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PM di giugno 2013

Date post: 26-Mar-2016
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Con il PM di giugno 2013 si chiude l’anno scolastico e ci si prepara alle meritate (?) e tanto sognate vacanze estive
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ANNO 87 • n° 1008 • € 3,00 • Poste Italiane s.p.a. • sped. in a.p. • D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art.1, comma 1, DCB VERONA giu 2013 - n. 6 www.bandapm.it il piccolo missionario CONtIENE I.P.
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Zoom I ragazzi di padre Xavier

Speciale

giu 2013 - n. 6

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V uoi mettere. “Mandami una cartolina” si diceva una volta agli amici e amiche che andava-no in vacanza; ai figli che partivano per i campi scuola o campeggi; ai parenti che lasciavano casa e paese per andare a lavorare o studiare lontano.

Vuoi mettere. La gioia nel ricevere la cartolina che ci impiegava 15 giorni ad arrivare dalla spiaggia distante appena 100 chilometri. Le frasi, belle e commoventi, scritte sulla parte sinistra del bigliet-to. Il tempo “perso” trascorso a cercare le espressioni più simpatiche e spiritose con cui farsi belli davanti agli amici, le fidanzate, i parenti, soprattutto nonni e zii che ricambiavano il ricordo con una bella mancetta.Vuoi mettere. Il ritrovamento di cartoline del passato, dimenticate per anni in armadi, cassetti, libre-rie e scatole di ogni forma e tipo. Il piacere di sfogliarle per ricordare, rivivere, collezionare indimenti-cabili momenti del cuore e della mente.

Con le cartoline ammuffite e scolorite puoi fermare piacevolmente il tempo e immergerti nel “mare dei ricordi”. Qui vengono

a galla luoghi, persone, emozioni che i più comodi messaggi dei social network cercano di elimi-

nare in un istante. Le raffiche di foto digitali e gli sms che ci tengono perennemente con-

nessi e rintracciabili svaniscono negli ar-chivi di cellulari, mail, smartphone e pc,

destinati ad occupare giga di memo-ria per niente.In questa estate che inizia – an-che se oggi solo 1 viaggiatore su 20 usa la classica “postal card –, scrivi qualche cartolina in più e messaggi di Facebook in meno. Sarà più facile, tra qualche anno, ricreare l’atmosfera di quella vacanza indimenticabi-le, che ha bisogno di calma, lentezza, serenità e incon-tri per essere vissuta fino in fondo. Le cartoline servono a questo; per la frenesia di “tutta la vacanza minuto per minuto” bastano gli sms. Tanti saluti e baci a te e famiglia.

C'era una cartolina per te

KataboomContro le A.D.M.(Armi di Distrazione di Massa)

Giu 2013

Attualità a cura di Pablo Sartori

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Quella tua magli etta fina…

...c he quando la indossi ti fa senti-re “più fico e trendy” (alla moda). Prova a fare la prova. Apri l’arma-

dio e guarda se nelle etichette delle tue magliet-te da 6,95 euro l’una c’è scritto: made in Ban-gladesh. Se la risposta è positiva, sappi che questo poverissimo paese asiatico è diventa-to il secondo esportatore al mondo di prodotti tessili, dopo la Cina. E che nell’industria tessile bengalese sono impiegati poco meno di 4 mi-lioni di operai, soprattutto donne, con paghe da fame e in condizioni di lavoro di vera e propria schiavitù.

GLI “ATELIER” DELLA MISERIA

«I prodotti del mio paese vengono venduti a prezzi stracciati e la nostra manodopera è la più economica del mondo. Il governo e le leggi per-mettono che i lavoratori non vengano protetti. I compratori internazionali non si curano di quan-to vengono pagati o delle condizioni di produ-zione». Così si esprime Taslima Akhter, 39nne fotografa bengalese e attivista dei diritti umani, a commento della foto da lei stessa scattata tra le macerie della fabbrica di vestiti del Rana Pla-za. Nella foto si vedono i cadaveri di due operai

Giu 2013

Lo sconvolgente crollo del Rana Plaza,a Savar Upazila, in Bangladesh

Quella tua magli etta fina…

RANA PLAZA: Il 24 aprile scorso, a Savar, peri-feria industriale della capitale Dacca, è crollato il palazzo Rana Plaza, un edificio di 8 piani che ospitava tre fabbriche tessili, in cui lavoravano 3mila operai, e un centro commerciale. Il nume-ro dei morti finora accertati è salito a 1127. Le persone sopravvissute sono 2437; di queste più di mille sono rimaste ferite e molte in maniera grave

GRANDI MARCHE EUROPEE: L’Unione europea acquista il 60% delle esportazioni del Bangla-desh, facilitate da una clausola di “accesso” nel mercato dei 27 Paesi europei. Il giro d’affari è in aumento: 8 miliardi di euro nel 2011; 8,6 miliar-di nel 2012. I principali acquirenti nel mercato europeo sono Germania, Regno Unito, Spagna e Francia.

sepolti dalle macerie, ritratti in un commovente ultimo abbraccio di dolore e morte.Il ragionamento di Taslima non fa una grinza. E i fatti le danno ragione. Perché le grandi marche europee e internazionali affidano la loro produ-zione di abbigliamento alle ragazze e alle donne del Bangladesh? Perché il salario che queste operaie ricevono è di 38 euro al mese. Calco-lato che esse lavorano 12 ore al giorno, con soli quattro giorni di riposo al mese, il loro guadagno finale è di 1,40 € al giorno. Ossia 11 centesimi di euro all’ora!

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Per cifre simili Farida, 26 anni, rischia la vita ogni giorno. Taglia e cuce magliette in una trappola di cemento situata al quarto piano di un edifi-cio pieno di crepe, dove non arriva l’acqua nei bagni, dove non c’è nessun tipo di ventilazione né estintori contro gli incendi né scala di emer-genza. Lavora senza sosta, in stanze rumoro-se piene di polvere, casse e tela. «Meglio con le magliette che con i jeans. Stanno peggio le mie colleghe che “sparano” spruzzi di sabbia (san-dblasting) contro i jeans per renderli più vecchi e consumati. Sai dove va a finire, alla fine, tutta quella sabbia? Nei nostri polmoni!».In Bangladesh, secondo Amirul Haque Amin, presidente del Sindacato Nazionale dei Lavo-ratori Tessili (NGWF), «quelle operaie sono le vittime “collaterali” dell’avidità di denaro delle multinazionali e dei governi. La loro vita è il vero prezzo dell’etichetta made in Bangladesh».

DIETRO L’ETICHETTA

Un altro motivo per il quale le più importanti multinazionali dell’abbigliamento scelgono di produrre in Bangladesh è dovuto al fatto che il 40 per cento della manodopera industriale del paese lavora nel settore tessile. Le fabbriche di vestiti bengalesi – 4500 circa – rappresentano l’80% delle esportazioni nazionali e portano, ogni anno, nelle povere casse dello stato ben 15 miliardi di euro.

Una nazione “tessile-dipendente” come il Bangladesh fa molto co-modo alla corporation americana PVH, la più grande impresa di pro-duzione di camicie (marchi Tommy Hilfiger, Calvin Klein); alla tedesca Tchibo; all’inglese Primark; alle ita-liane Yes-Zee e Benetton; alla spa-gnola Mango e alle varie fabbriche bengalesi produttrici per Carrefour, Walmart, Disney e C&A. Investire e “dare da lavorare” in Bangladesh alla fine conviene: sempre meglio del Marocco, dove i lavoratori si sono fatti “furbi” e adesso preten-

dono salari minimi a partire da 170 euro al mese. Esagerati!Ecco allora, secondo una denuncia della Cam-pagna Abiti Puliti, cosa c’è “dietro” una magliet-ta o un jeans low cost: le vite distrutte degli schia-vi “globali” bengalesi e la loro morte considerata un inevitabile “incidente sul lavoro”. Ma anche la vergogna del consumismo del ricco Nord del mondo che pur di possedere oggetti a basso co-sto è disposto a sacrificare la vita dei più deboli. Ma tanto, il Bangladesh è così lontano…

Una foto della campagna “Abiti Puliti” e la sua ideatrice Taslima Akhter

CAMPAGNA ABITI PULITI: La Cam-pagna Abiti Puliti (sezione italiana della CCC, Clean Clothes Cam-paign) è nata per migliorare le con-dizioni di vita e di sicurezza delle donne e degli uomini che lavorano nel settore tessile e dell’abbiglia-mento. La CCC, presente in 14 Paesi europei, punta alla sensibilizzazione dei consumatori e a far pressione su imprese e governi, per salvaguardare i diritti di chi lavora “per vestire mezzo mondo”.

Costantino 313

a cura di Elio Boscaini

U n editto che ha cambiato il volto della cristianità. È l’Editto di Milano (me-glio conosciuto come Editto di Costantino) con il quale, nel febbraio 313, quindi 1700 anni fa, gli imperatori dell’impero romano d’Occidente

e d’Oriente, Costantino e Licinio, riconoscevano il diritto di ogni cittadino di professare in modo libero e pubblico la propria religione. L’arcivescovo di Mila-no Angelo Scola, nel settembre 2012, ha rivolto ai fedeli milanesi la lettera Alla scoperta del Dio vicino per spiegare che l’anniversario deve costituire «l’occa-sione non solo per riprendere il tema della libertà religiosa, ma anche una rifles-sione sulla rilevanza pubblica della religione». Non poteva, quell’editto, non essere anche un editto “politico”, nel senso che faceva gli interessi di chi governava, in primis Costantino, che intuiva nella crescita del cristianesimo lo strumento di cui necessitava per fondare l’unità dell’impero. La società romana, infatti, era in preda a continue lotte intestine per il potere, nelle quali l’appartenenza religiosa era un ulteriore motivo di di-visione. Costantino e il suo collega Licinio, quest’ultimo convinto “pagano”,

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L'impero romano d'oriente e occidente ai tempi di Costantino

Speciale

A 1700 anni dall’emanazione del famoso Editto di Milano

Costantino 313Persecuzione dei cristiani ad opera degli imperatori

Diocleziano e Massimiano nell'anno 301

Giu 2013

dopo aver sconfitto Massenzio nella battaglia di ponte Milvio, fecero quindi una scelta di grande significato politico, dichiarando che tutti i cittadini dell’impero, inclusi i cristiani fino allora perseguitati dai tempi di Nerone, potevano profes-sare la religione in cui credevano, senza limitazione né ingerenza alcuna da parte dello stato. Ai cristiani sarebbero stati anche restituiti i beni che erano sta-ti sottratti e messi in vendita durante le persecuzioni recenti. Tuttavia i due imperatori affermavano nello stesso editto che «la reverenza of-ferta alla divinità» era tra le cose che più portavano vantaggio all’umanità e che era un elemento importante per sicurezza pubblica. Invocando l’aiuto benigno di Dio, parlavano di una divinità superiore, ma senza specificare chi fosse que-sto dio, se il Dio dei cristiani o una divinità dell’Olimpo pagano. Ogni cittadino romano, comunque, poteva identificarsi nel Dio di cui era fedele.L’Editto, oltre a porre fine alle persecuzioni contro i cristiani, affermava il con-cetto che nessun potere poteva essere divinizzato, se non quello di Cristo. La fede cristiana, da religione repressa e oggetto di persecuzioni, fu dichiarata re-ligione lecita. Dopo tre secoli di discriminazioni, nel 313 i cristiani uscirono dalle catacombe. Questo riconoscimento legale di tutti i cristiani avviava la progres-siva e inarrestabile cristianizzazione dell’impero romano.

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UN DIRITTO PER TUTTI

Che senso ha ricordare e celebrare, a 1700 anni di distanza, l’Editto di Mila-no? La risposta è nell’occasione offerta a tutti di riflettere sul rapporto che esi-ste tra realtà di fede e istituzioni pubbli-che. Un rapporto problematico oggi in tanti paesi del mondo, sia islamici che cristiani. Con Costantino il cristianesimo finì per diventare la religione dell’impero, rimpiazzando la religio dei romani. Ciò favorì, nel 380, l’Editto di Tessaloni-ca dell’imperatore Teodosio, che con-traddicendo quello di Costantino, farà del cristianesimo la religione di stato,

arrivando fino a proibire i culti pagani. Con il risultato che la speranza del-la libertà religiosa per tutti sparisce e questo per secoli. Non è forse su-perfluo ricordare che nel 393, inter-pretando i Giochi olimpici come una festa pagana, lo stesso Teodosio de-cise di porre fine a questa tradizione millenaria, ripresa solo nel 1896, ol-tre 1500 anni dopo.Oggi, la libertà religiosa è tornata a essere il cuore dei diritti della perso-na umana. Ma forse è anche giusto

A fianco: Nel quadro del pittore Van Dyck, l'incontro tra Teodosio e Sant'Ambrogio, ispiratori dell'Editto di Tessalonica.

Sotto: Il celebre incontro di Assisi del 1986, organizzato da Giovanni Paolo II, per celebrare, insieme ai principali leader religiosi mondiali, la “Giornata Mondiale della Preghiera”. L’inedita iniziativa, che scavalcava pregiudizi e vecchie ostilità, rimane ancora oggi un bellissimo esempio di impegno ecumenico e di pace.

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La storia di un missionario “accarezzato” dall’amore di Dio e dei ragazzi che incontra nelle strade e nelle carceri

Zoom a cura di Pablo Sartori

I ragazzi di padre Xavier

Padre Xavier e un gruppo di “suoi ragazzi”

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Giu 2013

A bbiamo incontrato padre Saverio Paolillo (Xa-vier), per i suoi molti amici brasiliani, un missiona-rio comboniano che da 13 anni si occupa di ragaz-

zi e giovani incontrati sulle strade e nelle carceri di Vitória, città dello stato brasiliano di Espírito Santo. Xavier lavora assieme ad altre persone in coraggiosi progetti “di strada” tendenti a ridare dignità a migliaia di giovani e adolescenti delle zone marginali della città o appartenenti a famiglie in grandi difficoltà. La sua è una “missione” particolare, in li-nea con il vangelo di Gesù e dei suoi discepoli: condividere la vita, i problemi e le speranze dei più deboli ed emargina-ti. Ecco la sua testimonianza in questa breve intervista.

D. Xavier, quando e come hai cominciato a lavorare con quelli che oggi sono i “tuoi” ragazzi di Vitória?Facciamo un passo indietro. Tutto nasce nel 1997, a par-tire dalla situazione che viveva la parrocchia comboniana di san Giuseppe Lavoratore. C’erano tanti bambini per la strada, specie nel quartiere di san Sebastiano dove si con-centrava il maggior numero di casi di prostituzione. Molti bambini nascevano, o meglio venivano “messi al mondo”, senza nessun rapporto di amore e di affetto con i loro ge-nitori. Le comunità cristiane della zona decisero allora di fare qualcosa. Si trattava di fare in modo che questi bam-bini-ragazzi prendessero poco a poco piena coscienza del loro valore e dei propri diritti. Volevano essere considerati “persone”, in grado di lottare per conquistare ciò che ap-parteneva loro.

I ragazzi di padre Xavier

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D. Qual è stato il vostro primo progetto?Il primo progetto si chiama “Lasciami essere cittadino”. Non si tratta, ripeto, soltanto di dare un piatto di minestra, ma di far loro aprire gli occhi sulla propria realtà, farli diventare prota-gonisti della propria trasformazione in cittadi-ni. All’inizio il progetto accoglie piccoli gruppi di ragazzi che frequentano la scuola, quindi il centro “Lasciami essere cittadino”. La sera tornano in famiglia perché si punta a salvare i pur fragili rapporti familiari, soprattutto con le mamme, le quali sono invitate a riconoscere i figli con un certificato di nascita e soprattutto a svolgere il loro ruolo di madri.

D. E gli altri ragazzi, che non avevano una famiglia alle spalle?In breve tempo, oltre a questi ragazzi che ave-vano un minimo di rapporto con la loro famiglia, cominciarono ad arrivare anche bambini e ado-lescenti che vivevano completamente sulla stra-da. La notte, molti di questi bambini dormivano nel cortile e nel garage della nostra parrocchia, vicina ad una grande arteria stradale molto traf-ficata. Era l’Anno santo 2000, vicino alla parroc-chia c’era la canonica: vuota perché conside-rata poco sicura. Giovanni Paolo II invitava ad aprire le porte a Cristo e quindi deci-demmo, con il parere posi-tivo del consiglio pastorale

parrocchiale, di fare della canonica un luogo di accoglienza dei bambini di strada. Nacque così il secondo progetto, denominato “Nostra casa”. Un punto di riferimento, un ambiente dove questi

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UNA RETE PER LA CITTADINANZA

P adre Xavier è impegnato nel coordina-mento dei progetti della rete Aica (Ac-

compagnamento integrato di bambini e ado-lescenti) che si occupa di ragazzi e giovani che sono sulla strada o legati alla criminalità. Il principio che guida il lavoro dell’Aica è il rispetto della dignità e dei diritti di ogni per-sona. La rete sostiene nove progetti. Quattro che accolgono i ragazzi nel doposcuola (pre-venzione); tre case di accoglienza, di cui due case-famiglia e una comunità di “passaggio”); un programma di libertà assistita comunitaria; un programma di formazione professionale; il progetto chiamato “Giovani urbani”, che ha lo scopo di favorire l’inserimento di giovani tra i 15 e i 20 anni nel territorio dove vivono.

Via Crucis dei bambini di strada

Giu 2013

bambini potessero mangiare qualcosa, lavarsi, fare il bucato, dormire. Un punto di passaggio, ma che, nel tempo, è diventato anche un punto di partenza per ricostruire la vita e i legami af-fettivi di questi ragazzi e ragazze che vivevano per strada, che bevevano e usavano vari tipi dro-ga, comprese le micidiali colle da sniffare.

D. Ma cosa c’entra la missione in tutto que-sto lavoro “sociale”?Per me una Chiesa missionaria è quella che esce da sé stessa e che non sta lì ad aspettare. Que-sto farmi prossimo dell’altro – bambini di strada, famiglie distrutte, barboni, gente che non viene in chiesa e quindi tu vai loro incontro – significa mettersi a servizio della vita, della dignità uma-na. Ecco il senso della missione. Quindi se l’uo-mo si riscopre come essere umano con i suoi diritti rispettati, si sentirà amato da Dio. Questo

incontrare, questo avvicinarsi è, secondo me, il più grande strumento di evangelizzazione. Per me il senso della missione è questo mettersi a servizio della vita. In questo mi sento amato, ac-carezzato da Dio per il bene che questi ragazzi, questa gente mi vuole. Un amore che io chiamo “la carezza di Dio”, e che non posso tenere tutto e solo per me.

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Via Crucis dei bambini di strada

N ella mia vita ho visto di tutto.Ho visto un re. Un re che piangeva, seduto sulla sella, piangeva tante lacrime, ma tante che bagnava anche il cavallo! Povero re! E povero

anche il cavallo!Ho visto Bobo Merenda, operaio in una fabbrica di bombe a mano, innamo-

rarsi di Blanca, una bella lente a contatto “che da sé si applicò”.Ho visto Gigi Lamera, operaio alla catena di montaggio, che indossava una cravatta com-perata all’Upim e si vergognava di dire che andava al lavoro in bici. Per non esser da meno della bella signorina della quale si era innamorato, prendeva anche lui il treno per andare a lavorare. Prendeva il treno per non essere da meno, anche quando aveva perso il lavoro.Ho visto un ragazzo-padre, abbandonato dalla moglie e sbattuto fuori di casa assieme al figlio. Un ragazzo-padre che non sa più dove andare, che chiede la carità, che non lo fanno neanche entrare in comune, perché considerato “un peccatore di questa società”.Ho visto Vincenzina, giovane immigrata del sud, sostare davanti al cancello della fab-brica. Vincenzina non mette più il foulard e guarda la fabbrica come se al mondo non ci fosse altro che quella. Vincenzina che sente l’odore di pulito anche là dove c’è solo fatica e lavoro.

Il racconto

della vita

Chasqui

I scarp dE Enzo

Il magazzino delle idee Vengo anch’io? No tu no Vengo anch’io? No tu noVengo anch’io? No tu no. Ma Perché? Perché no El purtava i scarp de tennis, el parlava de per lurincorreva già da tempo un bel sogno d’amore.El purtava i scarp de tennis, el g’aveva du occ de bunl’era il prim a mena via, perché l’era un barbon.(Portava le scarpe da tennis…, parlava da solo…,aveva gli occhi di una persona buona…, era il primo ad essere portato via perché era

un barbone…) Fu quando gli zingari arrivarono al mare che la gente li vide, che la gente li vide come si

presentano loro, loro, loro gli zingari, come un gruppo cencioso, così disuguale e negli occhi,

negli occhi impossibile, impossibile poterli guardare (…)Sì, perché il vecchio, proprio lui, il mare, parlò a quella gente ridotta, sfinita, parlò ma non disse

di stragi, di morti, di incendi, di guerra, d’amore, di bene e di male, non disse lui. li ringraziò

solo tutti di quel loro muto guardare La musica e la poesia di Enzo restano una lezione umana per tutti. La lezione dei poeti: la

capacità di vedere, e farci vedere, ciò che abbiamo sempre davanti agli occhi e che spesso

non vediamo. Il merito di Jannacci è quello di averci fatto vedere prima di tanti, il concetto di

“periferia” intesa come luogo di povertà però anche di umanità (don Virginio Colmegna, presidente della Casa della Carità di Milano)

Tu, Enzo, hai dato voce a quelli che la voce non ce l’hanno,gli anonimi, gli sconfitti della storia(don Roberto Davanzo, nell’omelia al funerale di Enzo Jannacci)

Enzo non era un tipo da malinconia: guardava sempre avanti, non dimentichia-mo che era un jazzista, viveva lo swing(Cochi Ponzoni, comico, cantante, attore) Enzo era un genio delle cose comuni (Giuliano Pisapia, sindaco di

Milano e amico di Jannacci)

Parlane con ...PADOVA fr. Alberto: [email protected] sr. Lorena: [email protected] SUPERIORE (VA) p. Massimo: [email protected] sr. Betty: [email protected] p. Domenico: [email protected]

PESARO p. Renzo: [email protected]

ROMA sr Tarcisia: [email protected]

PALERMO sr. Rosmary: [email protected] Danila: [email protected] p. Enea: [email protected]

Ho visto Messico e nuvole, la faccia triste dell’America. Il vento che suona l’armonica e la voglia di piangere che ho. Ho visto una chitarra che risuona intorno ad una ragazza: suona il mio amore per lei, per accompagnare i suoi passi “nel bene e nel dolor”.Ho visto che, tutto sommato, “la vita l’è bela”. Basta saperla prendere nel verso giusto, nel senso dell’amore per gli altri.

Enzo Jannacci, oh yes.Quello che il giorno 29 marzo 2013, a 77 anni di età, se n’è andato a cantare lassù,

con Giorgio Gaber, Lucio Dalla, Fabrizio De Andrè e tanti altri amici musicisti.Quello che, nel corso della sua vita, ha tanto “cantato nei dischi”, riso, scherzato,

fatto divertire ma anche pensare.Quello che ha studiato tanti anni “da medico”. Che ha fatto parte dell’equipe del cardiochi-rurgo Barnard ma che il mal di schiena lo ha fatto allontanare dalle sale operatorie. Quello che per anni ha visitato e curato gratis tutti i poer crist (“i poveri cristi”) delle periferie abbando-nate di Milano.Quello che era “uno di noi” ed è stato capace di scrivere centinaia di canzoni, raccontando le storie degli ultimi, degli sfigati, dei vinti e degli emarginati, senza mai perdere il sorriso e la comicità. Quello che diceva cose serie e profonde, senza prendere mai troppo sul serio sé stesso ma sempre rispettando gli altri, anche quando non era d’accordo con le loro idee.Quello che “era un genio perché ha inventato cose che prima non esistevano” (Fabio Fazio).

L’oggi di ieri

O ramai è una ce-lebrità. È una star del web e dei so-

cial network, con tanto di profilo Twitter (@lilisdog) personale. Si chiama Lilica ed è una cagnolina brasilia-na di São Carlos, un quar-tiere nelle vicinanze dell’im-mensa metropoli di São Paulo.Lil ica è stata “adottata” quattro anni fa dalla signora Neile, madre di tre bambini, una donna coraggiosa che sostiene la famiglia grazie al lavoro di raccolta del ferro-vecchio. Neile si è sempre oc-cupata del benessere dei suoi cari ma anche degli animali che spes-so venivano abbandonati davanti alla sua porta di casa. Lilica ancora oggi condivide il poco cibo con altri cani, gatti, galline e un mulo. Tutti – umani e animali – uniti nella povertà ma so-prattutto nella compagnia e nell’affet-to reciproco.

Wow!

Ti vogliamo bene,

Lilica

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La commovente storia di una cagnolotta solidale

«Dar da mangiare a così tante bocche è sempre stata un’impresa difficile» affer-ma Neile. «Tuttavia ho sempre mantenu-to la speranza che prima o poi le cose sa-rebbero cambiate. Ma mai avrei pensato che ciò avvenisse in questo modo. Tut-to merito di Lilica, che per noi è stata un vero regalo di Dio».

Lilica con Neile in una apparizione televisiva

Giu 2013

Il miracolo a cui si riferis-ce la padrona di Lilica è l’appuntamento serale che la cagnetta ha con la pro-fessoressa Luzia, un’altra protettrice di animali ab-bandonati. «Lilica viene a trovarmi tutte le sere, alle 21.30. Abbiamo un appun-tamento lungo la strada. Io porto un sacchetto di plastica contenente del cibo che io stessa prepa-ro. Appena mi vede Lilica mi fa le feste. Poi, senza fretta, si mette a mangiare con gusto qualche bocco-

ne di cibo. Quando alza la testa dal sacchetto, capisco che è arrivato il momento di salutarci. Chiudo il sacchetto e lei lo afferra con i denti, per portarselo via nell’oscurità della notte».Dove andrà Lilica, nel cuore della notte, con il sacchetto di riso, fagioli e salsiccia, camminan-do per vari chilometri lungo una strada trafficata e piena di pericoli? E ce la farà ad attraversare le vie oscure di periferia senza problemi? Lili-ca ritorna a casa da Neile e dai suoi amici ani-mali, ai quali offre, in spirito di solidarietà, gran parte del cibo che lei ha con-servato per loro. Una cagnet-ta che, dopo aver vissuto per anni nell’immondizia, ricom-pensa con affetto per i suoi simili l’amore che ha ricevuto. Una lezione di generosità che, come ricorda Neile, poche persone riescono a mettere in pratica: «Gli esseri umani quasi mai condividono le loro cose con noi. Un animale in-vece sì...».

Lilica ha cambiato la vita di Luzia e Neile. Soprat-tutto di quest’ultima, dato che, grazie alla diffu-sione su Internet dell’altruismo della cagnetta, la famiglia di Neile ha ricevuto una generosa som-ma di denaro raccolta in trasmissioni televisive e via web. I soldi serviranno per costruire una ba-racca nuova e pagare gli studi ai figli di Neile.La celebrità a livello internazionale che ha inves-tito Lilica non ha cambiato il suo stile di vita. La cagnetta continua imperterrita la sua missione di fare da mamma agli animali abbandonati; di proteggere la casa della sua padrona; di fare compagnia a chi soffre la solitudine della vita. E di insegnare agli uomini, con grande umiltà, che la generosità è il vero motore che fa girare il mondo e l’unica speranza per il futuro di tutti noi. Uomini e animali.

a cura di Antonio Romero

Ti vogliamo bene,

LilicaL'assegno che permetterà

ai figli di Neile di studiare

Lilica e il sacchetto-regalo

di Luzia

a cura di Beniamino Danese

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All’operaPassiamo a costruire la versione

Spazzascienza del diavoletto di

Cartesio!Ci servono: una bottiglia di plasti-

ca trasparente da 1,5 litri (con tap-

po); un piccolo flaconcino di vetro

(di altezza circa 4 cm e diametro di

circa 1 cm, senza tappo, recuperato

da medicine o cosmetici o coloranti

alimentari). Ecco il nostro “diavo-

letto di cartesio”; un bicchiere.

Spazzascienza

L’ esperimento che proponiamo in que-sto numero è un

vero e proprio classico del-la storia della scienza. Può diventare anche un’occa-sione per rinfrescarsi in giar-dino dato che è necessaria una bottiglia piena d’acqua. L’esperimento è noto come Diavoletto di Cartesio, an-che se non fu inventato dal pensatore francese, ma da un allievo di Galileo, don Raffa-ello Magiotti.

Un idraulico speciale

Roma 1648. È qui che il Magiotti, oramai 51enne, dopo aver lavo-rato per vari anni insieme ad al-tri due scienziati allievi di Galileo (Benedetto Castelli e Evangeli-sta Torricelli), presenta il trattato “Renitenza certissima dell’acqua alla compressione”, un’opera in cui raccoglie tutti i suoi studi di idraulica.Tra le tante cose, presenta an-che un esperimento sui fluidi e la pressione, che ha avuto un gran-de successo ed è stato sempre riportato negli anni a venire: dallo stesso Cartesio (che lo chiamava ludion ossia “giocoliere”) ai libri di ricreazioni scientifiche ed espe-rimenti.

Diavolo d'un flaconcino

CostruzioneRiempiamo circa a metà il flaconcino con dell’acqua, lo mettiamo a testa in giù e notia-mo che l’acqua non esce (per tensione superficiale, dato che l’apertura è piccola). Poi procediamo al “varo” del flaconcino, mettendo il flacon-cino a testa in giù nel bicchie-re (pieno d’acqua). Se l’acqua nel flaconcino è troppa, esso affonderà! Se troppo poca, il flaconcino svetterà fuori dall’acqua o starà orizzontale. L’obiettivo è che il flaconcino stia “a pelo d’acqua”, tutto im-merso ma senza affondare. E dunque togliamo o aggiungia-mo acqua nel flaconcino fino a che non otteniamo questo equilibrio.

Esperimento A questo punto, riempiamo la bottiglia quasi fino

all’orlo, inseriamo il flaconcino (sapendo che ri-

marrà a pelo d’acqua e non affonderà), e chiu-

diamo la bottiglia con il tappo.

Ora comprimendo la bottiglia con le mani (con

più o meno forza a seconda dell’acqua inserita

sia nella bottiglia che nel flaconcino), notiamo

che il flaconcino sale e scende a nostro piaci-

mento.Possiamo riempire il flaconcino anche con del

liquido colorato e ripetere l’esperimento: un ot-

timo modo per capire il funzionamento dato che

questa volta non ve lo spieghiamo! Dovrete spre-

mervi le meningi e “cogitare” come Cartesio!

Infine, oltre al flaconcino, si può costruire, con

l’aiuto di un adulto, con un pezzo di cannuccia

flessibile, piegato e “saldato” (è sufficiente una

pinza e una candelina), e con due piccoli fori

come nella foto, un altro “diavoletto”, che in

questo caso è come una ballerina… provare per

credere!

Giu 2013

Cartesio

Diavolo d'un flaconcino


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