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Date post: 06-Dec-2014
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Periodico del Liceo Scientifico Carlo Jucci di Rieti
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PERIODICO DEL LICEO SCIENTIFICO CARLO JUCCI RIETI - ANNO 1 NUMERO 3 MAGGIO 2014 Just Move Marzo.indd 1 16/05/14 10:44
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PERIODICO DEL LICEO SCIENTIFICO CARLO JUCCI RIETI - ANNO 1 NUMERO 3 MAGGIO 2014

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SOMMARIO

PAG. 4

EDITORIALEBEST LEAGUE

PAG.5

CULTDALLA TERRA DI SAN FRANCESCO L’OMAGGIO AL PAPA

SHEKIB , IL MARE NEGLI OCCHIRADIO JUCCI

PAG.8

FOCUSIO NON PUNTO IL DITO

SONDAGGIO- DIVERSI MA SOLOMPER NOILA STORIA DELLA MASSONERIA

SENZA LAVOROTANGO ALLA FINE DEL MONDO

PAG.12

ONTHEROADA SPASSO PER CANTALICE

Direttore Responsabile

Alessandra Pasqualotto

Vice Direttore

serena pitotti

Redazione

beatrice cianetti chiara cauletti federica d'orazi sofia galgani simona romagnoli elvisa rossetti daniele bolletta serena pitotti

Segreteria di Redazione

serena pitotti

Editore

h4f group srl

Direzione Grafica

mchiara giovannelli

Direzione Commerciale massimo martellucci

Illustrazioni pag.16 - 17

daniele bolletta

PAG.13

CURIOSARE&CURIOSAREI CONSIGLI DEL NONNO

PAG.14

CARTA&PELLICOLARECENSIONI SU LIBRI E FILM

PAG.15

LIFESTYLEVETERANI A SCUOLASEGNI PARTICOLARI: REATINO

PAG.16

MUSICARINO GAETANO - MARCO GRAZIOSI - PAOLO NUTINI

PAG.18

GIOCHICRUVERBA

FACEBOOKJust MoveTWITTER@JustMove2

[email protected]

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Dal 23 maggio riparte la Best League, uno degli eventi più attesi dagli studenti reatini. La mani-festazione che prevede tornei quali calcetto, beach volley, basket e come novità per i più pigri quello di playstation “FIFA 14”, si terrà come l’anno passato al parco Coriandolo e si concluderà il 1 giugno. Organizzata dal “Movimento Studentesco di Rieti”, nasce – come afferma Stefano Mancini, uno dei fautori - dall’intenzione di realizzare un incontro tra scuole e più in generale tra i giovani, spesso poco stimolati nella realtà reatina. Giunta alla quinta edizione ha sempre riscosso grande successo, producendo spirito di competizione ma anche voglia di unione tra le diverse scuole, quotidianamente troppo chiuse nel loro ambiente. Supportiamo le nostre squadre e forza Jucci. Facciamo valere il nome del nostro Liceo anche nello sport. Accorrete tifosi.

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L’editoriale

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DALLA TERRA DI SAN FRANCESCO UN OMAGGIO AL PAPA Chiara Cauletti

un pezzo di Rieti da papa Francesco. L’architetto reatino Antonio Crisostomi, figlio del-lo scultore Italo recentemente scomparso, ha incontrato il

Santo Padre papa Francesco nella Città del Vaticano, per donare un bas-sorilievo raffigurante san Francesco, realizzato dal papà Italo le cui opere sono ormai presenti in tutto il mondo.Antonio Crisostomi ha deciso di do-nare la preziosa opera realizzata in bronzo proprio nel momento della ele-zione del nuovo Papa; in primo luogo perché l’opera rappresenta san Fran-cesco, al quale il Papa è fortemente legato e poi perché Horge Mario Ber-goglio è diverso da tutti gli altri, an-che nel suo modo di rapportarsi con le persone, tant’è che si fa chiamare semplicemente Francesco.Quello che oggi definiremmo in un certo senso un rivoluzionario. Da quando è stato nominato Capo della Chiesa tutti i sistemi sono stati

sconvolti e oggi grazie a lui, i credenti sono diventati più di due milioni.<L’incontro con papa Francesco – ci dice Antonio Crisostomi - è stato emo-zionante; d’altronde, il Papa lo incontri una volta sola nella vita. Erano presen-ti oltre 50.000 persone e nonostante ciò ti senti tranquillo quando stai con lui. È cosi come lo vedi: gira, fa come vuole e per questo ti mette molto a tuo agio>.Il bassorilievo donato al Papa, misura 2,70m.x1,90m. è in bronzo e moga-no, rappresenta san Francesco ancora nobile e quindi indifferente; dopo la conversione il Santo offre la mano ad un povero mendicante mentre la Chie-sa guarda il tutto in modo scostante.Il Papa, sensibile alle opere d’arte, appena ha ricevuto il bassorilievo è rimasto molto colpito dalla bellezza dell’opera, attualmente esposta ai Mu-sei Vaticani ed anticipa allo stesso Cri-sostomi che tra maggio e giugno verrà nella nostra provincia.

DALLA TERRA DI SAN FRANCESCO

UN OMAGGIO AL PAPA

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Se nasci in Afghanistan, nel posto sba-gliato e nel momento sbagliato, può capitare che, qualcuno reclami la tua vita. Shekib, all’età di diciassette anni, scopre che il padre è stato ucciso dai

talebani e che a breve, avrebbe fatto la sua stessa fine. Così decide di fuggire, intrapren-dendo un lungo viaggio che lo porterà in Italia. Finalmente Shekib ha trovato un po-sto dove fermarsi, e dove vivere la sua vita con serenità. Questa è la sua storia. «Quan-do avevo diciassette anni, quindi tre anni fa, vivevo ancora a Jalalabad, la mia città, ma a differenza dei ragazzi italiani che a quest’età vanno a scuola, rimanevo a casa, e mio pa-dre mi insegnava il Corano. Lui era un Imam, ovvero un sacerdote e vendeva il tè che da noi è come il caffè qui in Italia: si ha quasi un culto per quest’infuso. Un giorno i tale-bani gli dissero di andare con loro, e lui fu costretto a seguirli per paura che venisse fat-to qualcosa di male a me e alla mia famiglia. Dopo un mese scoprimmo che lo avevano ucciso e non contenti di ciò quegli assassini lo proposero anche a me. In quel momen-to avevo molta paura, cosi ho accettato, ma non volevo uccidere, né essere ucciso da militari o talebani, che mi facevano ricevere continue minacce. Per fortuna, mio zio ven-

ne a conoscenza della situazione e mi aiutò a fuggire grazie ad un accordo con persone a me sconosciute, un’organizzazione criminale che si fa pagare ed aiuta le persone a fuggire dall’Afghanistan. Io ho dovuto pagare tredici-mila euro ed ho impiegato due mesi per ar-rivare in Italia, da solo, senza nessun parente o amico. Partito da Jalalabad, sono arrivato a Kabul, dopo Nimros: in queste città ho viag-giato in macchina e sono arrivato poi in Iran a piedi. Sul confine ci sono dei posti di bloc-co ed un grande muro, che ho potuto sca-valcare in quanto i poliziotti di guardia erano stati corrotti dai membri dell’organizzazione. Sono stato quindici giorni in Iran dove han-no provato ad uccidermi e poi sono giunto in Turchia, a Istanbul, dentro un camion. Gli autisti dei camion non ci trattavano né bene, ma neanche male. Non si preoccupavano di nulla, quando qualcuno moriva veniva ab-bandonato lì, sulla strada. Durante il viaggio, la sofferenza era tanta e molte delle persone con cui sono fuggito sono morte. Con me c’erano donne, bambini e anziani: in Turchia ho salvato un bambino che era caduto dal ca-mion, e per prenderlo mi sono perso lo zai-no, e con esso il cellulare e molte altre cose. Dopo aver perso il cellulare non sono più riuscito a contattare mia madre, ora non so

come sta, né se è ancora viva. Dopo aver at-traversato la Turchia sono arrivato in Grecia; per finire sono rimasto aggrappato al moto-re di un camion all’interno di una nave dalla Grecia fino in Italia. Lo sbarco è avvenuto a Bari, dove finalmente mi sono sganciato. In Italia, si sa, il lavoro non c’è, così ho soggior-nato per un breve periodo in Danimarca. In nord Europa ottenere un lavoro è semplice, mentre non è altrettanto semplice ottenere i documenti. In Italia c’è più tolleranza, il paese è più sensibile ai nostri problemi. Ini-zialmente sono stato inserito in un progetto di prima accoglienza a Venezia, poi sono sta-to trasferito qui a Rieti, dove il 9 ottobre mi hanno rilasciato i documenti. Ora ho diritto a rimanere nel progetto per altri sei mesi; questo progetto è stato pensato per aiutare gli extracomunitari a trovare una sistemazio-ne: in sei mesi bisogna imparare la lingua ed inserirsi nella società, trovando lavoro. Al ter-mine del semestre dovrò camminare con le mie gambe. Ora ho una casa, ma sono solo, mi manca la famiglia. Il mio sogno è quello di formare una famiglia e trovare un lavoro. Quando ero in Afghanistan sognavo di fuggi-re dal mio paese. Non tornerei mai lì, almeno fino a quando non se ne saranno andate le forze Nato e quindi i talebani».

SHEKIB, IL MARE NEGLI OCCHI

SHEKIB, IL MARE NEGLI OCCHI Chiara Cauletti

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Ai sensi dell’art. 1, lett. a), della Convenzione di Ginevra del 1951 è rifugiato “chi temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, naziona-lità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori del Paese di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese; oppure che, non avendo una cittadinanza e trovandosi fuori del Paese in cui aveva residenza abi-tuale a seguito di siffatti avvenimenti, non può o non

vuole tornarvi per il timore di cui sopra”.

DA CHI VIENE RICONOSCIUTO?Lo status di rifugiato viene riconosciuto dalla Commis-sione territoriale competente in seguito alla presen-tazione di domanda di protezione internazionale. Lo straniero, che dimostri un fondato timore di subire nel proprio Paese una persecuzione personale ai sensi del-la Convenzione di Ginevra, può ottenere questo tipo di protezione.

PERMESSO DI SOGGIORNO PER ASI-LO POLITICOAl titolare dello “status di rifugiato” la Questura rilascia un permesso con motivo ’asilo politico’. Il permesso per asilo politico:•ha una durata di cinque anni;• è rinnovabile;•consente l’accesso allo studio;•consente lo svolgimento di un’attività lavorativa (su-bordinata o autonoma);•consente l’accesso al pubblico impiego;•consente l’iscrizione al servizio sanitario;•dà diritto alle prestazioni assistenziali dell’Inps (‘as-segno sociale’ e ‘pensione agli invalidi civili’) e all’asse-gno di maternità concesso dai Comuni.

TITOLO DI VIAGGIOLo Stato italiano ha l’obbligo di fornire al rifugiato un documento equipollente al passaporto.

CERTIFICATO DI RIFUGIATOLa Commissione territoriale rilascia al rifugiato un certi-ficato che attesta il suo status di rifugiato.

RICONGIUNGIMENTO FAMILIAREIl titolare di permesso per asilo, può fare richiesta di ricongiungimento familiare per consentire l’ingresso in Italia dei propri familiari. Il titolare di status di rifugiato non deve dimostrare di possedere i requisiti di alloggio e di reddito richiesti ai titolari di altri tipi di permesso di soggiorno. Se i familiari si trovano già in Italia, anche se non in possesso di un regolare permesso di soggior-no, possono fare richiesta, tramite procedura postale,

del permesso per motivi di familiari. CITTADINANZA ITALIANAPer il titolare di status di rifugiato sono previsti tempi dimezzati per la richiesta della cittadinanza italiana per naturalizzazione. Potrà quindi fare richiesta dopo soli cinque anni di residenza in Italia.

L’IDENTIKITDEL RIFUGIATOPOLITICO

il Liceo scientifico Carlo Jucci è on air. L’8 giugno 2013 è, infatti, andata in onda la prima trasmissione di Radio Jucci, un progetto unico nel panora-ma scolastico reatino, nato da Ca-

terina Casciani, giovane studentessa che vinse la prima edizione di Sogna e Realizza (www.sogna-erealizza.com): « A senti-re le parole del professor Pettinari, quell`8 giugno 2012, che mi dichiarava vincitrice del concorso, mi sono subito sentita in-vestita di una grande re-sponsabilità: quella di non deludere il comitato del concorso, quegli ex studenti, a cui io mi sento legata da grandissimo affet-to, che per primi hanno creduto in me e poi nelle potenzialità della radio». Il suo obiettivo era unire gli studenti e renderli protagonisti e ci è riuscita. Ad oggi, collaborano insieme a lei,

più di sette juccini, tra cui David Gut-tuso, Adriana Cattani, Cecilia Peschi, Emiliano Angelucci, Irene Angelini, Martina Ventura e Francesco Cecca-ni. Nessuno di loro ha mai smesso di credere nel progetto ed è forse questa la vera forza di Radio Jucci. I giovani

speaker stanno ora lavo-rando e cercando colla-borazioni, per mandare in onda la seconda punta-ta. Un sogno che diventa realtà quello di Caterina, che partendo da semplici idee e grazie all’aiuto de-gli ex studenti, è riuscita a creare una radio d’isti-

tuto. Non ci resta che, in attesa della seconda trasmissione, ascoltare la pri-ma puntata su Spreaker (http://www.spreaker.com/user/5882210), e fare ai giovani speaker juccini i nostri mi-gliori auguri.

E’ NATA RADIO JUCCI GRAZIE A CATERINA E AGLI

SPEAKER DEL LICEO

Serena PitottiRADIO JUCCI

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ognuno vuole esprimere la propria opinione sugli omosessuali, come se si trattasse di una legge appena approvata, di un nuo-vo prodotto al supermercato o della hit appena uscita in radio, dimenticando, quindi, che si sta parlando di persone. L’atteg-giamento di chi pensa che gli omosessuali siano contro-natura,

peccatori, perversi, malati (nonostante l’Organizzazione Mondiale della Sanità non riconosca più l’omosessualità come una malattia) è comu-nemente noto con il nome di “omofobia”, una sorta di “paura dietro l’odio”. Essa deriva dal bigottismo religioso che ha dominato i secoli passati: la Chiesa ha sempre condannato gli omosessuali, consideran-doli peccatori; essi si sono, perciò,”nascosti” per secoli e i pochi che mostravano chi fossero veramente venivano perseguitati, torturati o addirittura uccisi. L’atteggiamento sociale nei confronti dell’omosessua-lità ha conosciuto momenti di relativa tolleranza alternati a momenti di forte repressione, e oggi, nel XXI secolo, l’omofobia esiste ancora. Es-sere gay è illegale in oltre 70 paesi e, in alcuni, gli omosessuali possono essere persino condannati alla pena di morte. Addirittura in Russia la legge anti-gay di Vladimir Putin rende illegale il solo parlare dei diritti, dell’amore e delle speranze dei cittadini gay (le persone che infrango-no questa legge, semplicemente esprimendo la loro opinione sull’ar-gomento, sono punite con multe che possono arrivare a ben 15.000 euro e coloro che manifestano contro questa legge assurda o mostrano una bandiera arcobaleno in pubblico sono violentati e arrestati). Nei paesi più mentalmente sviluppati, “frocio”, poi, è considerato l’insulto più efficace da dire a un ragazzo. Molti sono quelli che considerano tuttora i gay malati, perversi, peccatori e contro-natura e che li attac-cano verbalmente o violentemente. Troppo spesso veniamo a cono-scenza di suicidi commessi da ragazzi giovanissimi, stanchi di essere insultati, presi in giro e non accettati dai loro coetanei a scuola o dalle loro famiglie a casa. Perché si sente il bisogno di denigrare una persona per il suo orientamento sessuale? Perché continuare a sostenere che gli omosessuali sono colpevoli di essere ciò che sono se non l’hanno mai scelto? Perché rovinare la vita di quelle persone che già hanno una gran confusione interiore e difficoltà ad accettarsi senza i vostri insulti e le vostre stupide convinzioni infondate? Non dovete dimenticare che potrebbe essere un vostro amico, o anche vostro fratello o addirittura vostro figlio a vivere la stessa situazione di quel ragazzo chestate insultando e deridendo. Fortunatamente, comunque, sempre più persone oggi si schierano contro l’omofobia; ad esempio artisti, attori e atleti, che sono punti di riferimento e modelli da seguire per gli adolescenti. Al giorno d’oggi, siamo in molti a sognare un mondo migliore, un mondo dove tutti abbiano gli stessi diritti, dove la diversità sia accettata e non repressa, perché l’essere diversi è proprio ciò che ci rende umani.In Italia non vi è minimo riconoscimento delle coppie dello stesso ses-so; siamo, dunque, uno dei paesi occidentali più indietro. Il matrimonio è un vincolo che unisce due persone che si amano:perché, allora, non concederlo a due uomini (o a due donne) che si amano? Cosa si toglierebbe al matrimonio eterosessuale se fosse le-galizzato quello omosessuale? Alla base del non riconoscimento delle coppie gay c’e una sorta di egoismo che porta alla minaccia dell’ugua-glianza di tutti i cittadini.“Se c’è amore, c’è famiglia.” Un altro argomento che fa molto discutere

IO NON PUNTO IL DITOOmofobia, una paura dietro l’odio

a cura di Lorenzo Cerroni

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e quello relativo all’adozione da parte di cop-pie dello stesso sesso. Molti sono gli studi con-dotti sull’omogenitorialità che hanno portato alla conclusione secondo cui il regolare svilup-po dei bambini e la loro serenità non dipen-dono dall’orientamento sessuale dei genitori. L’American Academy of Pediatrics (Accademia Americana dei Pediatri), che è un’organizzazio-ne composta da 60.000 pediatri, afferma che un’enorme quantità di ricerche scientifiche (condotte nei paesi dove le adozioni gay sono legali già da molti anni) dimostra come non ci sia causa-effetto tra l’orientamento sessuale dei genitori e il benessere dei figli. Si ha un cattivo sviluppo nel bambino solo se c’è stress nei genitori, una certa instabilità economica e sociale, discriminazioni, fattori riconducibili a stress tossici ma non se i genitori sono dello stesso sesso. L’Università di Cambridge nel Re-gno Unito per conto della ‘British Association of Adoption and Fostering’ (un’associazione no profit che si occupa di adozioni e affidi), ha dedotto poi che i bambini affidati alle cop-pie gay non differiscono nei risultati da quelli cresciuti dalle coppie etero, anzi. Federica Anghinolfi,responsabile del Servizio Sociale integrato nell’Unione dei Comuni della Val d’Elsa, afferma, forte del lavoro sulla genitoria-lità gay (seminari di approfondimento e corsi di formazione): «Non è per forza il genere che definisce la figura paterna, ma il ruolo: è il genitore ‘normativo’, quello che dà le regole; mentre la figura materna è calda, “accuditi-va”. Nelle coppie omosessuali i ruoli sono più interscambiabili, ma anche in quelle etero ci sono madri normative e padri materni. L’im-portante è saper gestire entrambe le funzioni, perché i bambini ne hanno bisogno».«Né l’orientamento sessuale né il genere con-dizionano la capacità di essere genitori e di conseguenza lo sviluppo dei bambini»: questa è la conclusione a cui sono giunti anche gli psicologi e i ricercatori riuniti il 9 aprile 2014 a Roma nel più grande convegno italiano sull’omogenitorialità, organizzato dalla Facol-tà di Medicina e Psicologia dell’Università La Sapienza. I ricercatori sulla base di molti studi e ricerche, sono favorevoli alle adozioni gay; gli omofobi, con le loro convinzioni infondate, sono contrari: sta a voi decidere da che parte stare.

il disabile è colui che deve po-ter fare ciò che ognuno di noi vorrebbe fare: andare in un locale, in una toilette ed in un negozio, possibilmente senza

trovare davanti a sé ostacoli in-sormontabili che rendono non accogliente per lui quella strut-tura. Alla domanda “Rieti può essere considerata una città a misura di disabile?” i cittadini mostrano idee contrastanti, ma allo stesso tempo coerenti con la situazione che ognuno di noi può riscontrare tra le vie reatine. Dal sondaggio emerge che la maggioranza reatina di-chiara la presenza di barriere architettoniche, l’inesistenza di marciapiedi attrezzati di scivo-lo e paletti che impediscono il passaggio o la salita sulla ban-china e discese e salite che non coincidono con le strisce pedo-nali.Gran parte dei cittadini ha no-tato l’introduzione di cartelli che dovrebbero agevolare il parcheggio e la sosta dei di-sabili, ma questi vengono usati soltanto a scopo personale.Per quanto riguarda la circola-zione, la nostra città è priva di autobus muniti di pedane che permettono il transito da una parte all’altra della città. No-nostante ciò alcuni affermano che si sta cercando di migliora-re con l’introduzione di servizi adeguati a loro, ma c’è ancora tanto da lavorare.L’opinione della signora Aurora che ci ha particolarmente colpi-

DIVERSI, MA SOLO PER NOIUN CAPOLUOGO ANCORA NON LIBERO DEL TUTTO DELLE BARRIERE ARCHITETTONICHE

Con questo numero di JM apriamo un sondaggio nella nostra città su ciò che rende diverso il disabile e su ciò che ognuno di noi dovrebbe fare per migliorare le sue con-dizioni.

to, muove dal fatto che ultima-mente si è verificata l’assunzio-ne nel capoluogo di molti vigili urbani che sembrano non svol-gere il loro compito nella ma-niera adeguata, non vivendo a pieno le problematiche delle strade cittadine. Per migliorare questa situazione basterebbe veramente poco, solo la buo-na volontà da parte di tutti noi. Nessuna città italiana sembra essere totalmente a misura di disabile, ciò viene dimostrato dalla cultura dell’italiano me-dio che pensa ed agisce solo per se stesso e per i propri in-teressi. Qualche reatino sugge-risce agli amministratori comu-nali di darsi da fare ed andare in giro per la città per prendere consapevolezza di ciò che li circonda.

A cura di Federica D’Orazi e Sofia Galgani

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Oggi uno dei problemi del nostro Pa-ese sta nei rapporti tra politica, cri-minalità organizzata e massoneria. Nel secolo scorso questa organiz-zazione ha avuto un ruolo centrale

nelle vicende italiane, ha riunito personaggi importanti e anche oggi, differentemente da quanto accadeva all’inizio, riguarda sempre più i “giochi” di potere politico ed econo-mico. Nacque in Inghilterra nel XVIII secolo come associazione di mutuo appoggio e per-fezionamento fra artigiani muratori. Succes-sivamente si trasformò in un ordine di tipo iniziatico, volto a elevare moralmente i suoi membri. La trasformazione definitiva risa-le al 1717, anno in cui si inizia a parlare di “società dei liberi muratori” e vengono codi-ficati i tre gradi di appartenenza: apprendista, compagno e maestro. La massoneria diffuse in Europa e in America le idee di tolleranza, cosmopolitismo e fratellanza; arrivò in Italia nel 1733 nonostante la Chiesta cattolica fosse intollerante. La massoneria era organizzata in attività interne non pubbliche ed era carat-terizzata dal segreto rituale. Infatti quando le prime logge massoniche si riunivano in taverne o in luoghi pubblici c’era sempre un guardiano che impediva l’ingresso ai curiosi e a chi non era membro massonico. I mem-bri della massoneria sono chiamati massoni ma anche frammassoni, che tradotto dal francese significa “libero muratore”. Il nome deriva dalla discendenza della Massoneria dall’associazione di operai e muratori che

DAL MUTUOAPPOGGIO

ALLA P2: LA STORIA DELLA

MASSONERIAsi rifà alla leggenda di Hiram, architetto del Tempio di Salomone. Nei tempi più recenti ottenere vantaggi nella vita pubblica e anche privata è il fine principale della massoneria e fondamentale è la segretezza delle persone che ne fanno parte. Già nell’Ottocento c’era chi aveva capito l’importanza di appartene-re a una loggia segreta per poter gestire i propri affari o conquistare il potere, ricevendo vantaggi e fa-vori dai “fratelli” (così si chiamavano tra di loro i membri delle logge). Tut-tavia questa storia ci riguar-da più da vicino di quanto si possa credere. Basti pen-sare alla loggia P2 (Propa-ganda 2), nata nel 1877 da un’idea di Adriano Lemmi, banchiere livornese spre-giudicato e iscritto alla massoneria dal 1875. La P2 aveva la caratteristica di garantire copertura e segre-tezza agli iniziati più importanti, sia dentro che fuori l’organizzazione. Durante il regime fascista tutte le logge massoniche vennero sciolte, ma finito il ventennio mussoliniano queste ripresero le loro attività sotto la guida del Maestro venerabile Licio Gelli, nominato dal Grande Maestro Lino Salvini. Il 20 maggio 1981 scoppiò lo “Scandalo P2”: il presidente del Consiglio Arnaldo Forlani rese pubblici

gli elenchi della P2. Tra gli affiliati c’erano banchieri, politici, giornalisti, esponenti dei servizi segreti, professori universitari, imprenditori, editori, scrittori, dirigenti di società pubbliche e private, commercianti, alti ufficiali dei Carabinieri. Solo per citarne alcuni: Cossiga, Andreotti, Prodi, Berlusco-

ni, De Benedetti e molti altri. Quando scoppiò lo scandalo, Gelli fuggì in Sudamerica, dove la P2 aveva alcuni seguaci. La

magistratura accusò Gelli di essere coinvolto in reati molto gravi, tutti attribuiti alla P2: omicidio del gior-nalista Pecorelli, concorso in bancarotta per lo scanda-lo del Banco Ambrosiano, omicidio del banchiere Ro-berto Calvi, depistaggio sul rapimento di Aldo Moro, strage di Bologna, costi-

tuzione di capitali all’estero, associazione a delinquere e

truffa aggravata. Dopo le dimissioni di For-lani, venne organizzata una commissione parlamentare d’inchiesta sul caso P2 presie-duta da Tina Anselmi. Il 25 gennaio 1982 la commissione con una legge scioglie la loggia e vieta le associazioni segrete.

LA STORIA DELLA MASSONERIA Beatrice Cianetti

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francesco Fornari, quarantaset-tenne, lavorava alla Ritel spa, una delle più importanti aziende del Nucleo industriale reatino e si occupava del collaudo di ap-

parati telefonici. Purtroppo quando la fabbrica è entrata in crisi ci sono stati numerosi licenziamenti. Anche Francesco ha perso il lavoro e ora è in cassa integrazione ormai da tre anni. QUANDO HAI COMINCIATO A LA-VORARE PRESSO LA RITEL?Ho iniziato il 2 novembre 1988, quando la fabbrica si chiamava an-cora Telettra; poi è diventata Alcatel e dopo ancora Ritel. Quindi sono pas-sati 25 anni da quando ho cominciato a lavorarci, ma si sono succedute tre società diverse.QUANDO L’AZIENDA HA MANIFE-STATO I PRIMI SINTOMI DELLA CRISI, COSA HAI PENSATO?Pensavo fosse una cosa impossibile, anche che la fabbrica potesse chiude-re, perché comunque Rieti è una città abbastanza importante e l’azienda era anche numerosa, contava circa 400 unità. Quindi non ho pensato al peggio. Invece poi la situazione ha cominciato a peggiorare col passare dei mesi, nonostante ci fossero com-messe, lavoro e nonostante la fab-brica fosse organizzata abbastanza bene. Però forse per colpa della politi-ca o del territorio, la Ritel ha smesso di funzionare nel giro di un paio di anni. COSA VUOL DIRE ESSERE CAS-SAINTEGRATO? COME TI CAMBIA LA VITA?Dipende da come una persona reagi-sce alla cassa integrazione e come la vive. Sinceramente a me non manca la fabbrica perché non è il lavoro che desideravo fare, sicuramente però dal punto di vista economico la cassa in-tegrazione si fa sentire: non è facile accettare il passaggio dall’avere uno stipendio fisso tutti i mesi a non pren-derlo più; e poi c’è da dire che spesso i primi anni la cassa integrazione non viene pagata sempre, ma ogni quattro

o cinque mesi. Per cui bisogna cercare di andare avanti occupando la gior-nata con attività diverse per provare a superare il periodo della disoccupa-zione. Ci sono persone in cassa inte-grazione che, in seguito alla perdita del lavoro, non riescono neanche più a ragionare. Credo che sia una situa-zione difficile per chi ha il mutuo da pagare perché, ripeto, la mancanza di uno stipendio fisso ha delle conse-guenze in ambito economico.HAI MAI PROVATO A REAGIRE?Certo, abbiamo fatto tante manifesta-zioni. Prima che chiudesse la fabbrica siamo stati molto “attivi” in questo sen-so per quattro o cinque mesi: abbiamo occupato il Comune, la Provincia, la Salaria per un giorno, lo stabilimento dove lavoravamo, per circa un mese, senza far entrare e uscire le merci.CHE RISPOSTE HAI AVUTO?Purtroppo nessuna. Di manifestazioni ce ne sono state, ma non hanno avuto conseguenze positive. Rieti è una cit-tà troppo piccola perché questo tipo di manifestazioni e proteste possano avere delle ripercussioni. E poi credo che se decidono di chiudere, se una società decide di chiudere l’occupa-zione è pressoché inutile.COSA TEMI PER TUO FIGLIO?Mi preoccupo per il suo futuro. Una città come Rieti purtroppo non offre più niente. Quando ero ragazzo io, terminati gli studi nella scuola superio-re, si riusciva più facilmente a trovare lavoro perché c’era un bel Nucleo Industriale, parecchi stabilimenti. Adesso è tutto diverso: i ragazzi van-no all’università perché sanno che per trovare lavoro non basta il diploma e purtroppo sono quasi costretti ad andare a studiare e lavorare in altri paesi. A livello locale ormai non c’è più niente.SE FOSSI STATO AL POSTO DI CHI HA LICENZIATO COSA AVRESTI FAT-TO?So che non è facile perché chi licenzia in situazioni del genere è quasi co-

stretto. In ogni caso l’azienda aveva parecchi soldi da gestire che non sono stati investiti all’interno della struttura, quindi ecco, non mi sarei comportato allo stesso modo. Avrei pensato un po’ più agli altri e non solo a me stesso.DURANTE QUESTO PERIODO HAI SPERATO CHE LA FABBRICA POTES-SE TORNARE A FUNZIONARE?Si, anche se il lavoro in fabbrica non mi piace, ho sperato che le cose po-tessero tornare come erano prima. Però credo che le aziende importanti, una volta andate in cassa integrazio-ne, non abbiano molte possibilità di riaprire. Nel caso della Ritel basta ve-dere il degrado e le condizioni in cui si trova ora lo stabilimento che orami è caduto a pezzi. Per cui trovare una società che rinvesta dei soldi è molto difficile.SEI FIDUCIOSO NEL NUOVO GO-VERNO?No, credo poco nella politica.QUANTO SONO PRESENTI I SINDA-CATI IN QUESTE SITUAZIONI?Nel nostro caso i “piccoli” sindacati, quelli a livello territoriale sono stati abbastanza presenti perché comun-que all’interno dell’organizzazione sindacale ci sono gli iscritti, quindi se la fabbrica va in crisi e chiude i sinda-cati perdono iscritti e soldi. Sono ab-bastanza presenti però anche il loro potere è minimo. Per esempio l’Alcatel che è una multinazionale francese im-portante non sta ad ascoltare i piccoli sindacalisti locali, cosa che invece può accadere nel caso della Fiat, dove in-tervengono sindacalisti a livello nazio-nale. Quindi, ripeto, nel nostro caso si sono impegnati, hanno fatto il mas-simo però purtroppo non abbiamo avuto esiti positivi, nelle piccole realtà come la nostra tutto è molto limitato.HAI AVUTO LA POSSIBILITÀ DI TRO-VARE UN ALTRO LAVORO?No. Sono ancora senza una occupa-zione.

SENZA LAVORO

SENZA LAVORO, STORIA DI ORDINARIA AMMINISTRAZIONE

Beatrice CianettiChiara Cauletti

TANGO ALLA FINE DEL MONDOPalermo, 1894. Denunciati per aver manifestato contro le tasse, Miche-le Maggio, sua moglie Caterina e le gemelle Diana e Olivia vengono cacciati dal paradiso: un piccolo podere a Isola delle Femmine. Don Tano, spietato agente marittimo, vende loro una fazenda in Argen-tina e i biglietti del piroscafo, pro-mettendo fortuna oltreoceano. Ma al momento della partenza manca un biglietto e Diana, diciassettenne anticonformista e ribelle, è costretta a rimanere da sola in Sicilia. È sol-tanto il primo degli inganni di Tano che, pazzo di desiderio, la riduce in schiavitù. Nel Nuovo Mondo il ter-reno promesso si rivela una truffa e Michele è costretto a trovare lavo-ro al mattatoio di Buenos Aires. La fatica delle giornate è compensata dall’incanto delle notti, trascorse al Bandoneón, un locale del porto dove, assieme ad altri emigranti, inventa il ballo del secolo: il tango. Le note sensuali della nuova danza fanno da sfondo alla passione tra Michele e una signora dei quartieri alti, che sfida le convenzioni nell’o-scurità del Bandoneón. È doña Blan-ca Flores, la moglie del proprietario del mattatoio. Per quanto provino a sottrarsi alla forza del desiderio, i due non possono nulla, investiti da un genere d’amore dal quale non c’è scampo, perché il tango ci ritro-va sempre, “il tango sa chi siamo”. Intanto Diana, a Palermo, fuggita dal suo aguzzino, medita il riscatto e la vendetta contro chi l’ha abbandona-ta. Sarebbe un peccato bruciare con altre anticipazioni un libro in cui le pagine, percorse da continui colpi di scena, sembrano vibrare come il pavimento del Bandoneòn al ritmo delle note di Miguel Maggio y Los Tangueros. In controtendenza al minimalismo oggi di moda, Cugia riscopre un genere, quello del ro-manzo d’appendice ottocentesco reso celebre da Balzac e Dumas, e lo celebra con questo Tango alla fine del mondo. Un ballo entusiasmante nelle nostre radici, uno scatenato feuilletton del terzo millennio. ‣

INCONTRO CON L’AUTORE

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Diego Cugia (Roma, 1953) è un giornalista, scrittore, regista ed autore radiotelevisivo italiano. A scuola è sempre stato rimandato o bocciato, finché suo padre non lo affidò a Guglielmo Martucci, “l’uomo che sa-peva tutto”. Da cucciolo, suo nonno gli leggeva Dante e ne rimase talmente impressionato che a nove anni scrisse un poema in tredici pagine dal titolo “La Divi-na Tragedia”. Si è diplomato privatamente a diciassette anni ed è andato a vivere da solo. Il suo primo articolo riguardava l’emblematica morte di Antonio Corte, uno straordinario giornalista corrispondente da Parigi de “Il Mondo”. Uomo che non faceva compromessi, non “teneva famiglia” e non si vendeva per una bistecca. Scoprì che lo stress di essere un giornalista libero, in un paese di leccascarpe, gli aveva scatenato un suicidio nel sangue. E’ diventato giornalista professionista a ventitré anni, con il giornale “Il Globo”. Nel 1977 ha cominciato a lavorare per Radio Rai, per la quale è sempre rimasto

un collaboratore esterno. Da qualche anno si dedica a ideare e realizzare show per la televisione e a scrivere romanzi. «Faccio il mestiere che sognavo da bambino, anche se mi è sempre più difficile stupirmi come allora». E’ divorziato con due figli, Francesco e Michele, ed un pastore tedesco di nome Sara. Noi della redazione di Just Move, non potevamo non perderci la conferenza di Diego Cugia tenutasi all’Auditorium Varrone, sul suo ultimo libro, Tango alla fine del mondo, e gli abbiamo fatto qualche domanda. PERCHÉ TANTI COLPI DI SCENA IN “TAN-GO ALLA FINE DEL MONDO”? Perché la scrittura è cinema, infatti prima dell’idea c’è l’immagine. Di solito scelgo di scrivere un qualcosa che mi piacerebbe leggere; amo sentirmi stupire dall’auto-re e amo il genere considerato “di serie B”, i cosiddetti feuilletton dove il colpo di scena è d’obbligo. Non amo molto la scrittura italiana contemporanea e per questo

CHI È DIEGO CUGIA

Se vi trovate a Rieti, e vi siete stancati di fare su e giù per via Roma, allora digitate sul navigatore del-la vostra auto “Cantalice”, che quindi vi dirà: «da porta d’Arci prendere la SS 4 Salaria, imboccare e percorrere la Terminillese fino a Vazia e prendere la provinciale per Cantalice, continuare per 3 km fino alla parte bassa del paese». In dieci minuti sie-te arrivati a Cantalice, un borgo medievale magico e unico per il suo aspetto, che si sviluppa in altezza lungo un ripido sperone di roccia e culmina nella caratteristica Chiesa di San Felice, patrono del pa-ese. Chi preferisce salire a piedi i 350 scalini che conducono nel cuore del borgo antico, può ammi-rare le particolari case in pietra, le scale, le fon-tane e le piccole chiesette che circondano la sca-linata. Per chi invece preferisce una passeggiata all’insegna della natura, Cantalice è caratteristica per i mille sentieri molto suggestivi e per i percor-si naturalistici che conducono fino a Leonessa. In questo territorio si trova anche la Riserva naturale dei Laghi Lungo e Ripasottile dove un percorso na-turalistico intorno ai laghi connette alcune cascine su palafitte per l’avvistamento e la fotografia della fauna lacustre presente sulle rive dei laghi. I più cu-

CANTALICE, NÒ JI MANCA MAI QUE DICE

credits: Rieti Life

riosi dal punto di vista storico vorranno certamente sapere che nel 1577, Cantalice respinse le truppe reatine rinforzate da contingenti francesi e ponti-fici, cosi il vicerè Ferdinando Alvarez di Toledo, avuto notizie del felice esito della guerra e della ritirata dei Reatini, per onorare l’ordine e la fedel-tà dei Cantaliciani li esentò per venticinque anni dai pagamenti fiscali. Perché restasse memoria di quanto accaduto, ordinò che intorno all’arma fosse scritto il motto Fortis cantalica fides e fosse inserita un’aquila nello stemma, che da allora si presenta così ordinato: scudo coronato con torre di oro in campo azzurro, ai cui lati è il leone rampante e l’elce ramoso, al di sopra l’aquila spiegante il volo e sotto il motto suddetto. L’elce ramoso indica l’ori-gine del nome che viene fatto risalire ai lemmi catà ed ilex (presso il leccio), in relazione al fatto allora accaduto e ritenuto miracoloso che un piccolo lec-cio nacque improvvisamente dalle fessure di una roccia proprio dietro la sacrestia all’interno della Chiesa di Santa Maria delle Grazie in Cantalice.

mi sono riallacciato alla grande scrittura ottocentesca. DATO IL RAPPORTO TRA REALISMO E FIN-ZIONE, IL ROMANZO PUÒ ESSERE CONSI-DERATO STORICO? E’ un feuilletton storico e molte delle cose sono real-mente accadute. E’ sia storico che fiction anche se ho privilegiato la fiction alla storia. A COSA SI È ISPIRATO DURANTE LA STE-SURA DEL LIBRO? Quando scrivo mi avventuro in qualcosa che mi affa-scina, ma che non conosco. Sinceramente, non ce l’a-vrei fatta ad occuparmi delle cose di questo presente, dell’Italia attuale, così ho cercato di fuggire da questo ed andare alla radice del problema, ad esempio dell’im-migrazione. CHE FUNZIONE SVOLGE L’USO DEL DIA-LETTO? Questo è un discorso molto dibattuto tra me e me. Io sono sardo, ma mio nonno era siciliano: adoro questa cadenza, tant’è che per due anni ho parlato solo sici-liano.QUAL È IL PERSONAGGIO CHE PREFERI-SCE? Non si scrivono romanzi su personaggi banali, ma su personaggi straordinari. Ognuno ha il suo perché, ma il personaggio che amo più di tutti è Diana, è lei la vera protagonista. IN CHI SI IDENTIFICA DI PIÙ? Sono i personaggi che hanno deciso da soli dove an-dare. Sapete, la vita dello scrittore è come quella del medico, si evocano degli spiriti in un certo senso. Al-lora, sono molto vicino a Michele e Diana, ma Tano mi coinvolge tantissimo; è il riassunto del primo mafioso, perciò ho pensato a un perfido, delinquente che si in-namora della sua vittima. NEL LIBRO SONO PRESENTI MOLTE SCENE MACABRE ED EROTICHE, COME MAI?Perché ci sono nella vita di tutti i giorni; nonostante ciò sono state tagliate molte scene. PROGETTI PER IL FUTURO?Sto lavorando ad un altro libro, ma non vi anticipo nulla.

Strengozze alla cantali-ciana Se capiterete poi in paese il 18 maggio, giorno in cui si festeggia san Felice, non vi sarà cantaliciana che non preparerà, proprio come si faceva un tempo, un gustoso piatto di strengozze, un particolare tipo di pasta fatta rigorosamente a mano. Prodotto “pove-ro” realizzato con farina, acqua e sale, le strengozze si realizzano stendendo una sfoglia, spessa tra i 2 e i 4 mm, di pasta di farina di grano tenero, la sfoglia è poi tagliata a strisce di forma quadrata o rettangola-re, di circa 4 mm di larghezza e la lunghezza di cir-ca 30 cm; il condimento è impreziosito dal profumo della “persa”, una pianta simile alla maggiorana che cresce proprio in questo territorio. La forma richiama quella delle stringhe da scarpe, dal cui nome alcuni pensano derivi quello degli “strangozzi”. In partico-lare, secondo tale ipotesi, il nome deriverebbe dalle stringhe che venivano usate, nello Stato Pontificio, dai rivoluzionari per strangolare i preti e sarebbe quindi il risultato di una fusione di “stringa” e “stran-golare”, da qui anche le varianti “strozzapreti” o “strangolapreti”. Dal 2006 la Regione Lazio ha rico-nosciuto le “Strengozze cantaliciane” prodotto tipico tradizionale e le ha inserite nell’Elenco dei Prodotti Tipici Tradizionali dell’Arsial Lazio.

Chiara CaulettiA SPASSO PER LA PROVINCIA

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IL NONNO DICE CHE LA LAVORAZIONE NELL’ORTO INI-ZIA A FEBBRAIO. SI COMINCIA COL SEMINARE LE PATATE “A LUNA CALAN-TE” ESSENDO TUBERI CHE GERMOGLIANO SOTTOTER-RA, E I PISELLI CHE INVECE VANNO PIANTATI “A LUNA CRESCENTE”. TUTTE LE PIAN-TE CHE “SALGONO”, CIOÈ SI SVILUPPANO IN ALTEZZA, DE-VONO INFATTI ESSERE MESSE A DIMORA IN QUESTA FASE LUNARE (ES. FAGIOLI, PISELLI, POMODORI).

IL NONNO DICE CHE IL SEME DEL POMODO-RO APPENA MESSO, SI DEVE COPRIRE PER ESSERE PRO-TETTO DALLE INTEMPERIE, IN PARTICOLAR MODO DALLE GELATE. LE PIANTINE CHE SI ERGONO ALL’INCIRCA NEL MESE DI MAGGIO, DEVONO ESSERE DISTANZIATE ADE-GUATAMENTE (CIRCA 40-50 CM). UN CONSIGLIO: LA MI-GLIORE QUALITÀ DI POMO-DORO È LA PERA D’ABRUZZO, ESSENDO ESSA INSIEME AL CIRANO, UNA DELLE PIÙ DOL-CI E POLPOSE. IL NONNO DICE CHE IL SEGRETO PER FARE UN BUON VINO È MISCHIARE DI-VERSE QUALITÀ DI UVA, COSÌ COME SI SUOL FARE NEL BRO-DO. E’ NECESSARIO INOLTRE POTARE LE VITI AL MOMENTO GIUSTO PER EVITARE CHE CI SIA POI UNA SOVRAPPRODUZIO-NE DI GRAPPOLI. IL NONNO DICE“SOTTO L’ACQUA FAME, SOTTO LA NEVE PANE”. L’ECCESSIVA QUANTITÀ DI PIOGGIA PUÒ RISULTARE MOLTO DAN-NOSA PER LA COLTURA. LA PIANTA CHE PIÙ NE RISENTE È LA VITE CHE MANI-FESTA A LUNGO ANDARE L’INFEZIONE “PRONOSPERA”, ALLA QUALE SI PUÒ PERÒ RIMEDIARE UTILIZZANDO SOLFATO DI RAME O CALCE. ANCHE LA SICCITÀ È ALQUANTO DANNOSA, IN PARTICOLA-RE PER L’ULIVO.

I CONSIGLI DEL NONNO

IL NONNO DICE CHE IL POSTO MIGLIORE PER FARE L’OR-TO È IN PIANURA, IN UN TERRENO POS-SIBILMENTE SABBIOSO (RIETI È PERFET-

TA), NON ARGILLOSO E CHE PRESENTI IL COSIDDETTO “SCHELETRO”. LA TERRA È COME IL CORPO UMANO, COMPOSTO DA OSSICINI INDISPENSABILI, CHE IN QUESTO CASO SONO RAPPRESENTATI DA MINUSCOLI SASSOLINI. IL POTAS-SIO, INOLTRE, È UN ELEMENTO CHE STI-MOLA LA PRODUZIONE DI FRUTTI BELLI E RIGOGLIOSI.

IL NONNO DICECHE SUL BALCONE, NEI VASI SI PUÒ PIANTARE TUTTO: INSALATA, POMODO-RI, PEPERONI, MELANZANE MA NON LE ZUCCHINE, SOFFRIREBBERO.

IL NONNO DICE CHE LA VANGA, NELL’ORTO, HA LA PUN-TA D’ORO, CIOÈ HA LA CAPACITÀ DI FAR OTTENERE AL CONTADINO DEI TERRENI

DA COLTURA ESTREMAMENTE FERTILI E RIGOGLIOSI. CERTO, BISOGNA SAPERLA USARE.

IL NONNO DICE CHE PRIMA DI COMINCIARE AD ARARE CON I BUOI, IL CONTADINO SI TOGLIEVA IL CAPPELLO, SI INCHINAVA AL CIELO E SI FACEVA IL SEGNO DELLA CROCE PER PROPIZIARE IL RACCOLTO.

IL NONNO DICE CHE PER NON FAR AVVICINA-RE I CALABRONI AI GRAPPOLI DI UVA NELLE VITI, SI POSIZIO-NANO ACCANTO AD ESSI DELLE BOTTIGLIETTE CONTE-NENTI ACQUA E TANTISSIMO ZUCCHERO CHE ATTIRI GLI INSETTACCI E LI FACCIA PE-NETRARE AL SUO INTERNO, PER POI MORIRE DI GUSTO. PER GLI UCCELLI, INVECE, SI USANO BUSTE COLORATE O NASTRI DI VECCHIE VIDEO-CASSETTE CHE MUOVENDO-SI, CON IL FRUSCIARE DEL VENTO, FACCIANO RUMORE E LI IMPAURISCANO.

IL NONNO DICE“PALMA ASCIUTTA, GREGNA

‘NFOSSA”. SE LA DOMENICA DELLE PALME È SERENO, PIOVERÀ DURANTE I GIORNI DELLA MIETITURA. IL NONNO DICE“MARZO ASCIUTTO, APRILE BAGNATO, BEATO CHI HA SEMINATO”. E ANCORA “CHE DIO TI LIBERI DALLA POLVERE DI GENNAIO E DAL FANGO DI AGOSTO”. SE SEI UN ASPIRANTE COLTIVATORE SPE-RA CHE IL TEMPO NEI MESI QUI NOMI-NATI, RISPETTI LE PREVISIONI METEORO-LOGICHE PROVERBIALI.

I CONSIGLI DEL NONNO Elvisa Rossetti

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LA MOGLIE DEL SARTORegia: Massimo ScaglioneGenere: DrammaticoDurata: 100 minuti

Siamo all’inizio degli anni ’80 e dopo la morte del marito, “sarto per soli uomini”, la bella Rosetta viene abbandonata da tutti e deve combattere per difendere la sua digni-tà e la sartoria di famiglia che rischia di chiudere. L’ammaliante donna, insieme a sua figlia Sofia, lotta contro l’assessore Cordaro che vuole impossessarsi di tutti i palazzi del borgo per trasformarli in alberghi. Intanto la storia d’amore tra Sofia e Salvatore, giovane artista ambulante, affianca la vicenda della “sartoria per soli uomini”. Questo amore provocherà molte chiacchiere intorno alla sartoria causando l’inizio di molte diffamazioni: la bottega, per tutti, diventerà solo la copertura ad una casa d’appunta-mento. Il tutto precipita quando Rosetta scopre di essere incinta. Ma chi sarà il padre di quella creatura?

PADRE VOSTRO

Regia: Vinko BresanGenere: CommediaDurata: 96 minuti

In un’isoletta della Dalmazia, dove il tasso di natalità è crollato negli ultimi anni, approda il giovane Padre Fabijan. Già dal suo arrivo, Fabijan frustato dalla popolarità dell’anziano parroco, inizia ad avere problemi con gli abitanti dell’isola. Desideroso di lasciare il segno della sua presenza nella storia dell’isola, decide così di “incoraggiare il decorso della volontà divina”, Padre Fabijan ha un’idea geniale: bucare i preservativi che consentono la sfrenata lussuria senza incre-mentare il numero delle nascite. Naturalmente l’ingegnoso prete si agevola con l’aiuto di alcuni isolanti: l’edicolante e il medico in particolare. I risultati non tardano ad arrivare.

URSULA TODD: UNA VITA SPEZZATA PIU’ VOLTE VITA DOPO VITAAutore: Kate Atkinson

“Pochi istanti dopo essere venuta al mondo, il mio cuore ha smes-so di battere. A quatto anni, sono annegata nell’o-ceano. A cinque

anni, sono scivolata da un tetto coperto di ghiaccio. A otto anni, ho preso l’influenza spagnola. Quattro volte. A ventidue anni, mio marito mi ha spinto con violenza contro un tavolino, uccidendomi. A trent’anni sono morta durante un bombardamento tedesco su Londra. E su di me cadevano tenebre. Ma ho sempre avuto un’altra possibilità.” Que-sta è la storia di una bambina che nasce a Londra nel Febbraio 1910. Già alla nascita si trova davanti la morte: il suo collo è stretto dal cordone ombelicale e nessuno riesce a salvarla, nessuno tranne il medico di fami-glia che giunge proprio all’ultimo istante. Inizia così la vota di Ursula Todd, una vita che verrà spezzata più volte mentre l’umani-tà si prepara alla tragedia della guerra. Un libro che riesce a conquistare i lettori attra-verso l’unione tra una grande qualità lette-raria ed uno straordinario talento creativo.

IL SEGRETO DELLA VERA RICCHEZZA.DIALOGO TRA UN ECONOMISTA E UN POVERO Autore:

Massimo Jevolella

Sulla riva di Capo Boeo, affacciato sulla costra afri-cana, avviene l’incontro casuale

fra un celebre professore di economia e un povero pensionato che ha compreso il signi-ficato della vera felicità dopo aver vissuto il dramma della perdita di tutto ciò che crede-va di possedere. Un tema sicuramente mo-derno e riconducibile alla nostra situazione culturale attuale. Il dialogo, che dura tutta la notte fino al sorgere del sole, affronta le questioni centrali del mondo sconvolto da una profonda crisi economica e morale che pone al centro una domanda essenziale: che cos’è veramente la ricchezza?.

EMIGRAZIONE: “LA PIUì GRANDE EPOPEA CHE SI STA SVOLGENDO SOTTO I NOSTRI OCCHI”

SOLO ANDATAAutore: Erri De Luca

Bisognerebbe im-maginarsi emi-granti per entrare a capire il dram-matico viaggio di un gruppo di clan-

destini verso “i porti del nord” raccontato attraverso un opera scabra e tragica. Uno strano incontro tra politica e poetica. Questa è una situazione che ogni giorno abbiamo sotto i nostri occhi e sentiamo con le nostre orecchie; una situazione che però quasi non vediamo più.

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andrea Bonanni e Valerio Pocorobba. Entrambi classe ’93, che poi diciamocelo, loro di classi se ne intendono. Frequen-tando rispettivamente il Liceo scientifico e Ragioneria da sette anni ( Valerio vanta anche due anni di liceo), si sono meri-

tati l’appellativo di “veterani” delle scuole reatine. Considerati da tutti due leggende per antonomasia, rappresentano al contrario di quanto si possa pen-sare, un vero e proprio esempio di “studenti” tena-ci e perseveranti. Due ragazzi ai quali, non manca nemmeno l’autoironia: «Sto aspettando che si liberi un posto da bidello o, perché no, da presi-de!» commenta Valerio; «A quelli che mi chiedono se ho intenzione di prenderci la pensione, rispondo sempre con una risata» replica Andrea. Tutto ebbe inizio nel lontano 2007, reduci da esami di terza media e addirittura da quelli di quinta elementare, decisero entrambi di scegliere il liceo scientifico. Valerio racconta di aver perso i primi due anni a causa del poco studio e

VETERANI A SCUOLA, OVVERO COME PRENDERSELA COMODA

del troppo divertimento, per seguire i suoi amici finiti anche loro quasi tutti bocciati. Per Andrea, invece, la voglia di studiare è venuta a

mancare fin dall’inizio. Sicuro che il problema fosse la scuola, nel 2009, Valerio decise di passare all’I-stituto Tecnico Commerciale Luigi di Savoia dove,

però, tre anni dopo, la storia si ripeté. «Non credo che il fatto di aver impiegato (salvo scongiuri) otto

anni per prendere un foglio di carta, mi pregiudichi il futuro. Voglio dire, c’è gente che esce dalle supe-riori con cento e poi non conclude niente nella vita. Io voglia di riuscire in qualcosa ce l’ho, sono sicuro che quando uscirò da scuola costruirò qualcosa», questo è quello che Valerio pensa del suo futuro,

al contrario di Andrea che “da grande” vorrebbe di-ventare un detective, proprio come quelli dei film americani. Nono-stante non siano senatori (per età potrebbero anche esserlo) e non abbiano vinto alcun premio Nobel, forse loro, il diploma ad honoris causa se lo meriterebbero.

VETERANI A SCUOLA Serena Pitotti Alessia Mancini

reatino si nasce, non si diventa. E vi dirò di più, lo riconosci subito (appena apre boc-ca). Buzzurro ma ben vestito, chiacchiera e spettegola su tutto e tutti, per questo, se vuoi sapere delle notizie, comprare il giornale

non serve, basta andare in piazza. Accontentarlo è impossibile: si lamenta sempre. Dice male ad-dirittura della sua città ma appena va fuori pro-vincia, diventa patriota e ne parla come se fosse Parigi. Gesticola molto, borbotta e accompagna i suoi discorsi con qualche “Sant’Antonio”, perché ricordarlo fa sempre bene. Statisticamente è for-se il Santo più maledetto e bestemmiato però in processione “tòcca jicce e tòcca pure fassela tutta co lu moccolu ‘n manu”. Nonostante lo sguardo rude di chi non si fida nemmeno del suo vicino di casa e sotto la camicia a quadri da indossa-re rigorosamente di domenica per “fasse vede’ su e jo pe’ Via Roma”, si nasconde un cuore grande. Quello di chi aprirebbe a chiunque la porta di casa e gli offrirebbe tutto pur non aven-do niente. Perché quando una famiglia reatina si riunisce, è sempre una festa. C’è chi li chiama “rapari” per sottolineare la loro origine umile e

la loro mentalità chiusa. Tuttavia questo è anche legato alle caratteristiche morfologiche della città in cui vive: pianura verde circondata da monta-gne, da sempre terra di confine, sottovalutata e dimenticata da tutti. Il reatino medio, però, non è ignorante. Si ingegna ed è molto saggio al punto che i suoi detti e proverbi valevano un tempo e valgono tutt’ora. Sono delle vere e proprie dot-trine filosofiche, oracoli che scandiscono la sua vita. Ma se speri “de cava’ ‘a ciommanica da u buciu”, scordatelo proprio. Perché dire reatino o spocchioso equivale a dire la stessa cosa. A Rieti il Codice della Strada ha lasciato spazio a gesti, suonate di clacson e colorite esclamazioni dal fi-nestrino. Nelle rotatorie del Centro Italia vige la regola de “il più prepotente passa per primo” e se hai intenzione di svoltare, ricordati che non è necessario utilizzare la freccia, così alle 8 di mattina, nell’ora di punta, si assiste in diretta ad una vera e propria gimcana. Il reatino medio è come l’amatriciana: è fatto di pochi ingredienti però buoni e genuini. Ma tutto questo, chi vive a Rieti, lo sa già.

SEGNI PARTICOLARI: REATINO

SEGNI PARTICOLARI: REATINO Serena Pitotti

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MARION GREENSTONE. POP ART A NEW YORK 1960-1970Roma 16 marzo 2014 – 25 maggio 2014

In mostra, al museo carlo bilotti di roma, 14 opere del periodo pop, concentrate nell’arco di tempo che va dal 1962 1l 1969. Rimaste fino a pochi decenni fa ai margini della storia dell’arte, recentemente alcune eccellenti artiste le hanno valorizzate, riscoprendo la loro centralità e importanza artistica. Una di queste artiste è marion greenstone (new york 1925-2005) che gode dei riconoscimenti delle maggiori istituzioni artistiche newyorkesi e canadesi, ed ora per la prima volta viene proposta al di fuori dei propri confini nazionali.

ORARIO DI APERTURA:Dal martedì al venerdì, ore 10:00 – 16:00, ultimo ingresso ore 15:30; sabato e domenica, ore 10:00 – 19:00, ultimo ingresso ore 18:30TARIFFE: Intero €8 Ridotto €7 - Residenti: Intero €7 Ridotto €6INDIRIZZO: Viale Fiorello La Guardia 00197 RomaSITO INTERNET: www.museocarlobilotti.it

D’APRÈS RODIN. SCULTURA ITALIANA DEL PRIMO NOVECENTORoma 11 febbraio 2014 – 18 maggio 2014

La galleria nazionale d’arte moderna organizza una mostra sulla diffusa e tra-sversale influenza che auguste rodin ha esercitato sulla scultura italiana dei primi decenni del novecento. Agli inizi del novecento rodin dominava lo scenario della scultura europea e le sue numerose partecipazioni alle principali esposizioni italiane influenzarono una generazione di scultori che avvertiva la necessità di liberarsi dalle formule abusate dell’accademismo, del naturalismo, del simbo-lismo. Il museo nazionale romano alle terme di diocleziano propone le opere di scultori italiani, fra i quali medardo rosso, legato allo scultore francese da sentimenti di ammirazione e conflittualità; da altre collezioni sia pubbliche che private provengono opere di artisti che hanno visto in rodin un modello a cui ispirarsi. Artisti italiani come boccioni, rosso, fontana, trentacoste, bistolfi, an-dreotti, dazzi, graziosi, prini, zanelli, martini vengono chiamati a testimoniare, attraverso la mostra, l’importanza delle novità introdotte nello scenario artistico italiano dallo scultore francese.

ORARIO: Orario si apertura museo: da martedì a domenica, ore 8:30 – 19:30Orario di apertura mostre temporanee: da martedì a domenica ore 10:30 – 19:30

TARIFFE: Biglietto museo: Intero €8 Ridotto €4 - Biglietto mostre: Intero €10 Ridotto €8 Ridotto scuole €4 - Biglietto integrato museo + mostra: Intero €12 Ridotto €9,50

INDIRIZZO: Viale delle Belle Arti 131 – 00196 Roma Ingresso disabili: Via Gramsci, 71 Tel.06 322 98 221

E-MAIL: [email protected] INTERNET: www.gnam.beniculturali.it

RIETI

MASSIMO RANIERI A RIETI CON “SOGNO O SON DESTO”27 maggio ore 21:00 PALASOJOURNER

SECONDA EDIZIONE DI FORMAGGIOdegustazioni con primi piatti dove il formaggio è l’elemento fondamentale.Dal 30 maggio al 2 Giugno PIAZZA OBERDAN E CENTRO STORICO

TERNI

CAROLE TERRY ALL’ORGANOIl 18 Maggio 2014

15° TORNEO CAMPOMAGGIORE IN FESTAdal 20 maggio al 15 Giugno CENTRO SPORTIVO ANGEL SOCCER in via Piemonte

L’AQUILA

INTERNATIONAL L’AQUILA TANGO FESTIVAL & MARATHON 2014Sabato 31 maggioTipo evento: Festival

PHONO EMERGENCY 30 maggio ore 22:00Tool Get The Pet Tour

MOSTRE

EVENTI

CARO AMICO TI SCRIVO Caro Rino, mentre scrivo questa lettera ascolto una tua canzone, secondo me la più bella, ovvero “A Khatmandu”. Non c'è un mo-tivo ben preciso per il quale mi piaccia cosi tanto, ma è una del-le poche canzoni che mi ha fatto piangere la prima volta che l'ho ascoltata, e che sentirei miliardi di volte. Ho iniziato ad ascoltarti non molto tempo fa, al massimo un anno o due, e devo ringraziare le mie amiche Elvisa e Beatrice per “averci presentato”. Noi tre, lo diciamo sempre, siamo nate nell'epoca sbagliata, saremmo dovute nascere negli anni '50 come te, e probabilmente ci saremmo anche incontrati. Magari, passeggiando per le vie di Roma nel 68, da un vecchio garage avrei potuto sentire Blowin in the wind e Revolution, ed incuriosita sarei andata a sbirciare e a vedere che quelle note provenivano da un gruppo di quattro ragazzi, i Krounks, del quale eri il bassista. Avrei voluto cantare insieme a te Ahi Maria attorno ad un falò in spiaggia. Avrei voluto confortarti tutte le volte che litigavi con tuo padre, troppo rigido e conservatore. O quando fittissimo ti cimentavi nei locali ad invocare una Marianna dubbia. Avrei voluto essere la donna del 60 notturno, o quella di sei ottavi. Avrei voluto accompagnarti a Sanremo. Semplicemente avrei voluto esserci al Festivalbar tenutosi al Pala Sojourner dove cantasti la tua "odiata" Gianna. Sfortunatamente sono nata in ritardo di 46 anni, perciò mi devo accontentare delle tue canzoni appassionanti, provocatorie, ironiche ma soprattutto attualissime. A volte sono prive di senso, ma nello stesso tempo ne hanno più di uno. Amo le tue canzoni perché sono pazze, stonate, a volte stonatissime, e perché rispecchiano in pieno la società e tutto ciò che accade al giorno d'oggi. Sai anch'io mi trovo a disagio in questo Paese, governato e abitato da “paras-siti” che non fanno altro che peggiorare la situazione pietosa in cui ci troviamo, ma purtroppo ci sono sempre stati e sempre ci saranno. Se non l'avevi capito, questa è una dichiarazione d'amore. Ovvia-mente scherzo anche se saremmo stati una bella coppia. Comunque credo nel karma e spero tanto che nella prossima vita ci incontre-remo. Veniamo a noi. Qualche tempo fa ho passato una giornata troppo malinconica, e allora ho pensato a te, alla tua musica e alla tua tragica morte. Cosi ho iniziato a fare delle ricerche sulle cause della tua morte e sono rimasta sconvolta. Sapevo che eri venuto a mancare in un incidente stradale, ma non che quel maledetto 2 giu-gno 1981 eri stato rifiutato da ben cinque ospedali, guarda caso, proprio come avevi cantato nella “Ballata di Renzo”. Renzo aveva fatto un incidente d'auto ed era stato rifiutato proprio dagli stessi cinque ospedali. A meno che tu non sia stato un veggente e che abbia previsto e messo in musica la tua morte, qui gatta ci cova. Eri grande, ormai eri diventato un personaggio troppo scomodo, hai descritto la realtà cosi com'era ed hai avuto il coraggio di andare contro il sistema per i tuoi ideali fino a farti uccidere. Come tu stesso dicesti alla fine di un concerto: «C'è qualcuno che vuole mettermi il bavaglio. Io non li temo. Non ci riusciranno. Sento che in futuro le mie canzoni saranno cantate dalle prossime generazioni. E che gra-zie alla comunicazione di massa capiranno cosa voglio dire questa sera». E ci sei riuscito. Per questo ti ringrazio di cuore. «Si fumava non ci davano la sola, uno sguardo o soltanto la parola, ci bastava per capire dove il lupo va a guaire.. ».

Ciao genio incompreso, Chiara

Chiara CaulettiLETTERA A RINO GAETANO

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ha quarant’anni e tutti i capelli bianchi, rigorosamente lunghi e legati in una coda che però non trapela sintomi di vecchiaia perché alquanto fluente,

una risata contagiosa, inconfondibile proprio come la sua voce, una fiat rossa che un tosca-no gli ha rubato e una passione sfrenata per le donne ed il vino. Marco Graziosi, nato a Rieti il 25 febbraio 1973 ma cresciuto nel pic-colo borgo di Montenero Sabino, è un’ecce-zione, un’anomalia nel panorama musicale: è l’unico cantante che si fa da gruppo spalla da solo, autonomamente. Non può fare a meno di raccontare a tutti la sua ironia frivola ma incisiva, la sua piccola realtà di uomo di pa-ese, la sua malinconia, i suoi due di picche, i suoi amori a tempo determinato, ma non riesce nemmeno a non far sopravvivere tra le genti, nelle piazze, nelle osterie, le parole di uno che tutto sommato gli assomigliava, che

scapigliato, mezzo scozzese, mezzo italiano, dalla voce seducente a tratti malinconica, graffiata e graffiante, compositore di ritmi che sanno mescolare con grinta e raffinatezza generi dal soft rock al blues passando per il soul bianco e la canzone d’auto-

re, Paolo Nutini è una delle scommesse più quotate nel panorama musicale odierno. La sua carriera comincia per caso. Un tal David Sneddon vince la prima serie di Fame Academy della BBC e nella città di Paisley vengono organizzati dei festeggiamenti in onore del suo rientro. Sneddon è in forte ritardo, allora Paolo sale sul palco ed inizia ad intrattenere il pubblico esibendo i suoi pezzi fortemente intrisi di musicalità alla Beatles. Un manager lo nota, dando così inizio alla sua avventura mondiale. Vende in poco tempo milioni di copie, inventan-do melodie e parole in perfetta sintonia. Il suo stile non ben definito ha spesso diviso la critica, ritenendolo privo di una precisa identità e non comprendendo il fatto che questo è un suo modo di carat-terizzarsi, saltando da brani frivoli a notevoli capolavori. Oggi, dopo cinque anni dal suo ultimo album “Sunny Side Up”, riparte con il suo appena nato gioiellino “Caustic Love” che trapela funky e maturità. Il

PAOLO NUTINI,TRA ESTASI E AGONIA

Elvisa RossettiIL CANTAUTORE DEL SORRISO

IL CANTAUTORE DEL SORRISO: MARCO GRAZIOSI,L’AMICO DI RINO GAETANO

quasi sicuramente aveva gli stessi interessi: Rino Gaetano. “Bar Collando” tra una nota e un’altra, una serata e un’altra, vanta una par-tecipazione a Sanremo, una al concerto del 1 maggio del 2007 e una collaborazione nel film “Rino Gaetano” con Claudio Santamaria, Laura Chiatti, Kasha Smutniak. Rimane però sempre ancorato al piccolo paese, dove mos-se i primi passi verso una carriera che oggi lo onora, forse con qualche capello nero in più. Nella provincia reatina riscuote sempre molto successo, sia quando con la sua chitar-ra che scorda o che si scorda di lui, si mette seduto e tra una battuta e l’altra fa appassio-nare chi lo sta ad ascoltare, sia quando si tuffa con la sua eccellente band pazza, in concer-ti animati da giovani che ballano scatenati, ubriacati dalle parole di Rino e dal suo mute-vole, sporco, cantautorale timbro. In attesa del suo nuovo album, gli auguriamo di ritro-vare la Fiat, di amare tanto o amare tanto per, di non dormire sennò è lei che alla fine non torna e di regalare un sorriso e continuare ad emozionare quei tanti visi divisi da niente.

ventisettenne italo-scozzese lo descrive così a TV Sorrisi e Canzoni: «Spesso abbiamo troppi piani, siamo troppo attenti, consci, non vo-gliamo sbagliare, fare errori. A volte si incontra qualcuno che rompe queste catene, ti apre a cose belle quanto a cose brutte, tanto all’esta-si quanto all’agonia» . Nell’attesa di scoprire cosa sia questo qualcu-no, le piazze lo stanno aspettando gremite per urlare ed emozionarsi sulle note delle sue non classificabili, anarchiche, originali canzoni.

I TRE ALLEGRI RAGAZZI MORTI

Nel giardino dei fantasmi

WHO: TARM, o meglio I Tre Allegri Ragazzi Morti, che non sono più ragazzi ma che non hanno nulla da invidiare alle nuove leve. Quelli che suonano travestiti con le maschere disegnate dal fondatore Da-vide Toffolo. Nei live sono quattro, ma per ovviare al nome il primo chitarrista si veste da animale che cambia da album ad album;WHERE: Pordenone, la piccola città friulana, patria del punk-rock italiano anni ’70 - ’80, all’epoca del “Great Complotto”;WHY: “Nel giardino dei fantasmi” ve lo vogliamo consigliare per-ché Toffolo non vuole consegnare la propria immagine ai media e

dice di volersi nascondere dietro la sua matita con la quale riesce a far uscire il mondo della sua mente e a mostrarcelo nella comple-tezza e bellezza;WHAT: “L’avevamo immaginato come l’incontro con i nostri fan-tasmi, come il rock, il reggae, il dub, la canzone d’autore, il folk con qualche fantasma più esotico. Il risultato è una musica etnica, di un’etnia immaginaria, fantastica: la nostra”WHEN: Quando sei sveglio tutta la notte. Tra le foglie cadute dagli alberi; tra una palla di neve e l’altra.

a cura di Elvisa Rossetti e Pierluigi Imperatori

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INSERITE ORIZZONTALMENTE LE PAROLE SOTTO DEFINITE. A GIOCO RISOLTO, NELLA COLONNA FON-DO GRIGIO LEGGERETE IL NOME DELLA GIOVANE PAKISTANA CANDIDATA AL PREMIO NOBEL PER LA PACE E NOTA PER AVER TENUTO UN DISCORSO DAVANTI ALL’ONU.

Definizioni:1- L’ESTATE…INGLESE

2- SQUADRA DI CALCIO VINCITRICE DELLA CHAMPIONS LEAGUE NEL 2011

3- LE PRIME SI TENNERO IN GRECIA NEL 776 A.C.

4- ISOLA ITALIANA NOTA PER LA LAVORAZIONE DEL VETRO

5- RETE TELEVISIVA ITALIANA CHE MANDA IN ONDA “MA COME TI VESTI”

6- È L’ANTENATO DEL NINTENDO DS

7- SINGOLO DI LADY GAGA DEL 2011 DALL’ALBUM “BORN THIS WAY”

8- SQUADRA DI CALCIO VINCITRICE DEL MONDIALE NEL 1930

9- NELLA MINISERIE “MA IL CIELO È SEMPRE PIÙ BLU” INTERPRETA IRENE, LA FIDANZATA DI RINO GAETANO

10- ANTICO PROVINCIA FRANCESE NOTA PER IL CICLISMO

11- FEDERAZIONE ITALIANA DI ATLETICA LEGGERA

12- HA PER CAPITALE ZAGABRIA

13- ALESSANDRO IL GRANDE

14- FAMOSO QUADRO BELLICO DI PICASSO

Serena Pitotti

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