vitto, trasporti, formazione (va-lori, abilità, competenze, basi di lingua

portoghese); viaggio a/r per Lisbona;abitazione e budget per il vitto in Por-togallo; bonus cultura; assicurazione.Si prevede anche un riconoscimento fi-nale delle compe-tenze acquisite. Tuttele info sul sito www.diocesidiragusa.it

e sulla pagina facebook Caritas dioce-sana di Ragusa. Per contattare la Cari-tas mandare una mail [email protected] o chia-mare al numero 0932/646424.

Educazione digitaleUn corso on line

Come la famiglia può affrontare l’educazione digitale?Quale ruolo svolge la comunità scolastica quando i mediadiventano parte integrante della vita quotidiana degli stu-denti? Quali sono le oppor-tunità che la pastorale può as-sumere nella propria riflessione e azione? A questi e ad altriinterroga-tivi dà risposta il primo Mooc (Massive onlineopen course) in “Educazione digitale”, promosso dallaConferenza Episcopale Italiana e dall’Università Cattolicadel Sacro Cuore di Milano: un corso in modalità e-learningaperto e gratuito, i cui contenuti sono fruibili per tutti co-loro che desiderano accedervi. Il corso partirà lunedì 28gennaio 2019. Obiettivo è quello di fornire un approfondi-mento su nozioni e pratiche digitali. Il Mooc si rivolge a edu-catori, animatori, operatori pastorali, genitori, insegnanti eprofessionisti della comunicazione.

Volontariato europeo Prorogati i termini

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Gli imprenditori della provincia diRagusa ci sono e intendono reci-

tare un ruolo da protagonisti per lo svi-luppo del territorio e delle sueinfrastrutture. La costituzione della so-cietà “Aeriblei”, che ha tra le sue fina-lità il rilancio dell’aeroporto di Comiso,rappresenta un momento comunqueimportante nella storia di una provinciache, negli ultimi dieci anni, ha scontatol’assenza di una vera e propria classe di-rigente. Oggi, un gruppo di undici im-prenditori intende rilanciare la sfida dalbasso che è sempre stata una delle pe-culiarità della nostra provincia. L’obiet-tivo è, intanto, quello di rilevare lequote di Intersac in fase di liquidazione,socio di maggioranza di Soaco, la so-cietà che ha la gestione dell’aeroportodi Comiso. Non sarà semplice ma ilprimo sasso nello stagno è stato lan-ciato e ora si conta di allargare la com-pagine societaria ad altre realtàeconomiche del territorio e a soci cheabbiano già un’esperienza consolidatanella gestione di scali aeroportuali.

A questa ambiziosa sfida hanno ade-

rito alcune delle aziende più rappresen-tative del territorio: A-biomed, Agri-plast, Agromonte, Argo software,Centro commerciale naturale AnticaIbla, Filgest, Scar, Passalacqua tra-sporti, Pin up, Pmi Sicilia e Sallemi car-buranti. Il Consiglio diamministrazione è presieduto da Salva-tore Cascone che è affiancato da Gian-stefano Passalacqua (vice presidente),Roberto Biscotto, Salvatore Sallemi eGiuseppe Alessi (consiglieri).

«Questa società – dichiara il presi-dente Cascone – intende parteciparealle azioni d’intervento per il rilanciodell’attività passeggeri dell’aeroportodi Comiso e dell’avvio del progettocargo, allo scopo di assicurare al terri-torio, in collaborazione con la partepubblica, il controllo della gestione edello sviluppo di tale infrastruttura.Nella compagine azionaria sarà previstala presenza di soci qualificati, conknow-how nel settore delle attività ae-

roportuali».Se per le prospettive di sviluppo della

provincia di Ragusa la regia di alcuni trai più capaci impren-ditori può rappre-sentare un nuovo inizio, per l’aero-porto di Comiso è probabilmente unadelle ultime opportunità. Lo scalo èstato sinora premiato dai viaggiatori(che riempiono i voli da e per Comiso)ma penalizzato dalle scelte delle com-pagnie aeree che si sono progressiva-mente disinteressate a questaopportunità e da una gestione cui sonostate attribuite altre responsabilità. At-torno ad “Ae-riblei” e all’aeroporto diComiso ora bisognerà ricostruire unarete di relazioni (cui non potrà sottrarsila politica che, a dire il vero, è stata sem-pre molto attenta alle sorti dell’aero-porto creando op-portunità soloraramente colte dalle compagnie aeree)per ridare alla provincia di Ragusa unprogetto di sviluppo serio e credibile.

Al. Bon.

Gli imprenditori decidono di fare squadraUn’opportunità non solo per l’aeroporto

in 21ATTUALITÀ

La società “Aeriblei” punta alla gestione dello scaloe a creare opportunità di sviluppo del territorio

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Come la crisi economica cambia la democrazia” (il Mu-lino, 2018) è l’ultimo saggio pubblicato dal professore

Francesco Raniolo, ragusano, direttore del dipartimento diScienze Politiche dell’Università della Calabria, insieme alprofessore Leonardo Morlino. Ne abbiamo parlato con l’au-tore e qui vi proponiamo una sintesi dell’intervista che tro-vate nella versione integrale sul nostro sito(www.insiemeragusa.it):

Professore Raniolo, qual è il tema centrale del libro? «Il libro riguarda l’analisi di come quella che chiamiamo

“la grande recessione” del 2008 ha in-fluenzato e cambiatola qualità delle democrazie partendo dalla comparazione deiquattro casi di Italia, Grecia, Spagna e Portogallo. I paesi chepiù di altri in Europa sono stati colpiti dalla crisi per intensitàe durata e, anche, per effetti politici il formato e la dinamicadei sistemi di partito di questi paesi sono stati radicalmentemutati con esiti aperti e soprattutto ambigui sul futuro stessodelle de-mocrazie rappresentative».

I meccanismi che voi avete osservato hanno tratti uni-formi in tutte i Paesi coinvolti dalla crisi?

«Il cuore del libro è la tesi che le crisi economiche agisconocome “meccanismi catalizzatori”, cioè come processi che ac-

celerano e amplificano processi e tendenze già presenti o la-tenti nei diversi si-stemi politici. Per capire gli effetti dellacrisi dobbiamo, così, guardare alle “condizioni di contesto”(per esempio alla cultura politica, all’efficacia del tessuto isti-tuzionale, ecc..), da qui gli esiti diffe-renziati».

La nascita di nuove formazioni politiche è il frutto dellacrisi dei partiti tradizionali: si tratta a suo avviso di unprocesso in fieri o è già consolidato?

«Nel libro al riguardo mettiamo in risalto due aspetti. Inprimo luogo, la crisi dei partiti e delle isti-tuzioni della rap-presentanza (parlamento e soprattutto classe politica, per-cepita come “la casta”) è un fenomeno oramai di lungadurata nelle democrazie occidentali. D’altra parte, laddovele condizioni lo hanno permesso si sono affermati nuovi “im-prenditori politici” innovativi rispetto al passato, estremistiper riuscire a canalizzare la protesta, radicali per stile politicoaggressivo e per l’uso dei nuovi media e dei social network».

Il professore Panerari nel corso del convegno ha par-lato di una deriva della fiducia che ha come ap-prodo laradicalizzazione: è un processo disinnescabile?

«La chiave interpretativa che proponiamo nel libro è chela grande recessione sta lasciando delle “democrazie radica-lizzate” cioè dove delle tensioni, per così dire strutturali deiregimi democratici stanno producendo effetti squilibranti edestabilizzanti. La forza della democrazia nel lungo periodo(non dimentichiamo però che le democrazia mature hannoun paio di secoli di vita) è stata proprio la sua adattabilità eapertura all’ambiente. La democrazia ha funzionato fino adoggi incorporando la protesta – quindi riducendola e mode-randola – attraverso riforme e assestamenti istituzionali».

Vito Piruzza

Ecco come la crisi ha cambiato la democraziaIntervista al professore Francesco Raniolo

in 22 ATTUALITÀ

Negli ultimi anni sono nate forze politiche estremisteche hanno canalizzato la protestaverso partiti e istituzioni

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La storia di Dhaker è la storia di unragazzino di dieci anni; la sua fami-

glia vive a Vittoria, è di origine tunisina,due fratellini più piccoli, il padre lavorain campagna, scarse le possibilità eco-nomiche. A Dhaker viene diagnosticatoun tumore, che prende il sopravvento ecomincia a togliergli ogni giorno qual-cosa, fino al quel fatidico 26 aprile del2018, quando dopo un calvario di 16mesi, chiude gli occhi lasciando unvuoto nel cuore della famiglia, dei com-pagni di classe, dell’intera scuola, ditutta la città di Vittoria.

La storia di Dhaker potrebbe sem-brare cronaca passata ma in realtà è at-tualissima storia di accoglienza, ditoccante e diffusa di solidarietà. Da-vanti al dolore, l’umanità reagisce e ilsentimento di amore germoglia. Così èavvenuto per tutta la comunità vitto-riese ed oltre, che con cuore e conprontezza ha dato seguito alle disperaterichieste di aiuto per consentire a Dha-ker di curarsi, per consentire al padre

di potersi permettere viaggi quindici-nali a Roma. A cominciare dai suoicompagni di scuola, dalle mamme e datutte le altre maestre, generosi e solertia contribuire con tutti i mezzi alle speseper le cure mediche; a cominciare dallaCuria e dal vicario, don Roberto Asta,che ha dato corpo alle richieste di aiutofatte a Sua Santità Papa Francesco; a co-minciare da padre Beniamino Saccoche è riuscito a trovare una casa per ac-cogliere il ragazzo ma che il ragazzonon ha fatto in tempo ad abitare. Senzatrascurare l’amministrazione comunaleo i tanti singoli amici che hanno fatto agara nella solidarietà.

Tutto ciò è realtà, è vero; ma il ringra-ziamento più accorato va a colui che haprovocato questa solidarietà diffusa. Vaa Dhaker che è riuscito ad insegnarcitanto. Dhaker è andato via circondatoda moltissimo amore, calore umano,

preghiera. Ha ricevuto tutte le curepossibili e immaginabili, ma questa garadi affetto non è bastata ad evitargli lamorte.

Abbiamo invocato un miracolo e pen-savamo di non averlo ricevuto. Ma sba-gliavamo: il miracolo è stato l’amore diVittoria; Dhaker non ce l’ha fatta, ma lasua storia ha unito un paese. Io ho fattocose che non pensavo avrei mai fatto,superato emozioni, imbarazzo, ansie,paure; ho riconosciuto il ragazzinoparte di me, il mio maestro di vita, il miomiracolo. Io ho veramente creduto nelmiracolo, quel miracolo che non si ècompiuto con la sua guarigione ma conla mia; con la riscoperta di Dio, conl’apertura alla fede e particolarmentecon la forza nuova ritrovata nella pre-ghiera.

Graziella Rovetto

Così Dhaker ha unito la città di VittoriaUn miracolo di speranza e solidarietà

La malattia di un ragazzino ha generato una risposta a tratti commoventenche ha tanto da insegnarci

in 23ATTUALITÀ

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Trovare nel nostro tempo realtà economiche che riescanoa coniugare la logica del mercato e la promozione della

persona non è “impresa” facile. Mancano dei testimonialadeguati in grado di raccontare la “convenienza” di un’eco-nomia che si preoccupa del bene di tutti. Ma più che di testi-monial abbiamo bisogno di testimoni. Ci piace parlarne conNuccia Alboni, responsabile marketing della cooperativa“Ortonatura”, titolare del brand “La Signora Melenzana”.

Nuccia Alboni è possibile fare impresa in un contesto dif-ficile come la realtà economica siciliana e vittoriese?

«Certamente il contesto economico non è favorevole. Dif-ficoltà logistiche ed una cultura avversa all’impresa rendonol’esercizio dell’imprenditore difficile. Lavorare in una realtàperiferica come Vittoria, con tante barriere per raggiungerei mercati, è impresa ardua. Ma la nostra miniera di sole è quie produce eccellenze apprezzate in tutto il mondo. Partendoda questo vantaggio la questione si sposta sul modo di fareimpresa in questo difficile contesto».

Ci aiuti a declinare questo modo di fare impresa? Da dovevorresti cominciare?

«Ma certamente dalla produzione. “La Signora melanzana”ha sempre tenuto in maniera particolare al rispetto dell’am-biente. Perché una terra ereditata dalle generazioni prece-denti deve essere tramandata a quelle successive, senzadistruggerla e senza trasformarla. Ed è per questo che si èscelto uno degli approcci più naturali per ottenere ortaggibelli, buoni e sani: la lotta integrata, che preferisce ogni so-luzione alternativa valida agli interventi chimici sulle piante.Tutto ciò ha permesso di razionalizzare gli interventi sullecolture, di rispettare l’ambiente e, soprattutto, di salvaguar-dare la salute dei consumatori e degli operatori».

Cura della produzione ma anche commercializzazione. Lasfida dei mercati non è facile.

«Altroché. Possiamo essere bravissimi a produrre e losiamo vista la lunga tradizione agricola. Ma senza una corri-spondente commercializzazione possiamo portare al macerole nostre produzioni; il marketing è oggi una disciplina ca-pace di influenzare i consumatori. Questa consapevolezzaha portato la mia azienda ad essere meglio conosciuta con ilbrand “La Signora Melanzana” e meglio riconosciuta comeun’azienda particolarmente virtuosa a livello ambientale esocioeconomico e per l’attenzione riservata alle persone.

Etica ed economia nell’agricoltura vittorieseQuando anche la logica di mercato ha un’anima

La storia di Nuccia Alboni donna manager

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Quando si parla di un prodotto alimentare, essere donna fa-cilita l’empatia con il pubblico, con i consumatori con le im-prese clienti perché avvicina alle loro esigenze. Io cerco inogni modo di raccontare sia le persone che lavorano all’in-terno dell’azienda, sia i prodotti coltivati, descrivendo tuttala filiera attraverso reports e brochures, incontri didattici conle scuole, eventi culinari e sportivi, pubblicazioni sul blog esui social network».

L’attenzione alle persone sembra quindi il valore aggiuntoed apprezzato dell’azienda, il suo biglietto da visita. Mi paredi capire così?

«Esatto. E non è una strategia commerciale, è un valoreaziendale. L’origine delle motivazioni che mi inducono aspendermi con tanta enfasi, al di là delle mere funzioni am-ministrative, è la mia formazione cristiana, punto cruciale diciò che riesco ad essere, a fare e a dare. Sono cresciuta allascuola dell’Azione Cattolica presso la parrocchia San Gio-vani Bosco di Vittoria. Incarnando quanto ho appreso e vis-suto da ragazza in AC ho con naturalezza elaborato quelloche sono diventata oggi e la cultura aziendale che tento diapplicare alla nostra cooperativa. Ciò si è tradotto in notevolicapacità di ascolto delle esigenze dei consumatori, dei mieiclienti, dei bambini delle scuole, dei nostri dipendenti, deimiei familiari».

Questa forza interiore, queste motivazioni ideali, questaispirazione religiosa della tua professione è forse la cosa più

difficile da fare entrare nell’economia aziendale o nella di-sciplina del marketing. Sei veramente convinta che è lachiave di un successo finora brillante?

«Vorrei dire che io non sono più brava di altri a fare questolavoro. Il mio lavoro potrebbe farlo chiunque e con molta piùprofessionalità. Io ho imparato che la nuova economia, ilnuovo modo di fare impresa in un contesto caratterizzato datanta crisi, che significa tanta sofferenza, è l’attenzione allepersone. Così ho imparato a trasmettere emozioni, sensibi-lità, attenzione, con i miei collaboratori e con tutti gli stake-holder dell’azienda. Non l’ho letto nei libri di marketing, maho letto nella mia coscienza il dovere di anteporre la qualitàdei prodotti alla quantità, la tutela dell’ambiente al guadagnofacile, la persona al profitto. Si certo è l’ispirazione di fede ela formazione umana e cristiana ricevuta a conferire all’atti-vità esercitata quel carattere di “umanità” difficilmente rav-visabile nei manuali aziendali. Però voglio dire due cose:primo, oggi abbiamo numerosi appelli verso un’economiacapace di conciliare obiettivi aziendali e valori umani. Bastapensare al magistero di Papa Francesco e alla grande moledi riflessione che muove dall’insegnamento sociale dellaChiesa. La seconda cosa, anche chi non ha un’ispirazione difede nella propria vita sa, può riconoscere e può essere sog-getto di un’economia intesa quale strumento al serviziodell’uomo e non viceversa».

Silvana Amato

dall’Azione cattolica alla “Signora Melenzana”

in 25ATTUALITÀ

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«Convertitevi! Una volta verrà il giudizio di Dio!». Rie-cheggiano ancora durissime le parole di verità, di pace e

di vita esclamate il 9 maggio 1993 nella Valle dei Templi daGiovanni Paolo II contro la mafia, mentre l’Italia era terro-rizzata dagli attentati attribuiti a cosa nostra che avevano uc-ciso Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e che a breveavrebbero colpito anche la Chiesa e il patrimonio artisticocon le stragi di Via dei Georgofili a Firenze (27 maggio) e diVia Palestro a Milano (27 luglio), le autobombe di San Gio-vanni in Laterano e di San Giorgio in Velabro a Roma (28 lu-glio) e l’assassinio del Beato don Pino Puglisi (15 settembre).

Venticinque anni dopo, lo scorso 9 maggio al tempio dellaConcordia di Agrigento i vescovi siciliani hanno celebratol’anniversario di quel grido di Wojtyla presentando una let-tera significativamente intitolata “Convertitevi!”, esorta-zione che non è solo un monito contro i mafiosi, ma ancheun invito alla Chiesa ed ai fedeli a rinnovarsi nel segno dellacultura e della civiltà cristiana, sulla scia delle parole di Bor-sellino in occasione della veglia per le vittime di Capaci or-ganizzata dall’Agesci il 20 giugno 1992: «Sono morti per noie abbiamo un nostro debito verso di loro (...) dobbiamo pa-garlo gioiosamente continuando la loro opera, rifiutando ditrarre dal sistema mafioso anche i benefici (...) gli aiuti, leraccomandazioni, i posti di lavoro, facendo il nostro dovere.La lotta alla mafia – il primo problema da risolvere nella no-stra terra bellissima e disgraziata – non doveva essere sol-tanto una distaccata opera di repressione, ma un movimentoculturale e morale che coinvolgesse tutti e specialmente legiovani generazioni, le più adatte a sentire subito la bellezzadel fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del com-promesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi

della complicità».Giuseppe Costanza – autista giudiziario di Giovanni Fal-

cone dal 1984 a quel tragico sabato 23 maggio 1992 a Capaciche segnò la sua esistenza perché fu estratto vivo ma grave-mente ferito nel corpo e nell’anima dalla Fiat Croma biancaguidata dal giudice insieme alla moglie Francesca Morvillo– la lotta alla mafia l’ha vissuta sulla propria pelle, ha visto icorpi dilaniati di Rocco Chinnici, di Paolo Borsellino e di chiha versato il proprio sangue con loro e per loro ed oggi è im-pegnato in una missione per convertire il prossimo alla veritàed alla legalità, proprio come auspicato nella lettera dei ve-scovi siciliani e prima ancora da Wojtyla e dallo stesso Bor-sellino; la sua testimonianza è stata raccolta da RiccardoTessarini nel libro biografico edito da Minerva “Stato di ab-bandono – Il racconto di Giuseppe Costanza: uomo di fidu-cia di Giovanni Falcone”, i cui proventi sono devoluti inbeneficenza. Finalista del premio letterario giornalistico“Piersanti Mattarella” 2018, l’opera narra della vita vissutaaccanto a Falcone affrontando la paura a viso aperto e deldramma personale sofferto dopo Capaci da uomo scomodo,dimenticato e costretto a subire l’indifferenza, l’ipocrisia ele umiliazioni della burocrazia, delle istituzioni, dei media edi certa antimafia da palcoscenico. Oggi Costanza ama in-contrare gli studenti per raccontare la sua storia raccolta inquesto libro presentato lo scorso 15 novembre a Modica.

Daniele Pavone

«La mia vita a fianco di Giovanni Falcone»La testimonianza scomoda di un sopravvissuto

Giuseppe Costanza era a Capacisull’auto del giudicee ora racconta in un libro la sua dolorosa esperienza

in 26 ATTUALITÀ

Giuseppe Costanza presenta il suo libro

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Spopolamento, case chiuse da annie ormai fatiscenti, patrimonio im-

mobiliare che perde ogni giorno valore,esercizi commerciali che abbassano lesaracinesche, uffici pubblici che traslo-cano, l’ospedale trasferito a Puntarazzi:il centro storico di Ragusa inizia ilnuovo anno con nuove ferite. Difficiletrovare soluzioni a mali che si sono ac-centuati nel tempo. I problemi che vi-vono un po’ tutti i centri storici – dellegrandi come delle piccole città – a Ra-gusa sembrano ancora più evidenti. Lacittà ormai ha spostato le sue residenzelontano dai campanili di San Giovanni,dell’Ecce Homo, del Santissimo Salva-tore. Chi ha potuto ha preferito lestrade larghe e luminose della periferiae dato una doppia e ultima mandata allecase dei nonni costruite su più piani esenza possibilità di ascensore o di ga-rage.

Un patrimonio immenso, architetto-nicamente non di pregio ma che rap-presenta l’anima della città, langue inabbandono. Difficile anche fare im-presa in questo centro storico dove solopub, paninerie e ristoranti sembranopoter sopravvivere offrendo servizi so-prattutto ai turisti. Ipotesi come la ria-pertura alle auto di via Roma non

sembrano poter invertire la tendenza esi scontrano con la vivacità della paral-lela via Mariannina Coffa dove proprioil divieto allo smog ha consentito di ri-dare luce alle vecchie botteghe.

Ragusa e il suo centro storico paganoscelte urbanistiche che il tempo ha con-fermato essere state sbagliate. Occorreuna nuova stagione di attenzione per ilcentro storico, prima che sia troppotardi.

Uno strumento lo offre la Regioneche ha approvato di recente una norma,proposta dal ragusano Nello Dipa-squale, che sollecita i comuni ad ade-guare i piani particolareggiati dei centristorici (a Ragusa dimenticato da seianni nei cassetti) e dà facoltà – e questaè la novità – ai privati che volessero ef-fettuare interventi di recupero, di pro-porre dei progetti stralcio anche peraccorpare uno o più immobili e proce-dere così alla rigenerazione di segmentidel centro storico. La presentazione delprogetto attiva i procedimenti previstidalla legge. Il progetto sarà quindi esa-minato in tempi certi dagli enti cui spet-tano le decisioni (Soprintendenza,Comune, assessorato regionale). Permigliaia di piccoli proprietari di questiimmobili ormai da anni chiusi, può es-

sere la legge della svolta e per le tanteimprese della filiera delle costruzioniun’occasione importante di lavoro. Cisono naturalmente anche rischi legati auna frammentazione degli interventiche potrebbe anche portare alla crea-zione di un centro storico a macchia dileopardo.

Su questa legge si misurerà comun-que anche Ragusa. La politica, i funzio-nari e i dirigenti del Comune e dellaSoprintendenza, i professionisti, le im-prese del settore, i proprietari degli im-mobili, le realtà economiche ecommerciali dovranno dimostrare disaper fare buon uso di questa legge eprovare a rimettere in movimento ilcentro storico. L’alternativa sarannopresto le transenne che sbarrerannol’accesso a costruzioni non più abitabilie difficilmente recuperabili.

Alessandro Bongiorno

Ragusa e un centro storico da rigenerareLe opportunità di una nuova norma

in 27ATTUALITÀ

C’è un patrimoniodi migliaia di

piccole abitazioniche chiede dipoter essere salvato

dall’abbandono

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Esistono ormai molteplici chiavi dilettura per provare a interpretare

la rivoluzione comunicativa di internete dei social che sta ridefinendo il nostroessere e, probabilmente, la nostra pe-culiarità di specie.

Emanuele Fadda, docente di Semio-tica e Linguistica all’Università dellaCalabria, nel suo gustoso libretto editoda Quodlibet Elements, intitolato“Troppo lontani, troppo vicini” ci in-vita a percorrere il sentiero poco bat-tuto della prossemica, quella disciplinache studia i gesti, le posture, lo spazioe le distanze del corpo all’interno di unacomunicazione.

Il testo, scritto con linguaggio pre-ciso ed accessibile, parte da un cortocircuito di cui forse non siamo perfet-

tamente coscienti: la presenza della so-cialità anche in luoghi non fisici. In altreparole internet 2.0 ha creato uno spa-zio che non è fisico, ma è comune a mi-liardi di persone e in esso ci muoviamoallo stesso tempo lontanissimi gli unidagli altri, ma vicinissimi e esposti gliuni per gli altri.

Nella scansione in cui Fadda ha sud-diviso il libro la prossemica si applica aquesto nuovo modo di stare al mondoda tre prospettive: la prima ridefiniscegli spazi, la seconda esamina i rapportiumani comparandoli a quelli dei primati(“Internet assomiglia sempre meno alvillaggio globale e sempre più al pianetadelle scimmie. Ma noi restiamo pursempre umani”) e la terza si inserisce inuna più ampia teoria della comunica-zione.

Il lettore può seguire il filo del ragio-namento accompagnato per mano da al-cuni numi tutelari: Brancati perspiegare l’istinto gregario e la perditadell’individualità in quella sorta di “mo-bilitazione totale” che ci spinge com-pulsivamente a reagire a ogni notifica;Giovenale per la necessità di creare di-fese alla nostra rispettabilità espostaalla mercé di chiunque su Facebook oTwitter; Leni Riefensthal per l’imposi-zione di un canone di bellezza chenell’Olimpia dei social è fatto di scolla-

ture, tartarughe addominali e bocche aculo di gallina; Desmond Morris (maanche, perché no? Francesco Gabbani)per mostrare la nostra attitudine di“scimmia nuda” ad interagire secondocomportamenti animali in assenza diuna educazione all’apprendimentodelle regole.

La conclusione a cui arriva il ragiona-mento è la necessità di una messa afuoco delle distanze e di una attenua-zione degli avverbi del titolo.

In un accerchiamento costante di nar-cisi, analfabeti funzionali, fanatici, co-dici tribali, sembrerebbe impresadisperata. Per raggiungere la meta si faleva, tuttavia, proprio sulle nostre ri-sorse di esseri umani, sulle nostra capa-cità di essere flessibili e di saperciautogestire.

Come a dire che la prossemica ci in-segna e ci obbliga a uno stile, ancora daapprendere forse, sicuramente da co-struire con pazienza. E si può comin-ciare a farlo leggendo “Troppo lontani,troppo vicini” di Emanuele Fadda.

Vincenzo La Monica

Come abitare il pianeta Internetrendendoci vicini a chi ci è lontano

Un interessante saggio di Emanuele Fadda guida lungo nuove frontieredella comunicazione

in 28 ATTUALITÀ

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in 29ATTUALITÀ

Èuna sfida. Forse la sfida più impor-tante che i ragazzi affrontano en-

trando a scuola. Non sono gli esami o leinterrogazioni, ma il dilemma dell’ac-cettazione e dell’inserimento nelgruppo-classe. Il bisogno di sentirsiparte di una comunità, il desiderio disentirsi accettati per come si è, si scon-trano spesso con dinamiche ostili, rela-zioni non nutrienti. L’ingresso in classenon è sovente accompagnato da una ge-nerosa accettazione degli altri, da unacalda accoglienza. Ha cittadinanza chiha le carte in regola, chi con il suomodo di fare, essere e atteggiarsi, nonrientra nell’alveo degli sfigati. Se nellescuole italiane è ormai emergenza bul-lismo, risulta ingiusto non dare ragionedelle lodevoli eccezioni.

Capita di incontrare classi che pren-dono in carico l’accoglienza del diver-samente abile, sono tanti i casi disolidarietà nei confronti di chi vive undolore, soffre una privazione, affrontaprecocemente delle prove. Non di radosembra che lo spettro del bullismo col-

pisca più gli adulti: genitori iperprotet-tivi e invadenti scorgono atti di prepo-tenza in normali situazioni di conflitto.Purtroppo avviene pure il contrario: chiin classe non è disposto ad accettare lerichieste dei leader o non condivide iprincipi di prepotenza, diventa bersa-glio di una persecuzione violenta e pro-lungata che è all’origine del bullismo.

In una scuola non sempre pronta adare attenzione agli aspetti emotivi e re-lazionali del processo di sviluppo del-l’allievo, il bullismo vive e prospera. Inun clima di disorientamento, la Peereducation può essere considerata unastrategia efficace per promuovere la sa-lute psico-fisica degli adolescenti e perla prevenzione del disagio attraversoforme di educazione diversa da quellatradizionale. Parte dal coinvolgimentodi alcuni allievi, facendoli agire comefacilitatori delle relazioni, più espertidei loro compagni, assumendo il ruolodi “agenti di cambiamento” presso iloro pari, al fine di favorire la socializ-zazione all'interno del gruppo classe.

Non è solo teoria. Li ho visti! Dodicifantastici peer educators , nell’annoscolastico scorso all’istituto Ferraris diRagusa, hanno dato vita a un progettosperimentale. Spinti dalla voglia di aiu-tare i più deboli, di smascherare i pre-potenti, hanno organizzato incontri,inventato nuove modalità di approccio.Si proponevano come confidenti di chida scuola tornava con il peso della disil-lusione, della tristezza,

L’esperienza si è purtroppo chiusacon il finire dell’anno scolastico, ma leenergie diffuse e profuse andranno si-curamente ad alimentare gli sforzi dichi non molla. Perché se è vero come èvero che la crisi dei giovani restituiscela cifra di quella degli adulti, ma èspesso il crollo che porta alla costru-zione. Nuove costruzioni dunque nonrestauro di vecchie facciate, fatta da ar-chitetti e operai che, con empatia e pas-sione, ascoltano il silenzio assordantedella giovane infelicità.

Donatella Ventura

Attraverso gli strumenti della peer-education sono stati gli stessi ragazzi a smascherare i prepotenti

Il bullismo e l’infelicità tra i banchi di scuolaIl progetto sperimentale del Ferraris di Ragusa

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Un’area marina protetta nel tratto di mare antistante la focedel fiume Irminio. Il Libero Consorzio comunale (ex Pro-vincia) ha avviato l’iter per la tutela dei fondali di questotratto della nostra costa. Diversi gli obiettivi legati all’isti-tuzione dell’area protetta: la tutela e la conservazione deifondali (con particolare riguardo alla prateria di alghe di“poseidonia oceanica” e di “cymodocea nodosa”); la cono-scenza degli habitat marini; la tutela dall’erosione costiera;l’attuazione di specifici programmi di promozione dello svi-luppo sostenibili delle principali attività economiche del-l’area (turistiche, culturali, artigianali e della piccola pesca);l’educazione ambientale sugli habitat marini e costieri.

Un’area protettaalla foce dell’Irminio

in 30 ATTUALITÀ IN BREVE

Saverio Continella è il nuovo direttore generale della BancaAgricola Popolare di Ragusa. Lo ha nominato, lo scorso 30novembre, il Consiglio di amministrazione dell’istituto, pre-sieduto da Arturo Schininà. Con la nomina di Saverio Con-tinella alla Direzione generale, la Banca Agricola Popolaredi Ragusa afferma con decisione la volontà di consolidare erafforzare il proprio ruolo di assoluto protagonista per ilmercato regionale di riferimento, nel quale da sempre l’isti-tuto, presieduto oggi da Arturo Schininà, è riconosciutoquale gruppo bancario e finanziario solido e affidabile. «Rin-grazio tutti i membri del CdA che hanno fortemente credutonella mia figura umana e professionale, nominandomi a ri-coprire un ruolo così prestigioso» ha dichiarato il nuovo di-rettore generale. «Il nostro istituto – ha aggiunto Continella– deve continuare a essere un punto di riferimento per il ter-ritorio, per le imprese e per le famiglie che ci vivono e lavo-rano. Il mio impegno sarà volto alla crescita della Banca, deisuoi dipendenti, dei soci e dei clienti». Soddisfazione è stataespressa anche dal presidente Schininà: «Siamo molto felici– ha confermato – di dare il benvenuto al dott. Continella inBapr. “Con oltre 25 anni di esperienza nel mondo bancario,sia siciliano sia nazionale, porta una profonda conoscenzadelle dinamiche del settore, che sarà strategica per prose-guire nei progetti di crescita dell’istituto». Nato a Catania nel 1967, Continella ha maturato la sua espe-rienza professionale fino a oggi nel gruppo bancario CreditoValtellinese, di cui è stato anche vice direttore generale. Inprecedenza era stato direttore generale e amministratoredelegato poi del Credito Siciliano.

Saverio Continelladirettore della Bapr

Angelo Aliquò tornaalla guida della sanitàAngelo Aliquò torna alla direzione generale dell’Azienda sa-nitaria provinciale di Ragusa. Lo ha nominato il governo re-gionale, presieduto da Nello Musumeci. Succede a SalvatoreLucio Ficarra che, in qualità di commissario, ha guidatol’Asp negli ultimi mesi procedendo, tra l’altro, al trasferi-mento dei reparti dell’ex ospedale “Civile” nel nuovo “Gio-vanni Paolo II”. «Sono qui – ha assicurato Aliquòripresentandosi a Ragusa – per garantire servizi sanitari ef-ficienti ed efficaci. È mio precipuo intendimento adottareun approccio dove il paziente dev’essere al centro del si-stema sanitario. I cittadini devono essere interlocutori deimedici e degli operatori nella valutazione dell’appropria-tezza delle cure, ribadisco il concetto di centralità del pa-ziente».

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I frutti avvelenati del decreto “Sicurezza”Si rischia una vera emergenza sociale

in 31CHIESA E SOCIETÀ

Scrivo sulla base della mia breveesperienza personale avviata da

circa un anno alla guida della fonda-zione San Giovanni Battista che gesti-sce già da parecchi anni diversi progettiSprar (Sistema di protezione per richie-denti asilo e rifugiati) e un Caso (Cen-tro di accoglienza straordinaria).

È noto come la finalità più importantedel decreto “Sicurezza” sia stata quelladi ridurre le potenziali pratiche corrut-tive e illegali che ruotavano attorno alfenomeno dell’accoglienza dei mi-granti, privilegiando così, nella convin-zione della maggioranza politica algoverno, l’obiettivo della sicurezza di-venuto prioritario rispetto a quellodell’accoglienza.

La legge 132 abolendo la protezioneper scopi umanitari sta per cancellarel’accoglienza di secondo livello, loSprar, un sistema che ci è invidiato inEuropa e fuori dall’Europa, nel qualepotranno rimanere solo i titolari diasilo, dove vengono resi diversi servizi:dalla mediazione linguistica all’assi-stenza sociale, dall’apprendimentodella lingua italiana all’assistenza le-

gale, dai tirocini formativi all’assistenzasanitaria, e così via, con lo scopo, rag-giunto nella quasi totalità dei casi, di in-tegrare gli immigrati nei territori. Inquesti anni la struttura che dirigo ne haregolarizzati più di 200.

Il nuovo modello d’accoglienza pre-vede solo grandi Centri d’accoglienza,i Cpr (Centro di permanenza per il rim-patrio), che potremmo definire, nellamigliore delle ipotesi, dormitori.

L’opinione di quanti, come il sotto-scritto, hanno operato per costruire unsistema di accoglienza secondo unomodello diffuso e fondato su una colla-borazione tra istituzioni e società civile,è che almeno nel breve periodo cresce-ranno i problemi di ordine pubblico; in-fatti i migranti che non avranno più lapossibilità di essere integrati, avrannopoche scelte: si lasceranno sfruttare dacoloro che offriranno lavoro in nero,oppure saranno costretti a delinquere.

Una considerazione infine, tutt’altroche trascurabile, andrebbe fatta in me-rito agli effetti immediati negativi a li-vello sociale ed economico. L’attualepreoccupazione è che la legge possa

trasformarsi in una vera e propria emer-genza sociale per i connazionali (ope-ratori e dipendenti) che verrannolicenziati, i quali hanno famiglie da so-stenere e mutui da saldare: solo nellastruttura che dirigo 50 persone (ita-liane), con relative famiglie, rischianodi incrementare le file dei disoccupati.

Il problema è indubbiamente com-plesso, come del resto molti altri nellasocietà che viviamo, e non può essereaffrontato con semplificazioni e presedi posizione ideologiche, ma occorreconsapevolezza, competenza ed ancheprofondo senso critico.

A tal fine occorre informarsi, appro-fondire e divulgare dati ed esperienze,affinché venga sempre alimentataun’opinione pubblica vigile e critica.Nell’epoca della comunicazione dimassa, dove ognuno esprime la propriaopinione (ben venga tutto ciò se fattocon garbo, coscienza e stile) è di fonda-mentale importanza scegliere fonti in-formative attendibili, soprattutto sullarete. Leggere, analizzare e maturare unpensiero critico è nelle nostre possibi-lità. Diamoci da fare!

Renato Melipresidente fondazione San Giovanni BattistaSaltano in provincia centinaia di posti di lavoro

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Pubblichiamo il testo integrale del Messaggio della Presi-denza della Conferenza episcopale italiana in vista della

scelta di avvalersi dell’insegnamento della religione cattolicanell’anno scolastico 2019-2020.

Cari studenti e cari genitori,si avvicina la scadenza per leiscrizioni al prossimo anno scolastico 2019-20, occasionenella quale sarete chiamati anche a scegliere se avvalervi omeno dell’insegnamento della religione cattolica (Irc).Fruttodella revisione del Concordato del 1984, questo insegna-mento si è ormai consolidato come apprezzata componentedel curricolo scolastico ed è scelto da una maggioranza an-cora cospicua di studenti e famiglie, che vi trovano rispostasoprattutto in termini di formazione personale, di propostaeducativa e di approfondimento culturale.

Nel cercare di rispondere sempre meglio a tali aspettative,gli insegnanti di religione cattolica potranno trovare ulteriorie importanti sollecitazioni dal Sinodo dei Vescovi che si èconcluso nelle scorse settimane e che è stato dedicato pro-prio ai giovani, cui la Chiesa intende rivolgere un’attenzionesempre maggiore.

Tra le numerose tematiche discusse, ci sembra importanteevidenziare il richiamo legato alla domanda di ascolto cheviene dal mondo giovanile. Scrivono infatti i Vescovi: “I gio-vani sono chiamati a compiere continuamente scelte cheorientano la loro esistenza; esprimono il desiderio di essereascoltati, riconosciuti, accompagnati. Molti sperimentanocome la loro voce non sia ritenuta interessante e utile in am-bito sociale ed ecclesiale. In vari contesti si registra unascarsa attenzione al loro grido, in particolare a quello dei più

poveri e sfruttati, e anche la mancanza di adulti disponibili ecapaci di ascoltare” (Documento finale, 27 ottobre 2018, 7).

Tale richiamo può e deve interessare tutto il mondo dellascuola, ma al suo interno l’Irc intende essere proprio un’oc-casione di ascolto delle domande più profonde e autentichedegli alunni, da quelle più ingenuamente radicali dei piccolia quelle talora più impertinenti degli adolescenti. Le indica-zioni didattiche in vigore per l’Irc danno ampio spazio a que-ste domande; a loro volta, gli insegnanti di religione cattolicasono preparati all’ascolto, presupposto per sviluppare unconfronto serio e culturalmente fondato.

Il Sinodo ha anche constatato che, «se per molti giovaniDio, la religione e la Chiesa appaiono parole vuote, essi sonosensibili alla figura di Gesù, quando viene presentata inmodo attraente ed efficace. In tanti modi anche i giovani dioggi ci dicono: “Vogliamo vedere Gesù” (Gv 12,21), manife-stando così quella sana inquietudine che caratterizza il cuoredi ogni essere umano: l’inquietudine della ricerca spirituale,l’inquietudine dell’incontro con Dio, l’inquietudine del-l’amore» (50).

L’Irc è il luogo più specifico in cui, nel rigoroso rispettodelle finalità della scuola, si può affrontare un discorso suGesù. Come insegna papa Francesco, non si tratta di fareproselitismo, ma di offrire un’occasione di confronto per la-sciare che ognuno possa, nell’intimo della propria coscienza,trovare risposte convincenti.

Ci auguriamo che anche quest’anno siano numerosi glialunni che continueranno a fruire di tale offerta educativa,finalizzata ad accompagnare e sostenere la loro piena forma-zione umana e culturale.

Insegnamento della religione cattolicaIn ascolto delle domande più profonde

in 32 CHIESA E SOCIETÀ

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Iniziamo l’anno con una consapevo-lezza che riguarda i giovani, ma non

solo. Continua a farsi sempre più mar-cata la dicotomia tra realtà e mondo vir-tuale e la realtà, “terra deso-lata” einascoltata, diventa rabbiosa e violenta.Talmente rabbiosa che in alcuni mo-menti ci esplode addosso provocandociturbamento, senza però riuscire a farsicapire davvero.

Si parla di “atomizzazione” della so-cietà. Oggi, grazie all’ausilio delle tec-nologie, siamo in grado di costruire unsistema di particelle che gravitano at-torno a noi e ai nostri bisogni/interessipiù urgenti. Gli algoritmi rispondonoalle nostre domande, ancor prima chesi abbia il tempo di esplicitarle. Cifanno incontrare chi è come noi e con-fermano continuamente noi stessi, inun infinito e chiuso si-stema di specchi.Qualcuno per il web ha usato la meta-fora della “vasca da bagno”, una sortadi zo-na di comfort che si “aggrega” inun brevissimo spazio di tempo attornoall’utente e lo immerge in un tepore di

cose uguali a lui. Ma l’effetto “vasca da bagno”, alla

lunga, conduce all’isolamento e allospaesamento. Sarebbe im-portantestaccare invece i polpastrelli dal tou-chscreen e poggiarli sulla ruvida realtà,per intervenire in essa e non solo visua-lizzarla. Uscendo dalla “vasca” incon-treremmo l’altro da noi, l’altro uguale el’altro diverso.

La sfida educativa è contrapporre aquesto pericoloso processo di atomiz-zazione un percorso alter-nativo, cono-scitivo e inclusivo. Ad esempio, per igiovani le attività di volontariato conti-nuano a es-sere un bel banco di provadi contatto concreto con la realtà.L’esperienza del volontariato ha una di-mensione “trasformativa”, di cambia-mento rigenerativo del contesto. Leassociazioni di volonta-riato, inoltre,sono luoghi d’incontro fra le genera-zioni. Opportunità preziosa inun’epoca in cui si marca sempre più ladistanza tra padri e figli.

Più che un fine, il volontariato è un

mezzo di esplorazione e conoscenzadella realtà. Offre la di-mensione delgruppo, che finisce per contare più delsingolo individuo. Il gruppo sostiene ealimenta la fiducia, qualcosa di cui si haenorme bisogno in questo momentostorico. E soprattutto è una risposta di-namica, empirica, cercata e costruttivaa una domanda della realtà.

Il volontariato offre ai giovani la com-petenza del “donarsi”. «Donare èun’arte che è sempre stata difficile: l’es-sere umano – scrive Enzo Bianchi,priore della Comunità di Bose – ne ècapace perché è capace di rapporto conl’altro. Ma il dono all’altro è possibilesolo quando si decide la prossimità, ilfarsi vicino all’altro, il coinvolgersi nellasua vita, il voler assumere una relazionecon l’altro. Allora, ciò che era quasi im-possibile e comunque difficile, faticoso,diviene quasi naturale perché c’è in noi,nelle nostre profondità la capacità delbene: questa è risvegliata, se non gene-rata, proprio dalla prossimità, quandocessa l’astrazione, la distanza, e nascela relazione».

Silvia Rossetti (Sir)

Meno social network e più volontariatoGli adolescenti tra relazioni virtuali e vere

in 33CHIESA E SOCIETÀ

Donarsi agli altriè anche

uno strumentodi esplorazione e conoscenza della realtà

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L’assenza di fiducia nella politicauno dei punti deboli del nostro Paese

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La politica e le istituzioni pubbliche sono un bene fragilenel nostro Paese. Quelle che fatichiamo a coltivare e che

consideriamo meno importanti. Però sono un elemento es-senziale, perché attraverso di loro si rende possibile un go-verno della città. Disinteressarsene diventa pericoloso: sirischia di procedere per inerzia trasportati da correnti chenon controlliamo, oppure si rischia di lasciarsi guidare daaltri che potrebbero condurre la barca senza ascoltare le esi-genze di tutti, soprattutto dei più deboli.

La politica e le istituzioni sono la dimensione più deboletra le 12 che disegnano il quadro della qualità della vita in Ita-lia. Lo ha evidenziato il nuovo Rapporto sul Benessere equoe sostenibile. Tutte le altre dalla salute, all’istruzione, dal la-voro alle relazioni sociali, dall’ambiente al patrimonio cultu-rale raggiungono valutazioni superiori a 8 punti su 10 per icittadini italiani. L’unica dimensione che raggiunge appenai 7,4 punti è la politica. Quello che manca evidenzia il Rap-porto è la fiducia: nel Parlamento, nel sistema giudiziario,nei partiti, negli altri. Questa assenza diventa il punto deboledel nostro Paese.

Invece c’è una responsabilità personale che ognuno di noiha nello stimolare la vita politica. Lo aveva ben chiaro il sin-daco di Firenze Giorgio La Pira il quale, nel 1954 in occa-sione della consegna delle case costruite in un quartiere diFirenze, si rivolse ai cittadini a cui venivano assegnate chie-dendo nel suo discorso, pronunciato per l’occasione, cura

per i luoghi: «Custoditene le piazze, i giardini, le strade, lescuole; curatene con amore, sempre infiorandoli e illumi-nandoli, i tabernacoli della Madonna, che saranno in essa cu-stoditi; fate che il volto di questa vostra città sia sempresereno e pulito».

La qualità della politica, è inutile nasconderselo si originadai cittadini, da ogni cittadino dalla capacità di preservare glispazi comuni, di promuovere azioni che migliorino le con-dizioni di una zona dalla pulizia di un parco alla raccolta dif-ferenziata, dalla cura per i beni, come gli edifici scolastici oi monumenti storici, alla denuncia per le strade dissestate,dall’attenzione al vicino di casa al rispetto delle norme fiscali.Sono tanti piccoli gesti che costruiscono nella quotidianitàfiducia. Come ha espresso Papa Francesco nel suo Messag-gio per la giornata della Pace 2019: «Ognuno può apportarela propria pietra alla costruzione della casa comune. La vitapolitica autentica, che si fonda sul diritto e su un dialogo lealetra i soggetti, si rinnova con la convinzione che ogni donna,ogni uomo e ogni generazione racchiudono in sé una pro-messa che può sprigionare nuove energie relazionali, intel-lettuali, culturali e spirituali. Una tale fiducia non è mai facileda vivere perché le relazioni umane sono complesse. In par-ticolare, viviamo in questi tempi in un clima di sfiducia chesi radica nella paura dell’altro o dell’estraneo».

Andrea Casavecchia (Sir)

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«La pace è una conversione

del cuore e dell’anima»

Papa Francesco


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