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Giornalino Novembre 2012

Date post: 08-Mar-2016
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Giornalino Scolastico Novembre 2012
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Bambini nel cuore Bambini nel cuore Bambini nel cuore n° 7 Novembre 2012 Racconto di un’esperienza unica Rigers, un bimbo di appena quattro mesi ospite dell’orfanotrofio di Durazzo, è quello che ho avuto la gioia di poter cullare, anche se solo per poco. Tenere in braccio Rigers per me è stata una gioia immensa che mi ha anche riempito il cuore di rabbia e tristez- za pensando al fatto che ci sia chi è capace di abbandonare un “esserino” tanto piccolo e innocente. Certo c’è da dire anche che la realtà economica albanese è quella di un pae- se che sta rinascendo da un regime dittatoriale e quindi ci sono molte situazioni di estrema povertà. Tornando a Rigers, penso che di lui porterò sempre con me quei mo- menti di “paternità” che mi ha fatto vivere e quel suo sorrisino ingenuo e innocente. Andrea Lusuardi (4°F Chi.) pag. 3 SOLIDARIETA’ SOLIDARIETA’ SOLIDARIETA’ Un sorriso per la vita Un sorriso per la vita Un sorriso per la vita QUESTO MESE: Albania: racconti di viaggio pag. 3-4-5-6 Personaggio del mese pag. 7 “Siete partiti ragazzi, siete tornarti uomini” pag. 8-9 Accoglienza e integrazione pag. 10-11 Racconti di viaggio: Ungheria pag. 12-13 Non è mai troppo tardi per imparare pag. 14 Patriarchi del “San Benedetto” pag. 15 Donazione un atto d’amore pag. 16 Fotografia dell’impercettibile pag. 17 Piccoli chimici crescono pag. 18 Visita a “”Latina Oggi” pag. 19 Sede di Itri: ruolo delle cooperative agricole nella crescita economica mondiale pag. 20-21 Sportivamente pag. 22-23 Facce da copertina pag. 24-25 I’m rapper pag. 26 Scelta per voi da “Il Perchépag. 27 Scotti e bruciati pag. 28 Il Paese delle Aquile Diario di viaggio Ore 23.00 del 31 ottobre 2012 Siamo sulla nave che ci porterà in Albania. Usciamo sul ponte per assistere alla partenza. Un grande traffico di camion, auto e fur- goni. Una leggera brezza e mare piatto. A Bari abbiamo saluta- to Suor Agnese e le sue consorelle. Abbiamo gustato la tipica fo- caccia barese. Visitato la Cattedrale di Santa Maria Assunta, detta di S. Sabino e la meravi- gliosa Basilica di pag. 4
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Bambini nel cuoreBambini nel cuoreBambini nel cuore

n° 7 Novembre 2012

Racconto di un’esperienza unica

Rigers, un bimbo di appena quattro mesi ospite dell’orfanotrofio di Durazzo, è quello

che ho avuto la gioia di poter cullare, anche se solo per poco. Tenere in braccio Rigers

per me è stata una gioia immensa che mi ha anche riempito il cuore di rabbia e tristez-

za pensando al fatto che ci sia chi è capace di abbandonare un “esserino” tanto piccolo e

innocente. Certo c’è da dire anche che la realtà economica albanese è quella di un pae-

se che sta rinascendo da un regime dittatoriale e quindi ci sono molte situazioni di

estrema povertà. Tornando a Rigers, penso che di lui porterò sempre con me quei mo-

menti di “paternità” che mi ha fatto vivere e quel suo sorrisino ingenuo e innocente.

Andrea Lusuardi (4°F Chi.)

pag. 3

SOLIDARIETA’SOLIDARIETA’SOLIDARIETA’ Un sorriso per la vitaUn sorriso per la vitaUn sorriso per la vita

QUESTO MESE: Albania: racconti di viaggio pag. 3-4-5-6 Personaggio del mese pag. 7 “Siete partiti ragazzi, siete tornarti uomini” pag. 8-9 Accoglienza e integrazione pag. 10-11 Racconti di viaggio: Ungheria pag. 12-13 Non è mai troppo tardi per imparare pag. 14 Patriarchi del “San Benedetto” pag. 15 Donazione un atto d’amore pag. 16 Fotografia dell’impercettibile pag. 17 Piccoli chimici crescono pag. 18 Visita a “”Latina Oggi” pag. 19 Sede di Itri: ruolo delle cooperative agricole nella crescita economica mondiale pag. 20-21 Sportivamente pag. 22-23 Facce da copertina pag. 24-25 I’m rapper pag. 26 Scelta per voi da “Il Perché” pag. 27 Scotti e bruciati pag. 28

Il Paese delle Aquile Diario di viaggio

Ore 23.00 del 31 ottobre 2012 Siamo sulla nave che ci porterà in Albania. Usciamo sul ponte per assistere alla partenza. Un grande traffico di camion, auto e fur-goni. Una leggera brezza e mare piatto. A Bari abbiamo saluta-to Suor Agnese e le sue consorelle. Abbiamo gustato la tipica fo-caccia barese. Visitato la Cattedrale di Santa Maria Assunta, detta di S. Sabino e la meravi-gliosa Basilica di

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Numero 7

Redazione: Daniela Fiorentini (direttore) Silvia Sessa (caporedattore)

Bazzucchi Sara, Bochicchio Alessandra, Caberlon Giorgia, Caldato Luca, Calisi Luca,

Capasso Fabiana, Cappelletto Petra, Carnali Marika, Corinto Gianmarco, D’Ambrosio Luca, Della Corte Fabio,

Di Bella Marika, Di Fazio Luca, Di Razza Mirko, Franceschetti Chiara,

Guido Giulia, Ianni Noemi, Liguori Sharon, Lusuardi Andrea,

Mirio Raffaella, Re Marika, Romani Elisa, Torrao Arianna, Visalli Davide

(redattori) Responsabili del Progetto: Prof.ssa Cristiana Angiello

Prof. Claudio Cappelletto (grafica) Collaboratori:

Proff.ri Irene Giovannoli, (inglese) Stefano Trichei

Assistenza tecnica: Mauro Coppotelli

Siamo su internet!

www.ipasanbenedetto.eu

I.I.S. “San Benedetto”

Via Mario Siciliano, 4 04010 B.go Piave - Latina

tel. 077369881-fax 0773662890 E-Mail: [email protected]

Si comunica che il presente numero de Il

Perché è il frutto dell’intenso lavoro svolto

nei mesi di ottobre e novembre. In linea con quanto deciso dal Collegio Docenti in data 05-12-2012, si comunica altresì che la

Prof.ssa Angiello Cristiana e il Prof.re Cappelletto Claudio, responsabili del pro-

getto “Giornale d’Istituto, Il Perchè”, si ri-tengono autosospesi dal suddetto progetto. Da questo momento in poi, fino a data da destinarsi, Il giornale “Il Perché”, andrà

ugualmente avanti in forma autogestita dai ragazzi componenti della redazione, suppor-

tati dall’esterno dai docenti Angiello e Cap-pelletto che presteranno la propria consulen-

za e assistenza in forma del tutto gratuita.

Prof.ssa Cristiana Angiello

Prof.re Claudio Cappelletto

San Nicola. Ma ora è tardi e sia-mo tutti un po’ stanchi. Decidiamo di andare a dormire nelle nostre cabine. Solo Andrea riamane a osservare l’imbarco, certo che presto si partirà. Il viaggio sarà breve, giusto il tempo di un sonnellino e saremo arrivati. Il prof. Cappelletto si culla nella sua cuccetta dove Morfeo lo accoglie amorevolmente tra le sue braccia. Anche noi ragazzi e la prof.ssa Angiello riusciamo a prendere sonno. Solo il prof. Trichei resta vigile, presago forse di qualcosa… Ore 7.00 del 1 novembre 2012 Che nottata tranquilla! Mare piatto e nessun rollio. Anche il prof. Cappelletto, fresco di doccia - si è alzato presto, ver-so le 6.00 - è pronto per lo sbarco. Bussano. Il prof. Cap-pelletto apre la porta -“Stefano tutto bene? Che ma-gnifica traversata, non mi sono

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accorto di nulla!” - Il prof. Tri-chei - “Claudio! Siamo a Bari! La nostra nave non si è mai mossa da qui! Mare forza 9, hanno bloccato tutte le parten-ze!”. E da qui è iniziato il nostro lungo lungo viaggio. Ore 8.00 del 1 novembre 2012

Il miglior amico della povera Silvia è diventato un cestino, che spesso la dolce fanciulla usa con eleganza. Sara invece resi-ste e …mangia! Ma anche lei dovrà cedere alla violenza del mare…solo per un breve mo-mento. Prima frase pronuncia-ta da Sara, una volta ripresa dal malessere: “Ho fame!”. An-che Doriana è una maschera di sofferenza ma è l’unica che rie-sce a vincere la forza del mare, anzi lo sfida, restando in cabina a dormire. Quella cabina, l’ulti-ma a prua della nave ma la

prima in balia della violenza delle onde… Di Andrea invece non abbiamo notizie certe. Il suo volto è di marmo. Spesso si allontana senza dir nulla, per poi riapparire provato sì, ma “stoico” nella sopportazione. E così, dopo circa 16 ore di “mare”, in un viaggio tra l’illu-sorio e il reale, sballottati da onde impressionanti e stremati dal mal di pancia, finalmente avvistiamo terra! Ecco come si deve essere senti-to Cristoforo Colombo!!! Ore 16.00 del 1 novembre 2012 Davanti ai nostri occhi il porto di Durazzo: edifici moderni, case dai colori pastello, alberghi di recente costruzione affacciati sul mare, volto di un popolo

che con fatica e dignità sta cercando ancora il suo riscatto. Superati innumerevoli controlli e dopo aver più volte dichiara-to la nostra destinazione, ci

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dirigiamo verso l’Istituto delle Suo-re Adoratrici del Sangue di Cristo. All’uscita del porto ci accoglie Suor Anna, sarà lei a condurci a “casa”. Rallentiamo solo un attimo ed ecco due piccole manine aggrapparsi alla portiera del nostro pulmino. Non capiamo subito ciò che sta accadendo. Il prof. Trichei e Suor Anna sanno come gestire la situa-zione… E’ uno dei tanti bambini poveri in attesa di turisti ai quali chiedere qualcosa. Questo è stato il primo “vero” im-patto con l’Albania. Ora i nostri occhi sono già cambia-ti, ci guardiamo intorno e comin-ciamo a notare piccole stranezze, note stonate tra apparente armo-nia: fili elettrici che come stelle filanti tagliano il cielo in tanti

spicchi, tombini scoperchiati, case diroccate, ombre del vecchio regi-me, gelidi bunker a memoria della paura di un popolo oppresso che sta ancora lottando per rinascere. Ore 17.30 del 1 novembre 2012 Siamo arrivati presso l’Istituto, dove ci accolgono Suor Suela e Suor Natalina. Da questo momento in poi abbiamo vissuto la nostra “personale” esperienza nel Paese

delle Aquile e ognuno di noi la rac-conterà a proprio modo, dando voce e anima alle tante emozioni e sensazioni vissute…

Le impressioni di Silvia

Penso sia stata una delle esperienze più emozionanti e significative del-la mia vita. Vivere in una realtà totalmente diversa dalla mia, an-che se per poco tempo, mi ha fatto aprire gli occhi e scoprire cose che, per quanto uno creda di conoscere, viverle in prima persona fa tutto un altro effetto. Ho conosciuto bambini, senza sape-re la loro storia, magari orfani o abbandonati, sempre pronti a gio-care e a strapparti un sorriso. Per-ché, nonostante tutto, sorridono sempre e fanno di questo la loro arma più grande di fronte alla qua-le puoi solo arrender-ti. Non si abbattono e non si piegano a ciò che la vita non ha dato loro e anche se solamente bambini, sono le persone più forti che io abbia mai visto. Conoscere chi, senza avere un secon-do fine nel farlo, aiu-ta ragazzi e bambini con seri problemi fisi-ci e mentali, è stata per me un’esperienza davvero significativa. Le ho ammirate pro-fondamente, perché io sinceramente, su-bito dopo aver visto

la realtà che mi si presentava in quell’istituto per disabili, avrei voluto scappare. Ci siamo sentiti chiedere da ragazze della nostra stessa età come loro venissero viste da noi italiani e non sapevamo come rispondere perché, anche se non lo vogliamo ammettere, siamo pieni di pregiudizi. E poi vedere in che condizioni vive quella gente nei villaggi e vergognarsi per tutte le volte che ci si lamenta per ogni piccola cosa che non si ha. Scopri-re con quanto amore la gente fa di tutto per portare da mangiare a casa e per mandare avanti decoro-samente la propria famiglia e ca-pire che è quella la vera forza, quella che nasce dalla voglia di rinascere con dignità… beh tutto questo non ha prezzo. Credo davvero di dover ringraziare chi mi ha dato l’opportunità di fare questa esperienza. Non rim-piango niente e sono veramente contenta di averla vissuta perché, anche se in minima parte, so di aver fatto anch’io qualcosa per quelle persone e per quei bambini, anche solo scrivendo quest’articolo. Silvia Sessa (3°B P.I.)

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Semplicità, intelligen-za, voglia di conoscere l’altro: ecco le ragazze dell’Albania

Sono entrate nella stanza e, con ordine, hanno preso posto a tavo-la. La prima cosa che ho notato di loro è stata la semplicità: non erano truccate, non vestivano in modo appariscente e la maggior parte aveva i capelli legati. Par-lavano in albanese e ci osserva-vano con rispetto e interesse. Fi-nito di mangiare, hanno portato me e Sara in una delle loro ca-mere per vestirci con i costumi tradizionali: erano bianchi, con una casacca ricamata e un fou-lard colorato da sventolare. Men-tre mi vestivano, mi hanno preso la mano destra guardando con curiosità il mio anello. All’inizio pensavo semplicemente che lo trovassero bello, ma in seguito ho capito il reale motivo di tanta attenzione. L’anello in Albania non viene usato come semplice accessorio ma serve unicamente a simboleggiare lo stato civile e sentimentale di chi lo porta: ma-no sinistra, fidanzamento, mano destra, matrimonio. Anche loro si sono vestite con gli abiti tradizionali e ci hanno con-dotto in una grande stanza dove ci aspettavano i professori. Suor Natalina ha fatto partire la mu-sica e le ragazze hanno iniziato a ballare. Prendendoci per mano, ci hanno insegnato i passi delle loro danze e, disposte in cerchio,

abbiamo ballato tutti insieme. Noi eravamo abbastanza impacciate e spesso ci siamo dovuti fermare per riprendere fiato, mentre le ragazze non sembravano affatto stanche: saltellavano, volteggiavano e muo-vevano i piedi con energia e ritmo, trascinandoci in un clima allegro e festoso. Mi sono trovata a riflettere sulla facilità con cui riuscivano a divertirsi, anche con piccole cose, a differenza nostra che abbiamo “tutto” ma spesso facciamo fatica ad apprezzarlo. La serata è prose-guita con due nostre presentazioni: una riguardante la Regione Lazio e le nostre zone in particolare, l’altra la scuola che frequentiamo. Le ra-gazze sono rimaste molto colpite e affascinate dalle strutture scolasti-che e dai paesaggi della nostra Pia-nura Pontina. Poi ci siamo scam-biate domande e curiosità: loro era-no desiderose di sapere in partico-lare come venissero visti gli albane-si in Italia. Sono rimasta molto colpita dalla sensibilità e dall’in-telligenza con cui hanno posto le domande. Inoltre ha suscitato in me stupore e meraviglia la loro quotidianità: i sacrifici che fanno ogni giorno per aiutare la famiglia (anche lavorando tutta l’estate per vendere, sotto il sole cocente, gli articoli da spiaggia), la voglia di imparare e l’impegno che mettono nello studio, il coraggio di non ar-rendersi davanti alle difficoltà, l’importanza dei sentimenti, l’one-stà e la speranza per un futuro mi-gliore. L’amore, soprattutto, è un valore davvero profondo per queste ragazze: non si passa da una rela-zione all’altra ma si AMA una sola e unica persona con cui ci si lega per sempre. Il dare importanza alle cose, grandi o piccole che siano, è una virtù che denota una grande profondità d’animo. Un po’ di questa loro ricchezza l’hanno trasmessa anche a me e agli altri miei compagni di viaggio.

L’esperienza in Albania, senz’altro positiva, rimarrà custodita per sempre nei nostri cuori.

Doriana Costanzo (3°B P.I.)

Piccoli guerrieri capaci di essere bambini

Una casa semplice e modesta. Un corridoio un po’ angusto e buio, reso però luminoso dalle foto dei piccoli ospiti lì presenti. Ed ecco una testolina fare capolino dalle scale, e poi un’altra e un’altra an-cora. Subito dopo più nulla. Voci infantili provengono dal piano su-periore. Risa, gridolini d’eccitazio-ne per una novità che sta per ac-cadere. E poi finalmente li vedia-mo. Scendono le scale come tanti pulcini…alcuni dal passo più sicu-ro, altri ancora incerti nella loro camminata che ha però tanta vo-glia di conquistare il mondo. Sia-mo in uno dei due orfanotrofi che abbiamo avuto modo di visitare durante la nostra permanenza in Albania. Questi piccoli guerrieri sorprendono per la forza che dimo-strano, per la vivacità dei loro ge-sti, per la serenità con la quale si lasciano avvicinare e coccolare da estranei, per la capacità che han-no di essere bambini, nonostante tutto. Andiamo al piano superiore, lì ci sono i più piccoli. Quattro let-tini con i loro ospiti e una nuvolet-ta di carta colorata che contraddi-stingue ognuno di loro, riportan-done il nome e la data di nascita. Entrando in quella stanza, sento una stretta allo stomaco, un senso di profonda ingiustizia… C’è Gil-

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da, disabile, sdraiata nel suo letti-no. Le accarezzo la mano, lei me la stringe con forza e mi regala il suo sorriso. C’è un bimbo di soli quat-tro mesi, avvolto nella sua coperta e il nostro Andrea che subito se ne “innamora”. Lo prende con infinita tenerezza, sembra quasi volerlo proteggere dalla crudeltà di chi lo ha lasciato lì. E Santhiago, legato alle sbarre del lettino per paura che possa scavalcare. I bambini sono tanti e il personale forse non sufficiente a garantire un’adeguata sicurezza per tutti. Slego Santhia-go, mi guarda, senza emettere un solo suono. Quei suoi grandi occhi scuri mi osservano e mi parlano… Nessuno di quei bambini fa capric-ci o inutili lagne. Sono bambini abituati a bere gocce di affetto e di attenzione che sfortunatamente si asciugano troppo velocemente. Bambini costretti a essere adulti, a vivere con distacco gli affetti, a di-vidersi tra di loro, con infinita e buffa tenerezza, biberon di latte, piatti di pappette e pupazzi di pe-luche. Bambini che a soli due anni sono in grado di rifarsi il lettino e che mostrano, con fierezza, di esser capaci di ripiegare una coperta. Piccoli uomini e Piccole donne… Lasciando lì Erga, Adele, Laura, Marius, Ana… nonostante l’ama-rezza e la voglia di potarli tutti via con me, mi sono sentita in qualche modo sollevata. Alcuni di quei bambini andranno in adozione, altri saranno ripresi dalle loro mamme, altri ancora più probabil-mente resteranno lì… Ma ci sono persone pronte ad aiutare, a offrire loro amore e attenzione senza rice-vere nulla in cambio, se non il loro affetto e il loro sorriso. L’esperien-za in Albania spalanca certamente un baratro di emozioni dentro di noi, emozioni talora dolorose e qua-si difficili da sopportare. Ma la co-sa più importante è fare di quelle emozioni una forza utile al prossi-mo, da trasformare in azione con-

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creta nella nostra quotidianità, spesso banalizzata. Ringrazio dav-vero il Prof. Stefano Trichei per questa bellissima esperienza che mi ha dato modo di vivere e che porterò per sempre con me.

Prof.ssa Cristiana Angiello

Emozioni… emozioni… emozioni

Emozioni… emozioni… emozioni, questo è il mio ricordo dell’espe-rienza vissuta in terra di Albania, ho viaggiato molto nella mia vita principalmente per conoscere nuo-vi luoghi e nuove culture, questa volta è stato diverso perché sono entrato in contatto con situazioni di disagio, visitando orfanotrofi e un istituto per disabili psichici, vedere il sorriso luminoso dei bambini con lampi effimeri di tri-stezza negli occhi, mitigati dall’improvvisa irruzione nella loro vita di noi ospiti stranieri, portatori di piccoli doni, quaderni, colori, matite. T r a s c o r r e r e con loro qual-che ora è come immergersi in un mare di s e n s a z i o n i , essere circon-dati dai ragaz-zi, alcuni qua-si adulti, dell ’ istituto, ognuno con la richiesta di un

contatto fisico o la voglia di mo-strare quello che sanno fare, come il passare un testimone (la palla) per fare un giro della stanza strin-gendoti la mano, o mettersi volen-tieri in posa per una foto di grup-po, strillare le loro emozioni per-ché quello è il loro modo di comu-nicare. Oppure mettersi vicino alla loro bandiera nazionale e farci capire con gesti che quest’anno ricorre il centenario dell’indipendenza dell’Albania, poi al momento di andare via, tutti alla finestra per salutarci finché non usciamo dal cancello, queste sono emozioni! Un doveroso pensiero va a tutto il personale che si occupa con dedi-zione della custodia e della cura dei bambini e dei ragazzi, alle suore che instancabilmente, sem-pre, davvero sempre, con il sorriso aiutano i meno fortunati. “Grazie Stefano”.

Prof. Claudio Cappelletto

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Nome, Cognome: Suor Anna

Professione: Suora Stato civile: Consacrata al “Signore” Soprannome: Motra

Il nostro Personaggio del mese sarà suor Anna, che da circa 20 anni – era il 29 marzo 1991 – opera come missionaria a Durazzo, in Albania. Attualmente suor Anna, insieme a suor Suela e suor Natalina, oltre alle tante attività, si prende cura degli ospiti di due orfanotrofi e di un istituto per portatori di handicap

che hanno sede a Durazzo. Le abbiamo rivolto tante domande per cercare di capire in che modo sia avvenu-to il suo incontro con il popolo albanese e sia quindi maturata la scelta di mettersi al servizio di questo po-polo. “Ho incontrato per la prima volta la popolazione alba-nese nel marzo del 1991. Il porto di Bari brulicava di anime senza pace: donne in gravidanza, anziani butta-ti sul molo, bambini che piangevano… Erano i primi sbarchi di profughi dall’Albania, ricordo il fetore di quel luogo e a volte mi sembra di sentirlo ancora. Già allora avevo in animo di vivere un’esperienza missio-naria e quella fu l’occasione per poterlo fare”. Ci fa tenerezza suor Anna, una piccola donna di Bari con un cuore grande e tanta voglia di raccontare a noi giovani il dramma di un popolo spesso dimenticato e vittima di pregiudizi. “Quando fui convocata dalla Madre Provinciale e mi venne chiesta la disponibilità di andare per qualche mese in Albania, io accettai senza pensarci. Doveva essere solo per pochi mesi, sono passati 20 anni e mi trovo ancora qui.” Dalle parole di suor Anna capiamo che la sua non deve essere stata una missione semplice per tanti motivi - “Non conoscevo la lingua né il popolo albanese. Inoltre l’Albania, per circa 50 anni dominata da una dittatura comunista, era diventata un paese ateo. Ancora adesso la religione musulmana è quella prevalente, per 500 anni di dominazione turca. Nonostante questo, le fami-

glie albanesi ci hanno accolto, hanno imparato a fidarsi di noi e ci hanno amato da subito”. Una rappresentanza della redazione de Il Perché si è recata a Durazzo e ha potuto vedere con i propri occhi le tracce di un passato ancora troppo vicino e doloroso per essere state già cancellate. Ma dalle parole di suor Anna comprendiamo che l’Albania, vista dai suoi occhi 20 anni fa, deve essere stata qualcosa di davvero sconvolgente. “I palazzi erano distrutti, le strade non esistevano, le fogne erano rot-te e ovunque vi era acqua e fetore. Si facevano lun-ghe file per il pane e viaggi disagiati su strade inesi-stenti per raggiungere i villaggi più poveri”. Abbiamo chiesto a suor Anna di raccontarci il mo-mento che più di altri porta nel cuore – “Tutta la mia esperienza in Albania è qualcosa che custodisco nel mio cuore. Prima del ’91 conducevo la vita del monastero, ero a Bari; quella monastica è una di-mensione di fede importante ma non pienamente completa se non ci si dona agli altri. Darsi al prossi-mo è qualcosa che sconvolge e capovolge ma che so-prattutto arricchisce lo spirito”. Vogliamo ringraziare suor Anna e le sue consorelle per tutto quello che fanno ogni giorno con coraggio e con fede. Grazie, suor Anna e tutta la comunità per tutte le coccole che ci avete riservato nella vostra casa alba-nese che avete fatto sentire anche un po’ la nostra. ILILIL PERCHE’

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Personaggio del mesePersonaggio del mesePersonaggio del mese

Nel numero di questo mese dedi-cato alla solidarietà, Il Perché ha deciso di dare voce a due nostri studenti meritevoli di aver dedica-to un momento significativo della loro esistenza al volontariato e all’altro: Stefano Romani e Do-menico Grossi.

Nome: Stefano Romani Data di nascita: 16 Marzo 1994 Età: 18 anni Classe: 5° C Agrario Il Perché: Per quale ragione hai deciso di affrontare questa esperienza di solidarietà? Stefano: Frequento da anni il gruppo Scout di Campoverde. Ogni anno organizziamo un viag-gio estivo (Route), a conclusione del percorso insieme. Essendo ora-mai grandi, quest’anno abbiamo deciso di vivere un’esperienza di volontariato. Il nostro capo Scout, tramite conoscenze nazionali e internazionali, ha preso contatti con una suora di Gramsh, in Al-bania. Così ad agosto 2012 siamo partiti! Il Perché: Quanto tempo siete rimasti in Albania e quali atti-vità avete svolto lì? Stefano: Siamo stati lì una setti-mana, nel mese di agosto. Erava-mo in sette volontari: quattro ra-gazzi, una ragazza e due adulti. Siamo partiti con l’idea di fare animazione con i bambini, come siamo abituati a svolgere in Italia. In realtà, arrivati lì, ci siamo tro-vati a fare tutt’altro. Il Perché: Quali sono state le tue prime impressioni, giunto in Albania?

Stefano: Beh, appena arrivati all’aeroporto di Tirana, siamo sta-ti prelevati da un pullman degli anni ’60. Sei ore interminabili di viaggio e finalmente siamo giunti a Gramsh. Dunque ho avuto la netta sensazione di trovarmi in un Paese molto più arretrato rispetto al nostro. Appena arrivati presso le suore, siamo stati divisi in due gruppi: maschi in un dormitorio e femmine in un altro. Ci è dispia-ciuto molto in quel momento, per-ché avremmo voluto restare uniti. La mattina seguente però ci siamo ritrovati tutti insieme. Le suore ci hanno condotto in un garage che, tramite fondi, è stato riorganizzato per i bambini come una sorta di oratorio. Il Perché: In che senso vi siete trovati a fare attività diverse da quelle che vi aspettavate? Stefano: Il primo giorno di "lavoro" le suore ci hanno incari-cato di riempire delle buste con i materiali da distribuire poi ai bambini. Non ci sono scuole e ciò che abbiamo utilizzato per l'ani-mazione proveniva dall'Italia... Abbiamo ordinato ben 390 buste, ognuna delle quali conteneva ma-tite, penne, astuccio, libri, quader-ni… Nel pomeriggio siamo partiti alla volta dei vari villaggi per con-segnare personalmente le buste ai bambini. Arrivati a destinazione però, ci siamo resi conto di un’al-tra realtà… Il Perché: Potresti spiegare cosa ti ha colpito di quello che hai visto? Stefano: Era tutto totalmente di-verso. Lì è facile trovare bambini di otto anni che lavorano nei cam-pi, che portano al pascolo le muc-che. Padri di fa-miglia che passa-no intere giornate a ubriacarsi, but-tati sul divano. Non potendo dar loro soldi - per evitare che li spendessero tutti in alcolici - le suore hanno crea-

to il "Progetto mucca": doniamo alle famiglie una mucca gravida, che possa garantire loro latte, for-maggio… Con la dittatura non esistevano più strade, né vie di comunicazione. Le suore sono let-teralmente andate a “caccia” dei villaggi, che erano e sono ancora così isolati dal resto del mondo da non sapere spesso nemmeno cosa accade intorno a loro. Nel 2008 le suore scoprirono un villaggio che ignorava persino che la dittatura fosse finita! Ci sono anziani che non hanno mai visto altro se non il proprio villaggio, dove sicura-mente moriranno… Abbiamo visto molti bambini disabili, spesso frutto di unioni tra consanguinei. Questo perché i villaggi sono così chiusi nel loro isolamento da co-stituire un mondo a parte, all’in-terno del quale ci si unisce anche tra parenti. Il Perché: Cosa ti ha lasciato questa esperienza? Stefano: Questa è un'esperienza che consiglio di fare a tutti: ti fa capire il vero valore della vita e delle cose quotidiane e aiuta a sviluppare, in chi la vive, un reale e profondo interesse verso l’altro. Non scorderò mai una donna così piccola e anziana da sembrare un “mucchietto d’ossa”, non conosce-va nemmeno la sua età! Lei ci ha chiesto: “Sapete perché un cervello albanese vale molto più di qua-lunque altro? Perché è nuovo! La dittatura non ce l’ha mai fatto usare!”. Per me è stato come partire con solo una bottiglia di acqua per poi tornare con lo zaino colmo di ci-bo…

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Nome: Domenico Grossi Data di nascita: 16 Novembre 1994 Età: 18 anni Classe: 5° B Agrario Il Perché: Anche tu, come Ste-fano, hai vissuto un’esperien-za di solidarietà. Puoi dirci come è nata l’idea? Domenico: Io faccio parte di “Azione Cattolica” e quest’anno volevamo organizzare una gita con alcuni ragazzi che frequentano l'oratorio con me. Eravamo da-vanti alla nostra Chiesa, San Pio X, e ragionavamo su cosa fare, quando è arrivato Benedetto, un ragazzo seminarista affidato alla nostra parrocchia che ci ha propo-sto un viaggio di volontariato. Il parroco in un primo momento ci ha suggerito la Caritas di Roma poi ci ha proposto un’esperienza un po' più forte: il Cottolengo di Torino. Inizialmente eravamo un po' incerti sull'andare o meno a Torino, poiché ci avevano fatto vedere dei video davvero scioccan-ti. Il Cottolengo è una struttura ospedaliera che accoglie persone in grave stato di malattia e di abban-dono. Ci abbiamo pensato molto ma alla fine abbiamo trovato il coraggio e ad agosto 2012 siamo partiti. Il Perché: Cosa sapevate del Cottolengo prima di andarvi di persona? Domenico: Come ho già detto, prima di partire ci hanno spiegato la storia di questo luogo e la sua vocazione verso i poveri e gli emar-ginati. Fondato dal sacerdote Giu-seppe Benedetto Cottolengo nei primi decenni del 1800, l’ospedale

accoglie persone bisognose che tro-vano lì assistenza, cura, apparte-nenza e promozione per la loro vi-ta. Il Perché: In quanti ragazzi avete vissuto questa esperien-za? Domenico: Eravamo dieci ragaz-zi: cinque maschi e cinque femmi-ne. Siamo rimasti a Torino per una settimana. Il Perché: Quali sono state le tue prime impressioni? Domenico: Il luogo inizialmente era una mensa che è stata poi così ingrandita da sembrare oggi una vera città. Ci sono diversi padi-glioni: uno con gli anziani, uno con i disabili e uno con anziani disabili. Già dalla mattina del primo giorno ci hanno assegnato dei compiti da svolgere. Io sono stato destinato al padiglione degli “Angeli custodi”, esso a sua volta era diviso in tre piani, a me è capi-tato quello più alto, il più difficile: anziani disabili.

Il Perchè: Quali erano i vostri compiti all’interno del Cotto-lengo? Domenico: Noi dovevamo fare compagnia agli anziani e portali in giro con le carrozzelle. In realtà, poiché il personale non era suffi-ciente, abbiamo svolto anche altre mansioni non semplici. La matti-na li alzavamo dal letto utilizzan-do un apposito macchinario, poi davamo loro da mangiare, imboc-candoli, quindi li portavamo giù

con le carrozzelle. Con altri volonta-ri eravamo anche addetti a rifare loro i letti e, ogni due giorni, effet-tuavano il controllo sanità, igieniz-zando letti, armadi ed effetti perso-nali dei malati. Il Perché: Potresti dirci cosa ti ha colpito di ciò che hai visto? Domenico: In quel settore c’erano persone anziane con gravi disabili-tà…è difficile anche solo descrivere a parole quello che ho visto… Ciò che mi ha colpito è stata la serenità con la quale ci hanno accolto. Era-no felici che noi fossimo lì e aveva-no voglia di raccontare le loro sto-rie, spesso tristi realtà di abbando-ni familiari. Ricordo i volti di tante persone sole e abbandonate che non avevano nessuno che li andasse a trovare. I primi due giorni ho pen-sato di non farcela e ho pianto… Non riuscivo nemmeno a capire la frase che ci aveva detto il seminari-sta prima di partire – “Vi daranno tanto”- ma come potevano quelle persone dare tanto a noi che stava-mo lì ad assisterli e a prenderci cura di loro? Solo sul treno del ri-torno ho compreso quanto quelle persone malate e abbandonate aves-sero dato a ognuno di noi… Il Perché: Potresti dirci cosa ti ha lasciato questa esperienza così forte? Domenico: Grazie a quelle perso-ne, oggi guardo il mondo con altri occhi. Ho capito con maggior forza che i propri cari non vanno abban-donati e che tutti hanno diritto alla dignità, anche e soprattutto nella malattia. Porterò sempre con me la gentilezza e l’umiltà con cui i mala-ti ci chiedevano le cose. Questa è un’esperienza che rifarò… Vogliamo concludere questo bellis-simo incontro con Stefano e Do-menico facendo nostra una frase pronunciata dalla mamma di Stefa-no al suo ritorno a casa: “Siete partiti ragazzi, siete tornati uomini”. Fabiana Capasso & Elisa

Romani (4°G Chi.)

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Accoglienza ed integrazioneAccoglienza ed integrazioneAccoglienza ed integrazione Intervista ad alcuni studenti stranieri del “San Benedetto”Intervista ad alcuni studenti stranieri del “San Benedetto”Intervista ad alcuni studenti stranieri del “San Benedetto”

Noi de Il Perché, vista l'alta presenza - soprattutto quest'anno - di ragazzi stranieri nella nostra scuola, abbiamo deciso di iniziare a conoscerli a cominciare da Qwinu Yaya, Abori Isaac e Da Diuma. Sono tre studenti che questo mese abbiamo accolto all'interno della nostra redazione giornalistica. Vo-gliamo conoscerli meglio e presen-tarli all'intero San Benedetto.

Benin, Ghana, Senegal da questi luoghi, così lontani da noi, è inizia-to il viaggio dei nostri tre compa-gni, che si sono trasferiti in Italia per portare avanti lo studio e assi-curarsi un futuro. Yaya e Abori sono in Italia da circa un anno e cinque mesi, mentre Da si è trasfe-rito nel nostro Paese solo un anno fa. Frequentano la 1°C Alb. del San Benedetto dal 24 settembre di quest'anno e sembrano essersi già ben inseriti tra i loro compagni di classe e di convitto. Abbiamo chiesto loro quali siano state le maggiori difficoltà incontrare nell'i-niziare una nuova vita in un paese straniero; tutti e tre sono stati d'ac-cordo nell'affermare che la cosa più difficile sia stata soprattutto trova-re amici. Probabilmente anche il confronto tra culture così diverse, non rende immediata la possibilità di crearsi amicizie, inoltre quello della lingua costituisce certamente un altro ostacolo non facile da su-perare.

Yaya, Abori e Da ci hanno infatti spiegato quanto sia difficile per

loro esprimersi in Italiano, una lingua dalla grammatica complessa, piuttosto ardua da apprende-re. Yaya e Abori conoscono molto be-ne anche l'Inglese, a loro parere più sem-plice da apprendere rispetto all'Italiano, mentre Da riesce a esprimersi molto più facilmente in Fran-cese.

In realtà la difficoltà della lingua sembra appartenere proprio a noi italiani. Stati-

sticamente parlando, l'inglese è un problema per 8 italiani su 10, come lo è il Francese che solo il 19% degli italiani sostiene di saper padroneg-giare più che a sufficienza. Questi dati ci confermano quanto possa es-sere difficile per uno straniero, so-prattutto di giovane età, integrarsi nella comunità Italiana.

Non saremo rinomati in fatto di plu-rilinguismo, ma la nostra cucina vanta in tutto il mondo una certa fama, o almeno così pensavamo, pri-ma di parlare con Abori! Egli ci ha spiegato che non è stato semplice per lui in un primo momento apprezzare i nostri piatti. Secondo Da invece il cibo italiano e quello senegalese dif-feriscono solamente nelle modalità di cottura, in quanto la qualità e il sapore dei singoli piatti sono presso-ché gli stessi.

Se nel Paese della pasta e della pizza queste nostre specialità non vengono apprezzate da tutti gli stranieri che vi risiedono, possiamo giocarci solo un’altra carta per attirare l'attenzio-ne di un giovane straniero: il calcio!

La passione, talora smodata, per questo sport è ormai parte integran-te della cultura italiana. Abbiamo chiesto ai nostri graditi ospiti di esprimere un loro parere a riguardo. Due di loro, Yaya e Abori, hanno affermato di apprezzare molto que-sto sport e di praticarlo già da quan-do si trovavano ancora nel loro paese d'origine, a differenza di Da che in-vece non mostra grande interesse per lo sport in generale.

Proprio per venire incontro a tutte le esigenze dei ragazzi che vi risiedono, il convitto del San Benedetto offre la possibilità ai convittori di praticare il calcio usufruendo dei campi presenti nel nostro Istituto. Yaya gioca nel ruolo di portiere, mentre Abori è più portato per il ruolo di attaccante; en-trambi tifano Juventus e sognano di diventare giocatori professionisti. I loro idoli calcistici sono Gianluigi Buf-fon e Kwadwo Asamoah.

Notiamo quindi come - anche a distan-za di migliaia di chilometri, intesi non solo in termini di spazio ma anche e soprattutto di cultura- i ragazzi mo-strino interessi comuni. Inoltre abbia-mo capito che anche per questi tre ragazzi, come per la maggior parte degli alunni italiani, lo studio non sia un piacere, ma una tappa obbligatoria per potersi poi inserire nel mondo del lavoro. Abori non ha ancora le idee molto chiare sul suo futuro, preferisce attendere e vedere le occasioni che gli si porranno davanti ultimati gli studi. Da vorrebbe intraprendere la profes-sione di medico, mentre Yaya punta solamente a ottenere un lavoro, anche come dipendente in qualche fabbrica.

Come già accennato, i tre ragazzi vivo-no all'interno del convitto dal lunedì al venerdì, per poi trasferirsi il fine setti-mana in una casa famiglia. Il pome-riggio vengono seguiti dalla sig.ra Ma-ria Venuti - educatrice del semicon-vitto - che oltre ad aiutarli nell'ap-prendimento dell'Italiano, dà loro sup-porto nello svolgimento dei compiti. Nonostante ciò i nostri amici hanno anche parecchio tempo libero da utiliz-zare nel modo che preferiscono. “Come trascorrevi il pomeriggio nel tuo paese di origine?" a questa domanda i nostri compagni ci hanno dato varie risposte ma quella che ci ha colpito di più è la seguente “La maggior parte del tempo aiutavo mia mamma". Una risposta così semplice eppure così piena di si-gnificato, dalla quale è emerso il pro-fondo legame che unisce questi alla propria famiglia. Quanti ragazzi ita-liani valorizzano a tal punto la fami-glia da dedicargli la dedicarle la mag-gior parte del tempo libero?

Salutiamo i nostri amici, Yaya, Abori e Da dando loro il nostro speciale “benvenuti” in Italia!

Luca Calisi (4° G Chi.)

Abori Isaac Qwinu Yaya, Da Diuma

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Presenza stranieri I.I.S. “San Benedetto”Presenza stranieri I.I.S. “San Benedetto”Presenza stranieri I.I.S. “San Benedetto”

2% 2% 2%

2%

2%2%

2%

2%

2%

5%

5%

2%

2%

2%36%

7%

5%

5%

5%5%

Percentuali riferite alla nazionalità di provenienza

AlbaniaAustriaCeca Rep.CongoCubaDominicanaEcuadorFilippineFranceseIndiaKeniaMaliMoldaviaPoloniaRomaniaSenegalSudafricaTunisiaUcrainaVenezuela

Come si dice CIAO nel Mondo

Hi=Inglese Hallo=tedesco e olandese Hola=spagnolo Ahoj=ceco e slovacco Haloo=estone Servus=ungherese Salut=francese Kaixo=basco Hei=finlandese ЗДРАВИСВАНЕ (si legge sdra-visvanje)=bulgaro επιφ=greco Tēnā koe=Maori Zdravo=croato Cześć=polacco

97%

3,36%

Percentuale studenti di nazionalità straniera nell'Istituto "San Benedetto"

Studenti nazionalità Italiana Nazionalità non italiana

Racconti di viaggio: UngheriaRacconti di viaggio: UngheriaRacconti di viaggio: Ungheria

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Dal 1990 il nostro Istituto, grazie ad un’iniziativa dell’allora presi-

de Mario Siciliano, proseguita nel tempo dalla prof.ssa Livia

Armandi e dai prof.ri Piero Ricci e Claudio Danieli, ha

dato vita al progetto “Scambi

culturali” che offre una duplice opportunità: ai ragazzi che fre-

quentano la classe terza, di poter trascorrere un’esperienza di 10

giorni in Ungheria e per i ra-gazzi che frequentano la classe

quarta, in Repubblica Ceca. Quest’anno anche io e Noemi Ianni abbiamo avuto l’occasione

di vivere questa magnifica espe-rienza. Siamo partiti il 16 Otto-

bre dall’Istituto, eravamo un gruppo di più di 30 ragazzi ac-

compagnati da due grandi pro-fessori che sono stati degli

straordinari compagni di viaggio:

la prof.ssa Paola Tramontano

e il prof. Saverio Tolone. Tutti insieme abbiamo intrapreso un

lungo viaggio in pullman, reso ancora più gradevole dalla sim-patia dei due autisti che ci hanno

accompagnato ovunque giorno

per giorno, Massimo e Mauro.

Siamo arrivati nella scuola di

Kaposvar il 17 ottobre, ci hanno

accolto con molta ospitalità, offren-

doci subito i deli-ziosi dolcetti lo-

cali. Durante la nostra perma-

nenza, abbiamo visitato moltissi-mi luoghi e visto

molte cose nuove. Il primo giorno ci siamo recati presso l’Accademia di

equitazione, dove abbiamo assistito a uno spettacolo con i cavalli: ci ha

lasciato a bocca aperta visto che, insieme a questi maestosi animali,

si esibivano anche delle bambine impegnate in numeri di ginnastica artistica mozzafiato e pericolosi. Il

secondo giorno abbiamo visitato l’Istituto e l’Università: all’interno

era evidente il contrasto tra l’antico e il nuovo, ma questo è anche nor-male vista la lunga storia dell’Isti-tuto di Kaposvar. Il pomeriggio in-

vece ci siamo recati presso uno zuc-cherificio in cui abbiamo visto la

realizzazione dello zucchero, dalla materia prima al prodotto finale.

Abbiamo anche potuto constatare quanto accurato lavoro ci sia die-

tro la realizzazione di un qualcosa che noi tutti utilizziamo quotidia-

namente. Quindi è stata la volta

di Kaposvar: lì abbiamo visitato il Municipio, dove siamo stati ac-colti molto calorosamente dal Sin-

daco. La sera dopo cena, ci riuni-vamo per parlare, giocare e diver-tirci tutti insieme. Molto spesso

abbiamo anche cucinato vista la nostra incapacità, da bravi italia-

ni, di rinunciare alla pasta. Nei giorni successivi abbiamo potuto

ammirare il Lago di Balaton, il Castello di Siklos e la Basilica

mariana. La domenica invece ab-biamo visitato Budapest, una magnifica capitale che non ha niente da invidiare a Londra o a

qualsiasi altra grande città. Con la sua straordinaria ricchezza sto-

rica, Budapest è una città che uni-sce antico e moderno, in una per-fetta armonia. Ma proprio a Buda-

pest abbiamo potuto osservare più profondamente come tutto sia di-

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verso rispetto alle città e ai pic-coli paesi dell’Ungheria che fino

a quel giorno avevamo visitato, caratterizzati per lo più da vera

e propria arretratezza. Nei gior-ni seguenti ci siamo recati pres-

so l’azienda casearia in cui si potevano degustare i formaggi

che venivano prodotti all’inter-no , e un’azien-

da di bu-fali, dove

s i a m o stati mol-

to a con-tatto con

la natura e gli ani-

mali ai quali ab-biamo dato anche da mangiare.

La sera del 22 ottobre invece c’è

stata la cena ufficiale di saluto: l’evento è stato aperto da un gruppo di ragazzi che si sono

esibiti in una tipica danza popo-lare e noi tutti, con la partecipa-

zioni de professori, abbiamo po-tuto gustare una deliziosa cena,

resa ancor più gradevole dalla

presenza del Preside della scuola. Ci è parsa una persona

molto “dolce” e ospitale! Coglia-mo l’occasione per ringraziarlo

della grande opportunità che ci ha dato di vivere questa bella

esperienza umana e culturale. Gli ultimi due giorni del nostro

soggiorno in Ungheria abbiamo visitato l’allevamento di cervi,

dove abbiamo mangiato anche la loro deliziosa carne, siamo andati alle terme, in cui abbia-

mo passato un pomeriggio di ri-poso, svago e divertimento. L’ul-

timo giorno invece è stata la vol-ta di un villaggio rinascimentale

molto suggestivo e infine, nel tardo pomeriggio, siamo ritornati

tutti sul pullman per ripartire e tornare a casa.

Volendo fare un doveroso bilancio della no-stra per-

manenza in Unghe-

ria, c’è da dire pri-

ma di tut-to che è

stata una g r a n d e

esperien-za di vita

e di conoscenza dell’altro. Abbia-mo vissuto in prima persona quanto sia difficile adattarsi in

un contesto culturale che non ci appartiene e alcune volte, nostro

malgrado, anche farci accettare da chi con noi non ha niente in

comune. Abbiamo sperimentato quanto sia difficile comunicare

con persone che non parlano la nostra stessa lingua, o mangiare cibi che non fanno parte della

nostra normale alimentazione e che non rispettano i nostri

gusti o anche attenersi alle loro abitudini come ad esem-

pio pranzare a mezzogiorno o cenare alle sei di pomeriggio.

Abbiamo scoperto anche come la storia di un popolo rispecchi il popolo stesso, e quanto la

cultura di ogni popolo si riflet-ta nel suo modo di porsi con lo

straniero ma anche di accoglier-lo. È stata una grande esperien-za di crescita dalla quale abbia-mo meglio compreso quanto sia

importante rispettare le perso-ne, le cose e le abitudini di un

ambiente che non è il nostro e nel quale non siamo abituati a

vivere. È stata anche una gran-de occasione per imparare molto

da persone diverse, spesso vitti-me di pregiudizio solo perché di

differente cultura. In Ungheria i

diversi eravamo noi e questo ci ha aiutato a vedere le cose da un’altra prospettiva, capendo quanto possa essere difficile

adattarsi e farsi accettare. Il

San Benedetto ci ha dunque offerto la possibilità di scrivere con intensità ed entusiasmo una

pagina importante della nostra vita che ci sarà di grande aiuto

anche per ampliare i nostri oriz-zonti nella società che ci circon-

da. Il DIVERSO non esiste o meglio, tutti un po’ lo siamo per-ché speciali ognuno nella pro-

pria unicità umana e culturale.

Daniela Fiorentini &

Noemi Ianni (3° B P.I.)

Racconti di viaggio: UngheriaRacconti di viaggio: UngheriaRacconti di viaggio: Ungheria

Non e’ mai troppo tardiNon e’ mai troppo tardiNon e’ mai troppo tardi per imparareper imparareper imparare

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Intervista a Edoardo Ren-zi, l’alunno più grande del San Benedetto.

Il Perché: Prima di tutto chiediamo a Edoardo la sua età

Edoardo: Ho quasi 40 anni.

Il Perché: Come mai questa scelta di tornare a scuola no-nostante tu abbia quasi 40 anni?

Edoardo: Precisiamo che ne ho 39! Comunque ci ho pensato un bel po'... e poi mi sono detto “Non è mai troppo tardi per imparare!” Avevo abbandonato la scuola do-po la qualifica, oggi posso vanta-re di averne 2. Spero di consegui-re il diploma, l'anno prossimo.

Il Perché: Cosa facevi prima di tornare a scuola?

Edoardo: Facevo l'agente di viaggi. Ho fatto anche il magazzi-niere e mi sono occupato di pub-blicità.

Il Perché: Come è stato il tuo primo impatto con i “banchi di scuola”?

Edoardo: Sconvolgente prima, spumeggiante dopo! Anzi, appro-fitto per ringraziare Petra e Gian-marco che mi hanno letteralmen-

te trascinato in classe. L'emozio-ne e i dubbi iniziali avevano pre-so il sopravvento sulla voglia di rimettermi in gioco!

Il Perché: Come vedi ora la scuola, dove sei rientrato da studente?

Edoardo: A mio giudizio la scuola, in questi ultimi anni, non è molto cambiata tranne che per le attività di laboratorio che trovo molto interessanti. Poi c’è il bar all'interno della scuola che ai miei tempi non c'era!!! La sua presenza offre possibilità di ristoro ma anche di avere contat-ti con gli altri.

Il Perché: Come ti trovi con i professori e con la tua clas-se?

Edoardo: Con tutti i professori ho un buon rapporto, con alcuni mi sento più a mio agio rispetto ad altri. Per quanto riguarda i compagni di classe, non hanno ancora conosciuto il lato più di-vertente di me! E' chiaro che la differenza di età influisce però, tutto sommato, mi sono ambien-tato.

Il Perché: Questa tua idea di tornare a scuola è partita da te o sei stato spronato da qualcuno?

Edoardo: Ritrovandomi disoc-cupato, mi sono reso conto dell'importanza di un diploma per avere più possibilità nel mondo del lavoro. Inoltre esso costituisce un’occasione per in-crementare la mia cultura, e questo fa bene a ogni età. Ovvia-mente anche la famiglia mi è stata molto vicina in questa scel-

ta.

Il Perché: Hai dei progetti da realizzare dopo gli studi?

Edoardo: Di sicuro trovare un lavoro che mi permetta però di coltivare i miei interessi: foto-grafia, motociclismo, viaggi, pesca, musica... Mi piacerebbe riprendere le mie lezioni di chi-tarra, attualmente appesa al chiodo!

Il Perché: C'è qualcosa che ti "pesa" maggiormente nello stare a scuola?

Edoardo: Lo studio no, pur avendo lacune in certe materie! Il problema è il trasporto: nell'o-rario di uscita c'è un affolla-mento esagerato e mi ritrovo a dimenarmi "alla Fantozzi", per cercare di prendere il pullman.

Il Perché: Qual è un tuo pre-gio e un tuo difetto?

Edoardo: La mia autoironia e l'essere ottimista sono certamen-te i miei più grandi pregi. Un mio difetto, invece, è avere poca autostima ed essere un po' su-perficiale in certe situazioni. Per tutto il resto, lo lascio scoprire a voi!

Il Perché: Vuoi aggiungere qualcosa?

Edoardo: Non avrei mai pensa-to di essere addirittura sul gior-nale della scuola!!! Grazie!

Petra Cappelletto

(4 B Agr.)

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Patriarchi del “San Benedetto”Patriarchi del “San Benedetto”Patriarchi del “San Benedetto” suo complesso che ci è rimasto nell’anima: il parco, la piscina… Nell’anno ‘81/’82 questa scuola, una domenica, fu sede di un Concorso musicale per suonatori di violino al Magistero: il preside Siciliano mi affidò l’incarico di sorveglianza (prof. Morganti). L’Istituto risuonò di soavi melo-die fino al tardo pomeriggio. Fu una cosa unica e bellissima in un Professionale agrario! E poi il rapporto che c’era con gli alunni del convitto; ci fu una ragazza con problemi mentali, grazie al dott. Bellini, la seguimmo così bene che arrivò fino al diploma del 5° anno. Tutto questo a spese della scuola. Si pensava alle ne-cessità primarie degli studenti, spesso davvero poveri. Sappiamo che è in uscita un libro nel quale si racconta la storia del San Benedetto - Sì, presto uscirà un libro celebrativo dell’Istituto San Benedetto. Attraverso flash di ricordi, interventi di docenti ed ex alunni, contributi di personag-gi esterni alla scuola, che aveva-no familiarità con essa, saranno ripercorsi i primi 50 anni di vita di questo Istituto. Il libro, nato da un’idea del prof. Benedetto Scopelliti, Il Dirigente Scolastico Nicola Di Battista la fa sua con grande favore ed affida il compito di tradurla in realtà grafica agli ex docenti Alvaro Morganti ed Agosti-no Ballardini, ha l’obiettivo di creare una memoria storica della scuola e omaggiare la figura e l’opera del preside Pietro Neri che, partendo dal nulla, da una terra argillosa sulla quale nessu-no avrebbe scommesso, diede vita al nostro San Benedetto. Nell’attesa di leggere il libro che svelerà tanti nostalgici e bei “segreti” del San Benedetto, rin-graziamo i proff.ri Morganti e Scopelliti.

Questo mese Il Perché ha voluto intervistare coloro che abbiamo de-finito, con grande stima e rispetto, i “Patriarchi” del San Benedetto. Si tratta dei proff.ri Alvaro Mor-ganti e Benedetto Scopelliti, do-centi presso questa scuola rispetti-vamente per 21 anni e 25 anni. Grazie alle loro parole, abbiamo potuto comprendere cosa sia stata la nascita di un Istituto agrario in questa zona, nel lontano 1956 e quanto importante dovesse essere quella realtà che in parte oggi non esiste più. Raccontare in poche pa-role la lunga storia professionale ma soprattutto umana dei prof.ri Morganti e Scopelliti non sarà cosa semplice, soprattutto perché rischiamo di omettere cose impor-tanti e questo ci dispiacerebbe. Pro-veremo a fare del nostro meglio! Vogliamo chiedere, per prima cosa, ai professori quali fossero le loro materie d’insegnamento - Materie professionali agrarie, agronomia, meccanica agraria, zootecnia, tecni-ca della gestione aziendale ed econo-mia agraria (prof. Alvaro Morgan-ti); materie professionali agrarie, agronomia, coltivazioni erbacee, selvicoltura, genio rurale (prof. Be-nedetto Scopelliti). Chiediamo ora come fossero i ragaz-zi di quel tempo - Gli alunni erano prevalentemente fuori sede, proveni-vano dalle borgate rurali della pro-vincia. Erano studenti educati e diligenti. Solo qui si facevano, a partire dal 3° anno, le specializza-

zioni (meccanica agraria, olea-ria, enologia, viticoltura, casea-ria, floricoltura), per questo gli studenti venivano da tutta Ita-lia. Tra l’altro gli alunni con qualifica trovavano subito im-piego nel mondo del lavoro. Nel tempo poi l’utenza è cambiata: con i corsi sperimentali arriva-rono alunni di fuori regione, come Sardegna, Toscana, Cala-bria. Ma anche alcuni dall’Afri-

ca, dal Venezuela, dall’Iran. Tutti bravi e volenterosi. Fra tanti ci pia-ce ricordare Faustin Ekutsu: è di-ventato agrotecnico ed entrò nell’e-quipe del dott. Nardocci, veterina-rio di fama nazionale e internazio-nale. Molti nostri studenti hanno proseguito il percorso di studi, altri hanno invece intrapreso strade di-verse diventando avvocati, giorna-listi… Fino al 1969 c’era un vero e proprio stacco culturale tra gli stu-denti che prendevano le qualifiche professionalizzanti e quelli che fre-quentavano i corsi sperimentali: questi ultimi avevano una base culturale inconsistente, compensa-ta però da tanta buona volontà e reale interesse a imparare. Ma come era il vostro San Bene-detto - Era un’isola autonoma e felice. Il San Benedetto costituiva un modello di Istituto per l’agricol-tura ammirato anche oltre i confini italiani. L’esperienza d’insegna-mento era davvero ricca e piena: gli insegnanti di materie pratiche sta-vano qui fino a tardi e nel pomerig-gio si facevano esercitazioni con i ragazzi, che imparavano moltissi-mo. Avevamo allevamenti di bovi-ni, suini, tacchini, faraone, polli, colombi, conigli. Si vendevano pro-dotti in quantità incredibile. C’era anche un allevamento ittico (trote). Vogliamo ora domandare ai nostri professori qual è il ricordo più caro legato ai loro lunghi anni d’inse-gnamento – Non c’è in realtà un ricordo specifico…è l’Istituto nel ILILIL PERCHE’

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Il giorno 30 novembre la classe 5F Chimico-Biologico si è recata pres-so l’ Università di Tor Vergata nel-la facoltà di Lettere e Filosofia per assistere al Convegno conclusivo sulla donazione degli organi. Gli alunni, accompagnati dal Dirigente Scolastico Nicola Di Battista e dal-la Professoressa Cochi, sono stati accolti nell’ auditorium dalla Dot-toressa Laganà e dal Professor Ca-sciani, promotori dell’ iniziativa. In precedenza il professor Casciani aveva sensibilizzato i giovani dell’ Istituto San Benedetto mediante una video conferenza tenutasi nell’ aula video dell’ Istituto.

A questo progetto hanno partecipa-to diverse scuole superiori del La-zio: Latina, Viterbo, Roma. Pur-troppo la partecipazione al conve-gno è stata ridotta per via delle manifestazioni studentesche in atto sul territorio nazionale contro il disegno di Legge Aprea. Durante questa giornata i ragazzi hanno avuto la fortuna di conoscere il Professor Casciani, illustrissimo pioniere del trapianto del rene che ci ha parlato della storia dei tra-pianti, dei fallimenti, dei successi, delle sfide che la ricerca e la medi-cina affrontano quotidianamente .

Gli alunni della nostra scuola han-no aderito con grande entusiasmo a questa iniziativa , dimostrando sin dall’ inizio molto interesse che si è tramutato nella realizzazione di una presentazione dettagliata sull’ importanza della donazione.

Nell’introduzione del progetto si esponeva un po’ di storia dei tra-pianti e i procedi-menti con cui ve-nivano effettuati. In seguito si è parlato delle di-verse modalità con le quali si può esprimere la pro-pria volontà di donare un orga-no. Una volta

conclusi i lavori, il professor Ca-sciani si è complimentato con i pre-senti per le relazioni svolte e per gli approfondimenti compiuti sul tema. Alla fine della giornata è avvenuta la premiazione ed ogni scuola ha ricevuto un premio. Il nostro istituto ha avuto in dono un videoproiettore, donato dall’ Agen-zia dei Trapianti del Lazio unita-mente a delle targhe. Quest’ espe-rienza è stata molto interessante per i ragazzi che sono tornati a casa con la consapevolezza di aver dato una mano per la promozione di una giusta causa ma soprattut-to è stato un incontro di prestigio per i partecipanti che ha contribui-to ad ampliare il loro bagaglio cul-turale.

Gli alunni della 5°F chim.

MOLTIPLICHIAMO LA VITA

“Con piacere ho accettato la colla-borazione che il Dirigente Scolasti-co mi ha affidato, con l’Agenzia dei trapianti del Lazio nell’intento di diffondere la cultura della dona-zione degli organi, tema di grande rilevanza sociale. Il trapianto rap-presenta una speranza concreta per chi soffre ma anche un gesto di generosità, di altruismo, di amore. Ed è qui che entra in gioco la scuo-la, fucina non solo di conoscenze ma di VALORI come la solidarie-tà, la condivisione, l’amore per gli altri, l’amore per la vita.

In questo percorso gli studenti sono stati i protagonisti: hanno letto, fatto ricerche, animato di-battiti, operato riflessioni. La me-todologia adottata è stata quella della relazione tra pari in cui cia-scuno ha dato il proprio contribu-to di pensiero dal Docente Univer-sitario all’alunno. Questa espe-rienza ha rafforzato la coesione del gruppo e una piena condivisione di intenti sull’importanza della dona-zione.

Ringrazio gli studenti per la sensi-bilità e la maturità dimostrata, con la speranza di aver dato un valido contributo alla formazione della loro personalità e alla loro crescita emotiva e morale.”

Prof.ssa Pina Cochi

Donazione: un atto d’amoreDonazione: un atto d’amoreDonazione: un atto d’amore

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DATA: 13/17 novembre ’12

LUOGO : Perugia

SOGGETTO: I ragazzi e le ragaz- ze del 4° B TCB

Cosa c’è di più normale, ritornando

da un viaggio, di portare con sé

foto? Quelle vicino ai monumenti,

quelle dei momenti ufficiali, quelle

sceme, quelle uscite bene, quelle

sfocate, quelle da mostrare orgo-

gliosi e quelle da mostrare divertiti.

Ma la foto che conserverò sempre

del mio viaggio a Perugia con i ra-

gazzi della 4B TCB non è una foto

digitale. Italo Calvino nel suo libro

“Le città invisibili “ ci suggerisce

che quello che amiamo di un viag-

gio e di una città è la risposta a

una nostra domanda e la foto-

risposta che ne

facciamo rimar-

rà come emozio-

ne cesellata

nell’anima, forse

impercettibile

per altri , ma

assolutamente

nitida per noi. E

con lo sguardo

incantato su

questa nostra foto insieme mi vie-

ne da pensare……….

Quando l’insegnamento non è solo

un’ora di lezione e si prende co-

scienza della vera realtà scolasti-

ca: un gruppo di ragazzi allegri,

spontanei, complicati nella loro

semplicità, diretti con le loro

espressioni verbali, pieni di voglia

di fare e di essere.

Lo scopo di tutto era FARE con

una modalità diversa dal soli-

to…qualcosa di inusuale che vole-

va diventare il mezzo attraverso

cui sviluppare saperi concreti.

Una porta sul mondo esterno.

Quella porta non solo è stata aper-

ta……è stata spalancata!

Il vostro atteggiamento durante le

attività formative è stato esempla-

re, convinto, partecipato.

E quindi ….COMPLIMENTI!!!! e

grazie…mi avete risparmiato

quell’antipatica, minacciata ope-

razione di immergervi nell’acido

solforico concentrato!

Ma non è solo per questo che voglio

dirvi grazie.

Voglio dirvi GRAZIE perché vi

siete “raccontati” a me con gioia e

spontaneità, perché mi avete cerca-

to in ogni istante, perché vi siete

affidati a me.

Voglio dirvi

GRAZIE perché

mi avete fatto

provare la mera-

viglia di

“sentire” profon-

damente e con

emozione tutto

que-

sto…..appagante risposta alla mia

calviniana domanda!!!!

E lo dico a chi, come un fiume in

piena, mi ha narrato la sua vita, a

chi si è confidato senza riuscire a

parlare, a chi timidamente - bus-

sando alla mia porta - mi ha por-

tato un dolce ed un sorriso, a chi

come un vero uomo mi ha offerto la

colazione, a chi mi ha confidato se

stesso offrendomi una birra, a chi

si è scaldato l’anima e lo stomaco

bevendo insieme a me cioccolato

caldo, a chi mi ha sorpreso con un

inaspettato messaggio.

E proprio a tutti i miei ragazzi e le

mie ragazze del 4 B dico: GRAZIE

BRO’

Prof.ssa Giovanna Mancini

FOTOGRAFIA DELL’IMPERCETTIBILEFOTOGRAFIA DELL’IMPERCETTIBILEFOTOGRAFIA DELL’IMPERCETTIBILE

Perugia

IIILLL PERCHE’

Pagina 18

Per tanti anni ho lavorato con stu-

denti che frequentavano le quarte

e quinte classi, da quest’anno ho

ricominciato ad insegnare alle pri-

me. E’ stato sicuramente emozio-

nante trovarsi di fronte ragazzi

così piccoli provenienti dalle scuo-

le medie. La materia che insegno,

“chimica”, è una delle più impor-

tanti del loro indirizzo di studi.

Una parte delle lezioni si svolge in

laboratorio, un ambiente dove gli

studenti imparano a muoversi uti-

lizzando strumenti, materiali e

metodi di lavoro che potrebbero

ritrovare in un loro futuro impie-

go. Tra questi c’è l’uso del camice

che non solo è fondamentale per

motivi di sicurezza, ma li fa senti-

re grandi. Dalle fotografie si può

infatti notare l’attenzione e la se-

rietà con la quale realizzano gli

esperimenti e questa cosa mi

riempie di soddisfazione.

Prof.ssa Mariangela Castellani

Piccoli chimici cresconoPiccoli chimici cresconoPiccoli chimici crescono

Numero 7

IIILLL PERCHE’

Numero 7 Pagina 19

Visita al quotidiano “Latina Oggi”Visita al quotidiano “Latina Oggi”Visita al quotidiano “Latina Oggi”

In data 15 novembre 2012, la Reda-zione del giornale d’Istituto, Il Per-ché, si è recata presso la Redazione del quotidiano locale, Latina Oggi. Ad accoglierci c’era una segretaria che molto gentilmente ci ha fatto prendere posto all’interno della reda-zione e ci ha quindi introdotto al la-voro che viene lì svolto quotidiana-mente. Inizialmente siamo rimasti un po’ smarriti dal fatto che non fos-se presente nessun giornalista, ma verso la fine della nostra visita, ne abbiamo capito il motivo… La mattinata da “giornalisti” è pro-

seguita con l’incontro con Antonio Bertizzolo, giornalista di Latina Oggi, che si occupa in modo partico-lare di cronaca. Questo è stato un momento molto interessante: Bertiz-zolo ci ha spiegato come avviene l’impaginazione di un giornale, come s’inseriscono le immagini e le pubbli-cità, ci ha fornito di menabò per spiegarci la modalità per calcolare l’ingombro delle fotografie e degli articoli. Abbiamo imparato o appro-fondito concetti e termini tecnici

molto utili a mi-gliorare anche la qualità del nostro giornale: foliazio-ne, gerenza, manchette. Ab-biamo anche potu-to comprendere meglio l’importan-za e la funzione della titolazione, la sua composizio-ne tecnica (occhiello-titolo-catenaccio-

sommario) e la sua sintassi. E’ stata quindi la volta del Diretto-re di Latina Oggi, Alessandro Panigutti. Egli si è soffermato so-prattutto sulla storia di questo quotidiano loca-le, iniziata nel lontano 1988. Ci ha spiegato tutte le difficoltà legate alla sua professione e alla gestione di un gior-nale: dai costi, alla di-stribuzione, al calcolo delle copie da mandare in stampa. Ci ha colpi-to sentire quanto poco tempo abbia a disposi-zione la Redazione per concludere il lavoro da mandare in stampa quotidianamen-te. Questo presuppone una grande organizzazione e pianificazione del lavoro, frutto ovviamente di anni di esperienza. Sia Bertizzolo che il Di-rettore Panigutti si sono prestati a rispondere alle nostre domande e curiosità come quella relativa all’attendibilità delle fonti utiliz-zate. Il Direttore ci ha illustrato la differenza tra fonti occasionali, che vanno ovviamente verificate con cura, e fonti ufficiali legate ad esempio al Tribunale o all’Ansa, acronimo di Agenzia Nazionale Stampa Associata, la principa-le agenzia di stampa italiana e la quinta al mondo, che fornisce le prime notizie su tutto quello che accade nel mondo attraverso corri-

spondenti ai giornali e tv. Il Direttore Panigutti ci ha poi spiegato qual sia stato il suo percorso per diventare gior-nalista e abbiamo capito che sono ne-cessarie molta passione e determina-zione. La visita alla Redazione di Lati-na Oggi è stata davvero interessante e costruttiva. Anche noi abbiamo portato orgogliosamente una copia del nostro Il Perché che ha ricevuto complimenti sia per l’impaginazione e l’organizza-zione che per i suoi contenuti. Verso le 11.00 la Redazione ha cominciato a riempirsi di persone: redattori, fotogra-fi e personale in genere. In realtà la mattina è proprio il momento in cui i vari giornalisti vanno a “caccia” di noti-zie. Ecco spiegato il mistero della Re-dazione vuota alle 9.30 del mattino!

Foto di rito, pubblicata il giorno se-guente su Latina Oggi, e via di nuovo a scuola. La nostra visita si è conclusa verso le 12.00 ma per la Redazione di Latina Oggi iniziava il vero lavoro!

Antonio Bertizzolo

Alessandro Panigutti

ILILIL PERCHE’

Numero 7 Pagina 20 IIILLL PERCHE’

Malnutrizione e Sottonutrizione nel XXI secolo

Ogni anno la FAO, organizzazione

delle Nazioni Unite per l’Alimen-

tazione e l’Agricoltura, indice per

il 16 ottobre la Giornata Mondiale

dell’Alimentazione (GMA). L’ini-

ziativa di quest’anno ha posto

all’attenzione del grande pubblico

il ruolo delle cooperative agricole

nel raggiungimento degli obiettivi

di autosufficienza alimentare, so-

prattutto nei paesi più esposti alla

sotto-nutrizione. La scelta è stata

motivata anche dal fatto che l’O-

NU ha dedicato l’anno 2012 alle

Cooperative.

Noi, studenti dell’indirizzo profes-

sionale Servizi all’agricoltura e

allo sviluppo rurale presso la sede

di Itri, abbiamo colto l’occasione,

in quella gior-

nata, di fare

una riflessione

sul problema

della fame e

della sotto-

n u t r i z i o n e

che riguarda,

ancora nel

XXI secolo,

quasi un mi-

liardo di per-

sone nel Mondo. Abbiamo anche

avuto modo di conoscere qualcuna

delle iniziative che si attuano in

Italia per cercare di aiutare quan-

ti, nel nostro Paese, si trovano in

difficoltà alimentare, come il pro-

getto ideato e promosso dalla Fa-

coltà di Agraria dell’Università

di Bologna e diffuso ormai in

molte città d’Italia, denominato

“Last minute market”.

Le nostre riflessioni sul tema della

GMA hanno preso lo spunto dal

documento intitolato “Nuovo rap-

porto sulla fame nel mondo”, pre-

sentato a Roma il 9 ottobre 2012

dalla FAO, dall’ IFAD, Fondo In-

ternazionale per lo Sviluppo Agri-

colo e dal PAM, Programma Ali-

mentare Mondiale. Dopo un’atten-

ta lettura, abbiamo discusso in

classe con gli insegnanti i dati in

esso riportati e che sintetizziamo

qui di seguito.

Nonostante i miglioramenti degli

ultimi 20 anni i dati sono impres-

sionanti:

870 milioni di persone nel mondo

sono cronicamente sottonutrite,

uno ogni otto abitanti del pianeta;

852 milioni vivono nei paesi in via

di sviluppo, 15% della loro popola-

zione complessiva;

16 milioni vivono nei paesi svilup-

pati;

più di 100 milioni di bambini sotto

i cinque anni sono sottopeso;

Ruolo delle Cooperative Ruolo delle Cooperative Ruolo delle Cooperative agricole nella crescita agricole nella crescita agricole nella crescita economica mondiale economica mondiale economica mondiale

NOTIZIE DALLA SEDE DI ITRI

IIILLL PERCHE’

Numero 7 Pagina 21

più di 2,5 milioni di bambini

muoiono ogni anno per malnutri-

zione infantile;

quindi quasi 900 milioni di perso-

ne al mondo sono in condizioni di

non poter sviluppare a pieno il

proprio potenziale umano e socio-

economico.

Il rapporto esamina nel dettaglio

l’evoluzione del problema nell’ar-

co degli ultimi 20 anni. Nel perio-

do compreso tra il 1990-92 e il

2010-12 il numero totale delle

persone che soffrono

la fame è diminuito

di 132 milioni. Tra il

1990 e 2007 la dimi-

nuzione è stata mol-

to più marcata di

quanto non si preve-

desse, mentre dal

2007-08 i progressi

sono rallentati e si

sono stabilizzati. Le

nuove stime mostra-

no che nel periodo 2007-2010 si è

verificato un incremento inatteso

della malnutrizione. Anche se in

molti paesi in via di sviluppo la

crisi economica del 2008-09 non

ha causato quell’immediato e

brusco rallentamento economico

che si temeva e quindi non c’è

stata una ricaduta drammatica

sul livello di nutrizione delle per-

sone. Alcuni governi infatti sono

riusciti ad attutirne l’impatto e a

proteggere i più vulnerabili dagli

effetti dei picchi raggiunti dai

prezzi alimentari sul mercato in-

ternazionale.

Analizzando a livello di continen-

te, in Asia il numero delle per-

sone che soffrono la fame negli

ultimi vent’anni è diminuito di

quasi il 30%, passando da 739

milioni a 563 milioni, un calo

dovuto in larga misura allo svi-

luppo socio-economico di alcuni

paesi asiatici. Altrettanto in

America Latina e nei Caraibi si

è registrato un netto migliora-

mento. L’Africa è la

sola regione dove nel-

lo stesso periodo il

numero delle persone

che soffrono la fame è

cresciuto, passando

da 175 milioni a 239

con circa 20 milioni

che si sono aggiunti

negli ultimi quattro

anni: soffre la fame

quasi una persona

ogni quattro. Nelle zone sub saha-

riane, in particolare, l’incremento

della malnutrizione è nell’ordine

del 2% l’anno. Anche nei paesi

sviluppati si è registrato un au-

mento delle persone che soffrono

la fame: dai 13 milioni rilevati nel

biennio 2004-2006 si è passati ai

16 milioni dell’ultimo biennio

2010-2012.

Nel rapporto si afferma che per

ridurre in maniera significativa la

fame e la malnutrizione è necessa-

ria una generale crescita economi-

NOTIZIE DALLA SEDE DI ITRI

ca. Ma è fondamentale che sia il

settore agricolo, soprattutto nei

paesi poveri, a contribuire con l’in-

cremento sia quantitativo sia qua-

litativo della produzione di alimen-

ti.

Le cooperative agricole sono le im-

prese che più di altre possono rag-

giungere l’obiettivo efficacemente.

Gli studenti della 2°A - Agr.

di Itri.

P.S. le immagini sono state sca-

ricate dal sito www.fao.org, nella

sezione “Concorso per un poster

2012”, relativo al tema della GMA

e rivolto agli alunni e studenti fino

a 17 anni: ne abbiamo scelte alcu-

ne tra quelle selezionate tra le pro-

poste realizzate dai ragazzi più

grandi.

SportivamenteSportivamenteSportivamente Monica Cortese VS Marika Lanni

Intervista a

Monica Età: 17 anni

Professione: Studentessa

Sport: Canottaggio

Classe: 4°A Agr.

Da quanto tempo pratichi lo sport del

canottaggio? Monica: Ho iniziato sei anni fa, circa all’età di undici anni.

In quale categoria gareggi?

Monica: Pratico canottaggio a livello agonistico: categoria junior.

Cosa rappresenta per te il canottag-

gio, un hobby o una vera passio-ne? Monica: Per me il canottaggio rap-presenta una vera passione, nata dal-la curiosità di intraprendere questo sport particolare, caratterizzato da sacrifici e tante rinunce.

Qual è il tuo ruolo all’interno della

squadra? Monica: All’interno della squadra, ho un ruolo molto importante e impegna-tivo: il “leader”, cioè motivo e supporto i miei compagni per raggiungere tra-guardi importanti.

Quante volte a setti-

mana ti alleni? Monica: Mi alleno ogni giorno della settimana per circa tre ore, anche con condizioni climatiche avverse.

Quanto sacrificio comporta questo

sport? Monica: Il canottaggio è uno sport che richiede tanto impegno fisico ma anche molta concentrazione: un aspetto fondamentale di questo sport è l’organizzazione e il coordinamen-to. Come tutti gli sport, anche il ca-nottaggio richiede un impegno co-stante con tante rinunce: amici, tem-po libero, svago!

Provi soddisfazio-ne nel praticare il

canottaggio? Monica: Sì, provo soddisfazione soprattutto quando nelle competizio-ni riesco a dare il meglio di me, otte-nendo spesso anche riconoscimenti.

Quali sentimenti provi quando lo

pratichi? Monica: I miei sentimenti variano a seconda delle situazioni: durante gli allenamenti, sento un forte senso di appartenenza e di unione alla squa-dra ma anche voglia di divertirci insieme, durante le gare prevale la

“rabbia agonistica”, soprattutto quando non riesco a dare il massi-mo!

Hai mai vinto ga-re?

Monica: Sì, grazie alla mia deter-minazione sono riuscita ad ottenere risultati positivi.

Qual è la giusta alimentazione per

una ragazza che fa sport? Monica: Io seguo un’alimentazione ricca di sali minerali e proteine. Prima delle gare assumo carboidra-ti ma mai in quantità eccessiva.

C’è qualcosa che non ti piace di

questo sport? Monica: Non mi piace quando si verificano attriti e tensioni all’inter-no della squadra e quando non c’è coordinamento. Non è bello quando viene a mancare lo spirito di squa-dra.

Cosa ami di que-sto sport?

Monica: E’ uno sport che si diffe-renzia da altri, perché si pratica all’aperto, a contatto con la natura.

Fabio Della Corte (4°B Agr.)

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Numero 7 Pagina 22 IIILLL PERCHE’

ILILIL PERCHE’

Sportivamente Sportivamente Sportivamente Marika Lanni VS Monica Cortese

Intervista a

Marika Età: 15 anni

Professione: Studentessa

Sport: Canottaggio

Classe: 2° A Alb.

Da quanto tempo pra-tichi lo sport del ca-

nottaggio? Marika: Lo pratico da agosto e devo dire che mi piace sempre più.

In quale categoria giochi?

Marika: Sono nella categoria “ ragaz-zi”, secondo anno

Cosa rappresenta per te il canottaggio, un

hobby o una vera passione? Marika: Non è solo un hobby, l’ho ini-ziato perché l’attività fisica è importan-te e mi sono appassionata sempre più.

Qual è il tuo ruolo all’interno della squadra?

Marika: Nel canottaggio esiste un solo ruolo, quello del capitano, ovvero quello che ha più esperienza.

Quante volte a setti-mana ti alleni?

Marika: Mi alleno sei giorni alla setti-mana per tre ore giornaliere e nel perio-do di gara, tutti i giorni sempre per tre ore.

Quanto sacrificio comporta questo sport?

Marika: Comporta molti sacrifici soprattutto a livello scolastico ma anche il tempo libero è molto ridotto.

Provi soddisfazio-ne nel praticare il

canottaggio? Marika: Sì, provo soddisfazione per-ché, a mio parere, questo sport aiuta a liberare la tensione accumulata durante il giorno.

Quali sentimenti provi quando lo pratichi?

Marika: Provo rabbia e soddisfazio-ne allo stesso tempo: la prima, quan-do non riesco a raggiungere un obiet-tivo, la seconda, quando tutti i miei sforzi trovano un senso e un risultato positivo.

Hai mai vinto gare? Marika: Poiché ho iniziato da poco tem-

po, le prime gare le avrò a marzo an-che a livello nazionale.

Qual è la giusta alimentazione per una ragazza che fa

sport? Marika: Dobbiamo mantenere un’a-limentazione corretta e varia: carboi-

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drati, proteine, frutta e verdura, evi-tando bibite gassate e snack.

C’è qualcosa che non ti piace di

questo sport? Marika: L’unico svantaggio è quan-do dobbiamo allenarci nei mesi fred-di! Ma è comunque uno sport magni-fico.

Cosa ami di que-sto sport? Marika: Il canottag-

gio richiede forza fisica e mentale, è uno degli sport più faticosi, ma ti aiuta a contare su te stessa! Questa è una cosa per me molto importante!

Giorgia Caberlon

(2°A Alb.)

ILILIL PERCHE’

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Numero 7 Pagina 23

ILILIL PERCHE’

Alessia Alinari Classe: 3°B – Chimico. Il Perché: Puoi descrivere il tuo carattere in due parole? Alessia: Sono una ragazza estrover-sa, simpatica, un po’ "pazza". Mi pia-ce molto stare in mezzo alla gente, reagisco sempre d’impulso e non mi faccio mai influenzare dai giudizi degli altri. Il Perché: Qual è il tuo rapporto con i ragazzi? Alessia: Sono fidanzata da pochissi-mo e sto molto bene con lui. Comun-que non sono una ragazza timida, quando c'è un ragazzo che mi piace particolarmente, cerco di stabilire un rapporto con lui. In realtà però sono una ragazza un po’ all'antica, per questo cerco sempre rapporti seri. Il Perché: Cosa ti piace fare nel tempo libero? Alessia: Sto con il mio ragazzo, esco con le amiche, faccio molto shopping e compro soprattutto cosmetici. Una mia passione è il calcio! Guardo molto le partite in tv, soprattutto quelle del-la mia Juve! Il Perché: Ti piace il tuo aspetto fisico e come ti curi?

Alessia: Del mio aspetto fisico, mi piacciono soprattutto i capelli, alme-no questo è quello che mi dicono tutti. Io mi vedo grassa e per questo sono perennemente a dieta. Mi curo mol-tissimo, adoro truccarmi, spendo tantissimo in trucchi. Mi piace curarmi i capelli ma penso che arri-verò a 20 anni calva per quanto li "stresso" (ride).

Il Perché: Cosa pensi che piaccia ai ragazzi di te? Alessia: Punto molto sul carattere, cerco di mettere in prima luce la mia simpatia. Non cambierei mai il mio carattere per nessuno, sono del pare-re che chi mi ama, lo debba fare per quello che sono veramente. Mi curo comunque molto, per presentarmi al meglio. Il Perché: Qual è il tuo rapporto con la scuola e lo studio? Alessia: Sono in terzo, anche se do-vrei frequentare il quarto. L'anno scorso sono stata una stupida non avendo mai aperto libro. Quest'anno però cercherò di impegnarmi al mas-simo per uscire senza debiti. Non mi piace andare a scuola, preferisco ri-

manere a casa a dormire, anche se mi fa piacere incontrare lì i miei amici. Il Perché: Quali sono le motiva-zioni che ti hanno spinta a sce-gliere l’indirizzo chimico? Alessia: Mi piace innanzitutto la chimica come materia, poi per il la-voro che vorrei fare da grande questo indirizzo di studi è proprio l'ideale: mi piacerebbe entrare nei RIS! Il Perché: Pratichi qualche sport? Alessia: Per tenermi in forma vado in palestra, anche se uno sport che amo moltissimo è la pallavolo. L'ho praticato per 6 anni, poi ho dovuto smettere a causa di un problema al ginocchio. Il Perché: Quali sono i valori fondamentali della tua vita? Alessia: Per me i valori fondamenta-li della mia vita sono in primo luogo la famiglia, perché so che i miei fa-miliari ci sono e ci saranno sempre, non mi abbandoneranno mai; poi ci sono gli amici che, come dico io, me-glio pochi ma buoni!

Sessa Silvia & Marika Carnali (3°B P.I.)

Facce da copertina…?Facce da copertina…?Facce da copertina…?

Numero 7 Pagina 24 IIILLL PERCHE’

Andrea Calisi Classe: 5° G Chimico Il Perché: Puoi descrivere il tuo carattere in due parole? Andrea: Penso di essere un ragaz-zo simpatico e abbastanza estrover-so, anche se devono essere gli altri a giudicarmi. Sono comunque un ragazzo educato e molto ordinato, anche se la puntualità non è il mio forte. Il Perché: Qual è il tuo rappor-to con le ragazze? Andrea: Non mi sbilancio…punto sul carattere e sulla simpatia. Mol-te ragazze dicono che sono anche bello, ma io sinceramente mi sento più bello dentro (ride). Il Perché: Cosa ti piace fare nel tempo libero? Andrea: Gioco a calcetto, non ho un ruolo preciso in campo perché sono talmente bravo da poter fare tutto (ride ancora), scherzi a parte, la maggior parte delle volte gioco in difesa. Quando non gioco a calcio, mi piace uscire con gli amici o ve-dere film, preferibilmente horror.

Il Perché: Quali sono le moti-vazioni che ti hanno spinto a scegliere l’indirizzo chimico? Andrea: Ho scelto questo indiriz-zo perché inizialmente mi piaceva la chimica poi, con il passare de-gli anni, ho capito che preferivo altre materie…ma ci sono e cerco di impegnarmi. Il Perché: Pratichi qualche sport? Andrea: Mi piace molto lo sport. Vado in piscina, gioco spesso a calcetto e a pallavolo. Amo il gioco di squadra. Il Perché: Quali sono i valori fondamentali della tua vita? Andrea: I valori fondamentali della vita per me sono l’amicizia, l’amore e la famiglia. I miei amici nel momento del bisogno ci sono sempre stati e mi hanno aiutato con ottimi consigli, la mia fami-glia mi ha sempre sostenuto e non mi ha mai fatto mancare niente.

Sessa Silvia & Marika Carnali (3°B P.I.)

Il Perché: Ti piace il tuo aspet-to fisico e come ti curi? Andrea: Non vorrei sembrare pre-suntuoso ma sì, mi piaccio molto anche se ultimamente sono ingras-sato un po’ e forse così mi piaccio ancora di più! Non mi curo in par-ticolar modo, anche perché mi sento bello così come sono (viva la sinceri-tà!). Il Perché: Cosa pensi che piac-cia alle ragazze di te? Andrea: Mi è stato detto di essere dolce e carino, poi lascio giudicare a loro… Il Perché: Qual è il tuo rappor-to con la scuola e lo studio? Andrea: Devo dire che fino all’an-no scorso ho studiato veramente poco e forse ora me ne pento un po’… Quest’anno, in vista degli esa-mi, sto cercando di impegnarmi di più. La mia materia preferita è bio-logia, mi affascina molto. Nono-stante tutto mi piace venire a scuola perché si conosce tanta gente e so-prattutto perché ho una classe mol-to unita. Voglio bene a tutti e insie-me ci divertiamo sempre molto.

Facce da copertina…?Facce da copertina…?Facce da copertina…?

IIILLL PERCHE’

Numero 7 Pagina 25

Rap, termine derivato dall'acroni-mo delle parole inglesi Rhythm And Poetry, è uno stile di vita sorto negli Stati Uniti d'America verso la fine degli anni sessanta e diventato parte di spicco della cul-tura moderna. Il termine è stato inventato dal cantante Joe Tex. Il Rap è la componente vocale del-la cultura hip hop e consiste es-senzialmente nel "parlare" se-guendo un certo ritmo. Questa tecnica vocale è eseguita da un MC (freestyler), mentre il DJ ac-compagna l'MC. Gli stili di ballo hip hop (specie la breakdance), il graffiti writing, il rapping e il DJing sono i quattro elementi del-la cultura hip hop, nata presso la comunità afroamericana e latinoa-mericana di New York nei primi anni settanta, come un riadatta-mento americano del DJ style, uno stile di reggae giamaicano ritenuto il principale precursore di questo genere. Dopo questa breve introduzione,

I'm rapper I'm rapper I'm rapper

Numero 7 Pagina 26 IIILLL PERCHE’

utile a capire cosa sia il Rap, sen-tiamo chi questo genere di musica lo pratica e lo fa nella propria vita. Il nostro compagno della 1B Tc, Bruno Esposito. Il mio nome è Bruno Esposito A.K.A (also known as – espressione inglese che significa "anche cono-sciuto come") Fyha. Scrivo musica Rap dal 2010, sono quasi tre anni. La mia passione per il Rap è nata semplicemente ascoltandolo: più mi avvicinavo alla cultura hip hop, più avevo voglia di provarci e da lì ho cominciato a scrivere, solo quat-tro mesi fa ho iniziato a produrre vere e proprie canzoni. Il mio AKA, ovvero Fyha, che in giamaicano significa Fuoco, l’ho scelto per

esprimere il fuoco che avevo dentro e che, tramite la musica, riuscivo a tirare fuori, dando il meglio di me. Cos’è il Rap per me? Per me il Rap è l’unico modo per esprimere tutto ciò che sento, tutto ciò che provo, ogni mio pensiero, lo metto in rima e acquista un senso. Ecco come mi sfogo! Il mio Rap tratta diversi ar-gomenti, non ho un solo tema, rie-sco a scrivere su tutto. Il Rap si divide in Old School e New School. Io sono molto più orienta-to verso l’Old School, la “Nuova Scuola” parla di argomenti molto più commerciali, io invece preferi-

sco trattare di tematiche piuttosto serie, nel senso di cose vere che sen-to dentro. Non mi piace parlare di cose stupide o inventate, mi piaccio-no le tematiche legate alla realtà che vivo quotidianamente. Non con-tano le visualizzazioni su youtube, non contato le persone che ti seguo-no, l’importante è rimanere vero e “spingere la tua roba”. Faccio parte di un gruppo, Quei Bravi Ragaz-zi Crew, composto da me e mio fratello. Stiamo progettando un Mixtape ovvero un cd con basi già prodotte (Instrumental) e siamo alla ricerca di un Dj. Cosa penso della Scena italiana hip hop?...Una sola parola: Rip,“rimpiango il passato”. Ora il Rap è una moda che tutti seguono, non ha più un valore, per quello che penso io se qualcosa non cam-bia non vedremo più un nuovo Don Kaos, questi ultimi insieme a gran-di altri artisti come Turi, Cor Vele-no, Sacre Scuole e i Club Dogo ( Ai tempi di Mi Fist e Penna Capitale) Bassi Maestro Frankie HI-NRG MC ,ATPC, Sangue Misto, Gli arti-colo 31, 99 Posse, Esa, I Zona Dopa ,Yoshi (Aka Tormento) Inoki, Nesli, Piotta ,I Sottotono, I Flaminio Maphia , Stokka e Mad Buddy, Kiave, Dj gruff E Uomini di Mare, Questi sono tanti artisti che hanno fatto la storia del Rap italiano. La differenza tra oggi e 20 anni fa, è che prima il rap si faceva per protestare per creare disagio, oggi è l’inverso, tutti scrivono e rappano semplice-mente per avere successo. Questo è il rap ed è un genere musicale spesso paragonato ad una gioventù “bruciata”, io credo sia il contrario, il Rap dovrebbe essere associato ad una gioventù che ha voglia di andare avanti, una gioventù che crede anco-ra in se stessa e che ama questa mu-sica.. quindi credo sia sbagliato defi-nirla una musica per “Disastrati”.

ILILIL PERCHE’

Bruno Esposito

SCELTA PER VOI DA SCELTA PER VOI DA SCELTA PER VOI DA

We Are the World. USA for Africa There comes a time when we need a certain call When the world must come together as one There are people dying Oh, and it's time to lend a hand to life The greatest gift of all We can't go on pretending day by day That someone, somehow will soon make a change We're all a part of God's great big family And the truth - you know love is all we need coro We are the world, we are the children We are the ones who make a brighter day so let's start giving There's a choice we're making We're saving our own lives It's true we'll make a better day Just you and me Well, send'em you your heart So they know that someone cares And their lives will be stronger and free As God has shown us By turning stone to bread And so we all must lend a helping hand coro When you're down and out There seems no hope at all But if you just believe There's no way we can fall Well, well, well, let's realize That one change can only come When we stand together as one

Era il 1985 quando Michael Jackson e Lionel Richie scrissero We Are the World. We Are the World fu un singolo inciso a scopo benefi-co da USA for Africa e composto da tante celebrità della musica pop, tra cui Lionel Richie, Michael Jackson, Bruce Springsteen, Ray Charles,, Billy Joel, Tina Turner, Bob Dylan. Per questa canzone parteciparono 45 artisti oltre a quelli menzionati sopra, incluso lo stesso Bob Geldof ideatore del progetto Live Aid.

Traduzione Arriva il momento in cui abbiamo bisogno di una chiamata particolare Quando il mondo ha bisogno di diventare una cosa sola C’è gente che muore E’ il momento di dare una mano alla vita Il più grande dono di tutti Non possiamo continuare giorno dopo giorno a far finta che Sarà qualcun altro a cambiare prima o poi Facciamo tutti parte di questa grande famiglia di Dio E la verità, e che l’amore è tutto ciò di cui abbiamo bisogno Noi siamo il mondo, noi siamo i bambini Siamo noi gli artefici di un domani più luminoso Allora, cominciamo a donare Stiamo facendo una sceltaStiamo salvando le no-stre stesse vite E’ vero, creeremo un domani migliore Lo faremo tu e io Be’, gli manderemo il tuo cuore Così capiranno che qualcuno pensa a loro E le loro vite diverranno più forti e libere Come Dio ci ha dimostrato Trasformando la pietra in pane Tutti noi dobbiamo dare una mano Quando ti senti giù e sei stremato Sembra non esserci alcuna speranza Ma se ci credi e basta Non potremo mai fallire Bene bene capiremo Che le cose potranno cambiare soltanto Quando saremo uniti come se fossimo una cosa sola

IIILLL PERCHE’

Numero 7 Pagina 27

Numero 7 Pagina 28 IIILLL PERCHE’

SSScotti e cotti e cotti e bbbruciatiruciatiruciati

Dolce tipico Dolce tipico Dolce tipico

AlbaneseAlbaneseAlbanese Ingredienti (dosi da convento):

1 Kg di farina

1 Kg di zucchero

Mezzo barattolo di miele (6 cuc-

chiaini)

1 cucchiaino di bicarbonato

1 busta di cacao magro (3

cucchiai)

200 gr di burro

200 gr di noci

4 uova (delle quali un tuorlo

viene messo da parte)

Procedimento:

In una terrina unire le tre uova con un bicchiere di zuc-chero e un bianco d’uovo

Mettere da parte il quarto tuorlo

Aggiungere farina , bicarbo-nato, cacao, noci sminuzzate, burro sciolto e miele. Lavora-re fino ad ottenere un impa-sto omogeneo, se occorre, aggiungere altro burro

Prendere una teglia ed un-

gerla di burro (o olio), versa-re l’impasto in modo unifor-me

Sbattere il tuorlo, messo da parte in precedenza e sten-derlo sulla superficie del dol-ce

Infornare per 40/45 minuti a 180°C

Versare in una pentola 1 l d’acqua e il restante zucche-ro, aggiungere del succo di limone ed alcune bucce. Far sciogliere lo zucchero e por-tare ad ebollizione

Solo una volta raffreddato il dolce, tagliarlo a rombi su un vassoio e bagnarlo con lo “sciroppo” di zucchero e li-mone

Coprire il dolce per far as-sorbire lo sciroppo


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